" Il deserto è
il giardino di Allah dal quale il Dio dei Giusti ha tolto
ogni vita umana o animale superflua, per poter disporre
di un luogo dove poter camminare in pace...”
(detto arabo)
Nicola |
Emanuele |
Il nostro viaggio si è svolto dal 28 novembre
al 29 dicembre 1982. L’itinerario è stato:
Tunisi, El Golea, Tamanrasset, Arlit, Agadez, Tahoua,
Niamey, Gao, Reggane, il deserto del Tanezrouft, Ouargla,
Tunisi. Abbiamo attraversato la Tunisia, l’Algeria,
il Niger e il Mali percorrendo circa 10.000 km.
28 novembre 1982 - domenica
Arriviamo a Tunisi nel pomeriggio con la vecchia
Habib. Il tempo è pessimo, piove a dirotto e fa
molto freddo. Una volta completate le formalità
doganali partiamo in direzione di Kairouan. Piove da alcuni
giorni, molte strade sono allagate creando problemi di
circolazione e bisogna fare spesso delle deviazioni. Alla
periferia di Tunisi la strada passa sotto un ponte ed
è completamente allagata. Un’auto è
rimasta bloccata e il guidatore ci chiede se possiamo
tirarlo fuori. Non ce la sentiamo di lasciarlo in quella
situazione e col cavo di traino lo portiamo in “secco”.
Proseguiamo poi per la nostra strada. Superiamo Kairouan
e ci fermiamo dopo una trentina di km per passare la notte.
Dormiamo ( si far per dire) seduti ai nostri posti. Siamo
troppo stanchi per approntare il nostro “letto”
all’interno del land.
29 novembre - lunedì
All’alba partiamo in direzione di Nefta.
Troviamo la strada interrotta per lo straripamento di
un oued e una lunga fila di auto bloccate. L’acqua
è troppo alta anche per il nostro mezzo. Un paio
di mezzi sono rimasti bloccate a metà con l’acqua
che arriva quasi ai finestrini. Incontriamo un italiano,
dipendente di una società petrolifera. Anche lui
deve andare al sud e ci suggerisce un itinerario alternativo.
Arriviamo a Gafsa dove facciamo rifornimento: riempiamo
i due serbatoi sotto i sedili e le taniche nel pianale
posteriore. In Algeria potremmo avere problemi a trovare
carburante. Nel tardo pomeriggio arriviamo al posto di
confine di Hazoua.
I tempi per passare la dogana sono lunghi. Le nostre
scorte di bevande (9 bottiglie di superalcolici, 24 bottiglie
di vino e una notevole quantità di lattine di birra)
ci creano qualche problema. Alla classica domanda “avete
qualcosa da dichiarare?” elenchiamo tutto. Il doganiere
ci guarda incredulo però alla fine riusciamo a
convincerlo che sono indispensabili per IL nostro lungo
viaggio che durerà un mese.
Poco prima di El Oued usciamo dalla strada e ci dirigiamo
per qualche km nel deserto alla ricerca di un posto per
passare la notte. Fa molto freddo e la temperatura è
vicino allo zero. Trovato un posto tranquillo ci fermiamo
e iniziamo i preparativi per un’abbondante cena.
Mentre aspettiamo che bolla l’acqua per la pasta
ci scaldiamo con un abbondante aperitivo (negroni), abitudine
che manterremo sempre ogni sera, seguito poi, durante
il pasto, da una buona bottiglia di vino. Più tardi
prepariamo i nostri “letti” nell’interno
del land e finalmente possiamo dormire stesi. Prima di
dormire Emanuele si fuma la sua solita sigaretta. Quando
l’accende penso che siamo sdraiati su quasi 400
litri di benzina, ma sono troppo stanco per preoccuparmi
e mi addormento subito.
30 novembre - martedì |
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Prima alba nel deserto e prima sorpresa:
scesi dal land ci accorgiamo che c’è
una gomma a terra. Come ginnastica mattutina cambiamo
subito la camera d’aria. Finito il lavoro rapida
colazione con un buon caffè e qualche biscotto.
Mentre stiamo caricando le ultime cose arriva un vecchio
su un carretto trainato da un magro asinello. Sul
sedile accanto a lui alcuni filoni di pane. Si avvicina,
ci saluta e ce ne ha offre uno. Accettiamo la sua
offerta che contraccambiamo con dei biscotti. |
Partiamo poi alla volta di El Oued, la città detta
“delle mille cupole”. Viaggiamo tutto il giorno,
la superiamo e ci fermiamo per la notte. Usciamo dalla
strada e ci inoltriamo per un po’ nel deserto, in
mezzo alle dune cercando di essere defilati dalla strada.
Meno siamo visibili e meglio è. All’orizzonte,
nella notte, si vedono dei bagliori rossastri, le fiamme
dei pozzi petroliferi di Hassi Messaoud.
1 dicembre - mercoledì
Si parte per Ouargla e si prosegue poi per El
Golea. Lungo la strada ci fermiamo a far rifornimento.
Si avvicina un algerino: è il conducente di un
camion fermo più indietro nel deserto che cerca
un pezzo di ricambio per il motore. Nella nostra dotazione
però non abbiamo nulla che possa servirgli. Verso
il tramonto, prima di arrivare a El Golea, incontriamo
un camion fermo ai bordi della strada. Ci fermiamo per
vedere se il guidatore ha bisogno di aiuto. Sta pregando
un po’ discosto, su un piccolo tappeto. Aspettiamo
che finisca. Quando ci vede ci saluta molto cordialmente
e ci spiega che stava andando verso Adrar quando gli è
scoppiata una gomma posteriore. Non ne aveva una di ricambio
ma tramite un altro camionista di passaggio aveva inviato
una richiesta di aiuto ai suoi amici, per cui non gli
rimaneva che aspettare che arrivasse la gomma nuova. Lo
salutiamo e proseguiamo per la nostra strada. Arriviamo
a El Golea poco prima del tramonto e ci sistemiamo nel
campeggio.
2 dicembre - giovedì |
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Giornata di riposo. Al mattino giro
per il mercato a cercare qualche verdura fresca, ma
troviamo solo arance e cipolle. Nel pomeriggio visitiamo
la chiesa dei Padri Bianchi, davanti alla quale c’è
la tomba di padre de Foucald, il missionario francese
che visse tra i tuareg per molti anni. Il guardiano
ci accompagna nella visita e prima di andare via ci
regala qualche punta di freccia |
3 dicembre - venerdì
Partiamo per In Salah. Appena fuori El Golea
vediamo sul bordo della strada una persona che ci fa segno
di fermarci. E’ uno svizzero il cui land si è
bloccato in una piccola oasi ad un paio di km di distanza
. Ci chiede se possiamo aiutarlo. Ci stringiamo sui sedili
anteriori e partiamo seguendo le sue indicazioni. Ci racconta
di arrivare dal Cameroun e di viaggiare con la moglie.
Raggiungiamo
il posto dove si era fermato per passare la notte,
una zona molto bella in mezzo alle palme. Il suo
mezzo, un vecchio land passo lungo stracarico e
alquanto malandato, ha la batteria completamente
scarica e oltretutto è anche insabbiato.
Cavi per batteria, cavo di traino e in poco tempo
è in grado di ripartire. La moglie vuole
regalarci, per l’aiuto prestato, una bellissima
rosa del deserto. Purtroppo dobbiamo rifiutare perché
non sappiamo dove metterla senza rischiare di romperla.
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Ripartiamo e più avanti deviamo dalla nostra strada
in fuoripista diretti verso una pozza di acqua dolce,
Hassi Marroket. Lo scopo è di cercare qualche reperto
neolitico tipo punte di freccia, su indicazione del guardiano
della chiesa di El Golea. Dopo un po’ di tempo passato
a frugare nel terreno troviamo solo qualche piccola lama
e qualche resto di cocci di terracotta.
