OLTRE IL SAHARA
di Giovanni Mereghetti
• Introduzione
• Quanta strada
• Perché “oltre il Sahara”
• L’attesa
• Diario di viaggio
• Le tappe
• Formalita' e informazioni generali
• Disposizioni Sanitarie
• Farmacia di viaggio e pronto soccorso
• La preparazione dell'automezzo
• Scheda tecnica di "Cartizia"
Introduzione
Alle porte del 2000, quando le fantasie di Verne sono diventate
realtà, andare per le strade del mondo può sembrare
fuori dal tempo, può sapere di favola, può considerarsi
inutile.
Non è così, almeno non lo è per me che, stanco
di una vita soffocata dal consumismo, stanco di tutto ciò
che sono le regole, stanco di tutta quella gente che rincorre miti
di cartapesta, decide di partire.
Partire…. Lasciare tutto per seguire un orizzonte, un orizzonte
che forse riuscirà a darmi la libertà, una libertà
vera.
Fuggire… fuggire lontano, fuggire dalla noia cupa che nasce
dalla routine di ogni giorno che scorre sempre uguale ai precedenti.
Il bisogno di evadere, il desiderio di avventura è qualcosa
che si agita in noi e stimola giorno dopo giorno a scoprire, a conoscere
la vita per essere padroni della propria esistenza, essere quindi
“se stessi”, in ogni circostanza, è il vero significato
della parola “libertà”.
A volte ci si limita a sognare ciò che pare irrealizzabile
senza osare tradurlo in realtà, sapendo che, spesso, usiamo
l’aggettivo “irrealizzabile” soltanto per comodo.
Allora ci si infuria con se stessi, si vorrebbe rivoltare il mondo
per cancellare un passato che , forse, ha dato assai poco.
Nasce così il desiderio di staccarsi dalle solite persone
mediocri ed ipocrite, che non hanno gli stessi nostri ideali, che
non credono in ciò che crediamo noi, per isolarsi e riflettere
ricercando un’identità costituita da altri valori.
Una volta tanto c’è pure il desiderio di abbandonare
tutto per cercare una risposta ai nostri intimi “perché”,
che formuliamo osservando certe dure leggi della vita senza comprenderle.
Fatalmente al ritorno da ogni avventura si ritroverà il proprio
ambiente, e più che mai sarà difficile reinserirsi
nell’atteggiamento della vita di ogni giorno, quindi diverrà
arduo accettare un compromesso con se stessi, qualunque esso sia.
Fondamentalmente però ci si accorgerà di essere diventati
ricchi spiritualmente.
Prima o poi verrà ancora voglia di partire per scoprire spontaneità,
semplicità, sincerità; ed il pensiero di poter ripetere
queste esperienze ci aiuterà ad accettare la nostra realtà.
Nell’intimo di ognuno di noi si agitano contemporaneamente
o si alternano gioie ed amarezze, abbattimento ed euforia, disperazione
e freddi ragionamenti logici che anch’io di volta in volta,
ho provato e provo a seconda della circostanza che vengo ad affrontare.
Molte persone del resto sono soggette ad improvvisi cambiamenti
di umore; e d’altra parte che senso avrebbe la vita se tinta
completamente di nero o di bianco senza alcuna sfumatura?
Raramente un giovane non ha mai sognato di avventurassi in località
sconosciute e remote, però esiste una sostanziale differenza
fra l’avventuriero vero e proprio, che se vogliamo è
dotato di vera e propria vocazione, ed il sognatore, il quale di
fronte ai sacrifici che comportano questi viaggi si arrende. Spesso
è destino dell’avventuriero vedere che il mondo lo
raggiunge, ed il bisogno di viaggiare nasce da un’esistenza
di spazio in cui muoversi, in luoghi dove non esistono barriere,
dove si è liberi o forse si crede di esserlo.
Si dice che non ci sia più nulla di sconosciuto, non esiste
più il rischi ignoto, ogni situazione può essere prevista
e calcolata ma ci sono luoghi che al solo nominarli, evocano immagini
di fascino e mistero.
Il mondo di Livingstone e degli Stanley è finito, ma ripercorrere
le loro tracce significa poter cogliere atmosfere perdute ed affascinanti.
È sulla sorta delle considerazioni suddette che ho deciso
di percorrere le vie dell’Africa In un raid che si è
trasformato quasi in un’odissea. Steppe infuocate, piste e
gente misteriosa, costumi, popoli dalle nobili origini che si perdono
nel tempo.
L pensiero affascinante di una misteriosa Africa stimola alla ricerca
di un’avventura diversa e, piano piano, cresce un entusiasmo
tale che si carica sempre di più col tempo fino a quando
non può più restare un sogno.
Viaggiare non è solo una vacanza, ma bensì molto di
più; oserei definire ciò una scuola di vita che ci
porta ad osare per vedere, vedere per conoscere, conoscere per amare…
In una società emancipata e progredita, che offre bellissimi
testi di geografia e tanti libri, dove le agenzie turistiche ti
portano dove vuoi, in ogni Paese… è forse preferibile
guardare con i nostri occhi, se ancora ci appartengono!
Ci sono cose che desideriamo tanto pur ignorandone il motivo profondo;
forse cerchiamo forti emozioni, o più semplicemente un contatto
intimo con la natura che amiamo.
Del resto qualche volta occorre dar vita ai sogni più belli.
Nelle mie esperienze di viaggio ho potuto constatare un notevole
miglioramento nel mio carattere; ho acquistato una certa sicurezza
anche nelle valutazioni più difficili e poi, perché
no, sono riuscito ad avere un giudizio più sereno sull’esistenza
ed a sentirmi un po’ riconciliato con la vita.
Mi vengono inculcati tanti falsi valori, quali valori reali, per
cui spesso, finiscono per credere che la felicità sia un
dono del successo e del denaro. Poi qualcosa in me si ribella ed
arrivo alla conclusione che c’è ben altro da vedere
e da scoprire.
È perciò che ogni tanto decido di partire, sempre
alla ricerca, di qualche particella di verità.
torna all'indice
Quanta strada
Quanta strada ho percorso:…ricordo il mio primo viaggio.
Nel 1981 con la mia FIAT Ritmo compio l’intero giro della
Francia (km 3500); un anno dopo, sempre con la stessa auto, percorro
le strade di Svizzera, Germania, Lussemburgo, Belgio e ancora Francia
(km 4000).
Nel 1983 a causa del servizio militare sono costretto a rinunciare;
non importa, l’anno prossimo mi rifarò con qualcosa
di interessante.
Infatti nel 1984 il primo vero raid: Casorezzo-Nothkapp.
In soli 18 giorni percorro l’intero giro della Scandinavia
macinando quasi 10000 chilometri.
Le renne, i lapponi, il camping di Fakse (Danimarca), le grosse
bistecche cosparse di marmellata, il salmone affumicato (molto buono),…hanno
lasciato un ricordo indelebile nella mia mente.
Dimenticavo le belle ragazze nordiche…quante emozioni!
1985: il 2 Agosto m’imbarco da Venezia sull’Espresso
Egitto: ”Destination Lake Nasser”.
Dopo tre giorni di navigazione con breve sosta in Grecia, sbarco
al porto di Alessandria d’Egitto.
Dopo lunghe pratiche burocratiche devo subito darmi da fare per
sostituire il cavo della frizione della mia A112.
L’impatto con il continente nero è tremendo.
Sinceramente non mi sarei mai immaginato un caos di questo tipo.
Alessandria è un continuo andare e venire di carretti, gli
automobilisti guidano tutti come pazzi, appena mi fermo per chiedere
informazioni sono circondato da una miriade di bambini, i quali,
allungando una mano mi chiedono il “bacsisc” (mancia).
Sembra quasi un incubo, ma voglio andare avanti.
Nella capitale egiziana i prezzi degli alberghi sono proibitivi
e decido di accamparmi nei pressi delle piramidi.
Pian piano mi abituo a questo tipo di vita e, nonostante il caldo,
percorro in media 500 km al giorno.
Ad assyut sono ospite della polizia, finalmente posso lavarmi.
Assisto a scene di vita quotidiana che non mi sarei mai immaginato.
Come sono diversi da me.
Il giorno successivo raggiungo l’oasi di El Karga percorrendo
per 600 km. Li piste del deserto libico.
La sera di nuovo al “Police club”. Oggi è giorno
di festa al club, sta per essere celebrato un matrimonio.
Voglio curiosare un po’, ma finisco per farmi “beccare”
dal capo del club, il quale è felicissimo di invitarmi alla
grande festa. Sono emozionato, tutti mi guardano, forse attratti
dal mio “look” non certo adatto ad una festa del genere.
I bambini mi toccano continuamente, mi invitano a ballare,…
è quasi un sogno.
I sogni finiscono presto e … con un pizzico di malinconia
lascio Assyut per imboccare la strada che costeggia il Nilo.
Nel primo pomeriggio sono a Luxor.
La colonnina del termometro sfiora i 50°, sono a pezzi, a volte
mi chiedo se ne valeva pena di continuare. Non è da me arrendermi,
voglio arrivare fino in Sudan, solo là sarò in pace
con me stesso.
12 Agosto, ore 12.30: è fatta, dopo un viaggio di 350 km.
In un deserto di roccia mista a sabbia sono ad Abu Simbel, davanti
a me appare grandioso il tempio, sulla mia sinistra il lago Nasser.
La gioia è immensa, forse indescrivibile.
Come poter raccontare ciò che hanno visto i miei occhi!
La via del ritorno corre veloce, Aswuan, Luxor, sono felice, canticchio,
fischio, … quanta gioia!
A Qena decido di seguire la pista per Bur-Safaga, sulla carta è
segnata con un incoraggiante “very good”.
Mamma mia che strazio, è un continuo traballare, le buche
si contano a migliaia, inoltre la strada continua a salire verso
le montagne del deserto arabico.
Il paesaggio è incantevole, ma i miei nervi e la piccola
A 112 sono quasi al limite.
Dopo ben 17 ore di guida sono a Hurgada, il vento soffia forte,
le onde spumeggianti del Mar Rosso accarezzano la bianca spiaggia;
per un po’ rimango ad ammirare questa meraviglia, poi …
mi tuffo dove l’acqua è più blu.
Da Hurgada al Cairo, ancora deserto, ma contrariamente al primo,
il paesaggio non è gran che.
Il Cairo con i suoi 15 milioni di abitanti è la più
grande città dell’Africa. Percorrere le sue vie è
come percorrere un formicaio, gente che va, gente che viene.
Nelle vie del mercato di El Kalili c’è di tutto: dal
bambino che allunga la mano e che chiede il solito “BACSISC”,
al vecchio che fuma il narghilè, alle donne che con forza
trascinano il carretto.
Nonostante questa miseria noto una certa fierezza nella gente che
vive in questo quartiere.
Cosa dire dei miei 4700 km. Percorsi nella terra dei Faraoni, in
questa terra che ha visto nascere e morire una civiltà ormai
perduta, ma tanto grande da affascinare i miei sogni di bambino
e da lasciarmi meravigliato ancora adesso, a più di 4000
ani di distanza?
Sarebbe inutile tentare di descrivere le sensazioni che ho provato
durante le visite delle meraviglie archeologiche degli antichi egizi,
sono state talmente contrastanti, ma sicuramente molto simili a
quelle di chi, fra di voi, ha già visitato questi luoghi.
Ciò che in vece mi ha colpito di più in questo viaggio
è qualcosa che in partenza non averi mai pensato di trovare,
cioè la stupenda, accattivante umanità che la gente
egiziana possiede.
Sono partito, infatti, premunito dall’Italia perché
le notizie che da noi circolano sull’Egitto non sono delle
migliori, tanto da mettere sempre in luce la tremenda sporcizia
del paese e dei suoi abitanti, l’incuria e l’arretratezza
di questi ultimi.
Che la sporcizia ci sia è inutile negarlo, ma non è
spaventosa come si vuol far credere e, quanto agli abitanti, secondo
me sono sempre un mondo tutto da scoprire, che va toccato con mano,
giorno per giorno, per riuscire ad avere una immagine veritiera.
Non ho mai scelto il tipo di viaggio organizzato perché è
triste vedere come spesso, anche chi viaggia con le agenzie più
specializzate vive un viaggio quasi come un documentario che va
guardato, ammirato, fotografato, ma senza mai calarsi nella realtà
di chi si ha davanti.
Così si finisce col tornare a casa con la convinzione che
tutto ciò che si pensava prima di iniziare il viaggio, fosse
l’esatta realtà.
Ma è così che si può giudicare con obiettività?
Invece è facile lasciarsi andare agli usi locali, alla passeggiata
serale lungo il Nilo con i negozietti locali pronti ad offrirti
un thè per il solo piacere di parlarti, al ristorantino tipicamente
egiziano, alla caffetteria dove è piacevole stare a conversare
mentre i locali fumano il narghilè.
Insomma basta vivere la loro vita per accorgersi che la realtà
egiziana è completamente diversa da come pensavamo che fosse.
La gente è felice di vederti, di incontrarti, di ospitarti,
è felice di farti vedere la propria casa ed il modo di vivere,
è felice di aiutarti. Spesso bastano i soliti petulanti ragazzini
con la loro ossessionante richiesta della mancia per convincerti
che gli egiziani sono tutti pezzenti e mendicanti.
È facile cadere in errore, ma proprio questi bambini, che
solitamente fanno la corte ai turisti, mi hanno accompagnato per
le viuzze di Giza rifiutando poi, la mancia che gli offrivo.
Questa gente allora è pronta a sfruttare il turismo perché
con esso vive, ma quando hai bisogno di aiuto, quando cerchi la
loro amicizia, quando cerchi di essere uno di loro e non il turista,
allora potrai non accorgerti di quanto siano gentili e di quanto
siano semplici, con tutto quanto di buono questa parola può
significare.
torna all'indice
Perché “oltre il Sahara”
L’Africa ha il potere di trasformarmi completamente, facendomi
diventare un’altra persona.
È una terra così affascinante che, secondo me, appartiene
ad ogni uomo; è veramente dentro di me e quando sono lì,
quando la vedo, ho come la sensazione di conoscerla da sempre, di
esserci già stato, tutto mi sembra diverso, oppure antico,
in qualche modo già conosciuto.
Nel deserto sono riuscito a gustare questo paesaggio sconfinato,
quasi crudele, in parte inesplorato.
Qualche ciuffo d’erba, qualche cespuglio ingiallito dal sole,
qualche lucertola, i dromedari che corrono all’orizzonte,
il paesaggio è lunare, ma non riesco a vedere oltre l’infinito,
qui sta’ il vero motivo dell’inquietudine che ho dentro,
l’inconscia spinta alla ricerca di “novità”,
il desiderio di andare al di là delle cose e bucare il muro
dell’invisibile.
Andare verso l’Africa vuol dire cercare un contatto diretto
con la natura e con l’uomo che lo abita, contatto che, in
una società soffocata dal consumismo e stimolata solo dalla
sete di progresso, non è più possibile avere, perché
qui tutto è calcolato, tutto è programmato, il tempo,
i minuti, i secondi sono diventati degli “idoli” da
rispettare.
In Africa la proporzione della natura è dominante; è
la natura che vince su tutte le tentazioni di sostituirla a qualcosa
d’altro, rimane lei l’unica interpretazione possibile
per un contatto che qui rimane esclusivo tra gli elementi naturali
e l’uomo.
Grandi i fiumi, grandi le savane, grandi gli animali: grande quindi
il senso di subalternità che avvince, sgretola addosso ogni
velleità porta a godere nel totale abbandono di ogni certezza
e riferimento abituale.
Al tramonto, quando la natura si placa, quando il vento, che ha
accompagnato tutta la giornata, cessa il suo urlo e la sua rabbia,
quando il caldo si mitiga, quando tutto si distende;
ovunque regna una grande pace come se, elementi e uomini volessero
rifarsi dopo la grande battaglia del giorno e del sole.
Il tempo passa non turbato dalla fretta né dall’orologio.
Nessun impegno mi assilla, nessun rumore mi disturba.
Mi sazio così … in silenzio, mentre nel cielo si accendono
le stelle. Chi non ha visto, non può credere cosa siano le
stelle nel deserto, per il deserto.
Pochi spettacoli della natura sono così come un mare di dune
sotto il cielo, sabbia e cielo separati da un tratto di linea orizzontale:
nient’altro.
Questa sabbia che mi scivola tra le mani è ciò che
resta della storia passata, delle civiltà che vissero qui.
Camminare sui granelli di sabbia che non temono né il leone
né la pantera, mi rende felice. Questa terra deserta e sconfinata
fugge veloce al mio sguardo come carezza impalpabile.
La prima impressione che mi ha lasciato questa avventura fra le
dune, è stata quella della libertà. Una libertà
nuova, ampia, autentica, gioiosa. L’aver scoperto che sono
nulla che non sono responsabile di nessuno, mi ha dato la gioia
del bambino in vacanza e … nonostante il sole del mattino,
ho visto ancora le stelle e come il deserto me le aveva avvicinate.
Sulla terra è il silenzio che ha la voce più bella
per parlarci.
Molti viaggiatori partono perché intuiscono queste sensazioni,
tornano in Africa perché non possono più farne a meno
: il mal d’Africa li porta a cercare una situazione emotiva
inimitabile.
