IN VIAGGIO ALLA RICERCA DEGLI ANTICHI SAPORI: LE LANGHE
GENTI E LUOGHI DI
LANGA
di Alexander Màscàl
foto Matteo Saraggi
Nel viaggio alla ricerca “dell’Arca”
degli Antichi Sapori su cui fare salire il meglio dell’enogastronomia
non s’incontrano solo grandi aziende, ma anche piccoli
produttori, vere e proprie pietre miliari del buongusto:
sono i custodi delle tipicità gastronomiche, i conoscitori
dei segreti tramandati dalle antiche popolazioni locali.
Attraverso la cultura del cibo si ricompongono le tradizioni,
il folclore, il turismo e per questo sono il migliore “Libro
di Storia” in cui leggere il nostro passato, per non
scordare che senza di lui non c’è futuro...
Il viaggio alla ricerca dei sapori e delle località
da scoprire è lungo e interminabile, ma se mi seguirete
attraverso il Tempo cammineremo su strade e sentieri per
incontrare i popoli della montagna, della pianura, delle
colline e del mare. Assieme assaporeremo quei gusti che
credevamo ormai scomparsi sotto i pilastri del cemento e
“l’insapore” dell’industria del
consumismo veloce.
Le prime perle per comporre il nostro gioiello turistico-enogastronomico
le incontriamo in Piemonte, viaggiando nella provincia di
Cuneo, attraverso Langhe e Roero.
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LANGA MAGICA E ... DA GUSTARE
Il nostro itinerario inizia in una località
sul confine tra la provincia di Asti e quella di Cuneo.
Qui, dove s’incontrano Langhe e Monferrato le due
culture si sono amalgamate e le tradizioni contadine sono
sopravissute all’incalzare del progresso.
E’ il territorio del Moscato d’Asti, che si
produce solo nella zona di Canelli (AT), e in quella di
Santo Stefano Belbo (CN).
“Biondo, dolce, suadente”.
No, non si tratta di un giovane incantatore di femmine,
ma del principe dei vini: il Moscato d’Asti, che a
Santo Stefano Belbo, in loc. San Grato, l’azienda
agricola “Cà du Sindic” di Sergio Grimaldi
produce assieme al Piemonte Brachetto e ad un superbo Barbera
e poco importa se non si è concordi nel definire
il sesso “della” barbera o “del”
barbera. Poco importa la sua identità maschile o
femminile quando a noi non resta che lasciarci tentare per
il brindisi finale: Cin cin con il Moscato... purché
sia “du Sindic”.
Pochi chilometri e giungiamo a Cossano
Belbo dove sostiamo per scoprire il “mondo infarinato”
del “Mulino Biologico a Palmenti Marino”. Dall’inizio
del secolo scorso la famiglia Marino produce eccezionali
farine tra cui: “Sapori Antichi” con farro,
segale, kamut, monococco (il primo grano comparso sulla
Terra); “Kamut” (chiamato anche “il grano
del Nilo” o “dei Faraoni”, per le sue
origini...); farine di grano tenero e farine per intolleranze
alimentari ( farro, semi antichi, monococco, grano saraceno,
segale, kamut ).
Eccezionali le farine per polenta, come
la “Taragna” (con mais integrale e grano saraceno),
e quella detta “ottofile”, la pregiata e rara
varietà di mais delle Langhe: vere “delizie
per il palato”, tanto gustose da non avere bisogno
di condimenti…
La macinazione è fatta a bassa velocità per
non surriscaldare i chicchi, preservarne aroma e proprietà
nutritive, inoltre sono utilizzate tre macine, tra cui una
destinata ai cereali per intolleranti e una per il mais
ottofile. Tutti i cereali provengono da produzioni biologiche
altamente selezionate. La loro produzione ha varcato i confini
rappresentando l’Italia in Europa, Giappone, Stati
Uniti, Australia.
Dallo schermo di Rai Uno Gianfranco Vissani la presenta
proponendola con i più svariati abbinamenti, “La
Stampa” e l’inserto “Specchio”,
“Grazia”, “Viaggi e Sapori” e altre
illustri testate giornalistiche gli dedicano intere pagine,
mentre Bruno Gambarotta e “Papillon” di Paolo
Massobrio, celebri gastronomi, ne elogiano i sapori. Ovunque,
Mulino Marino ha guadagnato un posto d’èlite
attraverso le pagine dei più importanti giornali
e reti televisive che invitano i buongustai ad avvicinarsi
a queste farine “d’autore”.