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Prima di ripartire
facciamo veloce spuntino a base di carne in scatola
e birra. Diventerà una una costante dell’ora
di pranzo. Ci dirigiamo verso In Salah attraverso
il “Plateau du Tademait” (che in lingua
tuareg vuol dire “nudo come il palmo della
mano”), un altipiano lungo circa 500 km, largo
la metà, completamente piatto, nulla all’orizzonte.
La strada corre dritta per decine e decine di km
in un paesaggio lunare, allucinante. |
Ti viene il desiderio di schiacciare a fondo l’acceleratore
per uscirne il più presto possibile ma non è
possibile: il primo pezzo, che era stato asfaltato, è
ora pieno di buche profonde. Ci spostiamo in fuoripista
ma la “tole ondulè” è tremenda.
Andiamo sempre più in fuori cercando terreno migliore.
L’”hammada” , un misto di sassolini
e sabbia rosa fine come il borotalco solleva dietro di
noi una grande nuvola di polvere che penetra dentro l’abitacolo.
Verso sera raggiungiamo In Salah, un’oasi con più
di 250.000 palme, in un catino di sabbia rossa con capanne
di argilla rossa. Noi e il nostro land siamo completamente
ricoperti di polvere rossa per cui ci intoniamo perfettamente
con l’ambiente.
Ci fermiamo nel campeggio ricavato da quello che doveva
essere il mercato del paese. Facciamo la conoscenza di
una coppia di svizzeri (ma si sono dati appuntamento tutti
in Africa??), Erwin e Katharina, novelli sposi che hanno
deciso di trascorrere il loro viaggio di nozze in viaggio
fino alla Costa D’Avorio. E’ la prima esperienza
africana e ci chiedono se possono fare un po’ di
strada con noi. Hanno un land passo lungo, ben equipaggiato,
e poi Erwin di professione è meccanico d’auto.
Non si può trovare un compagno di viaggio migliore
! Incontriamo anche un ragazzo di Milano che è
in viaggio da più di 2 mesi in autostop. E’
sulla via del ritorno dopo essere stato in Nigeria, in
Costa d’Avorio e nel Benin.
4 dicembre 1982 - sabato
La mattina partiamo per Tamanrasset in fuoripista.
Dietro di noi si leva un nuvolone di polvere rossa. Dopo
pochi minuti l’abitacolo è invaso dalla sabbia.
Erwin si mantiene a debita distanza.
Verso sera arriviamo alle gole di Arak,
dove c’è uno dei paesaggi più belli
della zona. Un vecchio fortino della Legione Straniera
domina il passaggio. Troviamo una valletta lontana e nascosta
dalla pista e ci fermiamo per la notte. La temperatura
deve essere sotto lo zero e tira un vento glaciale. Prepariamo
il nostro campo per la cena. Gli amici svizzeri gradiscono
molto la nostra cucina: aperitivo, pasta al pomodoro con
parmigiano, tonno e fagioli, frutta sciroppata, una buona
bottiglia di vino. Loro, prima del nostro incontro, cenavano
con minestrine liofilizzate e poi solo acqua. Appena finita
la cena tutti nei sacchi a pelo per sfuggire la gelo.
5 dicembre - domenica
Ci svegliamo presto. Il tempo è nuvoloso
e fa sempre freddo. In attesa che il caffè sia
pronto accendiamo un piccolo fuoco per scaldarci un po’.
Si riparte. Si procede lentamente per la pista e dubitiamo
di riuscire ad arrivare a Tam in serata. La pista si dirige
verso la vecchia strada asfaltata, o ciò che ne
rimane. Si alza un forte vento che fa turbinare la sabbia.
Non si vede quasi più nulla. La macchina di Erwin,
che ci precede, ogni tanto sparisce nel nulla, come fosse
inghiottita dalla nebbia. Procediamo a passo d’uomo
cercando di vedere i suoi fanalini posteriori.
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Questa piccola
tempesta di sabbia è uno spettacolo affascinante:
tutto ha il colore della sabbia, la sabbia vola
per tutto l’abitacolo. L’hai in bocca,
negli occhi, devo spesso togliere gli occhiali e
soffiarci sopra. C’è una forte luce
diffusa, la sabbia fluttua sull’asfalto come
le onde del mare. Dopo un periodo di tempo che sembra
interminabile la superiamo e le condizioni tornano
normali. |
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Usciamo di nuovo in fuoripista per dirigerci al marabut
di Sidi Moulay Lahsene la tomba di un santone. Emanuele
vuole compiere un gesto propiziatorio così come
fanno gli algerini che transitano da quelle parti. La
tradizione vuole che si facciano tre giri intorno alla
tomba. Il terreno tutt’intorno alla tomba è
scavato dai pneumatici di tutti quelli che girano.
Mentre siamo fermi per fare delle foto arriva un grosso
camion carico di bombole di gas e anche lui si mette a
girare. Un po’ di fortuna nel deserto non guasta
mai.
“...Tutti i mezzi che percorrono la
transahariana hanno l’abitudine di fare tre giri
intorno alla tomba di Sidi Moulay Lahsene. Fino a poco
tempo fa un piccolo tavolo, presso il quale c’erano
un fornello, acqua, zucchero e caffè permetteva
ai viaggiatori di farsi un caffè: un cartello avvertiva
che ognuno poteva servirsi, ma non doveva approfittarne".
Da: “Paolo Santacroce –Algeria – Clup
Guide” ( pag. 414)
Arriva il tramonto e non siamo ancora in vista di Tam.
Cerchiamo un posto defilato per accamparci, nella zona
di In Ecker, a pochi km dalla vecchia base atomica francese.
All’interno di alcune montagne di questa zona tra
il 1960 e il 1963 furono fatte esplodere alcune atomiche.
Non appena cala il sole comincia a soffiare il vento
gelido. Sembra di essere in montagna a gennaio. Per fortuna
il nostro abbigliamento è più che adeguato:
maglie di lana, maglioni, giacche a vento in piuma d’oca
guanti, cappello. Non è così per gli svizzeri:
non immaginavano che avrebbero trovato un tale clima e
pertanto non hanno portato indumenti abbastanza pesanti.
Prestiamo loro qualche nostro capo di scorta.
6 dicembre 1982 - lunedì
Finalmente arriviamo a Tamanrasset. Abbiamo impiegato
più di tre ore per percorrere gli ultimi 60 km.,
su una pista infernale e con la polvere che entrava dappertutto.
La polvere è ormai parte della nostra giornata:
l’interno del land è pieno, sono pieni i
cassonetti dei viveri, i nostri abiti ormai ne hanno il
colore. Non mi meraviglierei se la trovassi anche aprendo
una scatola di carne. I beduini dicono che è così
fine che può penetrare anche il guscio di un uovo.
Comincio a pensare che possa essere vero.
Sono ormai dieci giorni che siamo in viaggio e sembra
che sia passata un’eternità. Finora siamo
riusciti a darci una ripulita solo al campeggio di El
Golea facendo una doccia gelida in una giornata fredda,
ma non c’erano alternative. Però non abbiamo
neanche preso il raffreddore... In effetti però
il fatto di non potersi lavare dopo un po’ non fa
più sentire a disagio. Il freddo e il clima secco
non fanno certo sudare. E poi più si va a sud e
più l’acqua è difficile da trovare.
L’acqua delle nostre taniche serve per cucinare,
per bere e, in caso di emergenza, per il radiatore. Ci
si limita a lavarsi le mani prima di mangiare e ad una
veloce lavata al mattino prima di partire.
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A
Tam ci fermiamo nel campeggio, uno spiazzo chiuso
da un basso muro, una decina di alberi, qualche
lavandino, e un po’ acqua ad ore alterne.
In questo luogo si trova un variegato “campionario”
di viaggiatori del deserto: c’è un
enorme camion svizzero (...ma che combinazione!)
color sabbia, con delle ruote grandi come quelle
di un trattore, bloccato per un guasto al motore.
