Abbiamo lasciato l’Australia nel 2003 con un gran desiderio:
quello di attraversare il Simpson Desert e viaggiare intorno al
Red Centre.
Per quasi un anno abbiamo lavorato a questo piano e finalmente eccoci
per il quarto anno in procinto di passare le nostre vacanze agostane
nel continente australe; il progetto ha richiesto un’accurata
documentazione e preparazione per le remote località che
abbiamo in mente di attraversare e per esseri pronti ad ogni evenienza,
per il Simpson Desert è meglio essere attrezzati !!
Come sempre mia moglie Lucia è stata al centro delle ricerche
e devo affermare che senza il suo totale appoggio e stimolo probabilmente
non avrei mai affrontato un viaggio così avventuroso. E’
stata lei spesso a spronarmi e a spingermi verso orizzonti lontani,
una preziosa risorsa che non si perde mai d’animo e sprizza
ottimismo, o forse follia ???
Ma seguiamo l’ordine delle cose:
Giovedì 5 agosto, il nostro viaggio inizia a Malpensa dove
ci aspetta un comodo viaggio verso Perth via Dubai con Emirates;
la compagnia che tanti ci hanno decantato come tra le migliori del
mondo in realtà non offre particolari comodità, direi
che il servizio piuttosto è allineato verso il basso per
efficienza e velocità, in ogni modo arriviamo a Perth,
città che fu il traguardo del nostro viaggio del 2002, senza
particolari problemi ed in perfetto orario.
Un taxi ci porta rapidamente in centro, dato che il volo per Alice
Springs è previsto solo per domani; l’hotel è
già prenotato dall’Italia ed il ristorante che abbiamo
apprezzato in passato è solo dietro l’angolo..
Un’ottima cena a base di canguro annaffiato da un buon vino
australiano è solo la prima di una serie di piacevoli e gustose
cenette che ci aspettano per il prossimo mese.
Dopo un meritato riposo che ci permette di recuperare almeno in
parte la differenza di fuso, un taxi rapidamente ci trasferisce
in aeroporto dove un comodo volo Qantas ci attende con destinazione
Alice Springs.
La giornata è serena e sorvolando l’entroterra scopriamo
un deserto ricco di colori, attraversato da migliaia di corsi d’acqua
asciutti che hanno scolpito il territorio con geometrie fantastiche
e colori incredibili; i tanti billabong e laghetti offrono dall’alto
uno spettacolo indimenticabile fatto d’azzurri e verdi incredibili
con forme circolari perfette, quasi disegnate con il compasso; poco
prima di arrivare sorvoliamo quel pezzo d’Australia che sempre
c’è rimasto nel cuore: Uluru e Kata Tjuta fanno capolino
tra le nuvole che incredibilmente sono comparse.
Alice Springs ci attende con la sua atmosfera sonnacchiosa, non
appena sistemati in hotel ci avviamo verso il Mall per una passeggiata,
nell’attesa di decidere il da farsi per la cena.
La cittadina ci è nota, e nulla è cambiato rispetto
alla nostra visita di tre anni fa, la stessa atmosfera rilassata,
gli stessi aborigeni ciondolanti per le vie o abbandonati sui prati
del centro.
Il tramonto è infuocato e vorremmo gustarlo dalla collinetta
che domina la città, ma siamo piuttosto stanchi e rimandiamo
a domani, in auto, la salita all’Anzac Hill.
Ceniamo all’Overlander Steakhouse, scopriremo che le porzioni
sono gigantesche e un piatto d’emù affumicato è
quasi impossibile da finire, anche per due buone forchette come
me e mia moglie !!
Il locale è piacevole, forse un po’ troppo turistico
per i nostri gusti, ma la musica country dal vivo e la simpatia
dei clienti hanno lasciato un buon ricordo; tra l’altro non
sapendo che nella giornata si era disputata una partita di rugby
tra Australia e Nuova Zelanda, ho indossato una maglia degli All
Blacks e sono stato oggetto per tutta la serata degli sfottò
dei tifosi Australiani cha avevano battuto la nazionale avversaria,
il tutto però in forma molto simpatica e cordiale.
Domenica mattina, è arrivato il momento di ritirare il fuoristrada;
si tratta di un bel Toyota Land Cruiser equipaggiato di tenda sul
tetto, e tutto l’occorrente per campeggiare, compreso di serbatoio
d’acqua potabile, frigorifero e fornelli a gas.
Sarà la nostra casa per le prossime settimane e ci permetterà
di visitare luoghi incontaminati, ci muniamo inoltre di una seconda
ruota di scorta e di un compressore d’aria per rigonfiare
i pneumatici, dopo le piste sabbiose.
Il supermercato ci attende: dobbiamo equipaggiarci per i prossimi
dieci giorni e una delle raccomandazioni fondamentali per attraversare
il deserto è quella di avere abbondanza d’acqua, cibo
e carburante; oltre al serbatoio già installato sul fuoristrada
acquistiamo quindi 60 litri d’acqua, cibo in abbondanza, e
una tanica supplementare di gasolio per affrontare eventuali emergenze.
Seconda tappa: il Bottle Shop !! non si deve aver sete, pertanto
facciamo anche il pieno di vini bianchi e rossi, birra e porto australiano
per riscaldare le notti che ci attendono.
All’uscita uno scambio di battute con un altro cliente che
commenta la quantità degli acquisti, gli rispondo che non
posso soffrire la sete in mezzo al deserto, meglio rimanere senza
acqua che senza vino !! il tipo concorda con me…
Un bellissimo tramonto è all’orizzonte e dall’Anzac
Hill lo gustiamo tutto, ancora una volta attacchiamo discorso con
altri spettatori di quest’infuocato cielo e in particolare
con due signore che vantano una lontana discendenza italiana, in
generale noi italiani siamo molto ben accetti e la nostra comunità
numerosa e apprezzata.
Ceniamo, in compagnia di una simpatica ragazza romana conosciuta
nel pomeriggio, da Bojangles un bel locale molto animato con musica
del vivo, ancora una volta un’ottima cena e una bellissima
serata al ritmo del country e del rock.
E' l’ultima notte nella civiltà, domani si parte prima
destinazione: Chambers Pillar.
Appena lasciata Alice Springs e la Stuart Highway abbandoniamo
l’asfalto ed imbocchiamo la prima di una lunga serie di piste
e strade sterrate, innestiamo perciò le quattro ruote motrici
che non staccheremo a lungo. Percorriamo quella che era il vecchio
tracciato della ferrovia, la “Old Ghan Route” pista
che riprenderemo anche in seguito.
La prima sosta è ad Ewaninga Rock Carvings,
un sito archeologico che conserva alcuni petroglifici databili tra
1000 e 5000 anni fa, un facile sentiero permette di avvicinarsi
a questi delicati reperti immersi in una cornice di fiori colorati.
Scopriremo in seguito che tutta la regione ed anche il deserto grazie
alle abbondanti piogge dei mesi precedenti, è coperto da
una incredibile e sgargiante fioritura.
Dopo la breve ma interessante sosta proseguiamo verso la nostra
destinazione odierna; da Maryvale una pista molto corrugata, a volte
sabbiosa e a volte sassosa ci porta fino a Chambers Pillar, i circa
cinquanta chilometri richiedono oltre un’ora e mezzo di guida
e ci permettono di fare il primo assaggio di quello che affronteremo
nei prossimi giorni: una serie di rosse dune sabbiose che però
non presentano particolari difficoltà, anzi sono un piacevole
ed eccitante intermezzo nella lenta pista.
Già da lontano s’intravede quello che per decenni
è stato un fondamentale punto di riferimento per gli esploratori
tra i quali Stuart, il primo europeo che attraversò il continente
da sud a nord, come testimoniano alcune firme sulla roccia.
Il pinnacolo è alto oltre sessanta metri e al tramonto ed
all’alba assume calde colorazioni.
Arriviamo, quando l’area di campeggio è ancora deserta
e piazziamo la tenda per la nostra prima notte.
Nel pomeriggio facciamo una lunga passeggiata intorno al vicino
“Castle Rock” che ha analoghe colorazioni e saliamo
fino alla base del monolito, aiutati da una comoda anche se ripida
scalinata, il tramonto ci porta colorazioni indimenticabili della
roccia e del cielo.
Il campeggio è ben attrezzato, con tavoli e barbecue a gas,
perfettamente funzionanti, tra l’altro il pagamento della
piazzola, qui come in tanti camping che utilizzeremo, è lasciato
all’onestà dei visitatori: ci si registra e si mette
la busta con il denaro in un’apposita cassetta, credo che
per gli australiani sia un dovere civico pagare.
