ISLANDA TREKKING 2003
Walking on the Moonland
Testo
e foto di Maurizio
Turco (Dimensione
Avventura)
Il
gruppo trekking Dimensione Avventura e' euforico per la partenza
che e' fissata per le 10 o giù di lì
..
abbiamo quindi il tempo di tuffarci nella fantastica pozza
d'acqua calda che si trova accanto al campeggio di LANDMANNALAUGAR,
fare una bella doccia, visto che chissà quando ce ne
recapiterà l'occasione, e mangiare qualcosa. Diamo
un'ultima sistemata agli zaini, ingrassiamo le scarpe e siamo
pronti per l'inevitabile foto di gruppo tra le grida di saluto
e incoraggiamento dei nostri compagni di viaggio.
Il tempo sembra buono, solo qualche nuvola qua e là
che non basta a scalfire il nostro entusiasmo da giovani marmotte.
Partiamo in fila indiana, tutti dietro Marco "la Voce
della Natura", equipaggiati più come un gruppo
di escursionisti della domenica che come trekkers professionisti
che si apprestano a compiere un percorso classificato dalla
Lonely Planet come uno dei tre più belli al mondo.
La
tappa di oggi è tutta in salita. Incoraggiati dal sole
e dal paesaggio che si rivela spettacolare fin dai primi minuti
di cammino, percorriamo abbastanza velocemente il primo tratto
del sentiero che si inerpica su per le colline alle spalle
del campeggio. Una volta arrivati abbastanza in alto facciamo
una piccola sosta, per riprendere un po' di fiato e calorie.
Dagli zaini spunta fori cioccolata in tutte le sue forme possibili,
mentre inizia a cadere qualche goccia di pioggia. Il tempo
di indossare giacche e pantaloni antivento, però, basta
a far tornare il sereno. La marcia riprende lungo un sentiero
che si fa ad ogni passo più bello. Attorno a noi, montagne
di ogni forma e consistenza ci offrono un campionario di colori
indescrivibile; c'è almeno un esemplare di tutti gli
elementi presenti in natura: sembrano le prove generali della
creazione! Colline gialle dai fianchi morbidi come dune del
deserto, montagne dalle pareti colorate di un verde acceso
o di un rosso mai visto prima (Marco ci spiega che si tratta
di minerali, rispettivamente rame e ferro, che il magma ha
portato in superficie), distese nere di lava ruvida e increspata
e, in lontananza, il bianco ormai familiare del ghiacciaio.
Le nostre macchine fotografiche continuano a scattare, come
impazzite, mentre ci arrampichiamo senza fatica lungo il sentiero.
Pranziamo
sotto un sole fantastico, in una piccola valle attraversata
da un fiumicciatolo di acqua sulfurea. Attorno a noi la roccia
è completamente ricoperta da un muschio morbidissimo
di un verde incredibilmente brillante e qua e là si
apre per lasciar zampillare fuori getti di vapore o di acqua
calda. Riprendiamo il cammino lasciandoci alle spalle una
serie di laghetti bollenti di uno straordinario colore tra
il celeste e il grigio, che spiccano come pietre preziose
nel verde circostante. Ora la salita si fa più dura,
o forse sono i chilometri che cominciamo ad accumularsi sulle
spalle insieme al peso degli zaini. Ma l'Islanda ci premia
ancora una volta con un altro scenario da favola. Appena "scavallata"
la collina, davanti ai nostri occhi un immenso deserto di
ossidiana luccica sotto questo sole ostinato. Le pietre, di
ogni forma e dimensione, brillano come gemme intagliate da
una mano sapiente e misteriosa. Ci lanciamo nella raccolta
di souvenir, mentre la Voce della Natura ci raccomanda di
non esagerare. E in effetti, una volta sollevati da terra
e allontanati da quel contesto stregato, i piccoli pezzi di
ossidiana perdono buona parte del loro fascino.
Al rifugio di SODULL mancano ormai pochi chilometri
e li percorriamo senza difficoltà. Si trova a 1.110
metri di altitudine, proprio alle pendici di un ghiacciaio
e anche qui c'è un panorama che non si vede tutti i
giorni. Facciamo un po' di stretching tutti insieme e poi
montiamo le tende all'interno di muretti a secco a forma di
ferro di cavallo che serviranno a ripararle dal vento.