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C’è un tedesco che, nonostante il freddo
se ne va in giro in costume da bagno. Viaggia da solo
in moto. C’è una Citroen 2CV a cui è
stata tolta buona parte della carrozzeria per alleggerirla
di peso superfluo e stivarla di viveri, acqua e benzina
fino all’inverosimile. Ci sono poi diversi pullmini
VW e Mercedes stracarichi. Due coppie di ragazzi che hanno
lasciato il lavoro, racimolato un po’ di soldi,
comprato il pullmino e via. Quando torneranno a casa penseranno
al futuro.
Prima di arrivare abbiamo incrociato un gruppo di tedeschi
che viaggiava con 2 grossi Unimog . Più che un
gruppo di viaggiatori sembravano un residuo dell’
Africa Korps sperdutosi dopo la seconda guerra: sul primo
mezzo uno di loro era appollaiato fuori dal portello che
si apriva sul tetto scrutando l’orizzonte con un
binocolo, come si aspettasse di incontrare le truppe di
Montgomery.
E cosa dire del camion di traslochi spagnolo modificato
come un camper che abbiamo incontrato dopo El Golea e
ritrovato nel campeggio? saranno stati una quindicina
tra ragazzi e ragazze che facevano un casino del diavolo.
Quando se ne sono andati, in una confusione indescrivibile,
il posto è sembrato ...deserto! Comincio a sospettare
che gli “sballati” di mezzo mondo (in particolare
la Svizzera) si siano dati appuntamento da queste parti.
Forse una persona “normale” si chiederà
cosa spinge ad intraprendere un viaggio così massacrante,
a guidare per ore e ore sballottati su un mezzo scomodissimo,
a mangiare polvere, a rischiare qualcosa di brutto se
il fuoristrada si guasta irreparabilmente quando si è
su una pista poco battuta. O a trascorrere la notte su
una tavola stesa dentro l’auto, su 400 litri di
benzina, chiuso nel sacco a pelo per ripararsi dal freddo.
Eppure quando assisti al sorgere del sole o al tramonto,
in un paesaggio lunare, dimentichi tutte le difficoltà
che hai dovuto sopportare. Il paesaggio stesso che ti
circonda, anche se sembra avere un’aria di morte,
è una cosa indescrivibile, che puoi capire solo
venendo qui.
7 dicembre 1982 - martedì
Abbiamo passato la mattina a caccia di benzina
e pane. In paese ci sono solo due distributori: il primo
era completamente a secco. Alla domanda: “Quando
arriverà la benzina?“ la risposta è
stata il classico “Inshalla...” Al secondo
riempivano solo il serbatoio. Ci siamo fatti riempire
i due sotto i sedili e, dopo un po’ di trattative
e una birra in regalo, anche 3 taniche da 20 litri ormai
vuote. In questo periodo la benzina arriva razionata per
cui bisogna accontentarsi.
Ancora peggio è stata la caccia al pane. Tam è
diventata un grande paese con un migliaio di abitanti
ma i panettieri sono rimasti sempre i soliti tre e i sistemi
di “produzione” sono sempre gli stessi. Il
prezzo del pane è stato bloccato dal governo a
circa 400 lire per ogni filone, molto basso, per cui nessuno
hai più interesse ad intraprendere questa attività
e quei pochi che ci sono non riescono a soddisfare tutta
la domanda. Il negozio è un cubicolo di mattoni
rossi situato in una via sporca e polverosa, con un piccolo
ingresso, un bancone di legno che lo attraversa da una
parete all’altra, una tenda bucherellata lo divide
dal forno. Fuori una folla indescrivibile in attesa di
poter comprare qualche “baguette”. Ogni tanto
arrivano i “soliti raccomandati” : bussano
alla porta del negozio e ne escono con qualche filone
sotto il braccio. Quando finalmente dopo un paio d’
ore di attesa ( per noi ma chissà quanto per quelli
che erano già lì) il pane è pronto
c’è l’assalto al bancone: bambini urlanti,
gente che sgomita il proprio vicino per cercare di avvicinarsi
quanto più possibile. Una scena indescrivibile.
Nel
pomeriggio partiamo per l’Assekrem, per la
pista più diretta e difficile. E’ una
montagna alta circa 2.800 mt., situato nel massiccio
dell’ Hoggar. Su questo monte padre de Foucauld
ha costruito anni fa il suo eremo. La montagna è
in una zona desolata, pietrosa. Sembra quasi che
un gigante si sia divertito a rovesciare grossi
sacchi di pietre tra gli altopiani attorno alle
montagne. |
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Non c’è un filo di verde, non c’è
acqua, ci sono letti asciutti di torrenti che si riempiono
solo in occasione delle rare piogge e diventano impetuosi
trascinando a valle tutto quello che incontrano sul percorso.
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Da
Tam sono circa 80 km di pista che si arrampica per
i monti. Nella parte finale si procede con le ridotte
per la forte pendenza e il terreno sassoso. Poco
prima del tramonto arriviamo al rifugio costruito
ai piedi dell’eremo. Il cielo è nuvoloso
(brutto segno) e non fa risaltare il paesaggio circostante
che, in condizioni migliori, sarebbe stato spettacolare.
Si dice che da questa altezza si gode uno dei più
bei panorami al tramonto e all’alba. Confidiamo
di vederlo l’indomani assieme all’eremo,
situato più in alto rispetto al rifugio.
Il freddo è sempre inteso e il custode ci
informa che la notte prima la temperatura era andata
parecchi gradi sottozero. |
Il rifugio è una bassa costruzione di pietra divisa
in varie stanze dove si dorme in comune per terra su materassini
di gommapiuma. Nella prima stanza c’è un
camino dove brucia un piccolo fuoco. Potrebbe essere piacevole
scaldarsi, ma il tiraggio è pessimo e l’aria
irrespirabile. Qui troviamo dei ragazzi arrivati con un
vecchio pullmino VW dalla pista più facile che
passa per Hirhafok. Sono vestiti con abiti leggeri e pur
di cercare il caldo sopportano l’ambiente fumoso.
Noi invece ci piazziamo nella stanza più lontana,
fredda come una ghiacciaia ma dove l’aria è
meno fumosa. Abbiamo portato con noi il fornello e il
necessario per cucinare. Ci prepariamo una minestra bollente
per scaldarci. Dopo cena ci infiliamo nei nostri sacchi
a pelo perchè la temperatura è veramente
glaciale.
8 dicembre 1982 – mercoledì
I nostri programmi saltano. Durante la notte
è iniziata una pioggia torrenziale. Tutt’intorno
al rifugio il terreno si è trasformato in un pantano.
Decidiamo di aspettare per ripartire: pensiamo che la
discesa sia troppo pericolosa. Il terreno è troppo
scivoloso per le pendenze che abbiamo trovato a salire.
Non vediamo più i ragazzi del VW. Ci dicono che
sono partiti poco prima dell’alba per scendere a
valle. Li vediamo ritornare più tardi, a piedi,
completamente bagnati, con gli zaini in spalla. Il loro
mezzo dopo alcuni km è rimasto bloccato nel fango
per cui lo hanno lasciato e sono tornati indietro. Una
ragazza sta molto male per il freddo: l’hanno infilata
in una sacco a pelo accanto al fuoco. Ha la febbre alta
e trema come una foglia. Le prepariamo un po’ di
brodo caldo per cercare di aiutarla. Le sue condizioni
preoccupano i ragazzi che decidono di ridiscendere a piedi
fino al pullmino per cercare di ripartire e portarla all’ospedale
di Tam.