Un’ottima cena a base di costate alla griglia ci rifocilla
dopo la lunga giornata, naturalmente facciamo amicizia con gli altri
campeggiatori; quando cala la notte, dopo qualche bicchiere di vino
e di porto sorseggiato guardando milioni stelle in una notte senza
luna, cala anche la temperatura e ci rintaniamo nella nostra comoda
tenda.
Per essere la prima notte ci adattiamo benissimo e le tre coperte
sotto le quali siamo accoccolati fanno il loro dovere.
Il mattino arriva presto e dopo colazione, una volta richiusa la
tenda, riprendiamo la strada già percorsa fino a Maryvale,
da qui la “Old Ghan Route” ci porta a Finke.
Il primo tratto di pista è abbastanza ben messo e al suo
fianco numerose rovine della vecchia ferrovia ci ricordano quanto
fosse solitaria e avventurosa la vita degli operai e dei ferrovieri;
poi la strada diventa molto corrugata, tra l’altro strani
cartelli stradali indicano una pista laterale ancora più
sconnessa e lenta con ondulazioni distanziate d’alcuni metri
e profonde un metro, questo per chilometri.
Dopo alcuni chilometri d’autentico supplizio torno sulla pista
principale che è corrugatissima ed impone una velocità
costante di almeno 80 km/h per galleggiare sulle ondulazioni.
All’ arrivo a Finke scopriremo che la pista laterale è
utilizzata per
una gara di fuoristrada (auto e moto) che parte da Alice Springs,
ed è appositamente mantenuta con profonde ondulazioni.
Noi da sprovveduti ne abbiamo percorso alcuni chilometri, ma abbiamo
incontrato auto che se la sono fatta tutta!!
Finke è una comunità aborigena e, come la maggior
parte di questi centri abitati, non offre nulla d’attraente,
faccio gasolio nello “store” e proseguiamo alla volta
di Mount Dare.
Mount Dare è l’ultimo punto di rifornimento per chi
vuole attraversare il Simpson Desert ed è
tappa obbligata per noi e per gli altri avventurosi viaggiatori.
Acquistiamo il “ Desert Pass” e siamo simpaticamente
accolti da Melissa e Dave i due gestori del Pub, sono ragazzi simpaticissimi
e innamorati della pace dell’outback; sono inoltre fonte di
preziosissime informazioni.
Ceniamo e crolliamo nel sonno; la tenda è comoda e spaziosa,
l’unico inconveniente è il tempo necessario ogni mattina
per piegarla con cura per poter chiudere la custodia.
Ci piace, però questa vita che ci permette ogni sera di conoscere
nuove persone e scambiare quattro chiacchiere, incontreremo poi
lungo la pista nel deserto e a Birdsville alcune persone conosciute
qui.
Mattino, di buon ora riempiamo i serbatoi e la tanica di carburante
fino all’orlo, ci aspettano 500 chilometri di deserto e abbiamo
provviste per almeno 10 giorni.
Una facile pista ci conduce fino a Dalhousie Springs,
una sorgente d’acqua termale che forma un bellissimo laghetto
tiepido.
Ne approfittiamo per un tuffo e una passeggiata intorno alle sue
rive popolate di una ricca fauna d’uccelli; la ricchezza d’acqua
ha anche favorito una rigogliosa vegetazione. Prima di arrivare
alle sorgenti percorriamo una strada immersa in un paesaggio lunare:
le incrostazioni saline hanno lasciato una coltre bianca per molti
chilometri.
Dopo uno spuntino affrontiamo l’inizio della “French
Line“ la pista diretta che attraversa il Simpson Desert da
Ovest ad Est.
Questa pista fu tracciata dai ricercatori di petrolio francesi negli
anni sessanta e da allora è priva di manutenzione, è
la rotta più diretta per Birdsville, ma è anche considerata
la più difficile in quanto attraversa perpendicolarmente
circa 1200 dune di sabbia, alcune delle quali davvero imponenti.
La prima parte fino a Purni Bore è
abbastanza semplice, le dune non sono così impegnative, anche
se piuttosto lenta a causa delle profonde corrugazioni, percorriamo
i circa 70 km in circa due ore guidando in tutta rilassatezza.
Facciamo anche il primo incontro con due dromedari selvatici che
tranquilli camminano in mezzo al sentiero; l’apparizione è
così improvvisa, scendendo da una duna, che solo il grido
di Lucia ci salva da un tamponamento fuori programma.
Chi pensa al deserto immagina subito un’immensa distesa
di sabbia, quello Australiano ed il Simpson in particolare, però
è diverso, le dune (distanti tra loro da poche centinaia
di metri fino ad un chilometro circa) sono coperte da cespugli di
spinifex e tra esse cresce anche qualche alberello. Noi siamo stati
molto fortunati, le piogge dei mesi precedenti hanno favorito un’eccezionale
fioritura e molte dune sono letteralmente coperte di fiori gialli,
bianchi e azzurri, una vista bellissima.
Arrivati a Purni Bore (cercando il petrolio i francesi hanno invece
raggiunto con i sondaggi una falda d’acqua che sgorga abbondante
a 80 gradi) ci accampiamo sulle rive dello stagno.
Oggi il flusso d’acqua è regolamentato, ma fino a pochi
anni fa era libero ed ha creato uno stagno ricco di vegetazione
e vita animale.
Veniamo presto raggiunti da circa 10 motociclisti che con due auto
di scorta attraversano il deserto, il tempo di qualche battuta e
poi proseguono, li rincontreremo a Birdsville e scopriremo che si
rifaranno la pista anche in direzione opposta.
Apro una parentesi: le dune corrono da nord a sud e a causa dei
venti prevalenti hanno un approccio più facile percorrendo
la pista da ovest verso est, mentre nella direzione opposta sono
molto più ripide e difficili.
Rimaniamo soli nel deserto, nessuno all’orizzonte e ci prepariamo
per la notte piazzando la tenda e raccogliendo legna per un fuoco
serale.
Attendiamo il tramonto in solitudine sorseggiando due fresche birre
sulle rive dello stagno guardando la moltitudine d’uccelli
che si avvicina per abbeverarsi, numerose impronte d’animali
ci dimostrano la quantità di vita intorno a quest’oasi.
E’ una sensazione bellissima: siamo completamente soli, noi
due in mezzo al nulla, il villaggio più vicino ad alcune
centinaia di chilometri, un silenzio irreale rotto solo dal canto
degli uccelli e dalle fronde mosse dal vento, ci sentiamo, però
sicuri, questa è la sensazione che ci accompagna ormai da
anni nelle nostre vacanze australiane, siamo soli, ma sappiamo che
possiamo contare sulla solidarietà del primo passante magari
domani o dopo ma nessuno si tirerà mai indietro dal darci
una mano, la solidarietà è una parola d’ordine
a centinaia di chilometri dalla civiltà.
Passiamo la serata davanti al fuoco, con una cena succulenta e dell’ottimo
vino australiano.
La Via Lattea è incredibilmente luminosa in questa notte
buia priva di qualsiasi luce di fondo, mai viste tante stelle in
cielo !!
La notte passa veloce, cullati dal canto degli uccelli e dall’ululare
di un dingo lontano, fino all’alba che ci coglie all’improvviso
con una frizzante aria mattutina.
Ci aspetta una giornata impegnativa, la vera avventura inizia qui
ed imponenti dune si vedono all’orizzonte.
E’ necessario abbassare la pressione dei pneumatici per migliorare
il galleggiamento ed affrontare la sabbia del deserto.
La pista è davvero appena segnata e seguiamo le tracce delle
auto che ci hanno preceduto; non è fatta manutenzione da
anni e si sente, continui sobbalzi ci costringono ad un’andatura
lenta, anche se per superare le dune più alte è necessario
prendere la rincorsa, a causa dell’elevato peso della macchina
e della ridotta potenza (per salire sulle dune occorre combinare
coppia, velocità e galleggiamento); dopo vari tentativi scopro
che la marcia più adatta è la seconda o la prima,
l’uso delle ridotte non è necessario, anzi è
più d’ostacolo che di beneficio, perché non
permette di raggiungere le velocità adatte al superamento
delle soffici dune sabbiose.
A mano a mano che si prosegue le dune si fanno sempre più
alte e difficoltose ed in un paio di casi è necessario più
di un tentativo per superarle.
Tutto prosegue bene, a parte un preoccupante odore di frizione che
ad un certo punto si avverte, un brivido mi assale: non sarebbe
il massimo rimanere senza frizione in mezzo al deserto, aumento
la cautela nella guida e cerco di cambiare il meno possibile, per
sicurezza abbasso ancora la pressione delle gomme, sembra che funzioni
e ci sentiamo più rilassati.