Africa come pianeta, con le sue genti e l’impenetrabilità
delle abitudini; chilometri e chilometri di solitudine per entusiamarsi
in un incontro apparentemente insignificante, e poi, spingersi di
nuovo verso la nullità del deserto, il silenzio, l’assenza
di tutto.
Africa delle piste: tagli profondi nelle foreste, interminabili
solchi che si esauriscono chissà dove, oltre la mappa ufficiale;
Africa dalle immagini improvvise: acqua, vegetazione molle, terra
secca, roccia piatta e orizzontale e pietra gotica nelle montagne
bizzarre; Africa della velocità per il ghepardo, Africa dal
ritmo lento per le piroghe sui fiumi.
Accanto alle ferite del suo cuore più povero, c’è
anche lo spazio per viaggiare e capire: c’è l’Africa
da inghiottire mentre ci si lascia sopraffare; ha il prepotente
senso di appartenenza alle più grandi forze della natura.
Dall’Atlantico al Mar Rosso corre il Sahara, un immenso rettangolo
di acqua e pietra, il deserto che ha occupato con prepotenza una
grossa parte del continente africano.
Imboccare le sue piste significa perdersi in un mare infinito, un
mare che non ti darà pace, finché non sarai la …”
oltre il Sahara”.
torna all'indice
L’attesa
Organizzare un viaggio come il nostro potrebbe anche essere semplice
per chi dispone di una certa somma di denaro, ma per noi….!
I problemi incontrati nella preparazione del nostro viaggio sono
stati molti, forse troppi, ma quando la voglia di partire arriva
ad assillarti, giorno per giorno, allora, non ci si arrende così
facilmente; si vorrebbe rivoltare il mondo pur di vedere le cose
andare per il verso giusto.
Il chiedere aiuto agli sponsor diventa sempre più difficile,
soprattutto per due nomi come Pietro e Giovanni che, forse, potrebbero
dire qualcosa solo ad un sacerdote.
Quindi, tanto impegno e tanta faccia tosta sono le prime doti richieste
per la ricerca di qualche “soldino” o di qualche accessorio.
Molte volte ho sentito denigrare il mio lavoro, molte volte ho incontrato
gente pronta ad approfittare della mia situazione; non importa……
la mia battaglia continuerà e, non sarà certo quel
sig. Grillo, che con le sue frasi diplomatiche ha tentato di prendermi
per i “fondelli” e di far naufragare il mio vascello.
Fortunatamente le persone non sono tutti “Grilli” e,
anche se le mie mete possono sembrare un’utopia, Ambra, Adelino,
Donata, Carla e tanti altri, hanno saputo apprezzare la mia iniziativa.
Se il mio lavoro sta diventando sempre più interessante devo
ringraziare anche loro che, nonostante i loro molteplici impegni,
hanno sempre trovato un po’ di spazio anche per me.
Durante i preparativi ho avuto occasione di conoscere molta gente,
gente di ogni tipo; dall’industriale all’avventuriero.
Ricordo tutte le frasi dette, tutti i consigli, i rimproveri, ma
ricordo in modo particolare l’incontro con Giorgio Caeran.
Giorgio, 34 anni, comasco, è forse un esempio da seguire.
Il suo coraggio, la sua tenacia, la sua umanità, lo hanno
portato ad imprese indimenticabili ed invidiabili.
Nell’ormai lontano 1977 percorse con la sua Vespa le strade
dell’India; quasi 23000 km tra mille disavventure e popoli
sconosciuti.
Sempre tenace e sempre con una gran voglia di conoscere, ha poi
percorso le vie dell’Africa occidentale.
Ascoltare Giorgio è incantevole; le sue frasi, il suo modo
di parlare, i suoi sentimenti, non possono non far riflettere chi
ama l’avventura.
…problemi, problemi, ancora problemi, non ne posso più.
A volte il morale non è dei più carichi, d’altro
canto era prevedibile anche questo, altrimenti che gusto ci sarebbe
se tutto filasse liscio come l’olio.
Anche per i lavori più belli e più amati, occorrono
dei momenti di riposo e di riflessione, ormai sono cinque mesi che,
giorno dopo giorno, senza soste percorro questo cammino.
Ho bisogno di riposo, di evadere, di dimenticare tutto per qualche
giorno.
Via dal lavoro che ormai mi sta dando molto poco, via dalle solite
persone ipocrite.
Un pulmino qualche amico vero, quattro soldi in tasca e tre giorni
ad Amsterdam riescono a regalarmi la giusta carica per gli ultimi
preparativi del viaggio.
A parte qualche giorno di riposo che mi permetto di prendere, c’è
ancora molto da fare per la preparazione di questo raid, ma tutti
questi sforzi saranno sicuramente ricompensati da emozioni indimenticabili
che vivrò in prima persona in quella magnifica terra che
chiamiamo il “Continente Nero”.
torna all'indice
“diario di viaggio”
1° Novembre
è il primo Novembre, fra qualche ora arriveranno i miei amici
per l’ultimo saluto prima della partenza.
Ormai da qualche ora mi giro e rigiro nel letto, senza riuscire
a prender sonno, ciò che mi aspetta questa mattina mi preoccupa
moltissimo, non ho mai avuto tanta gente attorno.
Alle 7:00 non posso più rimanere nel letto, mi alzo e sveglio
anche Pietro.
Una semplice colazione e poi arriva il momento di indossare la tuta
da “battaglia”: mi guardo allo specchio con un pizzico
di narcisismo, mi sistemo i capelli e mi guardo negli occhi forse
un po’ preoccupati.
Il campanello suona, sono i miei amici, mi fanno una grande festa,
ma io non riesco a dire una parola.
Alle 9:15 è ora di recarsi nella piazza del mio paese per
la presentazione del viaggio e per la partenza.
Salgo sul sedile posteriore della macchina di Maurizio e ….
partiamo.
Maurizio inizia a suonare il clacson a festa, la cosa mi da molto
fastidio e, dopo averlo pregato di smetterla, sono costretto a mollargli
qualche pugno sulla spalla; inutile, continua a suonare senza sosta
fino alla piazza.
Non c’è molta gente e la cosa mi rende un po’
felice.
Illusione, pura illusione, perché i curiosi non tardano ad
arrivare. Mi avvicino a “Cartiza”, nome che Carla e
Patrizia hanno dato alla nostra vecchia R12; le guardo per l’ennesima
volta e penso:" … ma come potrà arrivare alla
meta”, vengo subito distolto dai miei pensieri dalle domande
della gente che, incuriosita si fa sempre più numerosa.
Verso le 10.00 Antonietta si avvicina al microfono; sono emozionantissimo,
richiama la folla all’attenzione e inizia … inizia un
discorso formato da semplici parole ma il tono e la convenzione
con cui le pronuncia mi portano alla commozione.
Non sono l’unico, anche Pietro ha la testa china e non dice
nulla; la gente è sempre perplessa, non riesce a capire il
perché di una cosa simile, ma mentre si interroga io, sto
solcando la frontiera tra il sogno e la realtà.
Ore 11.00, è ora di partire; un ultimo saluto a papà
e a mamma che non riescono a trattenere le lacrime e poi, come scrissero
i miei mici sul loro biglietto di auguri:".”. è
giunto il momento di alzare le vele, prendere i venti del destino
ovunque spingano la barca; dare un senso alla vita può condurre
alla follia, ma una vita senza senso è la tortura dell’inquietudine
e del vano desiderio, è una barca che anela al mare oppure
lo teme…”.
Scortati dai motociclisti del Motoclub Azzurra di Casorezzo, sfilo
tra le vie del paese dando l’ultimo saluto ai miei paesani;
percorro questi ultimi metri nel mio paese con un nodo alla gola
come mai prima d’ora.
I motociclisti ci fanno strada fino all’imbocco dell’autostrada
ad Arluno.. un ultimo saluto ai “centauri”, qualche
foto e poi … il ritiro del biglietto autostradale da’
inizio ad una corsa festaiola sulla Milano-Fiori.
Siamo in anticipo e sfruttiamo questo ultimo tempo disponibile per
far sosta in un’area di servizio.
Dopo circa mezz’ora ripartiamo, dietro di noi, sulle auto
dei miei amici, c’è gran festa.
Alle 14.30 siamo a Genova, attraverso la città e dopo qualche
chilometro facciamo ingresso al porto.
Subito sbrigo le pratiche burocratiche poi rimango in compagnia
dei miei amici.
L’attesa è snervante, non ne posso più, vorrei
correre sul traghetto e poter partire subito, ma c’è
ancora un’ora da aspettare prima dell’imbarco.
Mi guardo attorno, non vedo altro che Land Rover, Toyota e motociclette
superattrezzate; penso a lungo, guardo Cartiza, alle piste del deserto,
alla sabbia, alla savana e alle altre mille difficoltà che
dovrà superare, …chissà se riuscirà ad
arrivare fino in fondo?
Finalmente alle 16.30 annunciano l’imbarco; è ora di
salutare gli amici. Tutti mi incoraggiano, anche Patrizia con le
lacrime agli occhi mi vorrebbe dire qualcosa, ma come al solito
non parla. un ultimo abbraccio e poi “fuggo” verso la
rampa d’imbarco.
Per circa mezz’ora dobbiamo vedercela con personale di bordo
per il posto in cabina poi, possiamo uscire sul ponte.
… i miei amici non mollano, sono ancora li …
alle 18.00 in punto il traghetto Habib alza gli ormeggi: si parte!
Saluto gli amici dal finestrino e poi eccomi qua, … solo …
a cercare di ricostruire questa giornata.
2 Novembre
ci svegliamo molto presto, mangiamo qualcosa e facciamo subito conoscenza
con 5 ragazzi di Firenze; la loro meta è Agadez. La giornata
è lunga e noiosa, vorrei già essere sulle piste del
Sahara e invece …
Finalmente alle 16.30 in un orizzonte offuscato, appare la costa
africana, fra poco si sbarca e inizierà la grande galoppata;
dopo circa un anno eccomi qua, di nuovo sul continente africano
ala ricerca di sensazioni forti e momenti irripetibili.
Sbarchiamo velocemente e anche il controllo dei passaporti è
veloce, ma come prevedevo, il controllo doganale è lungo
e noioso, per di più rallentato da quel maledetto sacco di
occhiali portato con noi per poterne fare dono alla gente del posto.
Dopo qualche discussione fatta col capo della dogana, mi viene annotato
sul passaporto l’importazione di 100 paia di occhiali; peccato,
vorrà dire che i tunisini rimarranno ancora abbagliati dal
sole.
Usciamo dal cancello del porto alle 19.00, ad attenderci c’è
Janel, un mio carissimo amico di vecchia data.
Con lui raggiungiamo la sua abitazione anche dista dalla capitale
tunisina una cinquantina di chilometri.
La strada è buia e l’asfalto sembra un gruviera: è
molto difficile guidare in queste condizioni.
Alle 21.00 arriviamo a Tebourba, il piccolo paese di Janel; ad attenderci
c’è l’intera famiglia, ci fanno una gran festa
e ci offrono una bella cena.
Passiamo poi la serata parlando con i famigliari di Janel.
3 Novembre
la sveglia suona presto, sono le 5.45.
un’abbondante colazione da il buongiorno al mattino, qualche
foto ricordo e poi … subito in macchina; alle 9.30 ho un appuntamento
a Kairouan con i cinque ragazzi di Firenze.
Il cielo è nuvoloso e soffia un forte vento; nei pressi di
El Fahs inizia anche a piovere.
Percorro questa strada con un impulso irrefrenabile che è
diventato verso il deserto più avventuroso.
Alle 10.30 con un’ora di ritardo, sono a Kairouan; cerchiamo
gli amici fiorentini e poi corro subito alla ricerca di una banca
per poter cambiare qualche dinaro tunisino.
Prima di lasciare la città facciamo rifornimento e poi, con
il deserto nei pensieri, corro veloce lungo le piste facili della
Tunisia dei turisti, per poter sfiorare oasi celebri come quella
di Gafsa.
Purtroppo all’attraversamento dell’oasi siamo bloccati
da uno strano rumore della vettura, sembra provenire dal cambio.
La cosa non ci preoccupa più di tanto, ma strada facendo
il umore si fa sempre più assordante.
In compagnia di questo rumore e di una forte tempesta di sabbia,
alle 16.30 arriviamo a Nefta; non siamo tranquilli e io preferisco
cercare subito un meccanico. Dopo aver vagato per tutta la città,
troviamo un meccanico… ci si potrà fidare?
Sembra molto sicuro di sé; avvia il motore, da’ un’occhiata
sotto l’avantreno e dopo qualche secondo di riflessione dice:”
…italiano, sei fortunato! Manca solo l’olio nella scatola
del cambio”. Accidenti, possibile che Renzo, il mio meccanico,
si sia dimenticato di rabboccare il livello?
Con qualche dinaro riusciamo a sistemare l’inconveniente e
ci mettiamo subito alla ricerca di un posto dove passare la notte.
Mentre giriamo per Nefta alla ricerca di un camping, incontriamo
quattro motociclisti di Rimini e con loro passiamo la serata in
una capanna posta al centro dell’oasi.
Dopo aver sistemato i bagagli all’interno della vettura ci
accorgiamo di avere una ruota sgonfia, la sostituisco immediatamente
e poi mi affretto a preparare la cena. Mangiamo all’interno
della capanna illuminata da una lampada a petrolio e trascorro l’intera
serata con gli amici di Rimini: decidiamo di partire assieme.
Alle 22.00 stendo il saccopelo sul pavimento in cemento all’interno
della capanna e, mentre scrivo le ultime righe di una dura giornata
sul mio diario, mi addormento senza nemmeno accorgermi.
4 Novembre
Vengo svegliato dal raglio di un asino, per un po’ rimango
nel mio saccopelo poi, verso le 6.00 mi alzo e vado a svegliare
Pietro che ha preferito dormire all’interno della vettura.
Alle 7.30 partiamo, una strada breve porta fino alla frontiera di
Algeri situata appena dopo Hazoua l’ultimo controllo tunisino.
Il paesaggio è ormai cambiato, il poco verde della Tunisia
è ormai un ricordo, ora è steppa arida e la sabbia
del deserto comincia a mostrarsi.
Una barriera, la prima, interrompe la continuità del paesaggio.
L’uscita della Tunisia è una frontiera facile, un breve
controllo ai documenti, agli occhiali, e poi ci danno il via libera.
Ora viaggiamo nel silenzio, lungo una striscia d’asfalto,
su una terra che è di nessuno fino all’inizio dell’Algeria.
Le cicatrici del Sahara hanno la forma e le voci dei doganieri e
poliziotti che proteggono una frontiera innaturale, difendendola
con timbri e controlli.
Avanti, con nella testa Abidjan e la Costa d’Avorio lontane
ancora migliaia di chilometri e già diventate mitiche. Purtroppo
la dogana algerina è un intoppo; questioni burocratiche interrompono
l’abbrivio di un viaggio già entrato nel vivo.
Sono le 9:00, un doganiere ci ritira i passaporti, non importa,
sarà una mattinata nella terra di nessuno infuocata dal sole.
Finalmente alle 11:30 riusciamo a sbrigare le ultime pratiche burocratiche,
cambiamo i 1000 dinari secondo le norme algerine e ci dirigiamo
verso El Oued.
Percorriamo questo nastro d’asfalto in brevissimo tempo e
alle 13:30 arriviamo a El Uoed; riforniamo la vettura e ci mettiamo
alla ricerca dell’ufficio dove poter stipulare l’assicurazione.
Quasi per caso passiamo sulla strada dove si trova l’ufficio
e vediamo parcheggiate le moto degli amici riminesi; parcheggiamo
l’auto e ci affrettiamo a compilare il modulo per l’assicurazione
della vettura.
I due impiegati sono stati molto veloci e così possiamo ripartire
subito.
La strada si mantiene sempre buona e possiamo tenere una media abbastanza
elevata.
Dirigersi verso Ouargla significa fare l’incontro atteso;
il mare di sabbia, le dune che sono le onde di un oceano di una
bellezza quasi sensuale, di un colore morbido e uniforme, caldo
e pastoso senza mai un momento di squallore.
Non è neppure polveroso finché non ci si va in mezzo,
il paesaggio è stupendo, sembra un’immobile glassa
spalmata da un pasticcere.
Intanto si presenta pian piano il Sahara, come un mare che si fa
grosso lentamente passando dalla piatta ai marosi.
La strada taglia la steppa e affonda nel giallo chiaro delle dune
che a volte ricoprono la strada.
Ci sono lingue longitudinali che sfiorano il bordo della strada,
poi mucchi sempre più consistenti; in alcuni tratti la sabbia
impedisce il passaggio su metà carreggiata, bisogna scivolare
a sinistra per trovare il solido con le ruote.
Si vedono i cartelli spuntare semi sommersi dalle dune.
Un deserto bello e gentile, tanto perfetto da sembrare quasi fasullo,
ma anche il deserto più abusato nelle immagini e più
sognato quando se ne ascoltano i racconti.
Eccolo mi dico, l’ho sognato per molto tempo, ho fatto di
tutto per poterlo attraversare, … ma sarà sempre così?
I Fellhain, i contadini che portano la Gondura a strisce, che si
vedono in lontananza, sembrano comparse di cartapesta, tanto sono
suggestivi in questo palcoscenico immaginario.