Un paio di fuoristrada di francesi, anch’essi arrivati
il giorno prima, hanno cercato di tornare a valle per
un’altra pista ma dopo un paio d’ore però
li vediamo tornare indietro. Anche da quella parte è
impossibile scendere. E’ ora di pranzo e la situazione
non è migliorata. Ogni tanto alla pioggia si alterna
il nevischio. Mentre prepariamo qualcosa di caldo da mangiare
valutiamo cosa fare e alla fine siamo tutti d’accordo
sul tentare la discesa sulla pista più facile di
Hirhafok. A rimandare ancora si rischia che le condizioni
delle piste possano così peggiorare da farci rimanere
bloccati per giorni.
Sul
land troviamo un leggero strato di nevischio. Carichiamo
velocemente le nostre cose e partiamo. La pista
è ripida e piena di curve, con tanto fango
e lo strapiombo sulla destra. Il land praticamente
scivola da solo verso il basso: le gomme lisce da
sabbia non sono certo ideali per queste condizioni.
Emanuele è al volante, la portiera aperta,
pronto a saltare fuori nel caso in casi di pericolo.
Io lo seguo dietro a piedi nel fango. Erwin dietro
a debita distanza. |
|
Lungo la discesa incontriamo un camion impantanato. Ci
sono una decina di ragazzi inglesi che, vista l’impossibilità
di proseguire la salita, avevano deciso di fermarsi e
aspettare condizioni migliori per tornare a valle. Il
capogruppo ci ha dato un messaggio da consegnare alla
polizia di Tam. Venivano da Djanet dove, prima di partire
avevano chiesto l’autorizzazione alla polizia locale.
Questa avrebbe dovuto avvisare i colleghi di Tam che il
gruppo sarebbe arrivato entro una certa data. I ragazzi
volevano fare sapere la loro posizione attuale alla polizia
per evitare che li dessero per dispersi (almeno per il
momento).
|
Attraversiamo
un paio di ruscelli. In uno il nostro land si blocca
nel fango. Per fortuna in quel punto c’è
abbastanza spazio perchè Erwin possa prendere
la rincorsa passare di fianco a noi. Con l’argano
poi ci aiuta a venir fuori. Più avanti è
il suo turno: il suo mezzo, più pesante si
infila in un buco del terreno e non riesce a venirne
fuori. Spalando un po’ di fango e con l’ausilio
del cavo di traino riusciamo a farlo risalire. |
Dopo parecchie ore di questo divertimento arriviamo
in pianura. La pioggia è cessata da un po’
e si è alzata la nebbia. Non sembra proprio di
essere nel deserto. Ci fermiamo in uno spiazzo per riposare
e passare la notte. Da quando siamo partiti dal rifugio
abbiamo percorso non più di 30 km e abbiamo consumato
i due serbatoi sotto i sedili: una media di 3 km con 1
litro. Primato negativo di velocità e consumo.
Le cena è un momento di meritato relax. Un abbondante
aperitivo, risotto con funghi, tonno e una buona bottiglia
di vino. Inutile dire che il tutto è stato gradito
dai nostri amici svizzeri, che apprezzano sempre di più
la nostra cucina.
9 dicembre 1982 – giovedì
Ci alziamo all’alba con il sole che sorge. Ripartiamo
ma la pista è ancora difficile. Ci impantaniamo
un paio di volte in alcuni passaggi difficili e dobbiamo
mettere mano alle pale. Poco più avanti buchiamo
una gomma bucata e perdiamo altro tempo per la sostituzione.
Poco
prima di Tam Emanuele ci fa deviare verso un’altra
pista. Percorriamo qualche km e arriviamo in una
piccola gola dove c’è una cascata e
un laghetto. Peccato però che qualche turista
vandalo abbia deturpato la parete della cascata
con una scritta in vernice bianca. |
|
Finalmente arriviamo al campeggio. Abbiamo fango dappertutto
e decidiamo, nonostante la bassa temperatura di farci
una doccia. Mettiamo le land affiancate, posiamo tra i
tetti le piastre da sabbia e sopra mettiamo le taniche
di plastica dell’acqua con i rubinetti alla base.
Un paio di corde elastiche che tengono dei teli garantiscono
la “privacy”. E via con l’acqua e il
sapone. Poi si passa al lavaggio indumenti. Il programma
prevede la partenza l’indomani per il Niger, dove
speriamo di arrivare in tre giorni. Dipende dallo stato
della pista e dal tempo che impiegheremo per superare
la dogana nigerina di Assamaka.
(Tornado in Algeria nel 1985 sapremo poi che dal 1982
non hanno più avuto pioggia)
10 dicembre 1982 - venerdì
Nel pomeriggio, dopo aver superato l’ispezione
delle guardie algerine, partiamo alla volta di In Guezzam,
l’ultimo posto di frontiera a oltre 400 km. Stiamo
viaggiando da alcune ore in un panorama di sabbia piatto
come un biliardo quando vediamo qualcosa all’orizzonte.
E’ un tizio che procede a piedi trascinandosi dietro
una specie di carrello con alcuni bagagli. E’ francese
e sta attraversando a piedi il deserto. E’ partito
in ottobre da Algeri e la sua meta è il Niger.
Dovrebbe avere percorso finora 2700 – 2800 km. .
Ci mostra una carta dove sono segnati i pozzi d’acqua.
Gli lasciamo po’ della nostra acqua e gli offriamo
un passaggio. Non accetta e riprende a camminare verso
sud. Pian piano la sua figura scompare alle nostre spalle.
|
La
temperatura comincia a salire e durante il giorno
possiamo stare in camicia. Al tramonto però
si alza sempre un vento freddo e bisogna rimettersi
maglione e giacca a vento. Ci fermiamo per la notte
dopo il bivio per la pista proibita di In Azaoua,
in una conca nascosta tra le dune. Sembra che alcuni
anni fa una jeep con dei ragazzi si sia avventurata
lo stesso in quella direzione e che sia scomparsa
nel nulla. |
11 dicembre 1982 - sabato
In viaggio. Solito panorama piatto. Incontriamo
un camion bloccato col differenziale rotto e l’autista
in paziente attesa dei soccorsi. Quattro chiacchiere,
lasciamo un po’ d’acqua e si riparte. Ogni
tanto lungo la pista si trovano carcasse di auto completamente
ripulite di tutto ciò che si può asportare.
Questi rottami sono presi anche come riferimenti per viaggiare
sulla pista, assieme a piccole piramidi di pietre e alle
“balise”, pali di ferri piantati dentro un
bidone di benzina.
Nel primo pomeriggio attraversiamo la parte peggiore
della pista: le dune di Laouni, dove la sabbia ha la consistenza
del borotalco. Qui incrociamo un gruppo di Peugeot, guidate
da ragazzi, che arrancano con grande fatica insabbiandosi
continuamente. Una carovana di “peugeottari”
che porta in Niger auto usate da rivendere. Noi procediamo
con le ridotte ma per loro è un calvario: pochi
metri in avanti, insabbiamento, pale, piastre e così
via. Chissà per quante volte. Tutt’intorno
carcasse, un vero e proprio cimitero d’auto.
12 dicembre 1982 – domenica |
|
Il paesaggio è cambiato. Si procede ora in mezzo
a rocce vulcaniche di una strana forma cilindrica simili
alle formazioni rocciose dei deserti americani. Il passaggio
del posto di frontiera algerino di In Guezzam è
abbastanza veloce. Dobbiamo cercare quello nigerino di
Assamaka, che si trova a circa 25 km ma non si vede all’orizzonte.
Le tracce vanno in tutte le direzioni e la pista non è
segnata. Scegliamo una traccia di camion che dal colore
sembra essere recente ( più la sabbia è
scura e più recente è la traccia). La traccia
si dirige verso est aggirando la zona sabbiosa che si
trova sul percorso in linea retta, più breve. Procediamo
a zigzag per evitare numerosi catini di sabbia molle dove
è facile insabbiarsi, cercando di non perderla.