Saliamo
sulla collina e passiamo accanto all’antico maniero
di Borgomale, tetro e cupo come la leggenda che narra della
tragica fine della giovane Nella di Cortemilia, bella e
virtuosa fanciulla la cui vita finisce tragicamente nelle
acque del fiume Uzzone, alla vigilia delle nozze con Dagoberto.
La storia narra delle vicende di Adelaide,
marchesa di Castino, imprigionata nella torre del Castello
per non aver voluto soggiacere alle voglie del cognato Lionello,
crudele signorotto locale.
Adelaide ha una figlia, Nella (o Stefanella), orfana del
padre morto in Terrasanta. Affidata ad una famiglia di contadini
la giovane cresce ignorando di essere figlia della marchesa.
Anche il perfido Lionello ha un figlio, Dagoberto, bello
e virtuoso. Un giorno i due giovani s’incontrano e
s’innamorano.
Intanto, Lionello dopo essersi recato al vicino santuario
del Todocco (in Valle Uzzone), pentito e tormentato dai
rimorsi decide di restituire alla cognata la libertà,
i beni e il feudo.
Ma la tragedia è in agguato: la
vigilia delle nozze, la giovane è travolta dal fiume
in piena, mentre il promesso sposo tenta invano di salvarla.
Il suo corpo sarà trovato il giorno dopo, adagiato
sul tronco di un melo fiorito.
Le vicende risalgono al 1300, ma ancora oggi si narra della
triste fine di Nella di Cortemilia e del suo fantasma che
vaga in cerca dell’amato Dagoberto.
Facciamo una deviazione per vedere la “Casa
delle Memorie” a San Donato di Mango.
Oggi si viaggia anche attraverso le rievocazioni storiche,
le sagre, i musei, e uno di questi viaggi nel “Tempo
virtuale” si potrà fare varcando la soglia
della: “Casa delle memorie”.
Siamo in una di quelle località che collegano il
Piemonte alla Liguria, attraverso l’antica strada
romana della Via Magistra Langarum. La Langa albese è
sempre stata una via di comunicazione per il transito dei
pellegrini, ma anche per mercanti, briganti, contrabbandieri
ed eserciti romani che stanziavano in queste zone.
Sulle Langhe si sono scritte pagine di
storia e purtroppo quelle della “Santa Inquisizione”
sono state scritte con il sangue di tante povere vittime:
presunte “streghe” ed “eretici catari”
hanno alimentato il fuoco dei roghi!
C’era un tempo in cui i paesi erano
come una grande famiglia: tutti si conoscevano, si aiutavano.
Il medico non curava solo il corpo e il curato non curava
solo l’anima, la “levatrice” non aiutava
solo a far nascere i bambini e il Sindaco non si occupava
solo dell’amministrazione: erano i tempi dei valori
umani, l’amicizia si scriveva con la “A”
maiuscola e ci si faceva tutti partecipi delle gioie e dei
dolori del singolo o dell’intera comunità!
Ci si riuniva attorno al focolare per narrare storie di
masche, streghe e briganti. Alla domenica si metteva il
“vestito buono”, quello delle feste e si andava
tutti a messa.
Erano i tempi in cui si vendemmiava, si
raccoglieva il grano o si facevano altri lavori aiutandosi
l’un l’altro. Gli uomini si riunivano all’osteria
per giocare a carte e bere un bicchiere di vino, e poi...
tutti a casa di “Pinot ‘d la burgà”,
o da Brasalin e Ginota, per la “merenda sinoira”
(tipica merenda contadina), e con la “buta stupa”(bottiglia
stappata), accompagnata da pane, salame, formaggio e un
sigaro.
Erano i tempi della miseria, ma si era
tutti felici per quel poco che “il buon Dio dava”!
...Erano i tempi in cui ci riconduce la “Casa delle
memorie” e dove ritroviamo tutti quegli “spaccati
di vita” che molti hanno vissuto, ma non dimenticato!