Ma sotto questa apparente serenità si nasconde una realtà
ben più difficile; qui siamo nel Souf, che significa “fiume”
in berbero, una regione percorsa da una falda acquifera sotterranea
nascosta sotto la sabbia venti, trenta o quaranta metri.
Per riuscire a ricavarci da vivere… “si deve scavare
fino all’acqua, piantarvi il seme della palma da dattero e
passare il resto della vita a combattere contro il vento che giorno
dopo giorno annulla l’opera dell’uomo…..”.
Passano i km e mi abituo alle dune ..In questo deserto da cartolina,
bello e liscio, incontriamo un solitario delle piste; è un
milanese sulla quarantina, solo il tempo per una stretta di mano
ed una foto e ci rimettiamo subito in marcia verso Touggourt.
Prima di raggiungere la città, il paesaggio cambia improvvisamente,
le dune finiscono e con loro finisce anche la suggestione fiabesca
della sabbia arabesca.
Touggourt è uno dei segni dell’Algeria moderna che
si stà ricostruendo.
E così dopo un’altra corsa al volante di Cartizia,
arriviamo a Ouargla.
Il sole è già tramontato; decido con Pietro e gli
amici di Rimini di pernottare in un alberghetto, ne vale la pena,
tanto in Algeria dovrò spendere i 1000 dinari del cambio
obbligatorio.
Dopo essermi fatto una salutare doccia posso saziarmi con l’ottima
cena preparata dal mio compagno di viaggio.
Qualche chiacchera in compagnia e poi …subito a nanna.
5 Novembre
La sveglia suona sono le sei; sveglio Pietro e con lui faccio un’abbondante
colazione.
Alle 7:00 siamo pronti per partire; attraversiamo la città
e imbocchiamo la strada che porta a Ghardaia.
Cartizia corre veloce sulla buona strada; di tanto in tanto ci fermiamo
per scattare qualche foto e con questo ritmo arriviamo quasi a Ghardaia
senza accorgerci che la benzina sta per finire.
Purtroppo rimaniamo a secco, fermiamo subito una Peugeot sulla quale
viaggiano tre simpatici algerini che ci offrono qualche litro di
benzina, rifiutando poi i soldi.
Ci salutiamo con una stretta di mano e sulla strada che si snoda
fra le montagne oscure giungiamo a Ghardaia, centro della regione
del M’zab algerino e città di puritani mozabiti.
Facciamo subito il pieno della vettura e riempiamo anche una tanica
da venti litri; con questa benzina dovremmo tranquillamente raggiungere
El Golea.
La strada è ancora buona e tra una marcia e l’altra,
posso permettermi di mangiare una bella scatola di carne.
Incontriamo molti automezzi pesanti che risalgono da El Golea o
forse da Tamanrasset; Berliet, Mercedes, ma tutti a trazione integrale.
Alle 14:30 siamo ad El Golea, rabbocco il serbatoio e decidiamo
di proseguire alla volta di In-Salah.
La sensazione del vero deserto, delle distanze infinite, di un mondo
di sabbia, della solitudine, degli spazi enormi, delle difficoltà,
comincia qui, dopo El Golea, una città che convive con le
dune, dove la sabbia fa parte della vita quotidiana, entra nelle
case, si respira con l’aria, modella l’aspetto umano.
Il road book segna una buona strada fino a In-Salah, corriamo senza
preoccupazione ma, quando il sole sta per tramontare, la strada
si apre in una spaccatura.
Una piccola voragine sembra inghiottire Cartiza, che pur molleggiata
sembra sfasciarsi in una serie di colpi e contraccolpi che fanno
vibrare ammortizzatori e carrozzeria; bisogna rallentare, a volte
fermarsi e scendere nei “crateri” con attenzione e risalire
dall’altra parte. È meglio nei tratti più disastrati,
abbandonare i resti dell’asfalto e correre solcando la striscia
ai lati della strada , se cosi la possiamo chiamare. dietro di noi
stanno sopraggiungendo i quattro motociclisti riminesi, sembrano
volare sulla sabbia ma, improvvisamente il vecchio Aldo cade a terra.
Ci fermiamo subito, ma non è nulla di grave; risale subito
sulla sua Honda e riparte con un pizzico di prudenza.
Il sole è ormai scomparso all’orizzonte e la luce pian
piano se ne va. Dopo poco è buio pesto, facciamo molta fatica
a scorgere le tracce che portano a In Salah, in più siamo
costretti a continue deviazioni a causa delle rocce che sporgono
dalla sabbia. Abbiamo sbagliato; dovevamo fermarci prima, ma questa
pista percorsa al buio potrebbe diventare una trappola… troppo
tardi per i rimpianti.
Continuiamo, ma le tracce si fanno sempre più esili; guardo
la bussola … impossibile, mi allontano dall’auto per
non influenzare l’ago, inutile! Abbiamo preso la direzione
sbagliata. Non sappiamo cosa fare, ci fermiamo qui, nel buio dell’altopiano
Tademait. Non possediamo una carta topografica, quindi la bussola
diventa inutile.
Rimango all’interno della vettura, attorno a me il nulla;
non ho paura, cerco di pensare ai consigli ricevuti, ma non c’è
nulla da fare, forse conviene aspettare il sorgere del sole. quando
orami rassegnato accendo una sigaretta vengo abbagliato da una luce
fortissima, accendo subito i fari della nostra vettura per segnalare
la nostra presenza. Il mezzo si dirige verso di noi e si ferma.
È un camion algerino; a bordo, oltre all’autista c’è
un autostoppista spagnolo.
Fortuna vuole che sono diretti anche loro a In Salah.
Ci mettiamo in marcia, il camion è stracarico, ma nonostante
questo viaggia a velocità sostenuta. All’interno della
vettura è un continuo traballare di zaini, borracce e altro;
così per un centinaio di chilometri che sembrano non finire
mai.
Ormai stravolti, alle 22.00 arriviamo a In Salah, non ho nemmeno
la forza di mangiare, cerco subito un posto per la notte e senza
neppure togliermi le scarpe, mi addormento in un lungo sonno fino
al sorgere del sole.
6 Novembre
Sono le 6.00, il rumore di un camion mi sveglia.
Pietro sta ancora dormendo come un ghiro, cerco di riprendere sonno,
ma non ci riesco. Il tempo passa velocemente e anche Pietro si sveglia.
Prima di partire controllo la vettura, le buche di ieri potrebbero
aver danneggiato l’avantreno. Per fortuna la vettura è
in piena forma e alle 8.30 ci mettiamo in marcia.
I primi chilometri scorrono veloci su un manto di asfalto, il vento
soffia forte e spesso la sabbia ricopre l’asfalto.
La macchina è stracarica e supera con difficoltà anche
i più piccoli laghi di sabbia. Sono preoccupato, con questo
peso non arriveremo mai dall’altra parte del deserto. Ancora
qualche chilometro e la sabbia inizia a “mostrare i denti”;
passo ad una marcia inferiore, l’auto sbanda e improvvisamente
si insabbia.
Scendiamo dalla vettura, il vento soffia fortissimo e sono costretto
a coprimi il viso con la tela che ricopre i bagagli. Per più
di mezz’ora tolgo la sabbia da sotto l’auto, cerchiamo
di ripartire, ma non c’è nulla da fare, bisogna ricorrere
alle piastre.
Con pinza e cacciavite nelle mani tolgo gli arnesi dal portapacchi,
alziamo la vettura e infiliamo le piastre sotto le ruote anteriori
, una spinta e Cartiza con un balzo riesce a liberarsi dalla trappola.
Colgo l’occasione di questa sosta per liberarmi di un po’
di occhiali …. Non voglio più avere problemi con le
dogane.
Qualche minuto di riposo e poi ripartiamo, verso “Tam”.
La pista è un vero disastro : buche, sabbia e incomincia
anche ad apparire la terribile “Tole ondulee”.
Cartiza sembra andare molto bene e tra una scatola di tonno e una
di carne, giungiamo alle gole di Arak .
Sono le 16.30, fra poco il sole tramonterà, non conviene
rischiare al buio.
Ci fermiamo poco prima del campeggio, in un casolare dove un tuareg
ci offre un buon thè alla menta, … ci voleva proprio
dopo tanta strada di arsura.
Alle gole di Arak c’è un campeggio inteso come un’area
intorno ad una costruzione in cemento dove alcuni tuareg cucinano
cuscus e vendono thè alla menta.
Le capanne di frasche di palma diventano rifugi per la notte; non
esistono servizi né docce ma solo una vasca al centro del
quadrato dove vanno a bere i pochi cammelli che passano di qui.
Un generatore da’ corrente ad un impianto di illuminazione
che smette di funzionare presta.
Nel campeggio sono radunati ragazzi locali su selvagge moto da enduro
, dai serbatoi enormi, ci sono resti anche di molte vetture abbandonate
da chissà chi, forse da viaggiatori come me.
Nel campeggio oltre agli amici riminesi, c’è anche
un gruppo di francesi con sei Peugeot 504, quest’auto pare
vada molto bene sulle piste sahariane; ma i francesi ne perderanno
ben quattro prima della mitica città di Agadez.
Sono le 19:30, mentre mi accingo a cucinare una manciata di spaghetti,
viene spento il generatore, è buio pesto, mi faccio luce
all’interno dell’auto per cercare una torcia.
Gli spaghetti sono pronti, apparecchio il cofano della vettura e,
facendomi luce con la torcia, mangio la mia meravigliosa cena all’italiana.
Dopo cena aiuto Massimo, uno dei ragazzi di Rimini, in una riparazione
alla sua moto, poi non mi resta altro che stendere il saccopelo
all’interno della capanna e coricarmi.
Nonostante il giubbotto che ho indossato, fa molto freddo e non
riesco a chiudere occhio, questa nottata sarà un continuo
dormiveglia fino al nuovo giorno.
7 Novembre
Mi sveglio, per modo di dire, alle 6:30, controllo accuratamente
la vettura e ci mettiamo subito in marcia per un’altra giornata
difficile.
Venti km dopo Arak la pista tende a diramarsi in molte direzioni;
seguiamo le tracce alla nostra destra, c’è molta sabbia
e la vettura rallenta sempre più all’impatto con le
zone di Fesc Fesc.
Proseguiamo sempre ad alta velocità per evitare gli insabbiamenti,
ma quando la sabbia appare come un mare, Cartizia si “pianta”
senza scampo.
Fortunatamente la gente del deserto è molto cordiale e, con
l’aiuto di alcuni passanti riusciamo a disincagliare la vettura.
A causa della forte andatura che siamo costretti a mantenere per
non insabbiarci, facciamo molta fatica a seguire la giusta direzione.
Qualche ora più tardi, infatti, ci troviamo isolati su uno
slargo sconosciuto, abbastanza staccato dalla pista, da non sapere
in quale direzione puntare.
Con un po’ di timore cerchiamo di fare il punto con la carta
e con la bussola per ritrovare la direzione.
La pista da prendere ha un fondo troppo sabbioso, l’auto non
ce la farebbe mai, … cosa facciamo?
Mi siedo scoraggiato all’ombra della vettura; Pietro è
nervoso, no riesce a darsi pace.
Rimaniamo ad attendere per quasi un’ora, mentre il caldo si
fa sempre più insopportabile.
Ma quando inizio a pensare al peggio, all’orizzonte appare
un automezzo.
Cerchiamo di farci notare ed in pochi minuti il camion ci raggiunge.
Dal finestrino si affaccia l’autista, … Capisce subito
il nostro problema e fa cenno di seguirlo.
In poco tempo ci riporta sulla pista battuta e così possiamo
proseguire verso “Tam”… Grazie anonimo camionista
….
Il percorso da Arak a Tamanrasset in teoria è facile perché
c’è una strada, ma in realtà l’asfalto
è inagibile per quasi tutto il tragitto;
o perché sbarrato dai militari o perché in condizioni
disastrose.
Per scendere a sud ci si deve affidare a piste alternative; proviamo
ad imboccare una deviazione a destra cercando di non perdere di
vista la strada militare.
Ma, per evitare spuntoni di roccia, collinette improvvise e avvallamenti
insidiosi, ci allontaniamo sempre più dai punti di riferimento.
Seguiamo alcune tracce, vecchie o recenti, chissà…
Il terreno è a volte duro, a volte soffice di sabbia , a
volte sassoso, sempre imprevedibile.
Il primo incontro con la micidiale Tole ondulee avviene qui.
“La bestia nera” di tutti i sahariani sono le “rughe”
del fondo della pista causate dal continuo passaggio dei mezzi pesanti.
I colpi di rimando degli ammortizzatori, soprattutto dei camion,
creano a poco a poco, piccole gobbe perpendicolari alla direzione
di marcia, solchi micidiali, di frequenza e profondità variabile.
Le gobbette possono essere alte una o due dita e distanti l’una
dall’altra un palmo o arrivare a cinque, dieci centimetri
e presentarsi ad ogni metro.
Non è facile immaginare cosa succede quando si percorrela
Tole ondulee con un’auto come la nostra.. il più insidioso
dei pavé cittadini al confronto, è un tavolo da biliardo.
Due soli i modi per superarla: procedere lentissimi, quasi a passo
d’uomo o correre come forsennati a 70\80 km/h.
Se si va piano gli ammortizzatori riescono a seguire il ritmo delle
sollecitazioni anche se all’interno i saltellamenti sono snervanti;
se si corre si riesce a volare sopra le gobbette senza dare il tempo
alle sospensioni di spingere le ruote negli avvallamenti, ma così
Cartiza perde ogni aderenza; il retrotreno sbanda continuamente,
le curve strette significano un’uscita dalla pista quasi certa.
La velocità intermedia è da scartare; le vibrazioni
interne mettono a dura prova i nervi e la meccanica, il corpo sussulta
a una frequenza allucinante.
Mi viene voglia di urlare, fermarmi e smettere.
Nel deserto bisogna andare avanti, a volte bisogna osare oltre i
propri limiti … e per assurdo, l’incontrare le gobbette,
cercando semmai piccole e corte deviazioni, vuol dire che la pista
è quella giusta.
Proseguiamo senza soste; sono a pezzi e anche l’auto inizia
ad avere qualche problema, ma continuiamo …. Tamanrasset è
ormai vicina.
Una giornata di vibrazioni continue, di schianti, di rumori assordanti
di carrozzeria e Tamanrasset si annuncia con l’esaltante visione
di una strada asfaltata.
Sono le 17.30, percorriamo il breve tratto asfaltato che inizia
all’aeroporto, passiamo sotto l’arco della porta di
Tam e giungiamo nella via principale dove rivediamo gli amici riminesi.
Dopo tante ore di sconvolgente percorso, l’approdo in un centro
mi fa subito pensare a follie.
Mi aspettavo una grande città di piacevolezza, in realtà
è una via centrale circondata in lontananza dai quartieri
periferici di case basse e strade in terra e sabbia, abitate da
tuareg sedentarizzati.
Pietro è distrutto, e forse ha anche la febbre.
Lo accompagno nella camera di un hotel da quattro soldi dove si
butta sul letto senza nemmeno svestirsi; accusa un forte mal di
pancia, non so cosa fare.
Chiamo il vecchio Aldo, ma anche lui si limita solo ad incoraggiarlo.
Passa qualche ora e Pietro sembra essersi addormentato, ne approfitto
per mangiare qualcosa e per controllare la vettura.
Nel cortile dell’hotel non c’è nemmeno un po’
di luce, chiedo a Massimo di reggermi la torcia per poter fare un’accurata
manutenzione . Stringo i bottoni, rabbocco il livello dell’olio,
e fin qui tutto bene; mi sdraio sotto l’avantreno, Cartiza
mi sembra più bassa del solito, sono molto preoccupato per
la sua salute, gli ammortizzatori sono fiacchi e il peso all’interno
della vettura è notevole. Vuoto una tanica d’acqua,
Massimo mi guarda e, scrollando la testa mi dice:”…
non riusciremo mai ad arrivare ad Agadez con questo peso, anche
la mia moto comincia a battere la fiacca…”.
Chiamiamo Aldo, bisogna trovare una soluzione, da Tam ad Agadez
sono 900 km di pista sabbiosa dove l’inesperienza o la superficialità
potrebbero costare caro.
Chiamiamo un beduino e gli chiediamo notizie sulla strada che porta
in Niger. Da buon esperto guarda la vettura, poi volge lo sguardo
verso le quattro moto e con tono rimproverante esclama: ”
Ragazzi! Molta gente è partita nelle vostre stesse condizioni,
ma pochi sono riusciti ad uscire da quella terribile pista…”.
Ormai è tardi, e con tanta preoccupazione decido di andare
a riposare.
8 Novembre
sono le 6.00, il sole a queste latitudini sorge in un battibaleno.
non bisogna perdere tempo, dobbiamo cercare qualcuno che possa caricarci
i bagagli e i 60 litri di benzina contenuti nelle taniche necessari
per arrivare al prossimo posto di rifornimento.
Rompo le scatole a moltissima gente, ma nessuno è disposto
a sovraccaricare il proprio mezzo.
Il morale non è tra i più brillanti, e in queste condizioni
non c’è neppure la voglia di continuare.
