Pasqua 2008, cinque giorni tra Toscana e Liguria, tra
Versilia e Lunigiana. In sei (Bruna ed Egidio, Edda e
Danilo, Egle e chi scrive) per circa 700 kilometri contro
il maltempo eppure felici di essere riusciti a strappare
alla pioggia (e anche a qualche folata di neve) attimi
di bellezza, di gioia della scoperta.
La recrudescenza dell’inverno ci ha, per esempio,
impedito di visitare le cave di marmo di Carrara: il manto
di neve era appena qualche metro sopra le nostre teste.
Gli occhi li avevamo sempre, del resto, rivolti in alto.
Ci avevano detto che da queste parti dopo decenni (e
forse secoli) sono tornate a nidificare le cicogne. Un
gran bel segno, un augurio: non le abbiamo viste, ma non
mancherà occasione. Le cicogne le abbiamo amate
in tutti i cieli d’Europa: dalla Polonia alla Spagna,
dal Portogallo alla Cechia. Straordinario ritrovarle qui,
in casa nostra.
Il maltempo ha anche impedito la sacra rappresentazione
del venerdì santo che eravamo venuti a cercare.
Delusione? Un po’, ovvio. Ma come sempre, il fascino
dell’inedito e dell’andare ha supplito in
abbondanza.
Con qualche sorpresa che tra un istante sarà gioioso
raccontare.
Giovedì, 20 marzo
Partiamo di mattina presto e il cielo è già
imbronciato. La nostra prima meta è Torre del Lago
Puccini, che raggiungiamo nel primo pomeriggio. Il lago
di Massaciuccoli (vicino al quale c’è un
ampio e comodo parcheggio) ci riserva un raggio di sole.
Sul lago soffia un vento che porta odori e rumori lontani.
Aspettiamo l’ora per entrare nella villa che Giacomo
Puccini si fece costruire qui, proprio in riva al lago.
A Torre del Lago il grande musicista arrivò nel
1891. Qualche anno dopo, nel 1899, nacque la villa che
visitiamo. Entriamo nelle stanze e la suggestione (accompagnati
dal comodissimo audio individuale plurilingue che ci guida)
è grande. Rivediamo il maestro che a tarda notte
dialoga col suo pianoforte e inventa, nel fumo delle sigarette,
il mondo di Manon, di Minnie e di Ramerrez. Intanto i
suoi amici giocano a carte, seduti sul balcone.
Visita indimenticabile, quella alla casa di Puccini.
Qui compose Madama Butterfly, La fanciulla del West, La
Rondine e il Trittico. Qui riposano le sue spoglie mortali.
Torre del Lago vive nella luce del suo genio. Prima di
mettere su casa propria, Puccini era stato qualche anno
in affitto e in riva al lago erano nate Manon Lescaut
e Boheme. La visita costa sette euro e si passa da una
curiosità all’altra: i fucili da caccia (con
la grossa, incredibile spingarda da treppiede), i manoscritti,
i ritratti, i quadri degli amici macchiaioli.
Il tardo pomeriggio è per Viareggio. Anche qui
nel segno di Puccini, che occhieggia da poster, cartelloni
e manifesti. Il 2008 è anno pucciniano visto che
il maestro nasceva a Lucca esattamente 150 anni fa.
Il nostro camper trova comoda ospitalità nel parcheggio
di via Sciesa. Attraversiamo la pineta e siamo in viale
Buonarroti. L’estate non è ancora esplosa
e la passeggiata sul lungo mare (con una puntatina sulla
spiaggia, visto che è spuntato il sole) è
dolce e rasserenante. Viale Carducci è invitante,
ampio e costeggiato dalle facciate delle sue case liberty.
Affascinante. Di tanto in tanto ci sorride il faccione
allegro di Burlamacco, la maschera ufficiale del carnevale
di Viareggio creata nel 1930 dal pittore futurista Uberto
Bonetti e dalla sua compagna Ondina per il manifesto che
doveva pubblicizzare il carnevale stesso. Nome bello e
complicato Burlamacco: vi entra il canale Burlamacca che
attraversa la città, vi entra Buffalmacco un personaggio
che incontriamo nelle novelle del Decameron di Boccaccio.
