DAL NORD DELL’INDIA AL NEPAL
di Davide
Ferrari
L’India ha una popolazione di un miliardo di persone ed è
un Paese di accesi contrasti, dove la storia e la tradizione convivono
con un presente dinamico.
E’ seconda solo agli Stati Uniti nelle tecnologie dell’informazione,
eppure le famiglie rispettano le tradizioni, gustando insieme elaborate
ricette preparate in casa, anziché ingollare qualcosa in
un fast-food.
Il territorio del subcontinente, estremamente diversificato, fatto
di fiumi, campi, foreste, montagne e deserti, ha la forma di un
immenso diamante. La moneta locale è la rupia, il cui cambio
è 1 € = 58 rupie.
Eccoci inoltrati nella grande capitale dell’India: Delhi.
Essa è il principale punto di accesso del Paese, di partenza
per visitare il cosiddetto “Triangolo d’oro”,
che conserva alcuni tra i maggiori tesori dell’arte indiana.
La storia di Delhi, l’attuale capitale della più grande
democrazia al mondo, risale ad oltre 3000 anni fa. Per ben sette
volte Delhi combatte per la propria sopravvivenza ed ogni dinastia
regnante lasciò dietro di sé un’unica eredità
culturale ed architettonica, espressa in templi e mercati, palazzi
e fortezze, monumenti funebri e torri.
Lasciamo l’aeroporto e subito notiamo una grande differenza
tra il nostro modo di vivere e la realtà di Nuova Delhi.
Qui la temperatura oscilla tra i 24 e i 32 gradi con un tasso di
umidità molto elevato, pari al 95 % circa.
Strada facendo per recarci al nostro albergo, a notte inoltrata,
mi colpiscono parecchie persone, sia giovani che anziani, per il
loro modo di passare la notte dormendo sul marciapiede e rimango
quasi scioccato di fronte a un degrado ambientale che non avrei
mai immaginato…
A giorno inoltrato, prendiamo accordi con l’agenzia che
ci fornirà la macchina con l’autista per il tour del
Rajastan, che effettueremo tra due giorni.
All’interno della capitale, la prima visita è dedicata
al Minareto (Qutb Minar), che dista dal centro 15 km circa. Eretto
nel 1199 d.C., questo monumento è davvero molto affascinante:
raggiunge un’altezza di 72 metri ed ha un diametro di 14 cm
alla base e di 2,50 metri alla sommità.
Qui a Delhi il traffico è molto caotico e il rumore dei clacson
è assordante e incomprensibile, soprattutto per chi non ha
mai messo piede in India!
Cogliamo così l’occasione per prendere il primo risciò
ad un prezzo irrisorio, che otteniamo dopo varie contrattazioni.
Con questo mezzo di trasporto molto utilizzato qui in India, raggiungiamo
il Baha’i House of Worship, chiamato più semplicemente
Lotus Temple, al cui ingresso ci consegnano una sacca dove riporre
le scarpe (come poi anche in tutti gli altri templi che visiteremo).
La forma di questo tempio è molto particolare poiché
è simile ad un fiore di loto con i suoi 27 petali. Questo
tempio è un esempio eclatante di arte moderna e per alcuni
versi mi ricorda l’Opera House di Sidney. Esso comprende inoltre
numerosi giardini, davvero molto curati.
Usciti dal tempio ne approfittiamo per assaporare il primo pranzo
in un classico punto di ristoro per gli indiani, che non è
molto pulito ma, qui in India, è la normalità…
bisogna solo farci l’abitudine! La cucina è molto speziata
e piccante, così arrangiamo il pranzo con dello gnocco fritto
e un contorno di fagioli.
Per terminare la giornata decidiamo di visitare lo Zoological
Garden, vicinissimo alla Humayun’s Tanb, che sinceramente
non mi è piaciuto molto e, a mio parere, non merita.
Volevo accennare al contrasto tra Old e New Delhi, che è
molto scioccante, e alla separazione tra le due parti della città,
che è davvero netta. Old Delhi rispecchia la vera India tradizionale:
bagno di folla e vicoli stretti e caotici dai quali, a mio parere,
conviene allontanarsi in fretta, specialmente per gli odori nauseabondi
e le persone poco affidabili che vi circolano.
Costruita dall’imperatore Moghul Shah Jahan, con il nome
di Shahjahanabad, Old Delhi è il museo vivente della cultura
indiana e rigurgita di milioni di persone. Un’importante attrazione,
in questa parte della città, è il Forte Rosso, costruito
nel 1640 da Shah Jahan, di fronte al quale si trova il Birds Charitable
Hospital e Jain Digambara Temple, che ospita l’ospedale degli
uccelli.