Alla sosta per il pranzo all’altezza di Colson Track
Junction, una sgradita sorpresa: un paio di bottiglie di
birra a causa degli sbattimenti continui si sono aperte e abbiamo
il frigorifero con tre dita di liquido sul fondo.
Ci mettiamo a fare pulizia (sommaria lo ammetto) in mezzo al deserto;
per i prossimi giorni mangeremo carne insaporita alla birra, non
male comunque.
A parte questo piccolo inconveniente il viaggio prosegue anche se
lentamente; poco prima del tramonto ci accampiamo a poca distanza
dalla pista su una duna che sovrasta un lago salato asciutto, nei
pressi degli Approdinna Attora Knolls, che quando
piove nella stagione del wet si trasforma in un acquitrino impossibile
da superare, si vedono infatti profonde tracce nel fango seccato
dal sole, di chi si è avventurato fuori pista quando il terreno
era ancora intriso d’acqua.
Tutto intorno, una distesa di sali che imbiancano il panorama.
Raccogliamo la legna per il fuoco e ci prepariamo per la notte;
siamo davvero stanchi, in quasi otto ore di guida abbiamo percorso
meno di centocinquanta chilometri, ma abbiamo visto dei paesaggi
straordinari, in tutta la giornata abbiamo incontrato solo due auto
che arrivavano in senso opposto e poi la totale solitudine.
Se non fosse per il fuoristrada che non mi soddisfa appieno (a mio
avviso è poco potente per il peso e le dimensioni, inoltre
i guidatori precedenti non hanno avuto certo cura nel guidarla e
la frizione ne ha pagato le conseguenze) tutto sarebbe perfetto.
Ancora una cena davanti al falò, sotto un cielo pieno di
stelle con un sottofondo di canti d’uccelli, circondati da
fiori colorati, siamo soli in mezzo alla natura ed è indimenticabile.
Al mattino presto riprendiamo la strada destinazione Poeppel
Corner, il punto d’incontro di tre stati: Queensland,
Northern Territory e South Australia.
Un cippo segnala questa curiosità geografica e dopo le foto
ricordo dirigiamo l’auto verso nord costeggiando il fondo
di un lago salato asciutto; in lontananza il vento solleva nuvole
di polvere bianca e sale, un paesaggio quasi lunare.
Raggiungiamo la Qaa line e voltiamo ancora verso Est. circa cento
chilometri ci separano dalla più alta duna che dovremo affrontare:
la Big Red, quaranta
metri di rossa sabbia.
Viaggiamo ancora solitari, le dune sono altrettanto alte e difficili
come le precedenti ma ormai ci abbiamo fatto la mano e le superiamo
senza particolari problemi, a parte l’incontro con l’unica
auto della giornata che avviene sulla sommità di una duna,
dopo alcune manovre che hanno il risultato di farci quasi insabbiare
riusciamo a destreggiarci ed a proseguire.
Arriviamo alla Big Red nel tardo pomeriggio, siamo in dubbio se
affrontare l’ultimo ostacolo subito o accamparci e rimandare
il tutto a domani mattina.
Milioni di mosche ci convincono a non rimandare la scalata.
Alla base della montagna di sabbia troviamo due fuoristrada
comparsi dal nulla che come noi sono in procinto di affrontare il
mostro rosso, la prima è un Payero con un potente motore
a benzina e gomme da sabbia, in pochi istanti è sulla cresta
e vediamo il guidatore esultare; io mi consulto con l’altro
guidatore che come me ha un diesel pesante e poco potente, abbassiamo
ancora la pressione ed affondiamo la salita seguendo le tracce nella
direzione più diretta lasciate del fuoristrada appena salito.
Entrambi ci fermiamo a metà della duna con la sabbia a metà
delle gomme; retromarcia e si riprova con una pista più diagonale,
esultando ci ritroviamo in cima alla rossa duna, dall’alto
sembra ancora più alta, ce l’abbiamo fatta !!! il deserto
è alle nostre spalle e lo ammiriamo dall’alto.
Scendiamo dalla montagna di sabbia e ci avviamo verso Birdsville
che ormai è a meno di quaranta chilometri; ma prima occorre
rigonfiare almeno un po’ le gomme dovendo viaggiare su una
pista pietrosa, ci mettiamo a lato e non appena transita un automobilista
che mi vede trafficare con il cofano aperto, si ferma per chiedere
se abbiamo bisogno d’aiuto, questa è solidarietà,
solo dopo le nostre rassicurazioni prosegue.
Arriviamo a Birdsville felici per l’impresa e al famoso Birdsville
Hotel immancabilmente compreremo l’adesivo “ I crossed
the Simspon to Birdsville” a ricordo della nostra impresa.
Il campeggio è lungo il fiume e piazzata la tenda ci avviamo
al vicino hotel dove incontriamo alcune persone viste a Mount Dare
stupite nel rivederci e più tardi i motociclisti che si preparano
per il ritorno del giorno dopo.
L’atmosfera è cordiale, quasi da vecchi amici accomunati
dalla stessa voglia d’avventura, poi noi veniamo quasi festeggiati,
non è comune che due “turisti” soli, con un fuoristrada
a noleggio, affrontino quest’impegnativa attraversata.
Infatti, a parte noi, solo carovane d’attrezzati fuoristradisti
australiani affrontano quest’impegnativa traversata.
Dopo cena una visita al pub per terminare la serata con un brindisi
insieme ai nuovi amici; il bar è pittoresco pieno di personaggi
che hanno trascorso la vita in mezzo al nulla, tra lontane fattorie
e allevamenti di bestiame, sono tutti molto cordiali però
e non tardiamo a fare nuove conoscenze.
La stanchezza però ha il sopravvento e una volta in tenda
crolliamo sfiniti.
Riprendiamo la strada il mattino dopo una buona colazione, ed una
sorpresa: la Birdsville Bakery ci accoglie con un profumo di pane
fragrante e facciamo il pieno anche di un pandolce ripieno d’uvetta
che emana un profumo irresistibile.
Un veloce giro per la cittadina (100 abitanti, a parte durante il
periodo del “Birdsville race” quando il paese si popola
di migliaia di visitatori) ci fa scoprire alcuni cippi a memoria
degli esploratori che a dorso di dromedario hanno affrontato l’attraversata
del deserto negli anni 30 e 40.
Imbocchiamo la “ Birdsville Track” quasi 600 chilometri
fino a Marree in mezzo al nulla, la distanza tra
Milano e Roma su una pista sterrata e corrugata, tra le dune del
Simpson Desert alla destra e le pietre dello Stony
Desert alla sinistra; a parte il paesaggio incontaminato.
nulla di particolarmente attraente, l’unico diversivo è
controllare la distanza tra l’inizio e la fine delle proprietà
che attraversiamo, spesso i confini sono ad oltre 60 km tra loro,
non male come allevamenti!
Arrivati a Marree e piazzata la tenda ceniamo al vicino Marree Hotel
come nel nostro primo viaggio nel 2001.
Ottima cena ed atmosfera cordiale con alcune persone incontrate
la sera prima a Birsdsville, e poi a letto, in genere è facilissimo
fare conoscenze nuove, gli australiani sono veramente cordiali e
facili alla battuta, basta solo qualche frase, ed una volta rotto
il ghiaccio, la conversazione è immediata, molti si stupiscono
dei nostri viaggi e di quanta Australia abbiamo visitato, spesso
ci ritroviamo a spiegare ai locali le piste da percorrere e a descrivere
i luoghi più interessanti.
Facciamo amicizia con una coppia di simpaticissimi pensionati della
Tasmania che a bordo del loro piccolo camper si godono il buon clima
del centro Australia, li incontreremo ancora diverse volte sulle
strade nei prossimi giorni e sempre ci lasceremo con saluti e battute.
Marree una volta era un importante centro commerciale per il bestiame
della regione, poi con la chiusura della ferrovia, la cittadina
si è spopolata ed oggi è davvero una piccola comunità.
Dopo i rifornimenti riprendiamo la guida verso nord lungo l’Oodnadatta
Track, avevamo già percorso questa pista anni fa,
oggi decidiamo di prendercela molto comoda e visitare i tanti insediamenti
e reperti della ferrovia che si trovano a poca distanza dalla strada.
Molti serbatoi in rovina e stazioni semidiroccate ricordano l’epopea
della ferrovia, una linea molto sfortunata con i binari che spesso
erano interrotti dalla pioggia che nella stagione umida cade copiosa.