E naturalmente la burla, lo scherzo.
Venerdì, 21 marzo
Ci svegliamo col sole e dunque prima di lasciare Viareggio
percorriamo tutto il lungomare col camper: un giro al
porto e via verso Pietrasanta.
A Pietrasanta, capoluogo storico della Versilia, parcheggiamo
in un centro commerciale (COOP) e raggiungiamo la città
attraverso il sottopassaggio della ferrovia. La prima
tappa è in piazza Statuto col chiosco verde di
Infoturistica (info@pietrasantaemarina). Sandra ci dà
tutte le informazioni e i ragguagli.
Pietrasanta davvero città d’arte. Le monta
la guardia il guerriero di bronzo (pacioccone e ironico,
ovviamente) di Fernando Botero. E la sorveglia anche il
fantastico, solenne centauro che Igor Mitoraj fuse in
bronzo nel 1995.
Tutto qui ci ricorda che siamo nel cuore vivo di una
zona in cui l’uomo domina la materia, scolpendola
in mille forme diverse. La Porta della Pace di una bellezza
e di una ricchezza che invitano alla riflessione, il Museo
dei Bozzetti (con i suoi 600 bozzetti e modelli. In questi
giorni è dominato dai demoni inquietanti di Enrico
Baj che espone la sua Apocalisse. Il grande artista milanese,
1924-2003, è scomparso da qualche anno. Qui si
avverte il soffio potente del suo genio e delle sue provocazioni,
la sua grande eredità fantastica), il Parco Internazionale
della Scultura Contemporanea.
Entriamo nel Municipio e nella sala consiliare: rimaniamo
in silenzio davanti agli affreschi che ritraggono uomini
bendati, singolare riflessione sulla incomunicabilità
contemporanea.
Visitiamo la chiesa di Sant’Antonio e San Biagio
(la chiesa della Misericordia). Qui convivono in modo
affascinate statue lignee del Quattrocento (una attribuzione
a Jacopo della Quercia) e le fantasie di Fernando Botero
che ha affrescato le pareti nel 1993. La Porta dell’Inferno
fa intuire tutti gli orrori del male, la Porta del Paradiso
invita dolcemente al bene. Botero è stato grandissimo
qui: ha coniugato memorie medievali e dantesche con sensibilità
moderna, con le sottili inquietudini dei nostri giorni.
Non finirei di fotografare, di cogliere particolari.
Splendido il duomo dedicato al santo di cui da sempre
mi occupo, San Martino. Raffinato il rosone, ma travolgente
la Pietà marmorea (XIV secolo) sulla lunetta del
portale di destra. Cristo e Maria, un unico, straziante
dolore. La madre rassegnata, il figlio che sembra voler
uscire dallo spazio della lunetta e camminare in mezzo
al suo popolo.
Il santo che divise il suo mantello col povero, è
raffigurato in un gruppo marmoreo all’esterno (a
ridosso del battistero, purtroppo chiuso), in un olio
(settecentesco?) sospeso all’interno in una navata
laterale e in una vetrata. Non ci sono purtroppo immagini
o libri acquistabili e il dipinto è praticamente
impossibile fotografarlo. Peccato.