Usciti dal Forte, ci rechiamo a fare acquisti nell’immenso
bazar Chandmì Chowk, pieno di negozi di ogni tipo e ricco
di atmosfera. Io ne approfitto per comperare alcune banane al modico
prezzo di 20 rupie.
Sulla strada che ci porta all’immensa Moschea Jama Masjid
incontriamo parecchi incantatori di serpenti che, alla vista dei
turisti, sollecitano i loro cobra con uno o due manrovesci sulla
testa per far sì che salgano ondeggiando!
Jama Masjid, eretta nel 1650 d.C. sulla prominenza rocciosa chiamata
Juajapahar, non lontano dal Forte Rosso, è la moschea più
grande dell’India ed è anche molto bella. Interessante
da visitare è il sotterraneo che collega la Jama Masjid e
il Forte Rosso. Esso era il tragitto attraverso il quale, un tempo,
le donne di corte, avvolte nel purdah, raggiungevano la moschea.
Ci rechiamo poi a visitare il Raj Ghat, di fronte al Gandhi National
Museum in riva al fiume Yamuna, che è il luogo della cremazione
del Mahatma, avvenuta il 31 gennaio 1948. Esso è un monumento
commemorativo formato da una lastra di marmo nero e ornato da fiori
dai colori stupendi.
Per chi non lo sapesse, Mohandas Karamchand Gandhi (1869 –
1948), uno degli uomini che hanno mutato il corso della storia del
XX secolo, nacque a Parband nel Gujarat occidentale, dove suo padre
era diwan del principato. Dopo un praticantato legale a Londra,
lavorò in Sud Africa; per la sua resistenza passiva contro
i pregiudizi razziali del governo, il poeta Rabindranath Tegore
gli diede l’appellativo di Mahatma (Grande Anima). Tornato
in India nel 1915, Gandhi si unì a chi lottava per la libertà
e fondò il Sabarmati Asham ad Ahmedabad. Il suo obiettivo
era raggiungere l’indipendenza e l’unità del
Paese, con la forza della verità e della nonviolenza.
Con questa ultima escursione chiudiamo la visita di New Delhi che,
secondo me, è fin troppo caotica, perciò non merita
molti giorni di visita… l’ideale è dedicarne
un paio.
Alle 6,00 del giorno seguente partiamo con il nostro autista con
un fuoristrada della Tata, marca nazionale di automobili, verso
il Rajasthan.
Tra tutti gli Stati indiani, il Rajasthan è quello che meglio
rappresenta l’immagine classica e fantastica che noi Occidentali
abbiamo dell’India: si possono vedere uomini baffuti con colorati
turbanti, vestiti con larghe casacche, con le gambe fasciate dai
leggendari jodhpurí; dame avvolte in colorati tessuti artigianali
ricavati da fili di seta; piccoli villaggi di case dipinte nel deserto;
grandi e lussuose regge di principi e maharajah, costruite con marmi
bianchi, al centro di incantati laghi artificiali.
Prima tappa è Bikamer, che dista 463 km e per raggiungere
la quale impieghiamo 11 ore di viaggio, a causa delle pessime condizioni
delle strade e alla ridotta velocità media. Lungo il tragitto
incontriamo veramente di tutto: mucche al pascolo, pecore, maiali,
dromedari, persone che trasportano a piedi l’acqua e che rallentano
la marcia… questa è la vera India!
Bikamer nacque alla fine del XV secolo per iniziativa del figlio
di un maragià di Jodhpur. La città è molto
piccola ma carina.
La prima visita la dedichiamo al Junagarth Fort, fortezza costruita
nel XVI secolo da un maragià sottomesso dall’imperatore
Akbar. Essa racchiude diversi palazzi e templi, nonché un
dedalo di corridoi, scale e cortili interni. Direi che vale la pena
di dedicare almeno un paio d’ore per visitare tutto il complesso.
Una visita lampo è d’obbligo al Lalgarth Palace Hotel
e Shrree Sadul Museum, meraviglioso palazzo in arenaria rossa eretto
all’inizio del XX secolo in stile rajput da Ganga Singh, con
un fresco giardino sul lato destro. Qui il maragià vi risiedeva
in permanenza, mentre oggi un’ala è stata trasformata
in albergo e l’altra in museo.