Passeggio per le vie di Tam fino a mezzogiorno, poi con la preoccupazione
di chi ha paura di non farcela, decido di mandare un telex ai miei
famigliari.
Alle 12.30 ritorno all’hotel, Aldo sta contrattando con un
tuareg per il trasporto del materiale.
Parlano per circa mezz’ora poi, improvvisamente si stringono
la mano: è fatta!
Non perdiamo tempo, carichiamo tutto sulla Patrol del tuareg di
nome Hamed; sono le 15.00, si parte, seguiamo la fuoristrada che
attraversa le vie del paese.
Ci fermiamo a riempire le taniche e per far provviste di pane. Sui
muri del centro leggo un annuncio che riguarda un gruppo di tedeschi
partito da qui mesi orsono e mai arrivato a destinazione.
Si sente dire anche di un paio di motociclisti, in ritardo di alcuni
giorni.
Chi parte prende nota perché nel Sahara c’è
una legge che impera su tutte le altre: “aiutare chi è
in difficoltà in ogni momento, in qualsiasi situazione …….”.
Tra poco lasceremo la leggendaria Tam, da decenni punto di partenza
degli avventurieri del deserto e oggi, inizio del tratto più
difficile della Parigi-Dakar.
Tam, il mito, come lo sono le sue guide, figli di nomadi e cammellieri
che continuano le tradizioni dei padri non più sulle eleganti
selle tuareg, ma al volante di potenti fuoristrada.
Imbocchiamo la strada che porta al posto di polizia, percorriamo
qualche km e siamo costretti ancora ad una sosta per le formalità
doganali; arrivare al posto di frontiera di In-Guezzan senza i documenti
in regola, significa farsi rimandare indietro, ricacciati verso
la burocrazia da inflessibili controllori.
Finalmente alle 16:30 ripartiamo, seguiamo il Patrol di Hamed, dietro
di noi, i motociclisti di Rimini.
Scavalchiamo velocemente le montagne che circondano la città
e avverto subito i segni di un cambiamento.
Il deserto si fa sempre più piacevole, niente più
Tole, se non i rari tratti, ma sabbia liscia, mari enormi di fondo
vellutato, grandi distese che scendono lentamente verso l’orizzonte.
È una discesa, anche se quasi impercettibile, perché
Tamanrasset è sull’Hoggar a 1400 MT di altitudine.
Proseguiamo verso il Tassilli seguendo una pista larga qualche chilometro
e … infinita. Corriamo veloci accompagnati da uno stupendo
tramonto.; Massimo lasciala pista per qualche scorribanda sulla
sabbia soffice, corre veloce verso l’orizzonte, lasciando
dietro di sé una nuvola di polvere che, illuminata dal sole,
mi fa ricordare uno dei tanti filmati del Parigi- Dakar.
Uno scenario stupendo, sognato per più di un anno.
Il sole scompare rapidamente dietro la linea retta dell’orizzonte;
è ora di fermarsi, cerco uno spazio fuori dalla pista dove
poter montare le tende. In compagnia di Pietro, Hamed ed i motociclisti
riminesi, tento di cucinare gli spaghetti in un’acqua che
non bollirà mai a causa del forte vento. Rimedio subito con
la solita scatoletta di tonno. Nel frattempo Hamed ha acceso il
fuoco, mi avvicino a lui che, vedendomi arrivare mi alluna la mano
offrendomi del thè alla menta. Con lui passo la serata cercando
di scambiare qualche parola sul deserto.
Sono le 23.00 e fa molto freddo; mi corico nel mio saccopelo e cerco
di dormire. Dopo quasi un’ora di inutili tentativi, esco dalla
tenda per accendermi una sigaretta; piano piano mi allontano dal
bivacco, il vento soffia forte nel deserto e nel cielo splendono
migliaia di stelle che illuminano la splendida notte africana.
Mi siedo sulla sabbia, attorno a me, il silenzio.
Cerco di godermi questi momenti magici e tra le urla del vento mi
torna in mente un antico proverbio tuareg “… non dire
che il deserto è silenzio, chi dice ciò è un
uomo che non può udire la sua possente voce.”
Ma chi sono i tuareg? Chi sono questi principi del deserto!?
Il nome “tuareg” accende subito la fantasia e ci riporta,
con gli occhi della mente, alla nostra infanzia. Ai libri, alle
illustrazioni e ai filmati che parlavano di questi indomabili guerrieri;
gli “uomini blu”, vincitori di centinaia di razzie.
Ma i vincitori della nostra infanzia, sono i vinti di oggi; vittime
di un implacabile progresso che non ammette intrusi e non accetta
più le sorpassate tradizioni secolari.
E cosi anche i tuareg hanno dovuto piegarsi nel corso degli anni
e delle migliaia di “figli del vento” oggi non resta
che un piccolo gruppo da poche centinaia di uomini che cercano di
resistere in qualche modo, rintanandosi nelle zone più impervie,
ai limiti delle sacche vuote del Grande Deserto.
Ai margini del nostro mondo civile dunque, sparsi tra il Sahara
centrale e il Sahel, entro i confini di tre paesi (Algeria, Niger
e Malì) assistono impotenti a una progressiva disgregazione
della loro razza. i tuareg tutti di razza berbera hanno un’origine
piuttosto discussa. Tuareg, secondo gli arabi, vuol dire “abbandonati
da Dio “ poiché ai tempi dell’invasione essi
lottarono a lungo contro l’islamismo prima di accettare, anche
se in forma molto blanda, la conversione.
I tuareg per contro, affermano che il loro nome deriva da un’antichissima
voce che significa “ egli è libero” e potrebbe
riallacciarsi al nome Targa, con cui i tuareg stessi chiamano il
Fezzam, regione che anticamente dominavano.
Conosciuti pure come i “figli del vento”, della lancia
e della spada, per il loro carattere guerriero, divennero celebri
anche per il loro aspetto reso sinistro dal viso velato, che collimava
con la loro crudeltà; fino a ieri infatti erano il flagello
del deserto.
Una caratteristica che distingue i tuareg dagli altri popoli dell’Africa
araba è il velo maschile: il Taghelmust, che consiste in
una striscia di 3,50 m e larga 25 cm. Abilmente passa sull’occipite,
sulla fronte e sulla bocca, arrivando a coprire anche il naso. Il
tessuto è un blu scuro impregnato d’indaco, come gli
ampi mantelli per cui lascia un po’ di colore sulla pelle,
da cui deriva l’appellativo “uomini blu”.
Il declino vero e proprio di questa razza fiera e indomata, incominciò
circa settant’anni fa quando i vari coloni, ultimate le conquiste
decisero di liberare gli schiavi.
Il lento ma progressivo cambiamento li costrinse a ritirarsi nelle
zone più ostili del Sahara e a isolarsi per mantenere intatta
la purezza della razza, le tradizioni e, quel che conta di più,
la libertà.
Ma i contatti con i viaggiatori e i turisti inducono i giovani a
pensare che oltre l’ultima duna del deserto li attenda una
vita migliore; le antiche fonti di reddito dei tuareg infatti si
assottigliano sempre più, mentre le necessità aumentano.
Per contro il nomade è conservatore e lo stato moderno è
per lui ancora legato ad una mentalità e ad uno schema medioevale,
qualcosa di incomprensibile.
Il suo pensiero di vivere in una civilissima casa di mattoni lo
fa star male.
In fondo quello che gli piace è ancora sapere che in qualche
momento del giorno o della notte, può sollevare una parete
della Jiaima (tenda) e vedere l’immensità del deserto
davanti a lui; per questo qualcuno dice che nessuno potrà
distruggere completamente i tuareg se non i tuareg stessi.
9 Novembre
sono le 6.30, l’alba illumina l’interno della tenda,
fuori il vento soffia senza tregua.
Lascio il calduccio del mio saccopelo per gettarmi nell’aria
gelida del mattino.
Il freddo è pungente, a fatica smonto la tenda e sistemo
i bagagli all’interno della vettura, poi avvio il motore e
inizio a rincorre l’orizzonte.
La pista è buona; in alcuni tratti possiamo correre a 100
km/h verso le forme scure di montagne lontane, sfiorando i profili
sassosi di collinette e scivolando col rumore di un soffio sul terreno
morbido. In altri tratti dobbiamo superare laghetti di sabbia in
velocità per non consentire alle ruote di sprofondare in
una morsa da cui è difficile uscire.
Il motore è sempre al massimo, per sfruttare tutti i cavalli
disponibili, sono sempre pronto a scendere alla marcia inferiore
non appena sento diminuire il regime dei giri.
L’emozione della vastità, l’emozione di approdare
alle dune di Laouni, un altro leggendario punto di passaggio obbligatorio
per tutti i sahariani.
Ecco il deserto più stupefacente, assolutamente diverso da
quello di dune, bello ma “facile” incontrato a El Oued.
Il passaggio dalle dune di Laouni è difficoltoso, la sabbia
è molto soffice e la ormai stanca Cartizia si insabbia decine
di volte. Tra i relitti di auto spingiamo Cartizia con l’aiuto
degli amici riminesi,… ancora uno sforzo e anche le terribili
dune sono superate. Nessuna sosta per riposare, qui il Sahara non
è un paesaggio da guardare, è una situazione più
che un luogo dentro cui si vive un rapporto profondo con una natura
che, paradossalmente per un deserto considerato simbolo di morte,
ha una vitalità straordinaria. Una montagna difficile si
conquista, un mare insidioso si sfida, al Sahara semplicemente ci
si unisce in un incontro che non è mai una lotta per designare
un vincitore; e neppure una corsa contro il tempo, perché
non è un ostacolo da superare più in fretta possibile,
ma un cammino lento verso un orizzonte che pare irraggiungibile,
che inaspettatamente varia di continuo per terminare all’improvviso
com’era cominciato. Ma la fine del Sahara è ancora
lontana e le sue suggestioni ancora vicine.
Sono le 14.30, all’orizzonte appare In Guezzam, una strada
in terra battuta tra le consuete costruzioni basse, color ocra scuro.
I fabbricanti dei doganieri spuntano sotto il sole dopo un’altra
insabbiata, un posto di frontiera isolato che rappresenta il porto
di speranza per migliaia di nigerini, saliti fin quassù per
cercare un’improbabile soluzione alla loro fame.
L’Algeria tollera il loro misero accampamento di tende disastrate
e i bambini denutriti, capre magre alla ricerca di fili d’erba
inesistenti, di nigerini che restano lì, ad aspettare, fantasticando,
vivendo di quel cibo che il governo algerino distribuisce, organizzati
come nomadi ma senza più quell’indipendenza e fierezza
che era nelle culture nomadi.
La formalità di uscita dall’Algeria sono, come al solito,
lunghe; controlli ai bagagli, alla vettura e timbri sul passaporto.
Alle 16.30 un doganiere ci alza la sbarra che limita il confine
con la terra di nessuno, proseguiamo verso la porta del Niger.
Alle 17.00, mentre il sole pian piano cala all’orizzonte,
arriviamo alla frontiera nigerina. Subito un doganiere in tuta sportiva
mi ordina con tono arrogante di scaricare completamente la vettura,
… inutili i reclami: o vuoto l’auto o non passo. Accontento
anche questo curioso doganiere che fruga anche nello zaino, tra
calzini e magliette. Mi spiace, ma per i tipi come lui non ho nessun
regalo…
Alle 18.00, gli uffici doganali abbassano le serrande, il controllo
del passaporto verrà effettuato domani mattina.
Sarà una serata tra la sporcizia di Assamakka.
Cucino una bustina di asparagi poi, un pezzo di formaggio chiude
la cena. Le ore passano e col passare delle ore si alza il vento
gelido della notte; qui in prossimità della dogana c’è
il divieto di montare tende da campeggio, decido di passare la notte
nel mio saccopelo
steso sulla sabbia.
L’aria si fa sempre più gelida, e come se non bastasse,
la sabbia sollevata dal vento mi finisce tutta in viso…è
impossibile prendere sonno in queste condizioni. Tra un brivido
e l’altro, le ore passano e cado stremato in un sonno profondo
fino al sorgere del sole.
10 Novembre
Dopo una nottata “cambogiana”, cosa c’è
di meglio di un cane che ti dà la sveglia, abbaiando a meno
di un metro di distanza?
Inizia un altro giorno, forse l’ultimo tra le sabbie del deserto;
sono le 6.30, ripiego il mio saccopelo e corro subito a farmi vistare
il passaporto. Lasciamo la dogana alle 8.45, il vento soffia forte,
la visibilità è molto scarsa e c’è sempre
il pericolo di perdersi.
Proseguiamo con cautela nella tempesta di sabbia e cerchiamo di
non perdere di vista le balise che segnalano la pista giusta; le
balise sono bidoni di benzina, mucchi di sassi messi a piramide,
gomme di autocarro sovrapposte, insomma tutto ciò che può
essere notato da lontano.
Parlare di pista qui è difficile: le balise in realtà
indicano il passaggio migliore di una spianata ondulata che appare
sempre assolutamente uguale. Così per circa duecento chilometri
in un continuo alternarsi di laghetti di sabbia molle e cunette
di terreno pietroso. Corriamo veloci per ore infinite sempre con
il rischio di insabbiamenti, la polvere continua ad accumularsi
all’interno dell’abitacolo fino a far diventare il cruscotto
e la tappezzeria color deserto; ma è una polvere asettica
questa, che non infastidisce chi sa vivere fino in fondo un rapporto
che si ha con il deserto, è un rapporto selvaggio , a volte
difficile ma, affascinante …affascinante come un mondo da
fiaba.
Alle 12.15 rimettiamo le ruote di Cartizia sull’asfalto, qualche
chilometro ….ed eccoci ad Arlit, dove l’Africa araba
si conclude e comincia l’Africa nera, …. Ho come la
sensazione di entrare in un mondo remoto. Mi reco subito alla polizia
per i consueti controlli, tipici del costume nigerino, sotto il
sole cocente devo attendere per più di tre ore prima di ottenere
il visto necessario per proseguire.
Nel frattempo saluto il generoso Hamed, che essendo di nazionalità
nigerina non ha bisogno di nessun visto. Nell’attesa mi diverto
a barattare qualche paio di occhiali in cambio di due portafortuna
tuareg; riesco a barattare anche la sveglia di Ambra e per concludere
vendo anche la ruota distrutta nel deserto alla modica cifra di
2000 CFA… offerta speciale.
Finalmente alle 15.30 arrivano i gendarmi, cerco di fare tutto nel
minor tempo possibile, ma come al solito perdo molto tempo per la
lentezza delle pratiche assicurative del veicolo.
Alle 17.30 riaccendiamo il motore e ripartiamo alla volta di Agadez.
Qui la sabbia del deserto appare come un’onda di morte che
avanza e cancella la vita.
Il Sahara è un’enorme confine che separa la fierezza
mista ad orgoglio e fanatismo dei musulmani del nord, dalla rassegnazione
sempre più drammatica dei Paesi che si avvicinano all'equatore.
Comincia qui il grido di dolore che non smetterà mai di risuonare
nell'aria che si fa sempre più greve…cadeau, regalo,
mani tese e disposte a ricevere qualunque cosa con occhi imploranti.
La strada che porta ad Agadez è asfaltata e in poco più
di tre ore riusciamo a raggiungere l’ultima città del
deserto: Agadez. Soliti controlli di polizia e poi è già
buio…non ci resta che cercare un’alberghetto da quattro
soldi.
troviamo i quattro ragazzi di Rimini e con loro affittiamo una camera
all’hotel Sahara. Questo hotel, se così lo vogliamo
chiamare, me lo ricorderò per parecchio tempo. Infatti in
questo hotel, dopo aver cenato con uno schifosissimo piatto di cous-cous,
assisto ad una rissa all’interno della sala da pranzo e poi
la camera è in stile “vecchia topaia” abitata
da salamandre, zanzare e rospi….Io non mi ritengo un ragazzo
schizzinoso, ma quando i rospi saltano sul saccopelo…
Nonostante la compagnia degli altri animaletti, non riesco a chiudere
occhio. Il caldo è insopportabile e uscire dal saccopelo
significherebbe farsi “sbranare” da feroci zanzare assetate
di sangue. Così per tutta la notte, in un bagno di sudore,
senza neppure avere la possibilità di rinfrescarsi sotto
una doccia.
11 Novembre
Mi sveglio, per modo dire, alle 6,30; la mia tuta bianca ha ormai
cambiato colore e, a fatica la indosso, mi guardo allo specchio.
Ho gli occhi profondi, la barba incolta e nonostante la voglia di
raggiungere la meta, non riesco a mascherare la fatica. Anche Pietro
è stremato;
da qualche giorno soffre anche di una terribile dissenteria.
Prima di ripartire controllo accuratamente la vettura: olio acqua,
bulloni e pulizia del filtro dell‘aria. Dopo queste operazioni,
cerco una banca per poter cambiare qualche travellers’ chèque,
In Niger è necessario stipulare anche il permesso per fotografare
presso l’ufficio del turismo.
Alle 10.15 imbocchiamo la lingua di asfalto che porta a Tahoua,
il Sahara è davvero finito e avanza una regione totalmente
diversa. E’ il Sahel, una terra lentamente bruciata dalla
polvere, dalla siccità del deserto che insinua sopra terra
che potrebbe essere buona, con lingue di sabbia simili alla frangia
di un mare che finisce su una spiaggia.