Nel
giro di una mezz'oretta siamo di nuovo in marcia, diretti
a JOKULHAUS, un punto in cui il ghiacciaio, sciogliendosi,
forma una serie di grotte. Per arrivarci dobbiamo anche passare
su di un enorme lingua di ghiaccio. Marco va avanti, per saggiarne
la consistenza. Dietro di lui, in rigorosa fila indiana, tutti
noi stiamo attenti a mettere i piedi sulle sue orme. All'arrivo
una sorpresa: il resto del gruppo, con furgoni e fuoristrada,
ci ha preceduti di poco. Ci godiamo tutti insieme questo spettacolo
mozzafiato. Un'enorme caverna di ghiaccio il cui soffitto
è stato scavato da misteriose forze della natura come
un panetto di burro, fino a creare un cunicolo alla cui estremità
spicca l'azzurro intenso del cielo. All'uscita della grotta
l'acqua, scorrendo dalla sommità del ghiacciaio, crea
una piccola cascata all'interno della quale, grazie ai raggi
di questo sole così poco islandese (ma molto sardo
.),
si vede l'arcobaleno. Per noi è tempo di tornare al
campo. Sul grande tavolo di legno posto davanti al rifugio
iniziamo la preparazione della cena. È un trionfo di
zuppe, minestrine e risotti liofilizzati. Non avrei mai creduto
che questa roba un giorno mi sarebbe sembrata così
gustosa. È una bella serata, ma dopo cena si alza un
venticello freddo che smorza un po' la nostra voglia di chiacchierare.
È ora di andare in tenda: domani ci aspettano altri
18 chilometri!
30
agosto 2003
"Sveglia bimbi! C'è il sole!". Alle otto
spaccate, come ci aveva promesso, la Voce della Natura interrompe
una fenomenale notte di sonno. In effetti anche oggi è
una bella giornata, magari non come quella di ieri ma, considerato
dove siamo, proprio non ci possiamo lamentare. Facciamo colazione
con calma, smontiamo le tende e ci rimettiamo in cammino.
Oggi il sentiero dovrebbe essere quasi tutto in piano, se
non in leggera discesa. Possiamo vederlo anche da qui, con
i paletti rossi e gialli che spiccano sul nero della sabbia,
inseguendosi a intervalli regolari, e scompaiono poi in fondo
alla valle.
I
fianchi della montagna sono attraversati da solchi profondi
che scendono verso valle ripartendosi in mille canali simili
a torrenti inariditi. Visti da qui, creano un bellissimo effetto
e conferiscono al paesaggio un'aria morbida e rilassante.
Ma quando ci tocca attraversarli, scendendo in profondità
e risalendo dall'altra parte con i piedi che scivolano e affondano
in questa sabbia nera il nostro entusiasmo si attenua. In
questo tratto raggiungiamo anche una giovane turista canadese
partita stamattina presto dal nostro stesso rifugio. Viaggia
da sola, trascinandosi sulle spalle uno zaino gigantesco,
il minimo indispensabile - ci dice - per un viaggio lungo
come il suo. La salutiamo e proseguiamo il cammino.
Arrivati alle pendici del monte HARSKERDINGUR, che
con i suoi 1281 mt è tra le cime più alte della
zona, ci fermiamo per uno spuntino. Ma non facciamo a tempo
a posare gli zaini che Marco proclama la scalata alla vetta
con i pochi volenterosi che vorranno seguirlo. Ci arrampichiamo
in 6, come formiche, su una parete che a me sembra praticamente
verticale. Dalla cima, una vista spettacolare sulla strada
che abbiamo appena percorso e su quella che ancora ci aspetta!
Discendiamo la montagna su un altro fronte, completamente
coperto di ghiaccio. Da questo lato la pendenza è meno
decisa, per cui ci divertiamo a lasciarci scivolare simulando
una discesa libera senza sci!
Il
gruppo, ricompattato, riprende la marcia, incoraggiato dalla
visione del traguardo intermedio della giornata: il lago dove
dovrebbero aspettarci i fuoristrada nel pomeriggio. Si trova
nella cosiddetta "valle delle fate" e, man mano
che la nebbia davanti a noi si dirada, capiamo facilmente
le ragioni di questo nome. Arrivati al punto panoramico dove
consumeremo il pranzo, il lago riposa davanti ai nostri occhi
nella tranquilla immobilità di un acquerello. Lo circondano
montagne scure, su cui il muschio sembra scivolare in una
serie di lingue sottili che scendono verso valle, come se
qualcuno vi avesse versato su enormi barattoli di vernice
verde brillante.