Da lontano inoltre si può osservare il Lake Eyre,
il più esteso lago salato del continente, talmente grande
che i primi esploratori lo ritenevano un mare interno.
Il lago è lontano, a causa della prolungata siccità
ed è circondato da una spessa crosta salina, ci ripromettiamo
di raggiungere le sue rive domani, obiettivo odierno William
Creek, lungo il percorso alcune interessanti soste: la
prima Mutonia Sculpture Park, una strana raccolta
di pezzi d’auto e camion nonché di due aerei appoggiati
sulle code inoltre un serbatoio d’acqua trasformato in un
animale e un mulino a vento che rappresenta un gran fiore, una stranissima
raccolta d’arte.
Poi la vista del lago salato da lontano e delle sue rive incrostate
di sale; proseguendo arriviamo a Curdimurka Siding,
una vecchia stazione che è stata totalmente restaurata, unica
nel suo genere, dato che tutte le altre sono praticamente diroccate,
interessante vedere come alcuni privati si siano dati da fare per
mantenere vivo questo ricordo del passato.
Pochi chilometri più avanti e giungiamo a Mound Springs,
una serie di sorgenti termali che con i loro depositi salini hanno
creato un paesaggio unico, quasi lunare, le sorgenti hanno colori
brillanti e una ricca vegetazione, la crosta di sale ha lasciato
una serie di colori indescrivibili e odori d’anidride solforosa
che aleggiano nell’aria.
Proseguiamo alla volta di Coward Springs, un’altra
vecchia stazione della ferrovia che passata in mano ad una famiglia
d’appassionati è stata totalmente e amorevolmente restaurata.
Una sorgente termale è a disposizione dei passanti e l’acqua
corrente ha creato un insediamento ricco di vegetazione e vita animale.
Più avanti Baresford e Stangways
ricordano con le loro rovine i vecchi insediamenti.
Arriviamo a William Creek e una volta sistemati in campeggio facciamo
quattro passi tra milioni, o forse miliardi, di mosche che come
sempre scompariranno al tramonto; per il momento sono davvero noiose
e ci rintaniamo nel pub per sfuggire ai loro attacchi.
Il pub è ancora come lo ricordavamo, coperto dei biglietti
da visita e souvenir dei passanti, scambiamo qualche battuta con
i proprietari e arrivata l’ora di cena ritorniamo al campeggio
per rifocillarci e prepararci per la notte.
La vita si svolge intorno al pub ed alla pista d’atterraggio,
in tutto meno di venti abitanti sopravvivono alla solitudine e agli
insetti a centinaia di chilometri dalla cittadina più vicina
che è Coober Pedy.
Nei pressi c’è Anna Creek Station,
24.000 km quadrati il più grande allevamento di bovini allo
stato brado del mondo, oltre 16.000 animali la popolano, ci vogliono
ore per attraversarla.
Notte una volta tanto piovosa e il mattino ci accoglie con grigi
colori. Richiusa la tenda, torniamo sui nostri passi verso Lake
Eyre, giungiamo a Halligan Bay, il punto più
basso del continente, 15 metri sotto il livello del mare.
Il paesaggio è quasi spettrale con colori sbiaditi, forse
anche a causa del grigio cielo, ma è davvero fantastico,
solitario con il lago che biancheggia a chilometri di distanza e
una ricca colonia d’uccelli che nidificano tra le dune, un
posto indimenticabile nella sua desolazione; anche questa strada,
oltre 50 chilometri separano questo luogo dall’Oodnadatta
Track, è ricca di paesaggi e colline talvolta multicolori
talvolta formate da rocce laviche nerastre, ma sempre coperte di
fiori colorati, una vista davvero straordinaria.
Proseguiamo alla volta di Oodnadatta su una pista più corrugata
che mai, sono oltre duecento chilometri di strada con ondulazioni
alte qualche centimetro e distanti alcuni decimetri tra loro, è
come guidare sopra un tetto ondulato e occorre mantenere una velocità
costante abbastanza elevata per evitare che la mascella sbatta troppo
violentemente contro la mandibola con effetti devastanti per la
dentatura !!
Anche su questo tratto di pista troviamo numerosi ricordi della
vecchia ferrovia, in particolare degno di nota Algebuckina
Bridge, un bellissimo esempio d’ingegneria ferroviaria
dei primi decenni del secolo.
Ad Oodnadatta per prima cosa ci fermiamo alla famosa Pink Roadhouse,
una nota di colore in mezzo al nulla, occorre rendere merito ai
proprietari che si adoperano a fornire informazioni ai turisti e
a collocare cartelli informativi e segnaletici su tutte le piste
per centinaia di chilometri di raggio, abbiamo trovato le loro indicazioni
in pieno deserto, davvero un impegno notevole.
La roadhouse è un centro d’informazioni e Adam e Linnie
la coppia proprietaria del locale si adopera, davvero con dedizione,
a fornire tante utili informazioni ai passanti.
Il campeggio è polveroso e piuttosto misero, d’altra
parte siamo in mezzo al nulla e comunque troviamo tanta disponibilità
e simpatia.
Una breve passeggiata alla scoperta del paesino ci porta alla vecchia
stazione trasformata con passione in museo e alle costruzioni dedicate
ai servizi pubblici.
Per essere una località così sperduta troviamo polizia,
un piccolo ospedale e la scuola.
In passato Oodnadatta era un importantissimo centro commerciale,
con la chiusura della ferrovia da anni è caduto nell’oblio,
solo l’attività dei gestori della roadhouse mantiene
alto l’interesse per la località.
Dopo una notte ventosa e fredda, il mattino ci dirigiamo verso
ovest alla volta del Painted Desert, salutiamo
i pensionati della Tasmania che ci cedono strada, dato che il loro
piccolo camper viaggia lentamente sulla pista corrugata.
Il Deserto dipinto è davvero spettacolare, le formazioni
sono multicolori e le gole offrono scorci affascinanti, all’arrivo
incontriamo una coppia che sentendo la musica country australiana
dalla nostra radio ci rivolge subito qualche battuta che prontamente
ricambiamo; scopriamo che si tratta di una coppia di botanici arrivati
da Melbourne alla ricerca di fiori del deserto.
Li indirizzeremo verso Purni Bore, dove gli raccontiamo, abbiamo
visto un’incredibile fioritura.
Il tempo però non è dei migliori e non ci permette
di godere fino in fondo dell’incredibile paesaggio; torniamo
sui nostri passi verso Oodnadatta, dove riforniamo serbatoi e ci
rifocilliamo prima di proseguire il nostro viaggio verso nord.
Abbiamo deciso di passare la notte a Dalhousie Spings,
ai confini del Simpson Desert e di chiudere così il cerchio
intorno al deserto.
La pista fino a Hamilton Station è sempre
lenta e corrugata, poi peggiora ancora, diventa sassosa e sconnessa,
il fondo stradale è formato da sassi grossi come pugni che
rendono la guida faticosa e impegnativa e le nostre schiene ne risentono!
Anche su questo tratto di strada numerose vestigia del passato fanno
buona mostra di se, in particolare ricordiamo Perdirka,
una vecchia stazione, e le rovine di Dalhousie,
un insediamento d’inizio secolo ai confini del deserto, la
cui particolarità è data dalle numerose palme che
crescono nei dintorni, alberi di sicuro piantati dai cammellieri
afgani che vivevano nella zona e attraversavano questi remoti territori
con le loro navi del deserto, unico mezzo di trasporto tra Oodnadatta
dove finiva la ferrovia, ed Alice Springs.
Dopo la visita alle rovine arriviamo alle sorgenti termali di Dalhousie
Springs e appena sistemata la tenda nel bellissimo e affollato (troppo
per noi che ci siamo abituati alla solitudine) campeggio ci tuffiamo
nelle tiepide ed invitanti acque della pozza termale, una vera goduria
essere immersi in questo tepore mentre l’aria diventa frizzante.
Tornando verso l’accampamento vediamo un dingo che si aggira
circospetto vicino alle tende, attirato probabilmente dal profumo
di carne alla griglia cucinata da molti viaggiatori in procinto
di attraversare il deserto il mattino seguente.
Poi una piacevole sorpresa, i due botanici sono arrivati ed hanno
piazzato la tenda di fianco al nostro fuoristrada, dopo cena passeremo
una piacevole serata intorno al loro fuoco, scambiandoci bicchieri
di porto e biscotti fatti in casa da loro.
Ci ha fatto molto piacere vedere che hanno seguito i nostri consigli,
due italiani che spiegano ai locali dove andare !!