Il nome Sahel ha origini dall’arabo e significa “riva”.
In genere nei paesi africani indica la striscia di terra che separa
la costa dagli altopiani dell’interno. Ma in questo caso si
tratta della terra che lambisce un altro tipo di mare, il Sahara;
in questa zona sterminata, oggi avviata allo sfacelo economico ed
etnico, otto stati formano l’ultima fragili barriera contro
l’assalto del Sahara che avanza inesorabile come l’alta
marea, riempiendo di sé ogni cosa, divorando centimetro per
centimetro terre già rese aride dall’harmattan, il
vento arroventato del deserto.
A cercarlo sulla carta il Sahel non esiste, sotto questo unico nome
vengono emblematicamente accomunati gli stati africani colpiti dalla
più terribile tragedia che possa abbattersi sull’umanità:
la fame.
Dall’esteso e popolatissimo Mali all’altrettanta sterminata
e polverosa Mauritania, le piste della carestia sono visibili, come
profonde ferite in un corpo scarnito, nelle crepe della terra, nei
greti arsi, ma ancor più nei volti e nei corpi della gente
.
Il Sahel comprende paesi lontani ore d’aereo l’uno dall’altro,
spesso anche molto diversi, politicamente instabili o sull’orlo
del colpo di stato, ma tutti devastati dal flagello della siccità
che rischia di cancellarne per sempre l’esistenza dal nostro
pianeta.
Non appena ci si lascia alle spalle la costa o ci si allontana dai
capoluoghi, si incontrano villaggi di capanne cilindriche, costruite
con impasto di argilla, fango e paglia, senza pavimento e completamente
prive di mobili.
Non esistono strade, ma piste continuamente modificate, a tratti
cancellati dalla sabbia; solchi lungo i quali carovane di uomini
e di cammelli si spostano come fantasmi, senza una meta alla ricerca
di acqua, di un filo d’erba, di un pugno di mais.
…… E dire che qui per lunghi secoli fiorì il
grande impero del Mali, principale fonte di rifornimento d’oro
per tutta l’Europa fino alla scoperta dell’America,
e che Tombouctou, sul fiume Niger, era l’ultimo porto prima
del Sahara, centro importantissimo quindi, per i commerci e gli
scambi.
Oggi, con il Niger ridotto ad un filo d’acqua, il porto di
Tombouctou è diventato un’arsa piattaforma dove poggiano
grandi barche in secca permanente e tutto in torno, al posto di
quella che era una verde oasi, si estende il deserto.
La fame è una realtà irreversibile.
Nella città è possibile ancora cibarsi con qualche
pollo scheletrito, mentre nei villaggi all’interno, ci si
nutre di topi e di larve di formiche; la morte giunge inesorabile,
silenziosa, in questo mondo di polvere e di afa: una tragedia tanto
più drammatica quanto più è pacata, senza le
immagini apocalittiche che fanno spettacolo.
Da sempre emarginato ed escluso da qualsiasi iniziativa di sviluppo
anche ai tempi del colonialismo, privo o quasi di risorse naturali,
il Sahel è ormai da anni il centro della miseria.
Ma non è molto il tempo a disposizione per trasformare il
tetro palcoscenico della morte in un ambiente dove l’uomo
possa ancora sperare di vivere.
Corriamo per centinaia di km in una pianura bruna coperta da una
foschia bruna che sembra nebbia. La polvere si deposita sugli alberi
che qui cominciano a crescere, ma impedisce i processi vitali e
li fa morire.
Copre le colture di miglio, cancella col tempo i pascoli che sono
il sostentamento delle mandrie di bovini dalle lunghe corna che
si vedono pascolare in prossimità delle strade.
Quando incontro i pastori Tuareg, non perdo l’occasione di
fermarmi e scambiare qualche parola.
Non riesco ad essere insensibile ad una realtà che sto toccando
con mano.
Di tanto in tanto nella nebbia compare l’ombra di un villaggio,
di rotonde capanne dal tetto aguzzo di paglia abitate da figure
nere coperte di abiti colorati che, non appena scorgono passare
un’auto, corrono verso la strada.
Il caldo inizia a diventare insopportabile ed ad ogni villaggio
non perdo l’occasione per rifornire le mie borracce.
Ai margini delle strade troviamo piccoli laghetti d’acqua
sporca da cui escono come fantasmi tronchi contorti di alberi rinsecchiti.
Spesso sono bacini artificiali, ricavati grazie a sistemi idrici,
e servono da riserva d’acqua per un raggio di 10 o 20 km per
uomini ed animali.
Lontano da un villaggio incontro un gruppo di ragazzini; mi fermo
e cerco di dar loro qualcosa da mettere sotto i denti per poter
placare quel senso di vergogna che mi ferisce, davanti a scene vissute
sempre come lontane.
Veder sorridere quei bambini mi gratifica e forse mi fa sentire
in pace con me stesso.
Alle 16:45 siamo al controllo di polizia di Tahoua; da questa mattina
sono tormentato da un granello di sabbia entratomi in un occhio
e, nonostante il collirio l’arrossamento dell’occhio
mi provoca un gran fastidio.
Mentre Pietro sbriga le formalità doganali, il vecchio Aldo
tenta di togliermi il fastidioso granello con la stagnola delle
sigarette.
Dopo numerosi tentativi l’operazione riesce,…. Ora sto
meglio.
Ripartiamo seguendo a distanza le luci delle quattro moto; ormai
il sole sta per scomparire dietro l’orizzonte.
Anche quest’oggi arriveremo a destinazione col buio.
La strada sembra correre veloce, quando Stefano si ferma ai lati
della strada; la sua moto fuma ed emette un suono metallico preoccupante.
Illumino la moto con la torcia mentre Massimo cerca di risolvere
il problema.
Purtroppo il motore è bloccato e non ci resta che trainare
la moto fino alla prossima città.
In una notte impenetrabile riusciamo a spingere la moto fino a Birnin-konni;
cerchiamo un posto per la notte e dopo aver cenato, aiuto Massimo
a smontare il motore della ormai inservibile Honda.
Alle 11:30 saluto i motociclisti riminesi e mi rintano nel mio sacco
a pelo.
12 Novembre
Questa mattina voglio riposare un po’ di più e così,
decido di svegliarmi alle 7:00; faccio subito colazione e controllo
la vettura, … il deserto potrebbe aver danneggiato qualche
organo.
Ma fortunatamente la nostra Cartizia, anche se un po’ fiacca
gode ancora di ottima salute.
Prima di metterci in marcia, aiuto i motociclisti riminesi a contrattare
il prezzo per il trasporto della moto fino a Niamey dove, spero,
riusciranno a trovare qualche soluzione.
Partiamo alle 8:45, all’uscita dalla città facciamo
rifornimento di carburante, poi, ci dirigiamo sulla buona strada
asfaltata che divide il Sahel.
Passano i km, le scene ai bordi delle strade, durante le soste,
sono sempre più raccapriccianti.
Una folla di bambini e di adulti è sempre pronta ad assieparsi
attorno alla vettura e a frugare tra i rifiuti dei vari spuntini.
In questa parte d’Africa sembra che la dignità dell’uomo
si sia perduta; alla fierezza dei Tuareg si contrappone un atteggiamento
di servilismo e sottomissione che sono il retaggio di secoli di
soprusi e sfruttamento non ancora terminati.
Il Niger ha molte risorse minerarie che forse non riuscirebbero
a salvare questo paese, un paese il cui pacchetto azionario è
in mano a multinazionali straniere.
La tappa di oggi è una delle più corte, di tanto in
tanto ci fermiamo nei villaggi ed io ne approfitto per scattare
qualche foto.
Tra una foto e l’altra, alle 17:45 siamo alle porte di Niamey,
compiliamo velocemente i soliti formulari al posto di polizia e
poi ci addentriamo nel centro della capitale nigeriana, Niamey.
Niamey ha l’aspetto di un grosso villaggio; strade attraversate
da mandrie di bovini si contrappongono ad un albergo lussuoso di
una catena internazionale e a palazzi amministrativi modernizzati.
Tutto ciò trattasi di strutture realizzate da uomini bianchi
in evidente contrasto con la realtà del paese.
Troviamo un posto per la notte all’hotel Tènèrè,
nonostante il prezzo molto basso il servizio e le camere sono eccellenti;
dopo tante notti passate in “postacci”, un bel letto
è ben gradito.
Mentre Pietro prepara la cena, cerco un telefono e mi metto in contatto
con la mia famiglia.
A volte qualche chiacchera scambiata con le persone care ridanno
il giusto morale e la carica necessaria per completare imprese delicate
e faticose come: “oltre il Sahara”…
La serata scorre veloce nel bar dell’albergo e tra una birra
e l’altra, giunge anche la mezzanotte: è ora di andare
a dormire.
13 Novembre
Sono le 7.00, un raggio di sole illumina la camera dell’Hotel
, per un po’ rimango a poltrire nel letto ma poi mi devo alzare
a causa del solito cameriere che sveglia i “poveri”
viaggiatori per annotare sul suo registro il numero del passaporto.
La mattinata la trascorriamo in un assolato posto di polizia in
attesa di una visto sul passaporto che, non arriva mai; a volte
questi militari fanno perdere la pazienza anche ai più calmi,
ma non conviene nemmeno protestare altrimenti si rischia di passare
l’intera giornata ad attendere un timbro. Nel frattempo gli
amici di Rimini trovano un posto sull’aereo diretto a Roma
per Stefano e la sua moto.
Alle 11.00, un poliziotto mi riconsegna il passaporto col visto
necessaria per l’uscita dalla capitale. Ritorno all’Hotel
per salutare gli amici riminesi; Massimo è molto preoccupato
per il pessimo stato delle motociclette, non posso che incoraggiarlo
e stringendogli la mano gli dico: ”Massimo, non arrenderti,
un giorno potrai pentirtene”. Con un po’ di malinconia
lascia l’Hotel Ténéré, qualche chilometro
ed è subito un altro intoppo: un altro petulante controllo,
i doganieri ci fanno togliere tutti i bagagli, ma cosa vorranno
controllare in una vecchia vettura come la nostra?
Dopo circa mezz’ora abbiamo via libera, percorriamo velocemente
il tratto di strada che porta alla frontiera nigeriana; i controlli
in dogana sono veloci,.. cosa insolita in un paese africano, e alle
14.oo ci accingiamo a percorrere quel cuscinetto di sicurezza posto
tra le due frontiere che chiamano “terra di nessuno”
. Il posto di frontiera del Burkina Faso è tutto un racconto:
durante il primo controllo ci viene chiesto un rotolo di carta igienica
dal doganiere di servizio, evidentemente…..qualche centinaio
di metri e il mio bagaglio viene alleggerito di una confezione di
carne in scatola dalla gendarmeria, di questo passo arriverò
a Ouagadougou senza viveri.
Nonostante i doni dati ai doganieri, i controlli sono lenti e noiosi
e solo alle d16.30 riusciamo ad avere il visto d’entrata nel
paese. Proseguiamo sulla buona strada asfaltata che porta alla capitale,
di tanto in tanto dobbiamo lasciare la strada principale a causa
di lavori in corso ed addentrarci in piste alternative che si snodano
nella savana. Anche in Burkina Faso come in Niger, i controlli di
polizia sono frequenti su tutta la rete stradale.
Il sole scompare all’orizzonte,…manca ancora molta strada
prima di arrivare alla capitale: sono le 22.45, ed io, sogno un
posto dove stendere il mio saccopelo; fortunatamente un giovane
vestito all’europea ci accompagna alla Sacra Famiglia dove
un religioso di colore ci offre un posto per la notte.
14 Novembre
Sono le 6.30, ormai da qualche ora mi giro e rigiro nel letto. Il
caldo a questa latitudine si fa sentire anche di primo mattino.
Dopo un’abbondante colazione offerta dai missionari, ci rimettiamo
in marcia verso la missione di Nanoro. Attraversiamo la città,
come Niamey anche Ouagadougou ha un hotel lussuoso, costruito prima
dell’avvento del regime socialista e via via che si va verso
il sud si fa più vistosa la presenza dei condizionamenti
e degli interessi economici del mondo industrializzato
Il villaggio di Nanoro è situato a nord della capitale, per
raggiungerlo occorre percorrere la strada che porta al confine col
vicino Mali. Fino a Boussè è tutto asfalto, poi una
pista nella savana porta fino al piccolo villaggio.
Nonostante i soliti controlli della polizia locale, alle 10.30 arriviamo
a destinazione, ad attenderci troviamo Vittorio, un missionario
che opera da ormai quattro anni in questo Paese.
Dopo i rituali saluti, scarico l’auto e mi faccio una doccia;
mezzogiorno arriva in un baleno e, se Dio vuole, il pranzo di oggi
sarà uno di quelli che non dimenticherò facilmente……
dopo quasi due settimane di scatolette…!
Canoro, come forse ha già detto, è una missione della
sacra famiglia di Torino , i fratelli missionari che lavorano qui
si occupano principalmente di allevamento e coltivazioni dando anche
lavoro a buona parte degli abitanti del piccolo villaggio.
Il pomeriggio scorre velocemente, e dopo aver fatto un meritato
pisolino, convinco Vittorio a farci da guida nella savana alla ricerca
di qualche villaggio incontaminato.
Con la sua Mazda ci addentriamo nella savana sulle piste larghe
poco più di un metro, è un continuo saltellare all’interno
della vettura. Viaggiamo per circa un’ora in direzione nord
fino a quando avviene l’incontro inatteso: un villaggio di
pastori Peul.
Ci fermiamo, sono quasi incantato a simili scenari. Qualche foto,
una stretta di mano al capo tribù ed eccoci di nuovo in marcia
per addentrarci ancor di più nella savana.
E’ una continua gimcana tra gli arbusti rinsecchiti per venti,
trenta chilometri o forse più.
Ai bordi della pista ci sono vastissime piantagioni di cotone e,
di tanto in tanto, appaiono imponenti i baobab.
Ci fermiamo in un altro villaggio costituito da capanne circolari
di argilla col tetto di paglia a forma di cono; a prima vista potrebbero
sembrare dei trulli, ma poi…ci si accorge subito che la gente
…non parla pugliese.
Vecchi silenziosi, bambini che giocano e donne che allattano, sono
tutte scene di vita che sembrano serene ma guardando negli occhi
di questa gente, appare sempre un mondo di sofferenza…un mondo
che non può lasciare insensibile chi, come me, certe verità
le ha toccate con mano.
Prima del calar del sole siamo di nuovo alla missione di Nanoro.
La serata la passo in compagnia di Paolo, un simpatico piemontese
che vive da sedici anni in Africa per lavoro. Con lui si parla dei
problemi che si stanno creando in Burkina Faso dopo la rivoluzione
del 1983.
Sono le 23.30, dopo aver scritto le ultime righe di un’altra
pagina del mio diario di viaggio mi rinchiudo nella zanzariera e
… buonanotte.
15 Novembre
Oggi doveva essere una giornata tranquilla e invece questa imprevedibile
Africa riserva sempre molte sorprese, e a volte anche spiacevoli
come quella di oggi.
Quest’oggi dovevamo solo preoccuparci di prenotare il biglietto
aereo per il ritorno, ma purtroppo mentre Vittorio ci accompagnava
agli uffici della Compagnia Aerea Le Point, siamo stati bloccati
da un militare in borghese che, con tono arrogante, accusava Pietro
di aver filmato una zona militare.
Inutile la discussione ai bordi della strada, l’apparecchiatura
cinematografica doveva essere posta sotto sequestro all’attenzione
della “securitè” locale.
Un duro colpo per Pietro, ma anche per il nostro viaggio che, ormai
vicino alla meta poteva essere fermato solo da un inconveniente
stupido e banale.
Col morale andato a rotoli, ci dirigiamo agli uffici della Compagnia
Aerea, dove anche qui la fortuna ci ha voltato le spalle; oggi è
sabato e gli uffici della città sono chiusi. Ormai è
mezzogiorno, decidiamo di pranzare dai fratelli missionari di Ouaga.
Il pranzo non era dei migliori, ma a dire il vero non era il pranzo
ma la voglia di mangiare non c’era.
Verso le 15.00, come d’accordo con il poliziotto, ci presentiamo
agli uffici della “securitè”. Per più
di due ore rimaniamo senza parole ad attendere quel maledetto “camporeau”
che non arriverà mai a causa dell’arrivo in città
del presidente francese Mitterrand.
Domani è domenica e come ci si poteva immaginare gli uffici
della polizia sono chiusi. Lasciamo il posto di polizia e ci dirigiamo
a Canoro. Durante questo tragitto, di circa novanta chilometri,
si fanno molte ipotesi sul futuro del nostro raid, ma la realtà
è un’altra: fino a quando non avremo il visto d’uscita
dalla capitale burkinabé, non potremo proseguire.
Arriviamo alla missione quando è già buio. Pietro
non ha parole e si rinchiude nella camera senza nemmeno cenare.
Io decido di mangiare qualcosa in compagnia di Vittorio, poi dopo
qualche partita a dama, decido di andare a riposare.
16 Novembre
Mi sveglio alle 8.30, oggi sarà una giornata di riposi, anzi
di attesa.