Dopo pranzo ci aspetta un primo, piccolo guado. Marco studia
dall'alto la situazione e individua il punto in cui il fiume
sembra più facilmente attraversabile. Una volta arrivati
sul posto, però, la situazione si rivela più
complicata del previsto e, dietro l'esempio della nostra infallibile
Guida, posizioniamo alcuni grossi massi nel fiume, più
o meno in fila indiana, allo scopo di poterlo guadare più
facilmente. L'operazione riesce e ne beneficia anche la turista
canadese che nel frattempo ci ha raggiunti.
Ormai è quasi fatta. Percorriamo gli ultimi metri che
ci separano dai fuoristradisti tenendoci tutti per mano e,
quando arriviamo abbastanza vicini, iniziamo a correre e a
gridare a squarciagola simulando una carica. Loro fanno lo
stesso venendoci incontro: sembra una scena di "Brave
Heart", solo che, per fortuna, si conclude senza spargimenti
di sangue, ma con abbracci, strette di mano e pacche sulle
spalle.
Abbiamo
poco tempo per riposarci e raccontarci le rispettive giornate.
Massimo e Maurizio, i Capigruppo del viaggio, ci accompagnano
in furgone per un quarto d'ora di strada e poi ci abbandonano
nuovamente sul ciglio del sentiero. Al rifugio di BOTNAR
mancano altri 8 Km di deserto nero. Li percorriamo in silenzio,
a piccoli gruppi, con Marco davanti a fare strada. Siamo quasi
arrivati quando, sulla cima di una duna alla nostra sinistra,
vediamo un piccolo quadrupede che scappa, spaventato dalla
nostra presenza. È una volpe artica, come ci spiegherà
poi la Voce della Natura, attirata in questa zona dalla presenza
del rifugio e dei relativi avanzi di cibarie degli escursionisti.
La ranger che ci accoglie è molto simpatica e ospitale.
Mentre facciamo stretching e montiamo le tende inizia a cadere
qualche goccia di pioggia. Non abbastanza, però, da
farci rinunciare all'idea di cucinare tutti insieme sul grande
tavolo all'aperto.
Dopo cena, mentre scende piano piano la notte e, con lei,
un'umidità da tagliare a fette, Marco - tra un caffè,
un tè, una tisana e qualsiasi altra bevanda calda che
riusciamo a tirare fuori dalle nostre provviste - ci tiene
svegli e allegri con alcuni esilaranti racconti di sue precedenti
esperienze di viaggio, facendoci già sognare le prossime
mete. Ma per il momento la prossima meta è la tenda!
Buona notte!
31
agosto 2003
Al risveglio il campeggio è immerso in un banco di
nebbia: ci muoviamo quasi a tentoni per raggiungere il tavolo
della colazione! A poco a poco, però, mentre il fornelletto
scalda l'acqua per il caffè, la visibilità va
aumentando e, al momento della partenza dal rifugio, si può
quasi dire che il tempo sia bello!
La tappa di oggi non dovrebbe presentare grossi problemi.
16 km circa, tutti tendenzialmente in piano, con un'unica,
inquietante incognita: un guado piuttosto impegnativo a cui
Marco ci sta preparando psicologicamente fin dalla partenza.
Le nostre gambe, ormai abituate ai ritmi sostenuti di questi
giorni, si mettono al lavoro senza protestare.
Dopo un tratto di saliscendi dobbiamo attraversare un fiume
che scorre tra due alte pareti di roccia basaltica. L'acqua
di scioglimento del ghiacciaio si incanala in un canyon abbastanza
profondo che attraversa tutta la valle, offrendo ai nostri
occhi uno spettacolo ancora nuovo. Per fortuna c'è
un ponte, ma per raggiungerlo dobbiamo calarci lungo una discesa
sabbiosa abbastanza ripida, aiutandoci con una fune.
Continuiamo
a costeggiare il canyon che, in qualche punto, arriva a profondità
di tutto rispetto. A renderlo ancora più spettacolare,
le colonne di basalto che si allineano lungo le sue pareti,
solenni e regolari come canne di un enorme organo.