L’ultima visita la facciamo alla città vecchia per
ammirare due belle haveli, la Ranpuria e la Daga, ex dimore di ricchi
commercianti.
Consiglio inoltre di seguire
i bastioni sul lato del Bara Bazar. Passeggiando, vi imbatterete
in una graziosa moschea bianca e verde e, successivamente, nel tempio
Laksmirath, costruito intermente in marmo bianco.
Lasciamo questa graziosa città per raggiungere Jaisalmer,
che dista 300 km circa.
Prima però optiamo per l’escursione nel deserto del
Thar, che dista 60 km dalla città e soli 35 km dal confine
con il Pakistan. Ascoltando vari consigli ci rechiamo nelle Sam
Dunes e Khuri, per partire alla scoperta delle dune a dorso di cammello.
Al termine dell’escursione, ceniamo a base di Cheese nan (una
sorta di piadina con il formaggio), patate, riso e una deliziosa
erbetta del deserto a noi sconosciuta.
Passiamo poi la notte dormendo in pieno deserto su brandine e
coprendoci con trapunte che puzzano di cammello e alla mattina ci
godiamo un bel tramonto.
Lasciamo il deserto per recarci a Jaisalmer, che dista una cinquantina
di km. Questa città è immersa nel deserto del Thar
ed ha il colore dell’ambra in un deserto di dune e terra rossa.
Tappa obbligata nelle vie delle spezie e della seta, le sue mura
erano un miraggio per i mercanti arabi ed europei.
Una guida parlante italiano, consigliataci dal nostro autista, ci
porta a visitare la Fortezza che conta 99 torri e 4 porte monumentali.
Essa fu eretta nel XII secolo, ma la cinta risale principalmente
ai secoli XV-XVI.
Salendo, si arriva alla piazza principale della città vecchia,
tristemente famosa perché sede dei sacrifici detti “johar”.
Molto belli da visitare sono i due templi jainisti e non si può
rinunciare ad una passeggiata rilassante nei vicoli.
Spostandoci nella città bassa, uscendo dalla cittadella si
possono vedere le haveli, dimore di ricchi mercanti del XVIII secolo.
Tra queste, molto bella è Patwah-Ki-Haveli, composta da 5
edifici.
A 6 km dalla città, a Bada Bagh, ci sono gruppi di cenotafi
dei maragià di Jaisalmer, vuoti all’interno perché
le ceneri furono disperse nel fiume Gange dopo la cremazione. Qui
l’atmosfera è magica al tramonto, quando la pietra
assume straordinarie tonalità dorate.
A 12 km da quest’ultimo tempio è interessante visitare
Sagar, bel complesso di padiglioni che circondano un tempio jainista
superbamente restaurato.
In questa città ci siamo accorti di una raccolta differenziata
dei rifiuti molto particolare ed economica: bovini e suini sono
talmente affamati che si occupano di far pulizia cibandosi dei rifiuti
(cartone, plastica, il loro stesso sterco…)! Ci siamo poi
accorti che questa pratica è diffusa un po’ in tutta
l’India!
Lasciamo la città per recarci a Jodhpur. Sorgendo dalle
sabbie del deserto, le possenti mura in arenaria di questa città
racchiudono un dedalo di bazar e viuzze affollate di gente e dromedari,
che si accalcano intorno ad un magnifico forte costruito su un’altura:
il Forte di Meharangarh. Esso, eretto su di un rialzo naturale nel
deserto, riluce ai raggi obliqui del crepuscolo, vegliando, paterno
come sempre, sulla fiorente città ai suoi piedi.
La prima visita è infatti dedicata a questa fortezza eretta
nel 1459 d.C., come un vero nido d’aquila, dal reo Jodha,
fondatore della città, che da lui prende il nome. Il complesso
si innalza per più di 135 metri e si estende su 1,5 km e
250 metri di larghezza. Le cose principali da visitare sono il Sangar
Choki, la sala dei sedili degli elefanti, il Palki Khana e il Daulatkhana
(tesoro).
Merita molto anche il paesaggio sottostante, tra cui spicca Jaswant
Thada, superbo tempio di marmo bianco eretto dal figlio Jaswant
Singh II, soprannominato “piccolo Taj”.
Dalla parte opposta, invece, si domina Umed Bawan Palace, ossia
l’immenso palazzo dei maragià di Jodhpur, metà
palazzo e metà museo.