Incontriamo il camion, insabbiato (la traccia seguita
era la sua) e il guidatore ci conferma che siamo nella
direzione giusta. Bisogna solo dirigersi adesso verso
ovest. Riprendiamo il nostro zigzagare e finalmente vediamo
alla nostra destra un puntino all’orizzonte, le
baracche della frontiera, una linea immaginaria tracciata
nel nulla.
Sono quali le undici e splende un sole caldo. Ci sono
alcuni automezzi fermi per il disbrigo delle pratiche.
Un doganiere ci ritira i documenti e sparisce nell’ufficio.
Finalmente nel pomeriggio riappare con i documenti assieme
ad altri agenti. Cominciano ad ispezionare l’auto
e i bagagli. Trovano in una borsa (era stato messo lì
apposta ....) un orologio digitale (una patacca) e vorrebbero
prenderlo. Dopo un po’ di trattative glielo abbiamo
venduto. In compenso ci hanno pressochè requisito
quella poca valuta algerina che era rimasta dandoci in
cambio un po’ di valuta locale .
Partiamo
in direzione di Arlit, il prima paese dopo la frontiera.
Tutt’intorno solo sabbia. La pista è
segnata dalle “balise”, molto distanti
l’una dall’altra. Appena se ne supera
una bisogna subito scrutare l’orizzonte per
cercare l’altra. Quando la trovi ci punti
il muso del land davanti e vai. Al tramonto usciamo
dalla pista con una deviazione di 90 ° e procediamo
dritti per qualche km per fermarci per la notte.
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Giriamo l’auto col muso nella direzione in cui
siano venuti e ci fermiamo. Vuoto assoluto, il silenzio
rotto solo dal rumore del vento, il sole cala all’orizzonte.
Di notte il cielo ha un numero incredibile di stelle.
Se ne vedono cadere in continuazione.
13 dicembre 1982 – lunedì
Se i nostri calcoli sono giusti dovrebbero mancare
200 km per Arlit. Il terreno si è fatto più
duro e si riesce a tenere una discreta (per il nostro
mezzo...) velocità. Ogni tanto si trovano grandi
catini di sabbia da aggirare. Un grande nuvolone si alza
dietro di noi. Erwin ci segue a distanza. Lungo il percorso
aiutiamo un paio di auto a disinsabbiarsi. Una di questa,
una mercedes, è guidata da un nero, distinto, con
la camicia bianca e la cravatta. Sembra appena uscito
dall’ufficio.... Più avanti una donna con
un bambino in braccio, in piedi ai bordi della pista,
ci fa cenno di fermarci. Ci chiede dell’acqua e
delle medicine. Le riempiamo la ghirba che porta a tracolla
e le diamo alcune pastiglie di aspirina.
Arriviamo ad Arlit, un paesino polveroso, con piccole
costruzioni di fango ai lati della pista. Si comincia
a respirare l’atmosfera dell’Africa Nera.
Tanta gente per strada, bancarelle piene di cianfrusaglie,
gente vestita in modo colorato, più viva. Sembra
quasi che se la passino meglio ( si fa per dire..) degli
algerini. Ci fermiamo nel campeggio, un posto abbastanza
accogliente. Abbiamo ancora qualche ora di luce e ne approfittiamo
per andare a curiosare tra le bancarelle. Emanuele vede
uno splendido portafoglio tuareg e, dopo un’accesa
contrattazione, lo porta via in cambio di una pinza, di
un seghetto da ferro e di un cacciavite. Io vedo una borsa
di pelle, quelle che si appendono alla sella del cammello,
e alcuni ornamenti d’argento. Sono molto belli e
soprattutto antichi. Non riusciamo però ad accordarci
sul prezzo. Il commerciante ci dice che sarebbe venuto
la mattina dopo in campeggio portando altri oggetti
14 dicembre 1982 – martedì
La mattina arriva al campeggio assieme ad un
altro gruppetto e stendono la loro mercanzia per terra
vicino alla nostra piazzola. Ci sono oggetti molto belli
e dopo un po’ di contrattazioni riusciamo ad acquistarne
alcuni in argento.
In tarda mattinata partiamo alla volta di Agadez. La
pista è buona e il paesaggio cambia. Si cominciano
a vedere cespugli e molte acacie. E’ una zona di
transizione tra la savana e il deserto. La temperatura
è veramente piacevole, nelle ore centrali della
giornata arriva a 30°, con un clima secco. Al tramonto
arriviamo a destinazione. Il paese è costruito
tutto col fango e la guida turistica dice che se dovesse
piovere più di sei ore di seguito tutto si dissolverebbe
in un lago di fango.
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Splendida
la moschea di argilla costruita nel XVI secolo.
Il campeggio è poco fuori dal paese, un posto
discreto, col pozzo per prendere l’acqua.
Ci sono molti cespugli di buganvillee. |
15 dicembre 1982 - mercoledì
La mattina andiamo a visitare il mercato. Nella
grande piazza ci sono bancarelle e tante piccole botteghe
costruite con lamiera ondulata. Si vende di tutto: dai
semi vari alle grosse radio stereo, dalle scarpe di plastica
ai biscotti della Costa d’Avorio. Compriamo una
torcia in alluminio (modello “ Tiger Head - made
in China”. La conservo ancora adesso come ricordo)
perchè la nostra comincia a funzionare male. E’
un posto veramente pittoresco dove si trova dal venditore
ambulante di minestra a quello di giradischi. Mi è
dispiaciuto molto non poter fare fotografie (ci voleva
un permesso che purtroppo non abbiamo potuto procurarci
). Alcune bancarelle avevano in mostra splendidi ornamenti
tuareg in argento.
16 dicembre 1982 – giovedì
Torniamo al mercato per vedere se possiamo concludere
qualche affare. Emanuele baratta un maglione e una coperta
di cotone con una collana di piastrine d’argento,
tipico oggetto dei tuareg del Niger, e un anello sempre
d’argento.
Io
riesco a barattare una coperta grigia militare con
un alcune croci d’argento, una con una pietra
rossa, la croce di In Gall. |
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Conclusi gli affari prendiamo la pista per In Gall e
poi Tahoua che si snoda attraverso il sahel. Ad un pozzo
incontriamo una mandria che si abbevera. Mentre scatto
alcune foto un tuareg sul cammello si avvicina, seguito
da altre due persone a piedi. Non parlano francese per
cui comunichiamo con difficoltà. Diamo loro alcuni
fiammiferi, dello zucchero e qualche pomodoro, regali
molto graditi.
Riprendiamo il viaggio. Attraversiamo il villaggio di
Abalak, poche capanne di fango e rami secchi. Un assembramento
nella piazza del mercato ci incuriosisce e ci fermiamo.
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Siamo
capitati nel bel mezzo di una festa locale. La gente
è radunata attorno ad uno spiazzo un cui
due uomini lottano al suono di un tamburo. Un altro,
che sembra l’arbitro, impugna una frusta e
ogni tanto la usa tenendo lontano gli spettatori
che si avvicinano troppo. Si vedono persone di diverse
tribù, tuareg, peul ed altri, con diversi
vestiti e copricapi.. Molto velocemente riesco a
scattare qualche foto. |
Un
tuareg mi offre in vendita un vecchio coltello
con fodero lavorato.
Un pezzo veramente bello Dovrebbe essere
un pugnale “telek”, con due
anelli sul fodero per allacciarlo sul braccio
sinistro.
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Si riparte. Prima del tramonto facciamo il campo nella
savana, ad un centinaio di km da Taoua. Scarichiamo le
nostre auto, prepariamo il tavolo per la cena, e mentre
bolle l’acqua per gli spaghetti ci godiamo il nostro
meritato aperitivo serale commentando la giornata. Improvvisamente
dal nulla che circonda appaiono tre ragazzi. Molto educatamente
ci salutano e si accovacciano a terra guardandoci. Ogni
tanto parlottano tra di loro, forse commentando i nostri
movimenti. Sono vestiti allo stesso modo, forse appartengono
alla stessa tribù e al fianco portano le classiche
spade (takuba). Dopo un po’ ci salutano di nuovo
e spariscono. Non è la prima volta che pensiamo
di essere i soli esseri umani nel raggio di chissà
quanti km e invece all’improvviso appare qualcuno.