Sul piazzale antistante possenti monoliti raccontano
in modo ancora diverso Pietrasanta città del marmo
Alla sera ci trasferiamo a Strettoia dove sappiamo che
andrà in scena una grande sacra rappresentazione
del venerdì santo. Dovrebbe. Ma la pioggia battente
dice un no secco. Il cartello davanti alla chiesa che
sancisce la rinuncia è un po’ triste. La
chiesa (in riva al rio Strettoia sul quale un tempo sorgevano
numerosi mulini) è dedicata alla Madonna delle
Grazie ed è stata ricostruita dopo le devastazioni
belliche
Ma a questo mondo ci sono sempre compensazioni. Ci rivolgiamo
per informazioni, sul sagrato della chiesa, ad un signore
che è prodigo di notizie. Poi siccome una cosa
tira l’altra come sempre in queste occasioni, scopriamo
che stiamo parlando con l’ex assessore alla cultura
Ezio Marcucci, che abbiamo incredibilmente conoscenze
e perfino interessi (ha curato una mostra del trevigiano
Francesco Piazza) in comune. Marcucci ci porta nella sua
casa e apre una bottiglia (di prosecco, rigorosamente
di Valdobbiadene!). Poi ci fa visitare il suo piccolo
grande museo della cultura contadina. Che scoperta, che
squarcio di vita locale. Ecco quel particolare scalpello
che serve a sgrossare il marmo e che si chiama subbia;
ecco i rampini per granellare le olive (cioè per
raccogliere le poche olive sfuggite al raccolto: lavoro
per povera gente); ecco la gregiola e il tempellerone
(che sono due tipi di raganelle); ecco lanterne, martelli,
tenaglie, utensili di ogni tipo, caffettiere e tutti gli
infiniti oggetti che hanno popolato la quotidianità
di generazioni da poco trascorse.
Qui era linea gotica e sulle colline contrapposte si
fronteggiavano tedeschi e alleati. C’è un
indizio che lo rivela: accanto agli ulivi secolari, ci
sono ulivi molto giovani, di qualche decennio appena,
impiantati sulla tabula rasa che i militari avevano fatto
abbattendo ogni cosa per avere libera la linea di tiro.
Grazie a Ezio che ci riempie di emozioni e simpatia una
serata che altrimenti sarebbe stata malinconica. Passiamo
la notte nel vicino parcheggio del cimitero.
Sabato, 22 marzo
Partiamo per Massa, che si rivela un po’ avara di
parcheggi. Ripieghiamo su un grande supermercato (LIDL,
servito dall’autobus 61) e raggiungiamo il centro
con i mezzi pubblici. Visitiamo il duomo con il suo bel
portale in cima ad una scalinata. È la basilica
cattedrale di Massa, intitolata ai Santi Pietro e Francesco
d'Assisi, la cui costruzione risale al XV secolo.
La chiesa è tutta per aria, per via delle pulizie
pasquali e dei preparativi per la veglia notturna. Raggiungiamo
in ogni caso il ricco sepolcreto dei Cybo Malaspina. I
Malaspina sono la storica famiglia dei reggitori della
Lunigiana e, dal XIV secolo, del marchesato di Massa e
Carrara. I Malaspina ressero tra l’altro il giudicato
sardo di Torres, e poi, con il ramo dei Cybo Malaspina,
fino al XIX secolo il principato indipendente (poi divenuto
ducato) di Massa e Carrara. Bella anche la passeggiata
fino alla rocca che domina tutta la città.
I viali di Massa sono costeggiati da filari di mandaranci
maturi. Ci dicono che non si possono mangiare, ma noi
proviamo lo stesso. Certo, sono aspri e non se ne può
sicuramente fare una scorpacciata, ma sono molto buoni
e i loro spicchi succosi dissetano.
Nel pomeriggio siamo a Carrara. Su di noi incombono le
cave di marmo e ancora speriamo di riuscire a trovare
un po’ di tempo buono per andarle a visitare. Speranza
vana: la neve che le ricopre tutte, al mattino seguente
ci dissuaderà. Troviamo tranquillo parcheggio nella
zona del tribunale (Parcheggio San Martino) e di lì
raggiungiamo il centro con le sue stradine e il suo duomo
romanico. Città graziosa, viva.
Cerchiamo un ristorante per il pranzo del giorno dopo,
ma c’è pochissima scelta e quel poco ...
è tutto prenotato. Così decidiamo per una
serata in pizzeria a due passi dal parcheggio.