Il mattino arriva in fretta e prima di muoverci un tuffo è
d’obbligo, è troppo piacevole per non approfittarne
ancora.
Salutati i botanici, ci dirigiamo verso Mount Dare, salutiamo i
gestori che ci accolgono con simpatia, raccontiamo le nostre avventure
nel deserto e dividiamo con loro le nostre emozioni, sembrano davvero
contenti nel rivederci.
Dopo una birra gelata, via verso Finke dove transitiamo senza fermarci,
vista la scarsa attrattiva della località.
Imbocchiamo la pista verso Kulgera con l’intenzione
di fare una deviazione verso il centro geografico del continente,
una bellissima pista sabbiosa tra fiori multicolori ci conduce al
Lambert Centre of Australia, un luogo davvero fuori
mano ma incantevole, dove una replica dell’asta portabandiera
del parlamento di Camberra segna il punto baricentrico del paese;
se non fosse tarda mattina ci vorremmo fermare per la notte, ma
poi decidiamo di tornare sulle nostre tracce verso la destinazione
in precedenza designata.
Scopriremo poi che ben pochi Australiani conoscono questo luogo
e che a quasi tutti abbiamo dovuto spiegare sia la strada sia la
storia della località.
Arrivati a Kulgera decidiamo una volta tanto di dormire tra le quattro
mura di un motel per poterci finalmente godere di un letto vero
e di una doccia privata.
Approfittando della comodità del luogo controllo a fondo
le condizioni della macchina e scopro che i bulloni che fissano
la tenda ai supporti sono allentati, probabilmente a causa dei tanti
chilometri di scossoni e vibrazioni; tra le poche chiavi in dotazione
all’auto manca quella della misura dei bulloni e allora mi
rivolgo a due operai che occupano il cottage di fianco al nostro
per chiedere in prestito gli attrezzi.
Non solo me li hanno dati, ma hanno provveduto ad aiutarmi o meglio
a fare il lavoro per me! Alla fine ho dovuto insistere per poter
offrire una birra ed ai miei ringraziamenti la risposta è
stata bellissima ed indimenticabile: “Aiutare gli altri è
come aiutare se stessi, oggi offro il mio aiuto a te, domani spero
che se avrò bisogno qualcuno mi darà una mano”
questa è la filosofia di questo popolo sempre disponibile.
Il mattino successivo proseguiamo alla volta d’Uluru,
invece di dirigerci verso nord sulla strada asfaltata, ci dirigiamo
per alcuni chilometri verso il confine tra Northern Territory e
South Australia, per imboccare la Mulga Park Road,
una pista che ci condurrà fino a Mount Conner per riprendere
la Lasseter Hwy verso la nostra meta finale.
Questa pista è bellissima con orizzonti incantevoli e paesaggi
incontaminati, la totale assenza di traffico, incontriamo, infatti,
solo due macchine in oltre duecento chilometri di strada, permette
agli animali di vivere indisturbati, incontriamo, infatti, famiglie
di canguri rossi in mezzo alla pista, emù e cavalli selvatici,
il tutto tra fiori multicolori e profumi intensi d’erbe aromatiche.
Dalla strada si vede in lontananza Mount Conner, una mesa che s’incontra
prima di arrivare alla famosa Uluru, appare imponente, vorremmo
raggiungerla, ma non esistono sentieri o piste aperte al pubblico
pertanto siamo costretti a proseguire nostro malgrado.
Una rapida sosta a Curtin Spring Roadhouse prima
di arrivare a Yulara, dove abbiamo deciso di concederci
qualche notte di comodità affittando un piccolo appartamento.
Eravamo già stati ad Uluru e KataTjuta nel 2001 ma ci torniamo
per goderci meglio e con più calma questi luoghi magici.
Sistemati nel nostro miniappartamento decidiamo di prenderci qualche
ora di relax ai bordi della piscina del resort.
Abbandoniamo dopo pochi minuti: l’acqua della piscina è
gelata e delle minuscole zanzare o forse sandflies tormentano le
nostre gambe; decidiamo perciò di andare verso Uluru per
goderci il magico tramonto.
Parcheggiamo il fuoristrada e ci accomodiamo sulle nostre poltroncine
nell’attesa del rito del sole che illumina il monolito che
cambia di colore continuamente.
Gustandoci un bicchiere di chardonnay con salatini e formaggio assistiamo
a questo spettacolo della natura, è indimenticabile ed indescrivibile
quello che accade, i caldi colori del tramonto si susseguono, ai
rossi seguono gli arancioni ed i viola, le macchine fotografiche
scattano a mitraglia, siamo tutti uniti in questo rito serale.
Ceniamo nella nostra casetta e ci prepariamo per domani, ripetiamo
il rito della passeggiata intorno al rosso monolito, per prima cosa
torniamo verso la spaccatura della montagna, il Mutitjulu Walk che
conduce ad una pozza d’acqua perenne dove gli antichi abitanti
del luogo erano certi di trovare il prezioso liquido anche in piena
stagione secca.
Il cuore che la natura ha scolpito sulla montagna è lì
come quattro anni fa e dall’alto domina la stretta gola, lungo
il sentiero che conduce alla pozza numerose incisioni rupestri aborigene
ricordano come la zona fosse e sia tuttora un importante e sacro
luogo per la comunità aborigena.
Riprendiamo il nostro giro intorno al monolito che offre scorci
sempre nuovi; siamo molto osservanti delle tradizioni locali e non
approviamo la scalata alla montagna ed inoltre rispettiamo i tanti
luoghi sacri che circondano il monolito; esistono, infatti, aree
sacre sia agli uomini sia alle donne aborigene, dove è vietato
sia l’ingresso sia lo scattare delle foto, non ci pesa per
nulla rispettare le tradizioni e ci godiamo totalmente sia il paesaggio
sia la moltitudine di fiori e d’uccelli che vivono tra gli
alberi alla base della roccia.
Oltre 10 chilometri percorsi a piedi intorno ad Uluru sembrano brevi
tanta è l’energia che captiamo nella zona, un luogo
davvero speciale che nonostante sia un’importante meta turistica
noi ci sentiamo davvero soli al cospetto della natura.
Terminata la passeggiata, il Visitor Centre ci attende, la storia
del luogo, come sia tornato in possesso dei suoi antichi abitanti,
la comunità aborigena Anangu che abita la regione da oltre
22.000 anni, naturalmente, tutte le attività commerciali
sono gestite dai bianchi, ma è importante sapere che la gestione
della zona è in mano al consiglio degli antichi proprietari.
Nel pomeriggio facciamo provviste nel locale supermarket, filetto
e salsicce di canguro, costolette e fegato d’agnello vanno
a riempire il nostro frigorifero che dalla partenza da Alice Springs
si era via via svuotato.
Il tramonto ci spinge sulla collinetta centrale del villaggio dalla
quale si gode da lontano il fenomeno dei colori cangianti sulla
roccia d’Uluru, all’orizzonte la sagoma delle gibbosità
di Kata Tjuta, la nostra meta di domani, assume
colorazioni infuocate.
Cena succulenta e notte di tutto riposo in attesa del domani.
Ci piace essere mattinieri per vedere i colori caldi del mattino
pertanto già di buonora percorriamo i 50 chilometri che ci
separano da queste formazioni rocciose, “le tante teste”
come sono chiamate nella lingua locale.
Anche queste colline sono un luogo sacro per gli aborigeni uomini
ed alle donne locali è vietato l’ingresso nell’area;
per tutti noi visitatori, è vietato abbandonare i sentieri
tracciati.
Ci affascinano particolarmente questi luoghi, si respira un’aria
mistica e misteriosa, e se non fosse per un gruppo di spagnoli starnazzanti
(gli iberici sono gli unici ad essere più rumorosi delle
compagnie d’italiani all’estero!) l’atmosfera
sarebbe quasi sovrannaturale.
Percorriamo con calma e con la voglia di scoprire tutti gli scorci
di queste montagne, i 7 chilometri della “Valley of
the wind” un sentiero che tra gole e praterie permette
di scoprire prospettive straordinarie con la roccia che assume con
il cambiare della luce, colorazioni sempre più calde.
E’ bello non essere assillati dall’orologio e poter
gestire il tempo a proprio piacimento. Terminata la lunga passeggiata
torniamo al parcheggio per uno spuntino e cosa più unica
che rara facciamo conoscenza con una coppia d’Italiani davvero
simpatici, che come noi stanno percorrendo piste e sentieri con
un fuoristrada simile al nostro per gustare la solitudine e gli
spazi infiniti di questo continente.