Basterà varcare la soglia di questa casa-museo che
ricostruisce uno spaccato di vita di fine ‘800, per
divenire partecipi di un viaggio a ritroso nel Tempo. Qui
la civiltà contadina è rappresentata da stanze
completamente arredate con mobili e suppellettili dell’epoca:
perfetta ricostruzione di una casa rurale.
Rivivremo il passato dei nostri nonni, entreremo in un mondo
“antico”, dove la fantasia ci riporterà
indietro nel Tempo, in un viaggio attraverso le pagine dei
libri di scuola, le veglie attorno al focolare e le storie
delle “masche”.
...Era l’800, ma qualcosa di quel
secolo è sopravvissuto sino agli anni ’40 e
‘50 del secolo scorso e per questo i ricordi sono
simili a quelli della mia infanzia: “forse”sono
solo i miei ricordi, i miei rimpianti, ma forse anche quelli
di chi sta Leggendo questi “amarcord”...
Spesso i ricordi possono giungere anche al ritmo di canti
popolari e filastrocche, allora una ventata d’allegria
coglie il turista trasportandolo in un viaggio a ritroso
nel Tempo per condurlo in una “trattoria dei ricordi”
dove le strimpellanti note di canti popolari, filastrocche
e antichi balli gli faranno rivivere una giornata di canti
e danze sull’aia. Sono i “cantastorie”,
i “musicanti”, e se ad accompagnarli è
una delle più belle voci dialettali piemontesi, e
fervida penna generatrice di tanti canti popolari, come
quella di Piero Montanaro, non interrompete il mio sogno
canoro... in compagnia di queste simpatiche combriccole
che “una più del Diavolo ne sanno e ne inventano”
per trascinare nel loro “limbo musicale” chi
ha smarrito l’anima in questo tempo frenetico e senza
più ricordi...
Oggi il passato rivive tra le pareti di
quest’antica canonica, ristrutturata e trasformata
in museo dall’inesauribile fantasia di Donato Bosca,
fondatore dell’associazione “Arvàngia”
(parola dialettale che vuol dire “rivincita”),
autore di numerosi libri sulle “masche” e promotore
di numerose iniziative culturali, storiche, con un sito
tutto dedicato alla cultura, al folclore e ai ricordi...
del passato.
Indubbiamente un sito da non perdere, dove potrete anche
incontrare chi sta scrivendo questo articolo, attraverso
il sito dedicato alle leggende: www.masche.it “La
maledizione della strega Micilina”; “Paranormale:
Alexander”.
A pochi chilometri incontriamo Mango. Mango
esisteva già in epoca romana, con il nome di Mangiana
Colonia. Citato nella Tavola Alimentare di Traiano, aveva
il compito di rifornire di viveri le truppe dell’imperatore,
che qui fondarono la colonia che originò il paese.
L’imponente mole del Castello-fortezza, domina questa
località delle Langhe albesi. Edificato nella seconda
metà del 1200, conserva tuttora i passaggi segreti
utilizzati in passato per sfuggire agli assedi.
La leggenda vuole che durante la Quaresima,
del 1900, i missionari, per volere di un tal Geremia, bruciarono
in piazza, davanti alla chiesa di Sant’Ambrogio, tutti
i “libri del comando” e che, per questo motivo,
per sette anni sulle colline vi fu una tempesta...
Si dice che il “Libro del Comando”
contenga formule magiche che le streghe usavano per controllare
gli elementi, ma in tempi in cui il popolo firmava... facendo
una croce mi pare che leggere libri e prendere appunti...
Ai tempi dell’Inquisizione saper
leggere e scrivere, al di fuori della casta sacerdotale
o feudale, significava aver stipulato un patto con il Demonio.
Nel ‘900, forse, qualcuno più istruito aveva
solo preso appunti di cucina o di erboristeria, ...ma poiché
amo le leggende preferisco credere al libro delle streghe!
A Mango, ogni anno a giugno, si svolge
un particolare concorso riservato ai “Tabui”
(voce dialettale per indicare i cani di origine ignota,
definiti “bastardini”), che vengono premiati
per fedeltà e devozione all’uomo e a cui è
anche dedicato un monumento. I “Tabui” sono
eccezionali cani da tartufo, oltre ad essere i migliori
compagni dell’uomo per dedizione e sacrificio...