Sistemiamo i miei panni sporchi nello zaino e approfitto del tempo
disponibile per dare una controllatine alla mia apparecchiatura
fotografica;
la sabbia del deserto potrebbe aver danneggiato gli organi più
delicati delle fotocamere.
Sono le 10.30, non so cosa fare. Passeggio nel grande cortile della
missione per circa mezz’ora, …mi sto annoiando tremendamente
e per fortuna incontro Paolo che tra una barzelletta e l’altra
mi tiene compagnia fino all’ora di pranzo. Dopo pranzo dedico
un po’ di tempo al mio diario di viaggio; fuori il caldo è
davvero insopportabile e l’aria che si respira è sempre
più pesante. Nel Sahara, l’aria era secca e pura; si
vedevano fuochi di bivacchi brillare a due, tre chilometri, qui
la cappa di umidità avvolge le cose e le persone rendendo
la vita molto fiacca. Il Burkina Faso, che in dialetto antico significa
“Paese degli uomini degni”, ha un grande progetto: scrollarsi
di dosso i condizionamenti e l’oppressione delle nazioni potenti
attraverso uno sforzo gigantesco teso all’autonomia economica.
Intanto, sulla strada dell’utopia, questo Paese deve risolvere
problemi come quello del riempire le pance a migliaia di persone
che si affollano in accampamenti improvvisati intorno alla capitale,
attirati dal mito della città e da quello che sembra rappresentare.
Ma i palazzi moderni sorti per incanto, non distribuiscono benessere.
L’anno scorso i contadini del sud hanno avuto una stagione
uccisa dalla siccità e dovranno vivere degli aiuti che vengono
dalle regioni del nord, graziate da piogge benefiche.
Il sole sta tramontando,…e un altro giorno sta finendo in
una trepida attesa dell’indomani che se Dio vorrà,
sarà la fine dei nostri problemi. È ora di cena; attraverso
il cortiletto che collega gli alloggi alla sala da pranzo e aspetto
l’arrivo di Vittorio sfogliando una rivista francese. Rimango
a tavole per molto tempo facendo razzia di ogni genere di cosa:
carne, spaghetti, ananas, banane,…
Sono le 21.30, l’aria sembra essersi rinfrescata grazie al
vento che spira dal deserto; per un po’ rimango in compagnia
di Pietro, poi non resta che andare a dormire, domani la sveglia
suonerà molto presto.
17 Novembre
Sono le 5.30, è ora di alzarsi, se vogliamo riavere la cinepresa
dobbiamo presentarci molto presto alla polizia. Partiamo subito,
Vittorio ci fa da apripista sulla strada in terra battuta che porta
fino a Boussè dove è sito il controllo di polizia
e si deve pagare la tassa di pedaggio per poter approdare alla strada
asfaltata che porta alla capitale.
Alle 7.30 siamo puntuali alla “securitè”, dove
ad attenderci troviamo il soldato “esaltato” che ci
ha sequestrato la cinepresa.
Per poter entrare negli uffici del piano superiore, bisogna superare
i passaporti presso il corpo di guardia. Saliamo le scale seguendo
un poliziotto che, giunto in una stanza, inizia a farci domande
sul funzionamento dell’apparecchio, così per una decina
di minuti poi,…l’attesa.
“Niente da fare, la cinepresa la riavrete solo dopo la partenza
del Presidente francese Mitterrand” esclama il capo. Con rabbia
scendiamo le scale e ci dirigiamo al corpo di guardi per ritirare
i passaporti; qui, un’altra sorpresa contribuisce ad aumentare
la tensione di un viaggio giunto a pochi chilometri dalla meta:
infatti con diffidenza nei nostri confronti, trattengono il passaporto
di Pietro.
Di male in peggio;
io sono molto preoccupato, in questi paesi non si scherza su queste
cose. La mattinata è solo agli inizi e decidiamo così
di andare agli uffici “Le Point” per comprare il biglietto
aereo. Prenotiamo un volo per il 26 novembre diretto a Marsiglia,
poi una volta arrivati in Francia non sarà un problema raggiungere
Milano. Siamo senza soldi e, non potendo cambiare i travellers cheques
a causa della presenza di Mitterrand in questo paese, non ci resta
che farci ospitare dai missionari di colore della Sacra Famiglia.
Pranziamo così, gratis, dai missionari e il pomeriggio è
una continua ricerca di qualcuno che ci possa dare una mano a riavere
la cinepresa e il passaporto. Verso sera, facciamo conoscenza con
un vecchio commissario del precedente regime, il quale promette
che l’indomani mattina verrà con noi alla polizia e
…sistemerà “inconveniente”.
Col morale leggermente risollevato, passo la serata passeggiando
nella via principale di Ouagadougou e, dopo l’ennesima bibita
scolata tutto d’un fiato, decido di andare a riposare. Sarà
una nottata di guerra con le terribili zanzare africane che non
mi daranno un attimo di pace fino al mattino.
18 Novembre
Alle 5.30 suona la campana della missione, un altro giorno inizia
all’insegna della speranza. Pietro dovrà presentarsi
alle 7.00 al commissariato di polizia accompagnato dal vecchio commissario
che, spero, potrà porre fine a questo inconveniente. Mentre
Pietro va alla polizia, decido di andare in banca per il cambio
di travellers cheques .
In città ci sono molte banche, ma solo la principale è
autorizzata al cambio dei travellers cheques; con passo spedito
attraverso mezza città, cammino tra le vie del mercato circondato
da una miriade di bambini, sempre in cerca di un cadeau.
Di tanto in tanto vengo “bloccato” dagli ambulanti che
popolano le vie di questa capitale africana. Mi offrono di tutto:
frutta, maschere, collane, tele dipinte a mano, ….sono troppo
preoccupato per poter dar retta a tutta questa gente e poi, non
ho nemmeno uno spicciolo. Dopo una lunga camminata, giungo alla
banca dove, con una lentezza spaventosa, riesco a cambiare quei
2000 franchi francesi che serviranno per le ultime tappe del viaggio,…..almeno
spero.
Ritorno alla missione, Pietro non è ancora tornato…attendo
con ansia il suo ritorno scrivendo qualche riga sul mio diario.
Finalmente alle 9.30 arriva Pietro, ma della cinepresa nemmeno l’ombra;
Pietro mi guarda con tono “scazzato” e mi dice: “potrò
sbagliarmi, ma Abidjan la vedremo in cartolina.”
Certo che, dopo tutto quello che abbiamo fatto per poter realizzare
questo viaggio, sarebbe un colpo vedere il lavoro di un anno andare
a rotoli. Beviamo una birra offertaci da un missionario di colore,
poi, con Abidjan nelle nostre teste, passeggiamo nella via centrale
degli hotels; approfitto del tempo disponibile per mandare un telex
a Rosalina, che, sempre gentile darà notizie ai miei familiari.
E’ quasi mezzogiorno e la fame inizia a farsi sentire; decidiamo
di pranzare al centro missionario francese gestito dalle suore,
qui si mangia abbastanza bene e il prezzo è veramente basso,
solo 600CFA. Mentre pranziamo facciamo conoscenza di un “
tipo “ di Reggio Emilia, molto simpatico di nome Danello.
Il pomeriggio sarà ancora un’attesa snervante. Cerchiamo
d’ingannare il tempo, divertendoci a barattare gli occhiali
rimasti nel sacco con qualche souvenir del posto.
Ancora una volta ci riveliamo degli ottimi “marocchini”
facendo ottimi affari.
Verso la fine del pomeriggio facciamo conoscenza di Josep, un musicista
reggae venuto dal Ghana per una serie di concerti in Burkina Faso;
grazie a lui, ha avuto occasione di rispolverare il mio vocabolario
di inglese che qui in Africa ho usato ben poco. Ormai è l’ora
di cena, salutiamo Josep dandoci appuntamento a lunedì prossimo.
Pranziamo dalle suore in compagnia di Danello che, allieta la serata
con una serie di barzellette.
Sono le 21.30, la stanchezza inizia a farsi sentire e forse è
giunta l’ora di salutare tutti e di andare a dormire.
19 Novembre
Suona la campana che dà la sveglia ai missionari, sono le
5.30, è ancora buio e sinceramente non ho una gran voglia
di alzarmi, così rimango nel letto a poltrire fino alle 6.30
poi mi alzo e corro a far colazione, altrimenti, rischio di non
trovare più nulla. Pietro è già andato alla
polizia,….speriamo che almeno oggi riuscirà a riavere
la cinepresa.
L’attesa del ritorno di Pietro è snervante e nonostante
la tosse, continuo a fumare come un turco. Questa mattina sono molto
triste, non riesco a togliermi di testa tutta la gente che mi ama
e chi, come loro, mi ha dato fiducia per la realizzazione di questo
progetto che, di questo passo, rischia veramente di andare a vuoto
per un banale inconveniente. La forza e la voglia di continuare
non mancano, manca soltanto un pizzico di fortuna che proprio mentre
scrivo questa frase sul mio diario…arriva….! Arriva
Pietro e con lui arriva anche la cinepresa e il passaporto; finalmente
ritorna anche la cosiddetta ”carica” per poter continuare.
Prima di partire per Abidjan, vogliamo sbrigare le pratiche doganali
che consentiranno di donare la vettura a fratel Vittoria.
Purtroppo, per queste pratiche occorre molto tempo e di conseguenza
la partenza per l’ultimo volo verso la meta verrà rimandata
all’indomani mattina.
Ormai è mezzogiorno, non ho molta fame, ma conviene buttare
qualcosa nello stomaco; nei prossimi giorni non ci sarà molto
tempo per pranzi e cenette.
Il pomeriggio lo passiamo negli uffici doganali; infatti il costume
nazionale richiede molti timbri per qualsiasi formalità,…contenti
loro! E’ ormai sera, sfrutto queste ore libere per poter effettuare
un controllo accurato alla vettura: olio, acqua, pressione dei pneumatici….
Sembra che sia tutto a posto per il gran finale.
Alle 19.30 ceniamo dalle suore, poi, dopo l’ultima sigaretta,
decido di andare a dormire, domani sarà una giornata dura.
20 Novembre
Pietro bussa alla mia porta, sono le 5.00, fuori è ancora
buio pesto, nemmeno il tempo per una colazione e siamo subito in
marcia verso la Costa d’Avorio e la sua foresta tropicale.
E’ molto buio, non vedo nulla, guidare in queste condizioni
è veramente pericoloso ma non c’è soluzione,
il tempo rimasto è ormai ridotto a pochi giorni e se vogliamo
raggiungere Abidjan non dovremo perdere un solo minuto. Dopo il
controllo all’uscita dalla città, Cartizia sembra volare
e, alle 10.00 siamo già a Bobo Diulasso, facciamo il pieno
di benzina e per sicurezza mettiamo anche una decina di litri nella
tanica.
Ci avviciniamo al confine e i controlli di polizia si fanno sempre
più numerosi e più scrupolosi. Ad ogni città
e ad ogni villaggio siamo costretti a soste, a volte brevi a volte
lunghe e noiose. Durante queste soste non mancano i soliti curiosi
che accerchiano l’auto, la guardano e la toccano come fosse
una bella donna, lasciando impronte di mani su tutti i cristalli.
Alle 12.45 siamo al posto di frontiera Burkinabè; le formalità
contrariamente al solito, sono veloci, grazie anche a una monete
di 50 lire donata al doganiere.
Siamo sulla strada che percorre la “terra di nessuno”,
cuscinetto di sicurezza tra le due frontiere. Improvvisamente la
bella strada asfaltata, diventa un’insidiosa pista in terra
battuta dove, le buche profonde sembrano inghiottire la nostra auto.
Anche il posto di frontiera ivoriano viene superato in breve tempo,
e, la Costa d’Avorio è ormai sotto le ruote della nostra
auto. Percorriamo velocemente i 90 chilometri di pista che portano
alla prima città ivoriana: Ferkessedougou. Ricompare l’asfalto
che ci accompagnerà fino alla meta. Maciniamo chilometri
su chilometri e alle 17.30 siamo a Katiola. Le immagini di modernità
della Costa d’Avorio cominciano qui; i palazzi appaiono come
simboli violenti degli interventi venuti dall’esterno. Si
sa, la Costa d’Avorio ha aperto le porte agli “aiuti”
di paesi amici; conclude affari senza sosta con le multinazionali
del mondo e consente lo sfruttamento selvaggio delle risorse naturali,
soprattutto le foreste e il legname che se ne ricava.
Appare il simbolo di un benessere che in realtà è
solo fittizio e gestito soltanto da una classe privilegiata.
Dopo aver rifornito l’auto, lasciamo anche Katiola e ci dirigiamo,
percorrendo una buona strada asfaltata, verso Bouake.
Percorriamo gli ultimi chilometri verso Bouake in un buio impenetrabile,
tanto da non vedere nemmeno l’immensa foresta ai bordi della
carreggiata.
Alle 19.30 siamo alle porte della città; percorriamo la via
centrale alla ricerca di un alloggio dove poter superare la notte.
In questa città il traffico è molto caotico, percorrere
le sue vie significa impegnarsi in una stressante gimcana che sembra
interminabile.
Ogni tanto la fortuna si accorge anche di noi, infatti, mentre percorriamo
una via della periferia a sud della città, notiamo ai bordi
della strada un’insegna indicatrice di una missione italiana.
Raggiungiamo subito la missione dove, un religioso napoletano ci
offre la cena e un alloggio dove poter passare la notte.
21 Novembre
I camion sfrecciano ad alta velocità sulla strada principale
che passa a pochi metri dalla missione.
Vengo svegliato dai continui suoni emessi dai clacson degli automezzi;
sono le ore 5.30 sveglio Pietro e dopo un breve controllo alla vettura,
partiamo alla volta di Abidjan.
Appena lasciata la città di Bouake siamo avvolti da una cappa
di umidità impenetrabile. Man mano ci avviciniamo alla costa,
il clima assume sempre più caratteristiche equatoriali e
le pioggerelle sono molto frequenti; in compenso la frutta abbonda
e, di tanto in tanto mi concedo piacevoli merendine con ananas,
banane e mango.
La strada si mantiene buona e alle 7.30 siamo a Yamoussoukro, la
seconda città ivoriana; percorriamo la via principale e ci
dirigiamo verso l’ormai vicino Golfo di Guinea.
La foresta si fa sempre più rigogliosa e il miracolo ivoriano
si fa sempre più evidente.
Il miracolo ivoriano è condensato in questi dati:
- primo produttore di cacao;
- primo produttore africano di banane;
- una dei più grandi esportatori mondiali di legname pregiato,
olio di palma e ananas.
Ma il prezzo pagato per questo sfruttamento selvaggio delle risorse
naturali è molto alto. La foresta, grande patrimonio nazionale,
è stata distrutta per almeno tre quarti; il disastro ecologico
provoca mutazioni climatiche profonde, giustificate dal bisogno
di sfruttare estensivamente le piantagioni di caffè e cacao,
e dal vantaggio della vendita di legname pregiato sui mercati internazionali.
Ma avranno pensato al rimboscamento?
La seppur bella strada asfaltata, ha lasciato il posto a una lussuosa
autostrada che porta fino alla capitale ivoriana.
Alle 11.00 siamo ad Abidjan, la “ Chicago dell’Africa
“.
Abidjan, la “perla della laguna” secondo i vecchi racconti
popolari e le canzoni moderne, mi viene incontro con uno sfolgorio
di luci ed una sfilata di grattacieli.
Al primo impatto non sembra nemmeno Africa, ma un’isola splendente
che balza fuori d’improvviso dalla foresta e dal mare.
Percorriamo la via principale che porta al centro; la grande metropoli
mi assorbe sempre più e mi accompagna, con una divisa da
festa, verso quartieri del Plateau e verso Cocody dove troneggia
l’hotel Ivoire; ma al di là dei confini delle zone
dello splendore si estende l’Abidjan di tutti i giorni.
Abidjan, una città che nel 1950 aveva 50.000 abitanti e che
nel 1986 ne ha circa 2 milioni, dove il 40% dei residenti vive in
bidonville e solo il 35% può usufruire dell’acqua corrente
e dell’energia elettrica; i quartieri eleganti di Abidjan
fanno vedere la realtà attraverso gli specchi deformati di
una improvvisa opulenza africana; la ricca borghesia di recenti
fortune, sostiene un ruolo da passerella, accentuando differenze
e privilegi sociali tipo prim’ordine del capitalismo europeo.
Quindi una città spaccata in due: da una parte la città
“tradizionale” cresciuta all’ombra dei grattacieli,
dall’altra la città degli accampamenti dei disperati,
delle bidonville miserevoli, della prostituzione e delle ,malattie,
dove chiesette cattoliche costruite con legno e sassi accanto a
moschee in miniatura sembrano richiami di speranza, mentre gli ambulatori
ospedalieri non hanno acqua corrente e per le strade, bande di ragazzini
abbandonati, si trasformano in pericolosa delinquenza organizzata.
Ad Abidjan bisogna abituarsi ai contrasti più violenti.
Allo straniero può sfuggire molto della realtà africana,
ma questa città è un caso a parte, non nasconde segreti,
anzi, si soffre interamente senza misteri al suo visitatore di un
continente amaro che vorrebbe nascondere il suo fascino esterno
tra odio e amore.
La meta è raggiunta, ma il viaggio non è ancora finito.