Scopriamo una grande affinità d’interessi, davvero
un bellissimo incontro.
Proseguiamo con loro alla volta dell’altra camminata: la Walpa
Walk, abbastanza breve ma interessante che s’introduce
in una gola che si stringe sempre più, ma permette una vista
ravvicinata sulle rocce rosse.
Ci accomiatiamo dai nostri nuovi amici per fare ritorno verso Yulara
per una visita al supermercato al fine di riempire il frigorifero
in vista dei prossimi giorni.
Dopo una notte di riposo, si riparte alla volta di King’s
Canyon, altra località che nel nostro primo viaggio
abbiamo visitato solo sommariamente e velocemente; oggi invece abbiamo
tutta la giornata a disposizione e arrivati prima di mezzogiorno,
dopo un leggero spuntino affrontiamo la dura salita che porta sulle
rocce che sovrastano la gola.
E’ anche in questo caso, con uno sforzo ripagato da scenari
mozzafiato raggiungiamo un luogo straordinario tra le rocce; gli
agenti atmosferici e lo scorrere dell’acqua, hanno scavato
la “Valle dell’Eden” un giardino meraviglioso
incassato tra rossi dirupi, dove crescono palme, felci e alberi
rigogliosi, il tutto tra melodiosi canti d’uccelli. Un luogo
incantato.
Torniamo sul calar della sera al campeggio del King’s Canyon
Resort dove, dopo cena, trascorreremo la serata nel locale pub dove
si esibisce una coppia di cantanti folk-country che ci allieteranno
per un paio d’ore prima di crollare nella tenda.
Riprendiamo la pista ridiventata sterrata, la Meerenie Loop fino
a Hermansburg; la pista è piuttosto maltenuta,
ce la ricordavamo meglio tenuta e ancora una volta tra nuvole di
polvere rossa dobbiamo fare i conti con le noiose corrugazioni,
per fortuna i paesaggi sono incantevoli e gli incontri con tanti
animali selvatici, dromedari, cavalli, canguri ci fanno dimenticare
ogni fatica.
Visitiamo la missione costruita alla fine dell’ottocento in
questa remota località che ha dato i natali al più
importante e famoso pittore di paesaggi australiano, l’aborigeno
Albert Namatjira.
Dopo una una sosta allo store per acquistare qualche bibita fresca,
proseguiamo alla volta di Palm Valley; 20 chilometri
di pista sul letto del fiume per raggiungere una gola, scavata dalle
acque, dove vive una rara specie di palma rimasta immutata dai tempi
preistorici: la Livistonia Mariae, che sopravvive in quest’arido
ambiente grazie alla costante presenza d’umidità e
d’acqua sotterranea.
Facciamo una lunga camminata tra banchi di sabbia, palme altissime
e pozze d’acqua nelle quali alcune famiglie d’aborigeni
sono intenti a raccogliere molluschi e pescare i piccoli pesci intrappolati
in pochi centimetri d’acqua.
Riprendiamo la strada verso il campeggio che si trova ad alcuni
chilometri di quella pista impegnativa che passa sul letto del fiume
tra banchi di sabbia e lastre di roccia, un lento procedere per
raggiungere dove accamparci, una volta tanto ci troviamo in un luogo
davvero pieno di macchine e persone, facciamo quasi fatica a trovare
uno spazio per piazzare il fuoristrada e la tenda.
Attendiamo il tramonto sulle rive di un laghetto, tra le sinfonie
del canto degli uccelli ed i colori caldi del sole che sta calando,
il tutto sorseggiando una buona birra gelata.
Ceniamo di fianco ad un caldo fuoco in compagnia di una coppia di
simpatici australiani con i quali dividiamo il tepore del falò
ed un bicchiere di porto.
Al mattino veniamo svegliati da una famiglia di verdi pappagalli
che hanno il loro nido in una cavità di un albero proprio
di fianco alla nostra tenda.
Ripercorriamo la lenta pista sabbiosa, anche se devo ammettere che
la scorsa volta mi sembrava difficilissima, oggi con la maggiore
esperienza è quasi un divertimento.
Riprendiamo la strada verso Alice Springs e lungo il percorso, una
deviazione ci permette di giungere a Wallace Rockhole,
una comunità aborigena davvero ben tenuta, forse la più
ordinata che abbiamo attraversato, orgogliosa di avere vinto per
diversi anni riconoscimenti per la pulizia e l’ordine.
Una passeggiata ben segnata ci permette di scoprire una serie di
pitture rupestri e spiegazioni sull’utilizzo delle piante
medicinali e alimentari utilizzate dalla popolazione aborigena.
Arriviamo ad Alice Spings, e nell’attesa
della riapertura dei negozi per rifornire l’ormai vuoto frigorifero
torniamo da Bojangles per uno spuntino, e qui avviene una scenetta
simpatica: mentre attendiamo i nostri piatti, sento una voce che
in italiano chiede spiegazioni al personale sui cibi, in particolare
la parola “provolone” risveglia la mia attenzione, naturalmente
nessuno nel ristorante capisce l’italiano e la strana conversazione
prosegue per alcuni istanti, poi mi avvicino in aiuto d’entrambe
le parti; la coppia d’italiani, probabilmente in viaggio di
nozze, cercava piatti vicini ai loro gusti, purtroppo il menu non
offriva prosciutto, e nemmeno provolone!!
Traduco la lista dei piatti e propongo loro di assaggiare qualcosa
di tipico, esempio carne d’emu affumicata o spiedini di canguro,
coccodrillo e dromedario, mi guardano quasi schifati, non li hanno
mai assaggiati e non intendono provare nulla che non sia noto come
sapore, e ripiegano su una normalissima bistecca, contenti loro!!!
Li saluto e nel ringraziarmi si congratulano con me per come parlo
bene L’ITALIANO!!! spiego che sono Italiano e allora mi chiedono
da quanto tempo vivo in Australia !!! Probabilmente li deludo, quando
confido loro che sono un viaggiatore innamorato di questo continente.
Il barista Cesar, simpaticissimo, per ringraziarmi dell’aiuto
mi offre una birra gelata !! Sono davvero ospitali questi ragazzi
australiani! Prenoto un tavolo per quando saremo di ritorno nei
prossimi giorni.
Apro una parentesi sull’alimentazione, forse io e mia moglie
siamo esagerati nell’adattarci alle diverse abitudini alimentari
e non sentiamo per niente nostalgia dei nostri cibi, forse siamo
abituati a viaggiare ed amiamo assaggiare quello che troviamo, ma
non capiamo le persone che vorrebbero trovare una piccola Italia
ovunque siano nel mondo; ho sempre sentito da parte dei nostri connazionali
grandi lamentele riguardo cibi, sempre alla ricerca di pasta, spaghetti
e caffè, per poi lamentarsi che i sapori non sono quelli
di casa! I cibi ed i sapori fanno parte della cultura di un popolo,
non si possono esportare ne importare, ricordiamocelo.
Dopo questa simpatica scenetta e la visita al supermercato, riprendiamo
la Stuart Hwy in direzione sud alla volta di Rainbow Valley;
lasciata la strada asfaltata, una pista sabbiosa arriva in questa
splendida località.
Piazziamo il fuoristrada nel piccolo campeggio proprio di fronte
alla formazione rocciosa.
E’ ancora presto per lo spettacolo del tramonto che donerà
alla roccia colori affascinanti, facciamo pertanto una lunga passeggiata
ai suoi piedi e scopriamo che i vari strati colorati sono formati
da sabbie che nel corso dei millenni si sono consolidate e la presenza
d’ossidi di ferro ha conferito colori gialli, rossi e arancioni.
Dalla base della piccola montagna un “claypan”, in altre
parole, una distesa d’argilla secca che nella stagione delle
piogge diventa una riserva d’acqua, ci separa dalla nostra
auto, ci accomodiamo con una birra fresca e aspettiamo il calar
del sole tra colori indimenticabili.
Cena a base di fegato appena comprato, che cuciniamo con vino rosso
e aromi, un sapore fantastico.
Vicino al fuoco facciamo conoscenza con una coppia di ragazzi danesi
e passiamo il dopo cena chiacchierando e dandoci reciproci suggerimenti
sulle località vicine.
Riprendiamo la strada dopo una notte di riposo e
ci dirigiamo ancora verso sud.
A Kulgera torniamo verso Finke con l’intenzione di viaggiare
poi sulla “Old Andado Track” una pista
bellissima, che corre parallela alle dune del vicino Simpson Desert.