Mentre il cielo comincia a coprirsi
lentamente, diamo fondo alle scorte alimentari per l'ultimo
pranzo da trekkers. Davanti a noi, parzialmente coperta dalle
nuvole, domina il paesaggio una grande montagna dalle cime
aguzze e irregolari. Il suo aspetto ha qualcosa di misterioso
e diabolico e la nebbia, che ogni tanto l'avvolge, le conferisce
un'aria ancora più tetra.
Ma ormai le nostre energie sono tutte concentrate sul guado
che si avvicina inesorabilmente. Prima, però, ci aspetta
un'ultima salita per raggiungere la vetta della collina dalla
quale Marco, scrutando il fiume, individuerà il punto
ideale per l'attraversamento. Visto da qui non sembra poi
così difficile. L'acqua, infatti, non scorre in un
unico alveo, ma si ripartisce in tanti piccoli rivoli, apparentemente
poco profondi. In realtà poi, arrivati sull'argine,
ci accorgiamo che forse è il caso di ridimensionare
un attimo gli entusiasmi.
Ci sparpagliamo nella zona per fare la pipì, secondo
le indicazione della Guida: pare, infatti, che l'acqua gelata
aumenti mostruosamente lo stimolo, per cui è consigliabile
farla qui per evitare di trovarsi in situazioni imbarazzanti
nel bel mezzo del guado!
Marco attraversa per primo. Si leva scarpe e pantaloni, inforca
le ciabatte e, con lo zaino sulle spalle ed in mano gli inseparabili
bastoni da trekking, affronta la potenza del fiume.
Procede lentamente, appoggiando i piedi con estrema cautela.
Nel punto più alto l'acqua gli arriva alle cosce il
che, considerato quant'è alto, vuol dire che per noi
è il caso di tirare fuori le mutande di ricambio!
Per secondo passa Gianni, che ci rimette una ciabatta, travolta
dall'impeto delle acque. Poi, uno alla volta, in mutande,
giacca a vento e zaino in spalla, passiamo tutti, ognuno col
suo stile, magari non sempre impeccabile, ma evidentemente
efficace, visto che non consegniamo vittime al fiume..
L'acqua
è effettivamente gelida, ma siamo così concentrati
a seguire le istruzioni di Marco, che dall'altra sponda regge
il capo della fune di sicurezza con cui siamo imbracati, che
in quei momenti non ci si fa neanche tanto caso.
Il tempo di asciugarsi e rivestirsi in fretta e siamo di nuovo
in cammino per percorrere l'ultimo tratto di strada.Il paesaggio
cambia ancora una volta e, mentre inizia a cadere una pioggerellina
sottile e fastidiosa, noi scavalchiamo una collina dopo l'altra
attraversando questo inedito bosco di betulle nane (i primi
alberi che vediamo in Islanda!).
Ai bordi del sentiero, un impressionante numero di funghi
porcini dalle dimensioni mai viste prima attirano subito la
nostra attenzione. Iniziamo a raccoglierli come fossero rarità,
ma dopo un po' di metri, riempita la grande busta che al povero
Gianni tocca trascinarsi dietro, ci accorgiamo che qui praticamente
sono presenti come le margherite nei nostri prati e ci concentriamo
di nuovo sulla strada per la volata finale.
Nella nebbia che ci avvolge completamente arriviamo, esausti
e bagnati, al rifugio di VALAHNUKUR. Ci fermiamo qualche
minuto per riprendere fiato. All'interno della piccola struttura
in legno, quattro ragazzi chiacchierano seduti in poltrona
davanti ad una pentola fumante
dopo una giornata come
la nostra questo posto mi sembra incredibilmente familiare
ed accogliente.
Siamo praticamente arrivati, in lontananza si intravedono
i furgoni che ci aspettano qualche centinaio di metri più
in là. Sul ponte, Barbara e Chiara fanno da esca involontaria
per la trappola che Spartaco (leggi Maurizio) e i suoi perfidi
scagnozzi (leggi Massimo e Luca) hanno preparato per noi.
Nascosti dietro le rocce, anticipano il nostro passaggio con
una piccola, scherzosa frana di benvenuto! Siamo troppo esausti
per accorgercene
altri pochi passi e saliamo a bordo
dei furgoni, diretti al campeggio di BASAR dove ci aspetta
il resto del gruppo.
Siamo stanchi, ma di una stanchezza bella, di cui essere tutto
sommato orgogliosi!!
Grazie
Islanda, grazie Marco, nostra insostituibile Voce della Natura
e grazie Dimensione
Avventura ....nessuno di noi dimenticherà facilmente
questi giorni! |