Ancora più di mille chilometri davanti a noi dove tutto può
succedere e dove, per scaramanzia non voglio anticipare la vittoria.
Il tempo stringe e alle 14.00 lasciamo Abidjan per ritornare verso
Bouake, dove anche questa notte pernotteremo alla missione cattolica
di Fratel Gennaro.
I primi chilometri scorrono veloci, ma in prossimità di Yamoussoukro,
siamo costretti a una sosta per lo scoppio di un pneumatico.
Cambio subito la ruota e riusciamo a metterci in marcia a tempo
di record. Strada facendo ci imbattiamo anche in un violento acquazzone
e, avendo i tergicristalli rotti, dobbiamo proseguire lentamente
e con prudenza.
Arriviamo alla missione alle 17.30, subito corro alla ricerca di
un gommista per riparare almeno una delle ruote forate.
Durante il controllo giornaliero della vettura, noto una perdita
di benzina nella parte alta del serbatoio …Cartizia è
proprio a pezzi, spero non ci tradisca proprio all’ultima
tappa.
La serata passa velocemente in compagnia di alcuni giovani, poi,
dopo cena, non mi resta che coricarmi nel mio sacco a pelo.
22 Novembre
Un’altra “alzataccia” e un’altra partenza
prima del sorgere del sole per affrontare le ultime emozioni di
questo massacrante ma entusiasmante viaggio.
Sono le 5.30 quando accendo il motore dell’ormai esausta “Cartizia”
è molto buio e preferisco guidare con prudenza. In poco più
di tre ore raggiungiamo Ferkessedougou, novanta chilometri di pista
e poi, saremo di nuovo in Burkina Faso, dove “purtroppo”
il nostro viaggio si concluderà.
Ancora una volta siamo costretti ad una sosta forzata a causa di
una foratura,…è la quarta volta che buchiamo in questo
viaggio.
Sostituisco immediatamente la ruota e dopo l’ennesimo controllo
di polizia chi ci ferma più…!
Alle 11.00 siamo al posto di frontiera ivoriano; i controlli sono
veloci e alle 11.45 siamo già alla dogana di Burkinabè.
I militari del Burkina Faso non si smentiscono mai: controllo ai
bagagli, timbri, controllo dei vari numeri di telaio e motore della
vettura….
Perdiamo molto tempo, ma quando il doganiere abbassa la sbarra d’acciaio
che delimita il confine, inizia una galoppata inafferrabile. Ormai
la meta è vicina, a questo punto solo la sfortuna potrà
fermarci. Di tanto in tanto, ci fermiamo in prossimità dei
numerosi “barrage”, dove solitamente, è radunata
la gente del posto. E’ proprio qui, fra questa gente, che
s’impara a guardare, distinguere, verificare quello che si
è letto su una popolazione eterogenea per razze, religioni
e cultura.
Come al solito, ad ogni sosta, i bambini accerchiano la nostra vettura;
le mani sono sempre tante e sempre tese, mentre la parola “cadeau”
risuona ininterrottamente. I bambini ridono sempre, ma i loro occhi
sono pieni di curiosità triste e rassegnata.
Dopo un po’ l’occhio si abitua a simili scenari, ed
è qui, su quest’ultimo tratto di strada, che si avverte
la prima sensazione di un mondo che mancherà. Certo non sono
i luoghi a suscitare questo genere di rimpianti, ma i momenti che
ho vissuto in questa terra.
I chilometri sembrano volare, e quando il sole è appena tramontato,
giungiamo a Ouagadougou; riforniamo la vettura e ci rimettiamo subito
in marcia alla volta di Canoro. Attraversiamo la città per
la via principale e ci dirigiamo sulla buona strada asfaltata che
porta fino a Boussè. Percorrendo questa strada di sera, si
vedono brillare i fuochi dei villaggi nella savana; le botteghe
ai bordi della strada, sono ancora aperte, e ad ogni sosta, i venditori
si precipitano verso di noi per poter racimolare qualche centesimo
di più. Appena dopo Boussè lasciamo l’asfalto
per imboccare la pista in terra rossa che porta alla missione di
Fratel Vittorio. E’ molto buio, e spesso finiamo in buche
molto profonde che potrebbero danneggiare la vettura proprio sulla
dirittura d’arrivo.
Sono le 21.00,all’orizzonte le luci della missione ci fanno
da faro, ormai è finita…Mentre Pietro canta la mia
canzone preferita, mi prende un nodo in gola, sono emozionato; ancora
una curva e…la meta e’ raggiunta e il sogno, il mio
sogno, diventa realtà. Emozione, felicità, abbracci…la
stanchezza scompare come per miracolo, resta solo la realtà
di un grande sogno realizzato, una grande avventura portata a termine
nonostante le grosse difficoltà incontrate, durante la preparazione
e durante il viaggio. Ho ancora addosso la mia tuta da “battaglia”
che ho portato durante tutto il viaggio; vorrei non toglierla quella
polvere, quella sabbia, quelle macchie attaccate ovunque mi fanno
sentire ancora in viaggio, hanno il sapore del deserto, di savana,
di Africa…
La serata è un continuo racconto della nostra avventura poi,
mentre il vento spira dal deserto, passeggio nel cortile della missione
dove i canti locali creano un’atmosfera unica, un’atmosfera
che forse, senza accorgermi, stimola sempre più il mio male
ormai incurabile,…il “mio” mal d’Africa.
Sono le 24.00,mi rigiro e rigiro nel letto, non riesco a prender
sonno, continuo a pensare: il deserto, la sua gente, le piste che
ho percorso, la savana…Non riesco a convincermi che sto vivendo
momenti irripetibili in un paese meraviglioso, un paese dal quale
dovrò uscire come da un sogno, felice di aver sognato…
23 Novembre
Non resta che l’attesa… l’attesa di rientrare
nella routine di ogni giorno.
La mattinata passa lentamente nel cortile della missione di Nanoro.
Scarico completamente la vettura; sono le ultime fatiche del viaggio,
ormai è tutto finito, finito davvero.
Questo è uno dei momenti più tristi di tutto il viaggio;
vorrei continuare , magari verso altre mete, rincorrere nuovi orizzonti,
percorrere nuove piste… ma la realtà è un’altra.
Anche se fra qualche giorno lascerò questa terra, ”dentro”
rimarrà qualcosa di indelebile che mi permetterà di
sognare ad occhi aperti, rendendo difficile l’attesa della
prossima avventura.
Le emozioni però non sono finite, passo infatti il resto
della mattinata parlando con alcuni operai della missione che mi
dimostrano simpatia e amicizia e, quando li lascio per recarmi a
pranzo, non posso non accorgermi di aver vissuto altre emozioni
e altre sensazioni irripetibili.
Pranzo in compagnia di Pietro e di alcuni missionari poi, quando
arriva Paolo, stappo una bottiglia di spumante italiano per brindare
in onore del viaggio. Il pomeriggio è lungo e noioso, non
so cosa fare; oggi ho persino letto alcuni fumetti per ingannare
il tempo.
Alle 15.30 cerco di sintonizzare la radio di Paolo sui canali italiani,
ma anche se in teoria la ricezione dovrebbe essere buona, riesco
a malapena a sentire il campionato di calcio. Certo fa effetto sentire
le voci che ti tengono compagnia tutti i giorni a più di
6000 chilometri di distanza. E’ quasi sera, nonostante la
stagione, il caldo non molla un solo secondo. Decido di sfruttare
questo tempo libero per farmi una doccia, poi, attendo l’ora
di cena scrivendo qualche riga sul mio diario. Solita cena e solita
serata, poi, non resta che chiudersi nella zanzariera a cercare
di dormire.
24 Novembre
Mi sveglio alle 7.00 e, dopo aver fatto colazione, preparo lo zaino
cercando di imballare quei quattro souvenir da portare agli amici.
Purtroppo questa mattina ho avuto un’accesa discussione con
il mio compagno di viaggio.
Abbiamo molti punti di vista in contrasto sui prossimi viaggi ma
fin qui niente di strano o preoccupante. Quello che mi dà
più fastidio è il fatto che Pietro non riconosce gli
aiuti ricevuti dagli amici per realizzare questo viaggio.
Pietro nelle discussioni, ha un brutto vizio; quello di imporre
le propri idee sugli altri usando a volte, anche maniere poco gradevoli
da parte mia. Non ho nessun problema se Pietro si sente tanto sicuro
di sé; meglio per lui…vorrà dire che nel prossimo
viaggio dovrà contare solo sulle sue forze.
…..forse Giorgio Caeran aveva ragione quando diceva che simili
viaggi vanno vissuti in solitaria… del resto se devo essere
sincero sono stato io a coinvolgere Pietro in quest’avventura;
quindi non poso dire altro che …mia culpa.
Dopo aver pranzato, ci mettiamo in marcia per Ouagadougou.
Percorriamo per l’ultima volta le vie in terra battuta di
Nanoro con un pizzico di malinconia. Un ultimo controllo al passaporto
all’uscita del villaggio e ….lascio definitivamente
questo splendido posto. In poco più di due ore siamo nella
capitale e cerchiamo di sistemare le ultime pratiche per poter donare
la vettura;
ma come previsto, ci vorrà buona parte della giornata di
domani per poter ultimare definitivamente i documenti.
Ormai sono le 18.00,cerco di farmi una doccia velocemente alla Sacra
Famiglia, poi, mi reco dalle suore per la cena.
Rivedo Danello e faccio conoscenza di un camionista francese; con
loro ceno e passo poi il resto della serata all’hotel Ran
divertendomi tantissimo.
Alle 23.30 lascio gli amici e mi incammino verso l’alloggio
dei missionari.
Un altro giorno è finito, ormai sono quasi alla fine di questa
splendida avventura.
25 Novembre
E’ l’ultimo giorno, e…mentre il sole splende già
alto nel cielo, decido di alzarmi.
Trascorro parte della mattinata nel caos della dogana e, tra un
ufficio e l’altro, per più di tre ore, sistemo definitivamente
le pratiche necessarie per poter lasciare la gloriosa Cartizia a
Fratel Vittorio.
Sono già le 12.30, ormai il tempo sembra prendersi gioco
di me, le ore passano inesorabilmente, lasciando solo posto ad una
splendida storia.
Passeggiando per la via principale rivedo Josep, il suo berrettino
di lana spicca in lontananza, colorando ulteriormente un’atmosfera
già carica di contrasto.
Con lui cammino per la città, attraverso il mercato facendomi
strada tra migliaia di persone e, di tanto in tanto, mi avvicino
alle bancarelle in cerca di un ultimo souvenir.
Josep non mi molla un secondo ed è sempre pronto a contrattare
per me in caso d’acquisto.
Senza dubbio il mercato è uno degli scenari più caratteristici
dell’Africa: strani gli odori, strani gli oggetti in vendita,
strana la gente…ma tutto splendido.
Come potrò dimenticare simili scenari?
Nemmeno con l’ausilio della mia più fervida fantasia
sarei riuscito ad immaginare simili contrasti!
Ma…non esiste tempo sufficiente alla contemplazione di tanta
bellezza, ed io ne sto facendo parte come timido spettatore.
Come potrò raccontare tanti momenti magici, tante emozioni
provate e sofferte, come descrivere quanto hanno visto i miei occhi?
Non sarà facile, le parole non basteranno e nemmeno le immagini
fotografiche, per belle che siano, non potranno mai trasmettere
ad altri la storia della mia avventura.
L’orologio segna le 18.00 e purtroppo segna anche l’ora
di salutare Josep;…. un’arrivederci forse un’addio,
ma in entrambi i casi non dimenticherò facilmente questo
ragazzo che, slacciandosi il suo braccialetto di cuoio per farmene
dono mi disse: “…I will remenber you, good-bye”.
Con le lacrime agli occhi contraccambio il suo gesto con il mio
berretto rosso e ….una stretta di mano ci divide, forse per
sempre.
M’incammino verso il caseggiato della Sacra Famiglia. Di tanto
in tanto vengo circondato dai soliti venditori ambulanti ma, disponendo
ormai di pochi spiccioli, non posso nemmeno comprarmi una bibita.
Alla missione trovo ad aspettarmi Pietro e Vittorio che mi invitano
a cena dalle suore. Una cena veloce e poi la serata sarà
alimentata da un’interminabile “show” di Danello
all’hotel Ran.
Ancora una volta emerge la simpatia dell’ormai quarantenne
emiliano: barzellette, scherzi,…allietano la serata, rendendo
meno opprimente l’idea della partenza di domani.
Ormai è tardi. Dopo l’ultima barzelletta lascio tutti
e mi reco nella mia stanza alla missione dove, con fatica mi sdraio
nel letto per questa ultima notte africana.
26 Novembre
La sveglia suona, sono le 5.00; nel cortile ci sono già
Vittorio e Danello ad attenderci per accompagnarci all’aeroporto.
Aiutato dia Pietro mi carico sulle spalle lo zaino, scendo per l’ultima
volta le scale della missione di Ouaga e carico lo zaino sul pick-up
di Vittorio.
Un tragitto di tre chilometri per le vie della capitale, mi condurrà
alla “ porta di uscita” del mio viaggio.
E’ buio, in città non c’è anima viva,
eppure, mi pare di sentire la voce della gente, i pianti dei bambini
e….il lamento di quest’Africa che lascerò.
L’auto si ferma, scarico i bagagli e saluto Vittorio che deve
rientrare a Nanoro.
Attendo per circa un’ora i doganieri per il controllo del
bagaglio poi, quando la tenda dello stanzino dove si controllano
i bagagli si apre, saluto anche Danello e con lui anche l’Africa.
Dopo i controlli dei passaporti, attendo in compagnia di Pietro
l’ora d’imbarco che arriva in un battibaleno.
Salgo le scalette dell’aereo, prendo posto nelle prime file;
il tempo sembra essersi fermato. Una fila interminabile di persone
sale a bordo…fra poco si parte.
Le porte si chiudono, il regime del motore si alza sempre di più;
piano piano l’asfalto della pista dell’aeroporto inizia
a scorrere alle mie spalle… sempre più veloce, fino
a quando il bestione si alza in volo… Arrivederci Africa…
Dall’alto osservo la capitale Burkinabè poi, arriva
il fiume Niger e poi, il “mio deserto”, dall’alto
sembra un mare vellutato color ocra. Il deserto è un dio
bizzarro, è docile con chi riesce a dominarlo, spietato con
chi ne finisce in balia per inesperienza o superficialità.
Questo deserto ha preteso ed ha ottenuto un tributo di sacrifici.
Ogni carcassa immobile incontrata ai bordi delle sue piste, ha una
triste storia da raccontare, intorno domina sempre il deserto, vincitore
da sempre; ed è la lotta, forse il senso del “mal d’Africa”,
una lotta contro gli elementi e contro sé stessi, perché
nel deserto si è soli con le proprie ansie, le proprie paure,
tutto il bene ed il male che si ha dentro…….ma la lotta
è stata stupenda.
Nel deserto tutto è stato più difficile: muoversi,
orientarsi, fermarsi, dormire.
Durante il giorno, sotto il sole cocente, il caldo era davvero estremo:
50 gradi all’ombra ed anche di più; le lamiere dell’auto
erano intoccabili mentre le parti in plastica sembravano fondersi.
Soltanto il vento e la velocità, uniti insieme, potevano
portare qualche sollievo. Di notte invece, di colpo arrivava il
freddo pungente che sembrava entrare nelle ossa, un freddo che faceva
rimpiangere, per poche ore, il caldo torrido del giorno prima.
Eppure quando la “voce” del deserto mi ha chiamato,
non ha saputo resistere, e, come altri uomini ho risposto all’appello.
L’ho fatto amandolo o forse odiandolo per quelle sue piste
infide e infinite, per quelle sue dune affascinanti ma tutte così
uguali.
Nel deserto bisogna essere decisi a soffrire, decisi ad affrontare
solitudine, pericoli ed imprevisti. Ma per vincere bisogna osare
oltre i propri limiti, non demordere mai, non darsi mai per vinto,
non perdere mai la speranza. A questo va aggiunta una sfacciata
convinzione di essere un buon organizzatore, ma non per la sterile
soddisfazione di veder andare le cose per il verso giusto, bensì
per quella infinitamente più nobile di realizzare grandi
imprese per sé stessi e per gli altri; di coinvolgere in
avventure incredibili chi ancora di questo mondo conosce forse la
faccia peggiore e, chi certe verità le conosce solo per sentito
dire, per immagini distorte, percepite qua e là sui giornali,
al cinema, alla televisione. Quindi, è una passione sana
che mi ha spinto a questa avventura in terra d’Africa. Dopo
le esperienze vissute in questo raid, non è possibile non
notare la differenza tra un paese ”contaminato” dalla
civiltà e quella terra che chiamano “il continente
nero”.
Mi accorgo che piano piano sto rientrando nei panni del mio io,
sono un uomo del mio tempo, con le mie paure, le mie ansie e i miei
condizionamenti.
Col passare dei minuti i puntini che vedevo dall’alto si fanno
sempre più grandi; diventano case, palazzi, grattacieli…..è
Marsiglia. Alla dogana incontro grossi problemi, forse per il mio
aspetto un po’ trasandato, ma non importa, ormai a certe cose
ho fatto l’abitudine.