Risaliamo le dolci colline langarole sino
a Dogliani, patria del “Dolcetto”, di Luigi
Einaudi (il primo Presidente della Repubblica), di Domenico
Ghiliani, (inventore del fiammifero), e patria adottiva
di Pini Segna, uno dei disegnatori di Zagor, L’Uomo
Mascherato, Mandrake, Kriminal e altri famosi fumetti della
nostra infanzia.
Seguiamo la strada che sale verso la parte
alta della cittadina e passiamo accanto ad una delle fantastiche
opere dello Schellino, fantasioso architetto doglianese
vissuto nel 1800: il cimitero monumentale,
la cui facciata guarnita da fantasiose guglie e pinnacoli
si presenta in tutta la sua originale, seppur macabra, grandezza
architettonica e coreografica. Proseguiamo passando accanto
alle numerose cappelle votive, e all’insolita veste
della Madonna delle Grazie... mentre la vista spazierà
sulle colline sino a perdersi nello stupendo scenario delle
Alpi innevate.
Ridiscendiamo verso la città sostando
per una visita alla parte antica di Dogliani-Castello da
dove potremo godere uno stupendo scenario sui tetti e sulle
“metafisiche” costruzioni dello Schellino.
Non si può passare per Dogliani
senza deliziarci in uno dei fiori all’occhiello della
cucina di Langa: il “Ristorante Albero Fiorito”
in cui lo chef Claudio Dalmasso, coadiuvato dalla moglie
Alba, prepara incredibili prelibatezze: ricette territoriali,
semplici, ma eseguite con raffinatezza e buon gusto, veri
elogi ai sapori tradizionali serviti con quella classe che
ci ricorda di come “anche l’occhio voglia la
sua parte”. Ci serviranno una favolosa carne cruda
battuta col coltello, trota cruda marinata, sfornatino di
cipolla bianca, favolosi tajarin con ragù cotto nel
Barolo, agnolotti al burro fuso, brasato di bue al Barolo
e quello di cinghiale, bollito misto, panna cotta, bonet,
torta di nocciole con sanbajon (zabaione), ma ogni giorno
il menù varierà stupendoci e nella stagione
invernale potremo gustare l’eccezionale polenta dei
Marino, mentre in autunno i piatti saranno insaporiti con
il tartufo.
Storico locale degli anni ’50, in
una Dogliani ai tempi dell’allora giovane Einaudi,
oggi questo ristorante è un punto di sosta per buongustai
e di transito per personaggi famosi, come si vede dai “piatti
con dediche e autografi” esposti all’entrata.
Appena usciti, potrete acquistare, nella vicina macelleria
di Rolfo & Rolfo, ottime carni e salumi, ma anche il
vino di produzione di Enrico Rolfo.
Ripercorriamo il dorsale delle colline
del Barolo. La strada attraversa i vigneti del pregiato
vino, incontrando imponenti castelli che ci portano alla
mente i fasti di corte.
Qui e là il verde delle colline
è punteggiato dal rosso dei tetti dei cascinali e
dai tipici “ciabot” delle vigne (piccole costruzioni
in muratura, per riporre gli attrezzi).
All’inizio erano fatti con semplici
frasche, canne, stocchi (fusto spoglio), di granoturco legati
a mò di capanno, poi divennero strutture di legno,
infine di muratura. I campi e le vigne erano distanti dalle
abitazioni e la necessità di non interrompere il
lavoro rendeva questi capanni utili anche per le brevi soste
del pranzo, per ripararsi dai temporali improvvisi e per
dormire quando era necessario vegliare sui raccolti ed evitare
furti di grano, uva, frutta, ortaggi.
Siamo nella
zona in cui l’eresia dei Catari ha scritto pagine
drammatiche: indelebile storia di “eretici”
e “streghe”condotte al rogo in nome di Cristo
e dell’Inquisizione… Ma sono anche i luoghi
delle “masche”e dei loro sortilegi…
Sono le terre delle mille leggende, come
quella di Treiso e la “Rocca dei Sette Fratelli”,
o quella del Castello della Volta.
Tra sali scendi in mezzo ai vigneti del
pregiato vino, giungiamo a Barolo e incontriamo l’imponente
mole del Castello Falletti eretto nel X secolo, come baluardo
contro le invasioni dei saraceni.
Dal 1250 fino alla seconda metà
del secolo XIX fu adibito a residenza dei potenti Marchesi
Falletti.