Il paesaggio è incontaminato e la sensazione è quella
d’assoluta solitudine, siamo tra lunghissime dune di sabbia
e la strada corre parallela ad esse per decine di chilometri per
poi superarne una e riprendere il percorso sempre tra rosse montagne
di sabbia.
La
pista non è molto impegnativa ed arriviamo all’Old
Andado Homestead, uno dei primi insediamenti d’allevatori
nella zona.
Doveva essere davvero dura la vita all’inizio del secolo da
queste parti, non esiste neanche oggi alcuna comodità, siamo
lontani dalla civiltà, oggi raggiungibile in poche ore di
viaggio in fuoristrada.
All’epoca, quando questi veloci mezzi di trasporto non esistevano,
per raggiungere Alice Springs occorrevano giorni di viaggio.
La fattoria, costruita negli anni 30 con lamiere ondulate, è
stata abitata fino a pochi mesi fa da Molly Clark, un’arzilla
signora, che dopo aver vissuto in questa casa conducendo insieme
al marito la fattoria e l’allevamento di bestiame, ha trascorso
gli ultimi anni accogliendo i passanti ed offendo loro ospitalità
e la possibilità di visitare la casa.
Ora che la signora si è dovuta ritirare in una casa di riposo
vista l’età, la casa per sua volontà è
rimasta aperta a tutti i viaggiatori che possono rendersi conto
di cosa volesse dire vivere ai confini del deserto (questa casa
è la più remota tra le dune del deserto della regione)
ed è esattamente come se chi l’abita si fosse allontanato
per pochi minuti, la dispensa è ancora rifornita; tutti i
soprammobili sono al loro posto, come i libri, i letti fatti, la
cucina con tutte le suppellettili, il telefono funzionante. Incredibile
ma sul tavolo un vaso pieno di dollari è in bella mostra
insieme alla richiesta di lasciare un’offerta per i Flying
Doctors, di fianco un altro vasetto per lasciare i cinque dollari
richiesti per campeggiare nel piazzale antistante alla casa, in
altri paesi probabilmente non ci sarebbero più nemmeno i
vasetti, qui nessuno tocca nulla, nemmeno le scatole di conserva
nella dispensa ordinatamente riposte in bella mostra.
Personalmente mi ha stretto il cuore entrare in questa casa, è
come violare qualcosa costruito e vissuto con amore e passione,
come violare la privacy di una persona e scoprire i suoi segreti
tra le foto sul caminetto e gli album sui tavolini, tra le lettere
sullo scrittoio e le fatture ordinate nei raccoglitori; mi sono
venute le lacrime agli occhi pensando a quanto Molly Clark deve
aver amato questo luogo per lasciarlo vivere anche in sua assenza,
esistono anche cinque o sei bungalow, con i letti ancora fatti dove
i passanti potevano alloggiare!
Incredibile come tutto sia intatto ed inviolato, spero che tutti
abbiamo rispetto di questo luogo.
Passiamo la notte davanti alla casa, davanti al fuoco sentiamo un
dingo in lontananza e più tardi ne vedremo uno avvicinarsi
con circospezione e timore alla nostra tenda, probabilmente attratto
dal profumo di carne alla piastra che stiamo cucinando.
Notte piena di stelle con un silenzio totale, fino ad un’alba
infuocata dal sole che fa capolino sorgendo dalle dune.
La pista prosegue verso nord ed il prossimo obiettivo è il
Mac Clark Conservation Reserve, un piccolo parco
naturalistico a 10 chilometri dalla pista principale, voluto dal
marito di Molly, per preservare una rara specie d’albero,
l’Acacia Peuce, che cresceva numerosa nei secoli passati nella
zona ma che bovini e soprattutto gli allevatori hanno decimato i
primi mangiando le cortecce, i secondi utilizzando il duro e resistente
legno.
Sul visitor book una sorpresa, Antonio e Gloria, due ragazzi di
Bologna con i quali avevo avuto una lunga corrispondenza riguardo
mie precedenti esperienze su percorsi che loro avrebbero affrontato
nel viaggio, erano passati solo il giorno prima, peccato non esserci
incontrati.
La pista verso Alice Springs è piuttosto lenta ed in certi
tratti molto corrugata e talvolta banchi
di sabbia appaiono all’improvviso, la prima volta talmente
inaspettati, mentre il mio sguardo spaziava all’orizzonte,
che per poco non m’impiantavo nella soffice superficie, dato
che ero entrato con una marcia troppo alta; la fortuna mi ha aiutato
e proseguo con maggiore attenzione per evitare trappole e “sabbie
mobili”.
Giungiamo a Santa Teresa, una comunità aborigena,
ma è talmente misera che proseguiamo subito direzione East
Mac Donnell Ranger passando per Alice Springs. Una breve
sosta per fare il pieno e via, con l’intenzione di arrivare
a Ruby Gap, una profonda gola scavata dal fiume
caratterizzata dalla presenza di pietre dai colori vivaci nella
roccia; in passato erano addirittura state scambiate per rubini
e da qui il nome.
Per un primo tratto la strada è asfaltata, poi diventa sterrata
fino ad Artlunga e da qui una dissestata e lenta pista, sabbiosa
nel letto del fiume con rocciose e difficili uscite dagli argini,
porta fino alla riserva di Ruby Gap, una zona selvaggia e remota
ma che dona spettacolari scenari.
Arriviamo all’ingresso del parco naturale, mentre il sole
sta calando all’orizzonte e ci addentriamo solo un poco lungo
il letto sabbioso del fiume asciutto, ci accampiamo sulla sua riva
e prepariamo il fuoco con la legna che come tutti i giorni abbiamo
raccolto lungo la strada.
La notte è fredda e luminosa con una Luna che illumina il
paesaggio, ci godiamo il falò, soli in mezzo al nulla, ancora
una volta lontani da ogni forma di civiltà, e dopo cena ci
prepariamo per il meritato riposo dopo tanta ed impegnativa strada
percorsa.
Arriva il mattino e ci rimettiamo in marcia, dopo una breve passeggiata
lungo i banchi di sabbia dorata rientriamo lentamente verso Artlunga,
una riserva storica (consideriamo che data la recente esplorazione
del continente è ritenuto storico in Australia tutto ciò
che ha più di un secolo di vita) nel luogo in cui, tra la
fine dell’ottocento e i primi decenni del novecento, trovarono
giacimenti d’oro e fu fondato un piccolo villaggio minerario
per la lavorazione del prezioso metallo.
Visitiamo le costruzioni in parte restaurate e i due cimiteri dove
riposano minatori e funzionari della società mineraria delle
più diverse nazionalità.
Una visita interessante e istruttiva sulle difficili condizioni
di vita dei pionieri, alcuni dei quali hanno camminato per oltre
600 chilometri per raggiungere questa zona con il miraggio della
ricchezza, ed allora non esistevano nemmeno quelle rudimentali piste
che abbiamo percorso noi.
Proseguiamo all’inverso sulla strada percorsa ieri, ci fermiamo
brevemente a visitare i luoghi d’interesse segnalati: Trephina
Gorge, Corroboree Rock una strana formazione
rocciosa solitaria nel bush, Emily e Jessie Gap
tutti posti piacevoli ma data la vicinanza con la città certamente
troppo affollati per i nostri gusti; rientriamo ad Alice Springs
sotto una pioggia battente che ci spinge a trovare alloggio in un
hotel sicuramente più asciutto!
Ceniamo finalmente, dopo tante sere trascorse in mezzo al nulla,
in un ristorante comodamente seduti e serviti.
Dopo una notte passata in un comodo letto siamo pronti per ripartire,
come prima destinazione decidiamo di addentrarci un po’ sul
Tanami Track, una pista che attraversando l’omonimo
deserto porta nel Western Australia, percorriamo
qualche decina di chilometri in mezzo al bush in totale solitudine.
Il primo tratto della strada è asfaltato solo nella parte
centrale, in una singola corsia, se s’incrocia una vettura
occorrere uscire dalla parte asfaltata con mezza macchina per passare,
strano modo di viaggiare, ma data la totale mancanza di traffico
non rappresenta alcun problema.
La pista prosegue poi sterrata fino a Tilmouth Roadhouse,
da qui in avanti inizia il vero deserto, ma ci riserviamo il viaggio
per una prossima volta.
Ritorniamo sui nostri passi con l’intenzione di raggiungere,
seguendo delle piste secondarie, Glen Helen; dopo
ore di tentativi, imboccando piste che si perdono immancabilmente
nel nulla per la prima volta in tanti viaggi e in tante piste percorse,
desistiamo dal nostro intento, non sarebbe piacevole farsi sorprendere
dalla notte senza aver raggiunto la nostra meta.