Dall’aeroporto alla stazione ferroviaria sono 30 minuti di
viaggio in un lussuoso autobus; poi, dopo qualche ora di attesa,
salgo sul treno che mi condurrà a Milano.
Montecarlo, Ventimiglia, Genova, … Milano.
E’ la fine e sinceramente non riesco a nascondere una certa
amarezza, non riesco ad accettare l’idea che tutto possa finire
così semplicemente. Ho vissuto questo mese ad un ritmo così
frenetico che forse, non riuscirò a dare un taglio netto
a tutto.
I ricordi mi scorrono rapidamente in mente: le carovane, i villaggi
nella savana, il lavoro alla missione, i contrasti di colore.
Sulle fatiche ha prevalso il desiderio di contemplare quei colori,
quel paesaggio, quella gente.
Per molti giorni conserverò gelosamente i ricordi di questa
splendida favola. Ed ora, ripagato da tutte le sofferenze e le fatiche,
il pensiero corre al futuro……quando potrò tornare?
torna all'indice
LE TAPPE
Giorni effettivi di
viaggio |
Data |
Itinerario |
Distanze |
Note varie |
Parziale |
Progressivo |
Sabato 1 nov. 1986 |
Casorezzo
Genova (traghetto Habib) |
_
173
|
_
173 |
Tot km 173 |
Domenica 2 Nov. 1986 |
(Traghetto Habib)
TUNISIA
Tunisi
Tebourba |
_
-
52 |
173
225 |
Tot km 52 |
Lunedė 3 Nov. 1986 |
Tebourba
Tunisi
Kairouan
Gafsa
Tozeur
Nefta |
_
43
47
209
93
33 |
225
268
315
524
617
650 |
Tot. Km 425 |
Martedė 4 Nov. 1986 |
Nefta
Hazoua (frontiera tunisina)
ALGERIA
(frontiera algerina)
El Oued
Touggourt
Ouargla |
_
38
10
84
95
167 |
650
688
698
782
877
1044 |
Tot. Km 394 |
Mercoledė 5 Nov. 1986 |
Ouargla
Ghardaia
El Golea
In Salah |
_
189
274
404 |
1044
1233
1507
1911 |
Tot km 867 di cui 180 di pista |
Giovedė 6 Nov. 1986 |
In Salah
Forte Arak |
_
279 |
1911
2190 |
Tot km 279 tutti di pista |
Venerdė 7 Nov. 1986 |
Forte Arak
Tamanrasset |
_
396 |
2190
2586 |
Tot km 396 di cui 300 di pista. |
Sabato 8 Nov. 1986 |
Tamanrasset
144° km dopo Tamanrasset
|
_
144 |
2586
2730 |
Tot km 144 tutti di pista |
Domenica 9 Nov. 1986 |
144° km dopo Tamanrasset
In Guezzam (frontiera algerina)
NIGER
Assamakka (frontiera nigeriana)
|
_
255
30
|
2730
2985
3015 |
Tot km 285 tutti su pista |
Lunedė 10 Nov. 1986 |
Assamakka
Arlit
Agadez
|
_
210
249 |
3015
3225
3474 |
Tot km 459 di cui 210 di pista |
Martedė 11 Nov. 1986 |
Agadez
Abalak
Tahoua
Babeguicheri
Dabnou
Birnin-konni
|
_
243
170
49
43
34 |
3474
3717
3887
3936
3979
4013 |
Tot km 539 |
Mercoledė 12 Nov. 1986 |
Birnin-konni
Dogondoutchi
Dosso
Birnin-Gaoure
Niamey
|
_
145
137
33
132 |
4013
4158
4295
4328
4460 |
Tot km 447 |
Giovedė 13 Nov. 1986 |
Niamey
Torodi (frontiera nigeriana)
BURKINA
FASO
Kantachari (frontiera burkinabč)
Matiakoali
Fada-Ngourma
Koupela
Zorgo
Ouagadougou |
_
88
42
57
93
92
30
137 |
4460
4548
4590
4647
4740
4832
4862
4999 |
Tot km 569 |
Venerdė 14 Nov. 1986 |
Ouagadougou
Boussč
Nanoro |
_
50
43 |
4999
5049
5092 |
Tot km 93 di cui 43 di pista |
Lunedė 17 Nov. 1986 |
Nanoro
Boussč
Ouagadougou
|
_
43
105 |
5092
5135
5240 |
Tot km 148 di cui 43 di pista |
Giovedė 20 Nov. 1986 |
Ouagadougou
Sabou
Boromo
Pa
Hounde
Bobo-Diulasso
Banfora
Niangoloko (frontiera burkinabč)
COSTA
DAVORIO
Ouangolodougou (frontiera ivoriana)
Ferkessedougou
Tafire
Katiola
Bouake
|
_
86
88
46
31
105
85
159
47
49
45
132
53 |
5240
5326
5414
5460
5491
5596
5681
5840
5887
5936
5981
6113
6166 |
Tot km 926 di cui 96 di pista |
Venerdė 21 Nov. 1986 |
Bouake
Tiebissou
Yamoussoukro
Toumodi
ABIDJAN
Toumodi
Yamoussoukro
Tiebissou
Bouake
|
_
64
42
46
197
210
46
42
64 |
6166
6230
6272
6318
6515
6725
6771
6813
6877 |
Tot km 711 |
Sabato 22 Nov. 1986 |
Bouake
Katiola
Tafire
Ferkessedougou
Ouangolodougou (frontiera ivoriana)
BURKINA
FASO
Niangoloko (frontiera burkinabč)
Banfora
Bobo-Diulasso
Hounde
Pa
Boromo
Sabou
Ouagadougou
Boussč
NANORO |
_
53
132
45
49
47
159
85
105
31
46
88
86
80
43 |
6877
6930
7062
7107
7156
7203
7362
7447
7552
7583
7629
7717
7803
7883
7926 |
Tot km 1049 di cui 139 di pista |
Lunedė 24 Nov. 1986 |
Nanoro
Boussč
OUAGADOUGOU |
_
43
62 |
7926
7969
8031 |
Tot km 105 di cui 43 di pista |
TOT KM PERCORSI: 8031
TOT KM DI PISTA: 1762
GIORNI EFFETTIVI DI VIAGGIO: 19
torna all'indice
FORMALITA’ E INFORMAZIONI
GENERALI
ALGERIA : Ambasciata di Roma tel.
06804141
Ambasciata italiana in Algeria: 13 CHEMIN CHEIKH BACHIR BRAHIMI,
EL BIAR -ALGERI- tel. 783399
Consolato italiano in Algeria: 12 SQARE PORT SAID, ORANO tel. 355193
DOCUMENTI PERSONALI: è necessario il passaporto senza alcun
visto consolare.
Per entrare nel paese è necessario cambiare obbligatoriamente
un ammontare di 1000 Dinari algerini.
Per il campeggio libero è necessario chiedere preventivamente
il permesso alla polizia (obbligatorio nel Sahara).
DOCUMENTI PER IL VEICOLO: occorre stipulare una polizza di assicurazione
presso il posto di frontiera.
MONETA: l’unità monetaria è il dinaro algerino.
Al cambio attuale il dinaro algerino vale circa 320 lire
BENZINA SUPER: 3,00 D.A.
N.B. prima della partenza da Tamanrasset è necessario sbrigare
le
pratiche prima della doganali.
TUNISIA: Ambasciata di Roma tel. 06/8390748
Ambasciata italiana in Tunisia: 3 RUE NASSER - TUNISI tel. 24748636
consolato italiano in Tunisia: 3 RUE DE RUSSIE TUNISI.
DOCUMENTI PERSONALI: occorre il passaporto senza visto consolare.
DOCUMENTI PER IL VEICOLO. Sono sufficienti i documenti italiani.
MONETA: l’unità monetaria è il dinaro tunisino
pari a circa 2300 lire italiane.
BENZINA SUPER:320 millesimi
NIGER: Ambasciata del Niger: RUE DE LONG-CHAMPS
- 154 PARIGI - tel.00-33-14/5048060.
Ambasciata italiana in Niger : vice consolato P.B.10388 Niamey tel.
723291.
DOCUMENTI PERSONALI: è sufficiente il passaporto senza alcun
visto consolare. I turisti sono tenuti a presentarsi alla polizia
all’arrivo in ogni località importante.
Per entrare in Niger è necessario dimostrare di possedere
un corrispettivo di 150.000 Franchi del Niger (circa 660.000 lire).
Inoltre è necessario il pagamento di 1500 CFA al passaggio
dalla frontiera o alla prima città importante ( dal nord
Arlit).
DOCUMENTI PER IL VEICOLO: occorre il permesso internazionale di
condurre e il certificato internazionale per autoveicoli. E’
consigliabile munirsi del carnet de passages en douane. In frontiera
è necessario stipulare una polizza assicurativa RCA.
MONETA: la moneta locale è il Franco del Centrafrica, pari
a circa 4,4 lire.
DISPOSIZIONI SANITARIE. È richiesto il certificato internazionale
di vaccinazione contro la febbre gialla e contro il colera. Raccomandata
è la profilassi antimalarica.
BENZINA SUPER: 285 CFA.
BURKINA FASO : Consolato di Milano tel. 024390193
Consolato di Roma tel. 066799054
Vice consolato italiano in Burkina Faso: Ouagandougou B.P.1455 tel.
33605
DOCUMENTI PERSONALI: occorre il permesso internazionale di condurre
e il certificato internazionale per autoveicoli. L’importazione
di veicoli è libera dietro pagamento di una cauzione.
MONETA: La moneta locale è il Franco del Centrafrica pari
a circa 4,4 lire italiane.
DISPOSIZIONI SANITARIE: richiesto il certificato internazionale
di vaccinazione contro la febbre gialla e contro il colera. Raccomandata
è la profilassi antimalarica.
BENZINA SUPER: 258 CFA
COSTA D’AVORIO: Ambasciata della Costa D’Avorio
a Roma: 06/860565
Consolato onorario a Milano: 02/404384
Ambasciata italiana nella Costa d’Avorio: RUE DE LA CANEBIERE
16 B.P.1905 ABIDJAN tel. 311361.
DOCUMENTI PERSONALI: è sufficiente il passaporto senza alcun
visto consolare.
DOCUMENTI PER IL VEICOLO: occorre il permesso internazionale di
condurre e il carnet de passages en douane.
MONETA: la moneta locale è il Franco del Centrafrica pari
a circa 4,4 lire italiane.
DISPOSIZIONI SANITARIE: richiesto è il certificato internazionale
contro la febbre gialla e contro il colera.
Raccomandata è la profilassi antimalarica.
BENZINA SUPER: (95 ottani) 305 CFA.
torna all'indice
DISPOSIZIONI SANITARIE
Prima di partire per un raid Africano, è necessario
informarsi bene riguardo le norme profilattiche volte a prevenire
le infezioni.
In alcuni paesi Africani è necessario il certificato internazionale
di vaccinazione contro la febbre gialla e contro il colera.
Per queste vaccinazioni è necessario rivolgersi all’ufficio
d’igiene di via Statuto n.5 a Milano.
La validità legale di questi certificati si differenzia a
secondo del tipo di vaccino effettuato. Per il vaccino contro il
colera la validità è di sei mesi a partire dal sesto
giorno dopo l’iniezione del vaccino.
Per quanto riguarda il vaccino contro la febbre gialla, la sua validità
è di dieci anni a partire dal decimo giorno dopo la prima
vaccinazione o dal giorno stesso di una rivaccinazione fatta prima
dello scadere di dieci anni dalla precedente.
Oltre a questi due vaccini obbligatori non bisogna dimenticare le
altre precauzioni sanitarie altrettanto importanti.
Per quanto riguarda la profilassi antimalarica, è necessario
analizzare con cura le zone da attraversare.
Nel mio caso ho ritenuto opportuno effettuare una profilassi a base
di clorochina e metakelfin.
La profilassi antimalarica dovrà essere iniziata una settimana
prima dell’attraversamento delle zone infette e prolungata
fino a sei settimane dopo il rientro. La dose di mantenimento da
me presa in considerazione è la seguente:
clorochina: due compresse al giorno, una volta alla settimana sempre
nello stesso giorno. (lunedì)
metakelfin: una compressa alla settimana sempre nello stesso giorno,
in un giorno diverso da quello di assunzione della clorochina. (giovedì)
Altrettanto importante è il “neotyf”, quest’ultimo
è un vaccino per l’immunizzazione contro la febbre
tifoide.
La dose vaccinante è costituita da nove capsule da ingerire,
suddivise in tre giorni alterni. La sua validità è
di due anni.
Considerato che la sostanza è sensibile agli antibiotici,
sulfamidici e antimalarici, la profilassi antimalarica va effettuata
non prima di una settimana dall’ultima somministrazione di
“neotyf”.
Inoltre anche se può sembrare esagerato, sarebbe opportuno
ricorrere al “globuman”, si tratta di un paio di iniezioni
da 2ml ognuna, efficaci contro l’epatite virale per un arco
di tempo di sei , sette settimane.
Prima della partenza è bene farsi visitare dal dentista;
il Sahara non è certo il luogo ideale per farsi togliere
i denti…
torna all'indice
FARMACIA DI VIAGGIO E PRONTO
SOCCORSO
• un paio di forbici
• laccio emostatico
• una “coperta spaziale” di sopravvivenza
• compresse o bustine di polvere per disinfettare l’acqua:
euclorina, steridiolo a rapida idrolisi oppure micropur.
• amuchina
• bende ,garze sterili e cotone idrofilo
• Retine tubolari
• 20 gr. di mom (polvere antiparassitaria)
• disinfettanti intestinali e antidiarroici (bimixin, bassado,
mexaform)
• disinfettante per uso esterno (mercuro-cromo, acqua ossigenata)
• reintegrante salino (polare)
• aspirina e antinevralgici
• pomate per scottature
• collirio
• un prodotto polivitaminico (enervit)
• autan e spirali fumogene (vulcano)
torna all'indice
LA PREPARAZIONE DELL’AUTOMEZZO
La preparazione dell’automezzo è una
cosa molto importante per chi deve affrontare un viaggio nel Sahara.
Chi ha la fortuna di possedere una Land-Rover o una qualsiasi fuoristrada,
non deve fare un gran lavoro per affrontare le piste.
Per quanto riguarda le normali vetture da turismo e in particolare
“Cartizia”, occorreranno una serie di modifiche molto
importanti prima di affrontare il deserto. La prima modifica effettuata
è stata l’applicazione di una slitta di protezione
sotto la coppa dell’olio e sotto la scatola del cambio. Questa
slitta è stata ricavata da un foglio di lamiera dello spessore
di 1,5 mm opportunamente sagomata e applicata con bulloni ai longheroni
della vettura.
Questo accorgimento permette oltre ad una maggior protezione degli
organi sopraccitati un minor sforzo per il disincaglio della vettura
in caso di insabbiamento.
Un’altra modifica importante ma non effettuata, sarebbe stata
l’applicazione di un filtro dell’aria a bagno d’olio
in sostituzione al normale filtro a cartuccia, il quale potrebbe
essere insufficiente data l’eccessiva polvere presente nell’aria.
Un filtro (quelli in carta sono ottimi) posto tra la pompa della
benzina e il carburante è sufficiente a trattenere le impurità
presenti nel carburante. Questi tre accorgimenti sopracitati sono
essenziali per poter affrontare le piste del Sahara con un minimo
di sicurezza.
Prima della partenza sarà bene effettuare un attento controllo
alle bullonerie degli organi principali della vettura.
Quando si parte per un viaggio come “oltre il Sahara”
si vorrebbe portare ogni pezzo di ricambio e ogni accessorio; purtroppo
il carico disponibile è sempre limitato e l’eccessivo
carico della vettura potrebbe provocare guasti irreparabili. Occorrerà
quindi, fare una scelta molto attenta, nei paesi africani i concessionari
non forniscono certo il meglio del servizio.
Con un po’ di fortuna e un po’ d’impegno, si potrà
reperire il materiale da uno sfasciacarrozze.
I principali pezzi di ricambio portati durante il viaggio sono stati
i seguenti:
-un filo di frizione e filo acceleratore
-un ammortizzatore anteriore e uno posteriore
-una pompa acqua e pompa benzina
-manicotti e tubetti vari
-bulloni, dadi, viti e fascette di vario tipo
-filtro benzina
-serie di lampadine
-due ruote di scorta
-due camere d’aria
-quattro candele
Per il disincaglio della vettura nei casi di insabbiamento, è
necessario disporre di due piastre da sabbia; queste sono ottenibili
da un foglio di lamiera opportunamente sagomato e forato, in modo
da renderle leggere e nello stesso tempo robuste.
Da non dimenticare la pompa a pedale, sulla sabbia molle è
necessario ridurre la pressione dei pneumatici, a volte anche del
60%.
torna all'indice
SCHEDA TECNICA DI “CARTIZIA”
Tipo di auto: RENAULT 12 TS
Motore a 4 cilindri di 1289 cm, cambio a 4 marce.
Potenza max: 62 Cv (DIN) a 5500 giri/m
Velocità max: 150km/h
Peso a vuoto: 915 kg.
Consumo: 10 l ogni 100 km.
Anno di immatricolazione: 1976
torna all'indice
PRIMA DI PARTIRE PER QUESTO RAID, IL TACHIMETRO INDICAVA
116.480 KM.
|