Si possono ancora vedere le stanze della
Marchesa Giulia Colbert Falletti con gli arredi originali
dell’epoca, la camera da letto di Silvio Pellico che
fu per lungo tempo ospite, la preziosa biblioteca, il Museo
Etnografico delle tradizioni contadine e della viticoltura
e le antiche cantine adibite ad Enoteca Regionale del Barolo
con l’esposizione di bottiglie di vino Barolo provenienti
da tutta la zona di produzione; la possibilità di
degustazione direttamente in Enoteca e uno spazio promozionale
per l’acquisto delle bottiglie.
Sostiamo per visitare questa dimora, poi
ripartiamo per un altro maniero che sorge a pochi chilometri,
sulla collina di fronte: il “Castello della Volta”
le cui mura racchiudono leggende e misteri che la tradizione
popolare ha tramandato.
La leggenda vuole che ai primi del 1300
durante una festa offerta dai locali signorotti del Castello,
gli ospiti si abbandonarono ad un’orgia: per punizione
di tanta scelleratezza … “Dio” fece crollare
il soffitto (la volta), di un salone, travolgendo e seppellendo
tutti i partecipanti...
E’ in questa zona che le colline
producono il vitigno del Nebbiolo che con il tempo si tramuterà
in “Barolo”, vino di prestigio, noto in tutto
il mondo.
Il
panorama è stupendo, l’occhio spazia sui vigneti
allineati, perfetti, scenografici, poi appena svolti una
curva ti trovi improvvisamente davanti all’inconfondibile
sagoma del Monviso con le pareti imbiancate di neve e se
volgi lo sguardo incontri tutta la catena montuosa che divide
il Piemonte dalla Francia e dalla Lombardia.
Pochi chilometri e incontriamo quella
che qualcuno ha definito “La Repubblica del Re dei
Vini”: la “Cantina Terre del Barolo” di
Castiglione Falletto.
Sorta nel 1958 per raggruppare i piccoli
proprietari colpiti da una grave crisi della viticoltura,
questa cooperativa è oggi ai primi posti grazie alla
qualità del prodotto ma anche alla guida del Presidente
Matteo Bosco, geniale mente che ha saputo abbinare il mondo
dell’arte, della cultura e dello spettacolo a quello
del vino.
Ogni anno la Cantina non produce solo
i pregiati vini Barolo; Nebbiolo, Dolcetto e Barbera d’Alba;
Dolcetto di Diano, ma anche incontri e manifestazioni, tra
cui il “Premio Terre del Barolo” riservato alle
donne “in carriera” che nel corso degli anni
hanno portato il loro nome in giro per il mondo e “Lunetta
d’Argento” riservato alle giovani emergenti
che si sono distinte nel mondo della cultura e dello spettacolo
durante l’anno.
Le premiazioni hanno visto un susseguirsi
d’ospiti d’èlite. Attraverso l’incanto
di scarpette e tutù dell’intramontabile bravura
della danzatrice classica Carla Fracci, si è passati
a Luciana Littizzetto: tutta “ravanello pallido”
e peperino; Susanna Agnelli; Paola Saluzzi (di Uno Mattina);
la simpatica astrofisica Margherita Hack; Tiziana Ferrario
(TG di Rai Uno); la dottoressa Livia Azzariti di Check-up;
sino alla famosa e briosa stilista ... ultra novantenne:
Micol Fontana.
Non
molto distante si potrà visitare uno splendido maniero,
un gioiello medioevale, maestoso quanto insolito nella sua
struttura: il Castello di Serralunga d’Alba, uno dei
più belli e originali, con le alte torri tonde che
lo rendono simile a quelli della Loira e della Scozia. Perfettamente
conservato merita di essere visitato (info: tel. 0173613358).
Interessante il centro storico con caratteristiche medioevali.
Rimaniamo nei pressi di Serralunga d'Alba,
nel cuore di quel Piemonte che scrisse le pagine della Storia
d’Italia. Vale la pena visitare la tenuta di caccia
di “Fontanafredda”, residenza preferita di Vittorio
Emanuele II che qui trascorreva le sue giornate con Rosa
Vercellana, meglio nota come “la Bela Rusin”,
moglie morganatica.