Dopo queste visite d’obbligo, ci siamo inoltrati nella città
vecchia caratterizzata dalla Clock Tower, attorno alla quale c’è
un famoso bazar in cui si può trovare davvero di tutto e
dove abbiamo degustato dei biscotti molto buoni, che meritavano
di essere portati a casa! Una considerazione sullo shopping è
che le merci in vendita sono praticamente le stesse in tutte le
città, o perlomeno si assomigliano molto!
Questa città non merita, a mio parere, più di un
giorno di visita, così come Ajmer, dove ci siamo fermati
giusto mezza giornata per visitare il Dargah, la cittadella musulmana,
la moschea Arhai din Ka Shonpra e il forte di Akber. Sinceramente
in questi luoghi non abbiamo trovato gente molto affidabile, perciò
è bene fare attenzione.
Eccoci a Pushkar, finora la città più bella e particolare
che abbiamo visitato, forse perché la sua posizione sul lago
salato Sambher dà un tocco di vita maggiore e più
rilassante, rispetto alle altre città caotiche e polverose.
Anche per questo motivo, abbiamo deciso di fermarci qui due notti.
La cosa molto particolare, da visitare assolutamente, sono i Ghat
al levar del sole, in cui il rituale delle abluzioni diventa uno
spettacolo vivace, caloroso, naturale e semplice nella soave luce
del mattino.
Da non perdere, sulla via centrale, una sfilza di bancarelle che
vendono più o meno le stesse merci, ma che sono molto particolari
e meritano una passeggiata, specialmente per assaggiare i prelibati
e dissetanti frullati di frutta fresca!
Il giorno seguente visitiamo un tempio sulle colline, dominante
la città… giornata molto rilassante, non fosse per
lo sforzo e la fatica fatti per raggiungerlo… ma ne vale la
pena!
Dopo questa giornata all’insegna del relax, partiamo per
la capitale del Rajasthan, Jaipur, che conta ben 2,5 milioni di
abitanti. Essa è forse l’unica città indiana,
un po’ antica, creata secondo i dettami dell’urbanistica.
Il maragià Sawai Jai Singh II la istituì agli inizi
del XVIII secolo a pochi chilometri dall’ex capitale-fortezza
Rajput di Amber.
Iniziamo con una breve visita al City Palace, una serie di cortili
e palazzetti che formano un gigantesco complesso, che comprende,
tra l’altro, il Museo delle armi, il bellissimo portale marmoreo
Sarhad-Ki-Dearhi e il Palazzo della Luna, che si sviluppa su sette
piani.
Uscendo, in pieno centro, si può vedere il famoso Palazzo
dei Venti, un frontale architettonico dallo spessore molto limitato,
che alla sommità non supera i 2 o 3 metri, la cui costruzione
si basò sull’idea di far circolare meglio i venti per
rinfrescare l’aria.
A 10 km da Jaipur è molto bello da visitare l’Amber
Palace, che si può raggiungere a dorso d’elefante in
modo molto suggestivo. La costruzione di questa fortezza ebbe inizio
alla fine del 1500 e si concluse nel 1727.
L’ultima visita a Jaipur la dedichiamo alla fortezza di
Jaigarth, sorta nell’XI secolo a scopo difensivo. Essa è
molto spettacolare, ma ancor di più lo è il cannone
Jaivana, qui custodito, che venne fuso proprio qui nel 1720. Questo
cannone dovrebbe figurare nel Guinness dei Primati come il più
grosso del mondo montato su ruota: il suo fusto misura, infatti,
6 metri di lunghezza e pesa 50 tonnellate… pensate che un
tempo occorrevano quattro elefanti per trasportarlo! Un aneddoto
curioso è che questo cannone non fu mai adoperato, se non
per il tiro di prova che servì per verificarne il funzionamento!
Prima destinazione turistica del Paese è Agra, che conta
circa 3 milioni di visitatori all’anno. Essa fu fondata dai
primi imperatori Moghul, che ne fecero una fiorente capitale. La
città non si può definire bella, ma ospita bellezze
assolutamente uniche al mondo. Unico neo: il biglietto d’ingresso!
Agra è molto grande e conta 1,2 milioni di abitanti circa.
Per gli acquisti ci sono parecchi bazar in cui si può trovare
davvero di tutto.
La prima visita la effettuiamo al Taj Mahal, opera davvero stupefacente.
Il Taj Mahal è un monumento all’amore fatto costruire,
tra il 1631 e il 1653, dall’imperatore Moghul Shah Jahan,
in memoria dell’adorata moglie Muntaz Mahal morta prematuramente.