17 dicembre 1982 – venerdì
Giornata lunga e monotona senza incontri interessanti.
Passiamo Tahoua e proseguiamo per Niamey, via Birni-Nkonni.
La pista finisce e comincia la strada asfaltata. Siamo
in ritardo sulla tabella di marcia e decidiamo di guidare
anche col buio. Ogni tanto ci accorgiamo di attraversare
un piccolo paese perché vediamo dei lumicini ai
bordi della strada e allora procediamo a passo d’uomo.
Ci sono piccole bancarelle illuminate da un lume a petrolio
o da un lumino di cera, tipo cimitero. E’ uno spettacolo
suggestivo Si vedono ombre aggirarsi attorno alle lucine.
Un focolare indica la presenza di abitazioni. Qualche
bottega è illuminata da lampade a petrolio. Ogni
tanto si scorge una piccola lampada al neon, insegna di
qualche “hotel” che possiede un generatore.
E per la strada un gran via vai di gente illuminata di
sfuggita dalla luce dei nostri fanali. Arriviamo a Dosso,
superiamo il paese e ci fermiamo per passare la notte.
18 dicembre 1982 – sabato
Si parte presto per Niamey. Non dovrebbero mancare
più di un paio d’ore di strada. Incontriamo
un blocco della polizia. Non si può proseguire.
Chiediamo il motivo. La strada serve per ….una corsa
ciclistica e pertanto nessuno può transitare fintanto
che non è finita. Siamo senza parole: bloccati
da una corsa ciclistica in Niger. Consultiamo le nostre
carte e vediamo che c’è una vecchia pista
che porta in città. La troviamo senza problemi
e procediamo velocemente. Una volta giunti in città
la prima tappa è la “Securitè Nationale
“ per il permesso di transito: senza di questo non
è possibile proseguire il viaggio. Un agente di
guardia all’ingresso ci informa che oggi è
festa nazionale per cui gli uffici sono chiusi. Ci rimanda
al lunedì per il disbrigo della nostra pratica.
Questa notizia non ci fa per nulla piacere: siamo in notevole
ritardo
La nostra meta finale è Gao, nel Mali, dopodichè
dovremo riprendere velocemente la strada del ritorno.
Abbiamo infatti abbandonato l’idea di raggiungere
Timbuctu causa il ritardo accumulato.
Abbiamo 11 giorni ancora a disposizione perché
la nave del ritorno è il 29 dicembre. 11 giorni
per arrivare dalle sponde del fiume Niger al mediterraneo,
quasi 4.000 km tra cui il deserto del Tanezrouft.
Spieghiamo i nostri problemi al poliziotto e uno di loro
si dice disponibile ad acccompagnarci a casa del funzionario
che rilascia i documenti a noi necessari. Sale in auto
con noi e ci porta a destinazione. Il funzionario, ascoltate
le nostre spiegazioni si dimostra estremamente disponibile.
Prende posto nel fuoristrada, torna in ufficio e nel giro
di una decina di minuti ci prepara i documenti necessari.
Lo riaccompagniamo a casa. Vorremmo sdebitarci per la
sua cortesia, ma non accetta nulla. Ci saluta cordialmente
e ci augura buon viaggio. Forse i famosi tre giri attorno
alla tomba del santone sono serviti…
Il
pomeriggio facciamo un po’ di spesa in un
piccolo supermercato e poi andiamo in un campeggio
sulla riva del fiume Niger per trascorrere la notte.
Il posto è molto bello, dalla riva si vedono
passare delle canoe. La sera il silenzio è
rotto dai mille rumori della foresta e dal cinguettio
di strani uccelli. |
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19 dicembre
1982 – domenica |
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Si
parte alla volta di Gao, ultima tappa del nostro
viaggio prima del ritorno. La strada corre in
mezzo alla savana costeggiando il fiume. In alcuni
punti si arrampica sulle colline e si può
vedere un bellissimo paesaggio: piccoli villaggi
sulla riva, piroghe, animali che si abbeverano.
Nel pomeriggio raggiungiamo la frontiera a Labeganza.
Le pratiche doganali sono abbastanza veloci per
i “tempi africani”, favorite anche
dal fatto di lasciare ai doganieri alcuni medicinali.
Riprendiamo la strada e il paesaggio è
identico L’asfalto, finito prima di raggiungere
il confine, è sostituito da una pista di
sabbia e sassi. Attraversiamo tanti piccoli paesi
e ogni volta frotte di bambini corrono verso la
nostra auto tendendo la mano e chiedendo qualcosa.
Il Mali è il paese più povero dell’Africa
e per questa gente appena vede uno straniero si
precipita a chiedere qualcosa. Dovunque ci si
ferma vengono a chiedere qualcosa per mangiare,
per vestirsi, delle scarpe e soprattutto medicinali.
Da queste parti il principale alimento è
il miglio. Attraversando i villaggi si vedono
le donne che lo pestano con dei bastoni dentro
grossi mortai per ridurlo in farina. Questa serve
poi per fare delle specie di focacce o una zuppa.
Nelle zone dove c’è possibilità
di irrigazione si trovano anche vegetali. Per
il resto la terra non offre di più.
Verso sera ci accampiamo nella savana, lontano
dalla pista. Abbiamo cercato un posto isolato,
lontano dai villaggi per evitare che la luce della
nostra lampada a gas attirasse i soliti curiosi.
Ma naturalmente è stato inutile. Pensare
di essere soli è un’illusione. Abbiamo
appena iniziato i preparativi per la cena quando
dal buoi pesto attorno a noi spunta un ragazzo
che avrà forse 15 o 16 anni. Educatamente
ci saluta e si ferma a qualche metro osservandoci
incuriosito. Essere osservati durante le proprie
attività è una cosa un po’
imbarazzante, però dopo un po’ non
ci fa più caso. Naturalmente non ce la
sentiamo di cenare lasciandolo a guardarci, per
cui aumentiamo le porzioni di spaghetti e una
volta pronti lo invitiamo a cenare con noi. La
notte nel deserto è molta fredda. Il ragazzo
è vestito in modo leggero e ha anche una
brutta tosse. Gli diamo alcune pastiglie e gli
spieghiamo che deve prenderle per alcuni giorni.
Prima che vada via gli diamo del pane, dello zucchero,
dei biscotti e una maglia di lana.
Per ricambiare ci invita al suo villaggio. Ci
fa capire che c’è in corso una cerimonia:
sentiamo in lontananza musica, rulli di tamburi
e canti. Ci piacerebbe andare ma abbiamo paura
che, essendo senz’altro gli unici estranei,
potremmo creare imbarazzo tra la sua gente capitando
come inattesi ospiti
Una misura della povertà
di questa gente l’abbiamo avuta qualche
giorno fa quando, mentre caricavamo l’auto
per partire abbiamo visto un ragazzo frugare nel
sacchetto dei rifiuti. Ha portato via i piatti
sporchi di plastica, le scatolette vuote della
carne e le lattine vuote della birra. Quelli che
per noi sono i rifiuti quotidiani per loro sono
oggetto che possono essere utilizzati per altri
scopi.
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20 dicembre 1982 – lunedì |
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Siamo finalmente
arrivati a Gao, una delle città più
importanti del Mali. In realtà è poco
più di un paese sulle sponde del Niger. Gao
è stata nell’antichità la capitale
degli Askia, i sovrani dell’impero Songhai. |
Le attrattive principali sono il mercato, l’“hotel
Atlantide” il “restaurant Oasis” e il
battello. Il mercato è la parte più bella
e brutta nello stesso tempo. Confusionario, pieno di colori,
di rumori, di odori.