La storia di Fontanafredda come azienda
vitivinicola inizia nel 1878, grazie all’imprenditore
Emanuele Guerrieri conte di Mirafiori, che segue criteri
innovativi all’avanguardia, puntando alla produzione
di vini di qualità, soprattutto del Barolo. La storia
riferisce che la proprietà “Roggeri Giacomo
fu Gioanni Battista in Serralunga d'Alba” venne iscritta
nel patrimonio privato di Vittorio Emanuele II Re di Sardegna,
con una superficie di “giornate piemontesi 138,8”
(pari a circa 54 ettari), “per ingiunzione del 17
giugno 1858". L'intera partita di terreni venne poi
intestata il 20 gennaio 1860 a "Guerrieri conte Emanuele
e Maria Vittoria sorella", i figli naturali del Re
e di Rosa Vercellana, la quale l'anno precedente era stata
a sua volta insignita del titolo di contessa di Mirafiori
e Fontanafredda.
La tenuta e le antiche cantine sono visitabili.
info: Fontanafredda. Serralunga d’Alba - Tel 0173
626111 - www.fontanafredda.it
Sempre in zona troviamo Grinzane Cavour,
dominato dall’imponente castello del XIII secolo,
appartenuto a Camillo Benso Conte di Cavour che qui vi dimorò
dal 1832 al 1849 e che lo trasformò in un importante
centro di produzione dei vini locali. Attualmente ospita
il Museo Etnografico e l’Enoteca Regionale.
Nel museo si possono vedere ambientazioni
del ‘600 e dell’800, distilleria del’700,
contadinerie da cortile, bottega del bottaio.
Dietro il castello troviamo la storica “Cantina del
Conte”, di Sergio Pelissero, trasformata in enoteca,
grapperia, bottega di prelibatezze in cui è possibile
acquistare i tipici prodotti di Langa. Questa antica cascina
di proprietà dei Conti di Cavour fu acquistata da
Francesco Pelissero, nel 1921, dalla marchesa Adele Alfieri
di Sostegno, nipote del famoso Camillo Benso Conte di Cavour.
La struttura comprende una sala dove si
può sostare per una degustazione a base di vino,
pane e salumi, tome, acciughe, torrone, torte di nocciole
e altre prelibatezze locali. Pelissero è anche produttore
di vini Dolcetto, Barbera d’Alba, Nebbiolo, Barolo,
e di ottime grappe ottenute con la distillazione delle sue
uve.
Fermiamoci a pochi metri dalla “Cantina
del Conte” per trascorrere un’indimenticabile
notte presso la “Locanda del Conte”, una struttura
fine ‘800, recentemente ristrutturata in modo “scenografico”,
con camere singole, doppie e suites a disposizione per chi
vuole provare l’emozione di dormire sopra letti a
baldacchino, in stanze arredate con mobili d’epoca
e al risveglio, dalla finestra, ammirare uno stupendo panorama
che si estende dai vigneti del Barolo, sino alle Alpi.
Treiso narra la leggenda della “Rocca
dei Sette Fratelli”, che sorge tra le borgate Canta,
Giacone, Montersino, un’ampia voragine a forma d’anfiteatro
dalle pareti molto ripide, con grosse sporgenze che si protendono
verso il centro del dirupo e quasi prive di vegetazione.
All’interno vi sono solo pochi arbusti di ginestra,
pino silvestre, ginepro.
Molti secoli fa in quel punto vi era un
bellissimo prato presso il quale, un venerdì giorno
del Corpus Domini, sette fratelli si erano recati a falciare
l’erba. Durante l’ora del pasto la sorella portò
loro il pranzo. Mentre mangiavano passò la processione
e chi lavorava nei campi al suo passaggio sostò in
preghiera. La giovane invitò i fratelli a sospendere
il pasto per inginocchiarsi e riverire il Santissimo che
transitava, ma loro si misero a bestemmiare contro il Signore
lanciandogli una sfida: “Sono tutte storie, se esiste
il Signore ci faccia sprofondare sotto terra”.
Detto fatto, di colpo la terra si aprì
inghiottendoli. Si salvò solo la sorella rimasta
miracolosamente sorretta su una lingua di terra.
Lasciamo le terre di Langa, ma preparatevi
per il prossimo viaggio e assieme entreremo nel Roero: nelle
terre di... Belzebù, delle Rocche e delle... masche
Micilina e Paroda.