Domenica 23 marzo
Neve e niente cave. Messa suggestiva al tempio delle
Grazie, in centro, con festosa coreografia di bambini
che, in conclusione del rito, affollano l’altar
maggiore per la benedizione delle uova. Ci spostiamo a
Luni, una delle mete che ci eravamo prefissati, e nella
sua zona archeologica.
La colonia di Luni fu fondata dai Romani nel 177 a.C.,
posto avanzato contro i Liguri Apuani. Il nome della città
deriva forse da una antica dea italica o probabilmente
dalla forma a falce del porto cittadino. Territorio assai
importante dal punto di vista strategico, militare e commerciale.
I Liguri però continuarono a contrastare i Romani
fino 154 a.C., quando furono definitivamente sconfitti
dal console Claudio Marcello. Luni ebbe un'industria di
scultori del marmo, forse una fonderia di bronzi ed una
fabbrica di oggetti in vetro; i cives di Luni erano abili
commercianti e seppero trarre vantaggi dalle materie prime
della zona: esportavano legname delle foreste appenniniche,
i celebri formaggi della zona cari a Marziale e a Plinio,
i vini locali, ma soprattutto il ricercatissimo marmo
bianco.
Luni è splendidamente raccontata dal suo museo
(imperdibile, due soli euro l’ingresso), costruito
nel 1964 al centro della zona archeologica che ha vari
dislocamenti (straordinaria la casa degli affreschi).
Interessante la ritrattistica, le sculture in bronzo e
marmo, gli altari funebri e gli altari votivi. Purtroppo
è chiuso il bell’anfiteatro splendidamente
conservato. Noi lo raggiungiamo attraverso i campi e lo
ammiriamo dall’esterno delle cancellate chiuse.
Mi viene spontaneo pensare che sia chiuso per mancanza
di personale. Certo che qui si respira un po’ di
aria di abbandono e le molte siringhe sparse sul terreno
non aiutano di sicuro.
Torniamo verso Carrara e, in località Avenza,
visitiamo la maestosa rocca che fu presidio di Castruccio
Castracani. Resta un solo torrione che se da una parte
testimonia l’imponenza del monumento, dall’altro
ci ricorda che troppi manufatti sono diventati cave di
mattoni per le costruzioni. L’ultimo brandello lo
salvò nel secolo scorso il grande antichista Teodoro
Mommsen.
Notte ancora nel Parcheggio San Martino.
Lunedì, 24 marzo
Ritorno. Ci fissiamo una tappa intermedia e la scelta
è su Cremona, perchè abbiamo appreso da
internet che vi si sta svolgendo una mostra dedicata ai
dinosauri. A Cremona (parcheggio presso il cimitero) facciamo
una passeggiata nel bellissimo centro storico col suo
irripetibile duomo, un complesso romanico in cui il romanico
stesso convive mirabilmente con elementi gotici, rinascimentali
e barocchi. Per averne la prova basta guardare la facciata
col suo il fregio marmoreo dedicato al tema dei lavori
agricoli di scuola antelamica.
La mostra dei dinosauri occupa alcuni capannoni in zona
fiera. Prendiamo un po’ di paura per la lunga coda
fuori della biglietteria, ma tutto sommato la ressa si
smaltisce abbastanza in fretta. Mostra dichiaratamente
rivolta ai bambini che qui hanno modo di sbizzarrirsi
in disegni e anche in corse tra uno stand e l’altro.
Tirannosauri, brontosauri, triceratopi e compagnia cretacea
qui sono riproposti nella fisicità dei loro movimenti
(e spesso nel loro ambiente e nel rapporto con gli altri
abitatori del pianeta). Anche per gli adulti una visita
di grande fascino. Si può fotografare e si può
interagire scoprendo ad esempio di cosa si nutrivano i
dinosauri e a quali animali moderni possono essere in
qualche modo paragonati. La mostra vale tutti gli otto
euro del biglietto (ma molte le riduzioni e la mia tessera
di giornalista mi dà diritto ad un ingresso gratuito)