E’
diviso tra la zona dei prodotti alimentare e quella
dei prodotti diversi. Nella prima si possono trovare
verdure, pezzi di carne ricoperta dalle mosche,
scatolame, thè in foglie, sale in lastre
grigiastre arrivate a dorso di cammello da saline
lontanissime, datteri, noccioline, strani tuberi.
Tutta la merce è esposta per terra, appoggiata
su teli sporchi o nelle rivendite più “lussuose”
su panchetti di legno. |
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C’è
poi la parte degli artigiani che confezionano caffettani
di tela in pochi minuti usando macchine da cucire
che farebbero la gioia di un collezionista di vecchie
cose. Ci sono i conciatori di pelli di capra e pecora;
i fabbri che lavorano i metalli preparando piccoli
bracieri che serviranno per cucinare o preparare
il thè. |
C’è chi fabbrica sandali usando pezzi di
vecchi copertoni e chi otri usando le camere d’aria.
Tutte queste attività svolgono nella più
incredibile sporcizia. Gli odori che poi aleggiano nell’aria
sono veramente una cosa nauseabonda. Nugoli di mosche
fanno da contorno al tutto.
Vicino al mercato c’è il cosiddetto “Hotel
Atlantide”. E’ l’unico...albergo del
paese dove fanno scalo quei pochi turisti che si avventurano
in questo paese. Sembra un residuo dell’epoca coloniale,
inalterato nel tempo. Vicino alla porta di ingresso un
registratore a tutto volume inonda la piazza di musica
africana. Sono le prime ore del pomeriggio, fa molto caldo.
C’è nell’aria un’atmosfera sonnolenta
e questa musica movimentata contrasta con l’ambiente
circostante. Sembra cadere nel vuoto.
C’è poi il “restaurant Oasis”,
locale “in” di Gao, punto di ritrovo di quei
rari europei che arrivano qui. Si trova in una strada
sporca e per entrare si scavalca il canale di una fogna
a cielo aperto. Si scostano tendine che hanno visto tempi
migliori e si entra in una stanza in penombra. La padrona
è sulla sinistra, sdraiata per terra con la testa
appoggiata ad un gradino a mo’ di cuscino. Ci facciamo
preparare un paio di omelette e servire birra. A parte
l’albergo, questo è l’unico posto dove
si la si può trovare. Pranziamo con un inglese
che sta andando a Dakar, in Senegal, per vedere l’arrivo
del rally “Parigi – Dakar” previsto
per la fine di gennaio.
Il battello è un altro fantastico spettacolo.
Da qui parte questa imbarcazione, a fondo piatto, che
raggiunge Mopti in circa 4 giorni con diversi scali. Trasporta
persone, pecore, galline, merci e una automobile. Era
appena arrivato dal suo viaggio di ritorno e aveva appena
finito di scaricare di tutto in una confusione indescrivibile.
Il porto e il mercato sono vicini uno all’altro.
Le scene che si vedono sono senza età. Si vedono
oggi come probabilmente si vedevano cinquant’anni
fa. E continueranno uguali nel futuro.
Tra
i nostri giri visitiamo anche la tomba degli Askia
che risale al 1525, una costruzione in argilla e
rami di legno. E’ possibile visitare anche
l’interno attraversato da stretti cunicoli.
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21 dicembre 1982 - martedì
Oggi ripartiamo da soli per il nostro viaggio
di ritorno. Erwin e sua moglie, non avendo problemi di
tempo si fermano a Gao per qualche giorno e poi proseguiranno
per la Costa d’Avorio. Facciamo il pieno completo
di benzina Fino a Reggane, dove dovrebbe esserci la possibilità
di un’altro rifornimento, ci sono quasi 1.300 km.
La strada è la stessa, talvolta asfalto rovinato
e tanta pista. Si attraversa la “Valleè du
Tilemsi”, nella zona chiamata “Adrar des Iforhas”,
percorribile solo nella stagione secca.
Nel pomeriggio, vicino al pozzo di Aguelhok, frequentato
dalle tribù della zona incontriamo alcuni tuareg
che abbeverano la loro mandria. Ci fermiamo per fare alcune
foto. Ci chiedono medicine e diamo loro aspirine, pastiglie
per la tosse, bende, pomata per la pelle. Il loro capo
ci regala alcune punte di freccia ed altre pietre.
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Ci indica anche
la zona dove dove trovarle. Il luogo si trova sulla
nostra strada per cui facciamo una deviazione per
cercarne per conto nostro. Nel giro di un’ora
troviamo frammenti di piccole asce e pezzi lavorati
di vasi di coccio. Concluse le nostre “ricerche”
proseguiamo fino ad Anefis dove ci fermiamo per
la notte. |
22 dicembre 1982 – mercoledì
Ci stiamo avvicinando al grande deserto del Tanezrouft.
Oggi è stata una di quelle giornate in cui abbiamo
ripensato ai famosi tre giri intorno al marabutto. Stavamo
viaggiando su una pista sabbiosa con una discreta velocità,
quando abbiamo sentito un rumore metallico sotto il pianale,
come se un sasso sollevato dalle ruote avesse picchiato
sul forno. Un rumore però troppo “anomalo”.
Ci siamo fermati e dopo esserci infilati sotto l’auto
scopriamo che cinque degli otto bulloni di un cerchione
si erano spezzati. La testa invece era rimasta al suo
posto, per cui esternamente non si notava nulla di strano.
Il rumore sentito era proprio quello del pezzo rotto che
aveva picchiato contro il fondo.
Sostituiamo il cerchione con quello di scorta e riprendiamo
il viaggio diretti al posto di confine di Tessalit. Lungo
la pista incontriamo una famiglia tuareg che vive in una
tenda nella savana. Lasciamo loro un po’ d’acqua.
Ci offrono del latte di capra, che però rifiutiamo.
Parlano solo la loro lingua. Ci fanno capire che vorrebbero
dei fiammiferi, che però abbiamo finito. Emanuele
prende dalla tasca l’accendino e fa scattare la
fiamma. Il tuareg fa un salto indietro spaventato: non
ha mai visto un accendino. La cosa ci ha lasciato sbalorditi.
Ma poi pensando al luogo isolato dove questi vivono e
al fatto che in questa zona passano pochissime persone
capiamo il suo stupore.
Il passaggio della dogana di Tessalit è abbastanza
veloce. Ci fermiamo per la notte. C’è un
solo locale dove “prenotiamo” una cena e in
attesa che venga preparata ci concediamo una doccia. Il
proprietario ci mostra il “bagno”: una stanzetta
buia con un buco per terra che funge da scolo, un bidone
con dell’acqua e una latta vuota per versarsela
in testa. Sul pavimento corrono grossi scarafaggi neri.
La cena consiste in una zuppa con pezzi di carne che potrebbero
tranquillamente essere pezzi di copertone, tanto sono
duri. Con nostra grande meraviglia l’oste ci offre
delle bottiglie di birra, le ultime a sua disposizione.
Facevano parte dei rifornimenti portati per i partecipanti
della Parigi-Dakar transitati qualche giorno prima.
23 dicembre 1982 - giovedì
Raggiungiamo il posto di confine algerino di Bordj Moktar
da dove inizia la traversata del Tanezrouft (“il
deserto dei deserti”), 800 km di sabbia a 360°.
Si narra che nel 1800 una carovana di 2.000 uomini e 1.800
cammelli si perse nelle sue sabbie e furono ritrovati
tempo dopo tutti mummificati dal sole. In estate in questo
deserto la temperatura può superare i 60°.
Gli unici riferimentI
sono le balise, qualche carcassa d’auto e
qualche pneumatico. La pista è larghissima.
Le tracce vanno in tutte le direzioni: la “toule
ondulè” è tremenda per cui ci
si sposta sempre più in fuori alla ricerca
di un fondo più regolare La nostra prima
meta tappa è “Bidon V”, il vecchio
campo abbandonata dell’aviazione francese.