Palese dimostrazione di come i suoi artefici, ben conoscendo la
magia del teatro, puntassero su un effetto scenico di grande efficacia,
questo tempio è da vedere rigorosamente, anche se l’interno
delude un po’ rispetto alla maestosità e alla bellezza
dell’esterno.
Passiamo poi a visitare il Forte Rosso, che fu eretto nel XVI secolo
come residenza degli imperatori. L’enorme edificio confina
con il fiume Yamuna, gode di una meravigliosa vista del Taj Mahal
e racchiude una serie di palazzi di marmo, moschee e giardini sontuosi.
Una visita-lampo meritano anche il Radhaswani Temple e il Ram Bagh.
Lasciamo Agra con l’Espresso 2002, prenotato a Jaipur, e
percorriamo un tragitto di 3 ore in treno, tra l’altro molto
confortevole, per arrivare a Jansì. Dimenticavo di scrivere
che in India esistono otto categorie di treni! Da Jansì prendiamo
un pullman locale per arrivare, dopo 5 ore di viaggio, a Khajuraho.
Da visitare ci sono i Templi, che costituiscono una delle attrattive
principali di tutta l’India, capolavori architettonici e opere
scultoree eseguite con straordinaria abilità, che investono
una notevole importanza storica e artistica.
I Templi, che risalgono al 1000 d.C., furono costruiti all’epoca
dei Chandela, una dinastia che sopravvisse per cinque secoli prima
di soccombere sotto il violento attacco dei Moghul. I soggetti principali,
che compaiono con maggiore frequenza e dovizia di particolari, sono
le donne e le immagini erotiche. Tra i vari templi, i più
suggestivi, a mio parere, sono quelli che fanno parte del gruppo
occidentale. Molto bello anche il gruppo orientale, rappresentato
da tre templi gianisti, e per finire il gruppo meridionale, che
merita una visita-lampo.
In verità, un po’ di delusione l’ho avuta al
ricordo dei templi di Angkor Wat, visitati l’anno scorso in
Cambogia, che sono veramente imparagonabili!
Nel pomeriggio, noleggio una bicicletta e mi dirigo alle cascate
Raneh Falls, che distano 18 km dalla città.
Dopo un giorno di puro relax e di meritato riposo, passato a far
bagni in piscina e spaparanzati sui lettini al sole, prendiamo un
volo da Khajuraho per Varanasi, ultima città dell’India
che visiteremo prima di andare in Nepal.
L’arrivo a Varanasi è un po’ deludente poiché
piove a catinelle, ma d’altronde è stagione di monsoni!
Per oltre 2000 anni, Varanasi, la città eterna, è
stata la capitale religiosa dell’India. Costruita sulle sponde
del sacro Gange, si dice unisca in sé la virtù di
tutti gli altri luoghi di pellegrinaggio e che chiunque finisca
qui i suoi giorni, qualunque sia il suo credo e per quanto possa
aver peccato, andrà direttamente in Paradiso. Varanasi ha
oltre 100 ghat, ossia scalinate sul Gange, dove ci si bagna e si
procede alle cremazioni. Città sacra per eccellenza degli
Indù, Varanasi è sempre affollata di pellegrini. Visitarla
almeno una volta nella vita è lo scopo di ogni Indù;
morirvi significa avere la più forte possibilità di
raggiungere il Moksha (salvezza, liberazione).
La prima visita, anche se un po’ stanchi, è dedicata
al Gange. Qui, nei numerosi ghat, che raggiungiamo attraverso vicoli
angusti e oscuri che sembrano dei labirinti, avvengono appunto le
cremazioni. Il tutto è un po’ macabro, perciò
è meglio sorvolare sulle spiegazioni di cosa avviene, ma
posso accennare che i cadaveri di santoni, bambini e lebbrosi, a
differenza di tutti gli altri, non vengono nemmeno cremati, ma gettati
direttamente nel Gange.
A dire il vero, per scoprire e visitare Varanasi, a mio parere,
non occorre più di mezza giornata, visto che la città
è molto trasandata e perciò abbastanza deludente.
Volendo, dopo aver osservato il rito delle cremazioni sul Gange,
si può fare una visita-lampo a Bharatmata Mandir e al Sankat
Mochan Temple, o più semplicemente Monkey Temple (il Tempio
delle Scimmie).
Qui a Varanasi, ma in generale un po’ in tutta l’India,
le persone sono molto tranquille e disponibili, anche se è
molto difficile comunicare con loro, e riuscire quindi ad ottenere
informazioni, a causa della lingua. Inoltre qui, tutti, dai bambini
agli anziani, si offrono volontari per farsi fotografare in cambio
di qualche rupia.