Rientriamo perciò ad Alice Springs, anche perché il
cielo si sta rannuvolando in maniera preoccupante.
La serata passa tra scrosci di pioggia, siamo contenti di aver trovato
una camera di hotel che ci permette di stare asciutti, ceniamo all’Ochre
Pits Restaurant tra fiumi di pioggia.
Passata la notte imbocchiamo la strada che conduce verso i West
Mac Donnell Range, purtroppo la giornata si annuncia grigia
e piovosa e tra nuvole e scrosci d’acqua superiamo il monumento
al reverendo John Flynn, il fondatore di un servizio, The Royal
Flying Doctors, che ha avuto inizio nel lontano 1928 offendo assistenza
sanitaria a migliaia di persone lontane da ogni forma di civiltà,
tale servizio ancor oggi è fondamentale per tanti abitanti
dell’outback che in caso di necessità possono contare
su questo prezioso aiuto.
Subito dopo la deviazione verso Simpson Gap, una fenditura nella
montagna, sui cui versanti vive una colonia di Blackfooted Rock
Wallabies, una specie molto rara che abbiamo la fortuna di vedere
prima che l’aumentare della temperatura li faccia rintanare
in luoghi inaccessibili.
Il tempo è inclemente e scrosci di pioggia ci obbligano a
proseguire senza rivedere i luoghi che già abbiamo visitato
anni addietro.
Per fortuna, arrivati ad Ochre Pits, luogo sacro
agli aborigeni dove ancor oggi raccolgono e polverizzano i sedimenti
d’ocra multicolore che utilizzano per tingere il loro corpo
e gli strumenti della vita quotidiana.
Proseguiamo fino a Redbank Gorge, una stretta gola
scavata nel corso dei millenni dalle acque del fiume Finke che offre
pozze perenni e una bella passeggiata sulla sabbia dorata tra i
bianchi tronchi di Gum Tree e i canti dei pappagalli che li abitano.
Il tempo però è inclemente e ci costringe a tornare
verso Glen Helen; avevamo deciso di trascorrere qui la nostra ultima
notte in tenda, ma la pioggia continua ci suggerisce di trovare
una sistemazione nel resort, identico a come lo ricordavamo dopo
avervi soggiornato nel 2001, l’hotel rappresenta uno dei primi
esempi di complessi turistici nel territorio, la sua costruzione
risale, infatti, negli anni 50, quando il turismo di massa non era
ancora nato e raggiungere questa remota località significava
affrontare un impegnativo viaggio.
Sistemati nella nostra camera troviamo il tempo per visitare la
gola che anche in questo caso offe un bellissimo specchio d’acqua
popolato da aironi e pappagalli.
Le rive, sono abitate da famiglie di wallabies e da lontano, li
vediamo saltellare di roccia in roccia.
La serata è particolarmente fredda ed umida ma il vento sta
spazzando via le nuvole e la luna piena sorge all’orizzonte;
cuciniamo per l’ultima volta sul barbecue che il resort mette
a disposizione degli ospiti, com’è d’abitudine
in molti hotel australiani.
Passata la notte nella comoda camera, riprendiamo la strada verso
Alice Springs: la mattina si presenta fresca ma serena, così
prima di muoverci una bella passeggiata verso la gola ci permette
di vedere il risveglio della natura, tra il canto melodioso d’uccelli
ed il volo di tanti pappagalli rosa e verdi.
Ritorniamo a passeggiare sulle rive prima sabbiose poi rocciose
d’Ormiston Gorge tra pellicani e cormorani
che si scaldano al sole sui massi, i colori sono caldi nel sole
del primo mattino, ma l’aria è ancora frizzante; proseguiamo
verso Serpentine Gorge dove per raggiungere la gola è necessaria
una lunga passeggiata sul letto asciutto del fiume. Una ripida arrampicata
ci permette di raggiungere la sommità della parete della
stretta vallata, la vista è spettacolare e ripaga della fatica
necessaria per godersela, tutto intorno una natura selvaggia a perdita
d’occhio, non è visibile alcuna traccia d’opere
umane, insomma è come fare un balzo indietro di millenni.
Proseguiamo verso Ellery Creek Big Hole e Standley
Chasm, quest’ultima con la caratteristica gola larga
in certi punti solo pochi metri, con le pareti altissime che si
stringono verso l’alto, sono davvero impressionanti e se non
fosse per la folla di turisti, data la vicinanza con la città,
la passeggiata sarebbe davvero tra il silenzio totale.
Pranziamo chiacchierando con una famiglia australiana, scoperta
la nostra nazionalità l’argomento passa sui nostri
viaggi nel loro paese e quasi li sorprendiamo con i nostri racconti
per la quantità di luoghi da noi visitati nel corso delle
nostre vacanze precedenti; alla fine dello spuntino chiedono loro
a noi, indicazioni sulle località visitate e sulle strade
da percorrere!!
Il nostro viaggio finisce ad Alice Springs, verso sera e sistemati
in hotel ci prepariamo per una cena succulenta.
Abbiamo ancora un giorno da dedicare allo shopping sul mall tra
gallerie d’arte aborigena e negozi d’abbigliamento,
e alla visita di un bellissimo Alice Springs Cultural Precint, un
centro culturale che raccoglie mostre di dipinti e sculture, un
bellissimo museo di storia naturale e l’hangar originale della
Connellan Airways, la prima compagnia aerea australiana, per anni
ha garantito sia i collegamenti sia il servizio postale nella gran
parte del paese, raccoglie anche i resti di uno sfortunato aereo
caduto nel Gibson Desert, mentre era impegnato nella ricerca di
un altro aeroplano disperso nella zona.
Il primo equipaggio, composto di un famoso pilota e dal suo meccanico,
dopo infiniti sforzi e tentativi di riprendere il volo non sono
riusciti a sopravvivere in quel luogo inospitale con temperature
oltre i 50 gradi, quello che stavano cercando invece è stato
più fortunato, storie d’altri tempi, quando non esistevano
le radio e la solidarietà era la base della sopravvivenza.
Nel vicino cimitero dei pionieri, oltre alla tomba del grande pittore
Albert Namatjira, in un angolo tra le palme sono sepolti alcuni
cammellieri afgani che hanno contribuito alla vita in questa parte
del paese, quando il dromedario era l’unico mezzo adatto a
superare le asperità del deserto che circonda la città.
Restituiamo il fuoristrada con il
contachilometri che segna 6.330 chilometri percorsi, di cui oltre
5.000 tra piste e sentieri, e con una sospensione rotta, felici
di aver portato alla conclusione quello che per noi è stato
il viaggio più impegnativo nel paese.
Passiamo l’ultima sera cenando da Bojangles, tra musica australiana
e montagne d’arachidi a disposizione dei clienti.
E’arrivata la mattina della partenza, giungiamo
in aeroporto circa un’ora e mezza prima della partenza del
nostro volo, e siamo sorpresi nel trovarlo aperto ma completamente
deserto, deserti i banchi per il check in, deserte le sale d’aspetto,
deserti i parcheggi, silenzio totale.
Piano piano con la solita calma che contraddistingue la popolazione,
australiana l’aeroporto incomincia a popolarsi solo mezzora
prima della partenza del volo, cose che solo qui possono accadere!!
Tutto funziona bene, efficacemente ma senza clamori, senza stress,
senza inutili perdite di tempo, un altro aspetto piacevole di questo
grande paese.
Il volo verso Perth sorvola ancora una volta quella meravigliosa
e selvaggia parte del continente, deserti interrotti dai letti di
fiumi asciutti, laghetti dai mille colori e la magia d’Uluru
e Kata Tjuta lasciandoci nel cuore tante visioni indimenticabili.
Poi Perth, qualche ora in aeroporto in attesa del volo per Dubai
dove ci godremo 3 giorni da mille ed una notte in quell’incredibile
costruzione che è il Burj Al Arab, finalmente solo riposo
e comodità dopo quasi un mese in mezzo al nulla.
Questo viaggio ci ha permesso di scoprire degli angoli incontaminati,
di godere dei silenzi e delle notti stellate, di incontrare persone
aperte, simpatiche e cordiali, di affrontare piccole difficoltà
e la mancanza di comodità, di conoscere la disponibilità
e la solidarietà della gente; insomma è stato quello
che ci ha fatto entrare più in profondità nella società
e nel modo di vivere di questo meraviglioso continente.
Soffriamo di mal d’Australia e già stiamo pensando
alla prossima avventura, ci sono ancora tante piste da percorrere
e luoghi da sogno da raggiungere… Australia aspettaci torneremo
presto da te.
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