Il nome deriva da una spedizione francese del 1913
che, partendo dal Mali, mise come segnali della
pista un bidone vuoto di benzina ogni 50 km. In
questo punto fu posto quello del 250mo km da Tessalit.
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Si viaggia tutto
il giorno. Vediamo il sole sorgere alla nostra destra,
passare sopra di noi e calare a sinistra. Al tramonto
appare finalmente all’orizzonte un traliccio:
siamo arrivati. Si è alzato un vento gelido.
Nel campo ci sono ancora dei ripari di lamiera ondulata.
Mettiamo il land dietro uno di questi e prepariamo
il tavolino per la cena dentro il riparo. Con il
vento che c’è è impossibile
rimanere fuori. Si cena rapidamente e poi ci infiliamo
dentro l’auto nei nostri sacchi a pelo. Ci
attende un’altra lunga giornata. |
24 dicembre 1982 – venerdì |
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Giornata di viaggio.
Tutto piatto all’orizzonte. Ogni tanto ci
fermiamo per sgranchirci le gambe e riempire i serbatoi.
Nel pomeriggio vediamo in lontananza una piccola
carovana con alcuni dromedari. La temperatura comincia
ad abbassarsi visto che andiamo sempre più
a nord. |
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Passiamo
il “Tropico del Cancro”. Si avvicina
la sera e dobbiamo cercare un posto per fermarci.
E’ tutto piatto intorno a noi finchè
non vediamo qualcosa spuntare all’orizzonte. |
E’
la carcassa di un pullmino VW. Ci fermiamo accanto
per ripararci un po’ dal solito fortissimo
vento gelido. Riusciamo a mettere all’interno
il tavolino con le sedie in modo da cenare al riparo.
Meglio che stare fuori all’aperto. Anche questa
sera cena rapida e poi di corsa nel sacco a pelo.
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25 dicembre 1982 - sabato
Riprendiamo la lunga marcia verso il nord. Raggiungiamo
Reggane, nel passato centro atomico francese dove nel 1960
fu fatta esplodere la prima bomba atomica francese; chiuso
poi nel 1967. All’ora di pranzo arriviamo ad Adrar,
la prima oasi dopo il Tanezrouft. Dopo le solite formalità
di polizia e dogana ci fermiamo a pranzo nel ristorante
di un albergo. E’ Natale e almeno oggi qualche lusso
ce lo concediamo. Con calma nel pomeriggio ripartiamo per
Timimoun, dove ci fermiamo per la notte.
26 dicembre - 28 dicembre 1982
Si viaggia sempre: El Golea, Ouargla, Touggourt, El Oued,
Tozeur, Gafsa, Kairouan, Tunisi. Arriviamo la sera prima
della partenza. Per chiudere in bellezza il viaggio ci
fermiamo all’ Hilton. Parcheggiamo il land impolverato
proprio davanti all’ingresso, ci presentiamo alla
reception in condizioni non certo da “Hilton”,
però dietro presentazione di una carta di credito
otteniamo una camera.
29 dicembre 1982
Breve giro per la medina di Tunisi in attesa
dell’ora della partenza. Il pomeriggio ci imbarchiamo.
Prima tappa in Sicilia e poi sbarco a Napoli (per il ritorno
non abbiamo trovato posto per Genova) nel tardo pomeriggio.
Iniziamo quindi il lungo viaggio verso Milano dopo arriviamo
nella mattinata del giorno dopo.
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Nicola, Emanuele, Katherine,
Erwin |
NOTE TECNICHE
Mezzo: Land Rover mod. 88 militare,
benzina, telonato (da noi battezzato “ Italia 2”),
costruito nel 1961 per l’esercito inglese. Acquistato
all’inizio del 1982 e affidato alle “cure”
di Luigi Vitali, bravissimo meccanico di Valmadrera, specializzato
in Land Rover, che lo ha ricondizionato e preparato ad
affrontare le piste africane.
Modifiche: radiatore per l’olio, balestre rinforzate.
Il mezzo disponeva di manovella per avviamento manuale
e filtro aria a bagno d’olio. Ruote anteriori “libere”
con inserimento manuale della trazione.
Gomme: “Michelin Sahara”
montate su cerchioni smontabili in due parti. Una di ricambio
completa di cerchione fissata sul cofano anteriore. Un
copertone sul portapacchi. Ottime per la sabbia, ma molto
deboli sui fianchi.
Benzina: due serbatoi (di serie) situati
sotto i sedili anteriori di circa 45 lt. l’uno.
Nel pianale posteriore erano stivate 15 taniche metalliche
da 20 litri. A pieno carico avevamo circa 390 lt di benzina
che potevano dare un’autonomia di almeno 1.200 km,
considerato un consumo medio di 4lt./km.
Principali pezzi di ricambio (prestatici
dal meccanico): semiassi, biscottini delle balestre, cavallotti,
guarnizione della testata, pompa della benzina, pompa
dell’acqua, testina sterzo, manicotti gomma, condensatore,
calotta spinterogeno, camere d’aria, cinghie, candele,
contatti, dadi ruote, bulloneria varia.
Allestimento Land
Sul tetto era montato un portapacchi agganciato con piastre
alle parti portanti della carrozzeria. Sopra era collocata
la bombola del gas per la cucina ( 3 kg), un copertone
di scorta e le prolunghe in legno per il pianale-dormitorio.
I viveri erano stivati in cassonetti di truciolato da
noi realizzati e posti nel cassone posteriore lateralmente
al posto delle panchette per i passeggeri. A questi erano
fissati tramite cerniere due ripiani di legno che coprivano
le taniche e servivano come base del “letto”.
Sul bordo dello schienale metallico dei sedili anteriori
veniva appoggiato una prolunga in legno fino al cruscotto
in modo da avere un piano di appoggio di quasi due metri
per i materassini di gommapiuma su cui appoggiavamo i
sacchi a pelo. Durante il giorno sul pianale appoggiavamo
i materassini, i sacchi a pelo e le nostre borse. L’acqua
potabile era contenuta in due taniche da 20 lt. poste
in un portataniche sul paraurti anteriore.Per cucinare
avevamo un fornello a due fuochi; un tavolino e due sedie
completavano l’equipaggiamento.
Documentazione usata all’epoca e nei viaggi
successivi:
Manuale per l’uso e manutenzione Land Rover
Traduzione dal W.O. CODE N. 18390
Ristampa dal 1964
(“….pubblicazione decisa dal Consiglio per
le Istruzioni delle Forze Armate“)
Carta Michelin 153 – (anno 1975)
Guide du Sahara (Guide Blu) Hachette
Eric Salerno - Guida al Sahara – SugarCo. Edizioni
- 1974
Sahara – Guida al deserto – Edizioni Futuro
1983
Paolo Santacroce – Algeria – Clup Guide -
1988
Il land, oltre a questo viaggio ci ha portato
nel:
marzo – aprile 1985: Tunisia, Algeria,
Niger. Tunisi, Hassi Messaoud, Hassi Bel Guebbour, Amguid,
Tamanrasset, Arlit, Iferouane, Adrar Bous (balise 17 nel
Tenerè), colle di Temet, Assodè, Agadez,
Tamanrasset, Tunisi.Percorsi circa 7.000 km.
Dicembre 1985 – gennaio 1986:
Tunisia, Algeria. Tunisi, Hassi Bel Guebbour, In Amenas,
Illizi, Ihrir, Djanet, Tamanrasset, Amguid, Hassi Messaoud,
Tunisi. Percorsi circa 5.300 km.
Agosto 1987: Tunisia. Percorsi circa
3.000 km.
Problemi meccanici dal 1982 al 1987:
rottura di un bullone del “biscottino” della
balestra, boccola dell’indotto del motorino di avviamento
consumata.