Lasciamo l’India e voliamo in Nepal, a Katmandu, dove innanzitutto
il clima è molto più fresco e il verde appare con
maggior vigore. Si notano subito le differenze di stile di vita
rispetto all’India. Il Nepal, infatti, è un po’
più ricco, è pieno di negozi e hotel e la cucina è
meno speziata e piccante… praticamente non sembra neanche
di essere a Katmandu! Qui la moneta è la rupia nepalese e
il tasso di cambio è 1 € = 92 rupie.
Pernottiamo nel centro di Thamel, circondati da negozi e hotel…
sembra quasi di essere in Italia!
La mattina seguente partiamo subito, senza visitare la città,
per Pokara, che rimane nella valle e dista 200 km circa. Durante
il tragitto ci fermiamo per fare rafting in una incantevole vallata
di un verde spettacolare… siamo totalmente immersi nella natura…
ci pare di essere in un paradiso terrestre! Sopra di noi ci sovrastano
diversi ponti tibetani che collegano una sponda del fiume Cicion
all’altra. E’ un’esperienza davvero unica…
il silenzio è totale… gli unici rumori e suoni sono
quelli prodotti dalla natura: il vento fra le foglie, lo scorrere
dell’acqua… nient’altro!
Finito il rafting, ci aspetta un bel buffet per rimetterci in
forze, per poi affrontare le ultime tre ore di viaggio… sul
tetto di un pullman… cosa molto comune da queste parti!
Ed eccoci a Pokara, cittadina molto carina anche se un po’
cara, soprattutto nella zona turistica, dove i prezzi sono molto
elevati rispetto alla media.
Qui ammiriamo il lago e, volendo, si può anche fare trekking.
Ritornati a Katmandu, ci dedichiamo finalmente alla visita della
città. Incominciamo dalla zona di Durbar Square, molto bella
e particolare. Essa è il luogo in cui, in passato, i re venivano
incoronati e legittimati e da dove essi governavano. La piazza risale
al XVII e XVIII secolo ed è ricca di monumenti interessanti
da visitare: il Kasthamandop, l’Ashok Binayak, il Maru Tole,
il Maju Deval, il Tempio di Trailokuye Mohan Nerayan, il Tempio
di Bhagwati, il Tempio di Krishna, la grande campana, la statua
di Shiva danzante e una miriade di altri templi.
Facciamo poi una passeggiata nel centro storico, per immergerci
nella sua atmosfera quasi medioevale.
Appena fuori da Katmandu, posto in cima ad un’altura ad
ovest, c’è il tempio buddista di Swayambhumath, chiamato
“il Tempio delle Scimmie” per il nutrito gruppo di belle
scimmiette che difendono la collina.
Sul pianoro in cima alla collina s’innalza lo Stupa centrale,
sormontato da un blocco quadrato dipinto d’oro, dal quale
gli occhi del Buddha scrutano la valle in ogni direzione. La base
è costellata di ruote di preghiera che portano incise le
parole del sacro mantra “om mani padme hum” (saluto
il gioiello nel loto), mentre la base dello Stupa è dipinta
di bianco e rappresenta i quattro elementi: terra, fuoco, aria,
acqua. Parlando di Stupa, il Bodhnath è il più grande
al mondo ed è tappa fissa per i turisti.
Visitiamo poi il tempio indù più importante del Nepal:
Pashu Patinath. Esso sorge lungo le sponde del fiume Bagmati ed
è l’unico luogo di culto consacrato a Shiva di tutto
il subcontinente indiano. Per questo motivo è meta di folle
di pellegrini lungo tutto il corso dell’anno.
L’ultima escursione di questo stupendo viaggio, che ci ha
portato alla scoperta dell’India e del Nepal, la facciamo
con un volo della Buddha Air, sorvolando l’Himalaia, per ammirare
il paesaggio di questa catena montuosa, che è la più
alta al mondo. Da quassù la vista è davvero spettacolare…
non esistono parole per descriverla!
Il viaggio termina così, dopo aver effettuato 55 ore di
viaggio in macchina per un totale di 2.400 km percorsi, 3 ore in
treno, 5 ore in bicicletta percorrendo 50 km, 2 ore di rafting,
8 voli aerei per un totale di 24 ore in volo e innumerevoli chilometri
percorsi a piedi… questi solo alcuni numeri del nostro viaggio
alla scoperta dell’India e del Nepal!
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