Viaggiare - Diari di Viaggio

SULLE ROTTE DEI CURDI

Un viaggio nel Kurdistan turco dopo i fatti dell'11 settembre

testo e foto di Marina Greco

Premessa
Nell'agosto del 2001 ci siamo recati per la prima volta in Turchia, con un itinerario che si è sviluppato lungo la costa meridionale e ha toccato il Nemrut Dagi e la Cappadocia concludendosi a Istanbul prima del rientro in Italia. L'impressione estremamente positiva di questo viaggio ci ha spinti a programmarne un secondo per l'estate 2002 e che ha privilegiato la parte orientale, il territorio dei Curdi e le sponde del Mar Nero.
In seguito ai fatti dell'11 settembre 2001, nell'estate 2002 la Turchia ha subìto un fortissimo calo nelle presenze turistiche. Se pochi europei erano presenti lungo le coste, nella parte orientale, notoriamente già meno visitata, l'assenza di turisti era ancora maggiore. Durante la nostra permanenza in questa zona rari sono stati gli incontri con altri europei e spesso nei luoghi di visita eravamo completamente soli. Questo ci ha permesso di entrare maggiormente a contatto con la gente e la realtà del paese. I giovani spesso parlano inglese, mentre tra gli anziani è frequente incontrare chi parla tedesco essendo stato emigrante in Germania. Quello che segue è il resoconto delle nostre impressioni.

Guide, carte e materiale vario utilizzato
Turchia, Routard, edizione 1999, carente per la parte della Turchia Orientale
Turchia, Lonely Planet, edizione 2002, ottima sotto tutti i punti di vista
Turchia, Touring Club Italiano, edizione 1990, ottima per la parte artistica e archeologica
Guida agli Itinerari Archeologici, Clup Guide, ottima per la parte archeologica
Turchia, carta stradale 1:800.000 dello Studio F.M.B., Bologna, foglio unico, edizione 2001
Diversi articoli reperiti su riviste di viaggi e di cultura, materiale vario fornito dall'Ente del Turismo Turco e altro materiale rilevato su Internet, in particolare sul sito http://www.taccuinodiviaggio.it
Un ringraziamento particolare a Sylvie e Philippe Surmely che ci hanno messo a disposizione le loro esperienze di viaggio e la loro profonda conoscenza di questo paese consentendoci una migliore programmazione dell'itinerario.

3/8/2002, Sabato
L'imbarco è previsto a Bari e già sulla nave inizia il viaggio in una realtà e tra un popolo molto diverso dal nostro per usi e costumi. Siamo in periodo di ferie e anche i turchi rientrano a casa.
Con le loro macchine cariche di persone e bagagli questi emigranti che si guadagnano da vivere in Europa sono alla penultima tappa del loro rientro a casa, ed ora sul traghetto bivaccano per passare la notte di traversata che li porterà sull'altra sponda, e dopo via, l'ultima corsa sulle strade greche lungo un tragitto conosciuto ormai a memoria e che li condurrà fino alla frontiera con la loro patria.
La nostra full immersion nella realtà turca inizia qui, col primo contatto con queste donne infagottate nei loro foulards e gonne lunghe o pantaloni larghi che non lasciano intravedere nulla, con uomini dai baffi e capelli nerissimi, con gruppi di bambini vocianti e allegri.
E' un panorama che ci seguirà per un mese, lungo la nostra rotta verso Est, per le strade dell'Anatolia Orientale e del Kurdistan turco che ci vedrà testimoni e protagonisti di esperienze che si incideranno profondamente nella nostra memoria, contatti umani e atti di grande dignità nonostante le avverse condizioni in cui molti versano, che difficilmente potremo dimenticare.

4/8/2002, Domenica
Lo sbarco avviene ad Igoumenitsa da dove si snoda la strada che si inerpica verso il Passo di Katara. Il progetto di un'autostrada avanza lentamente, grossi cantieri all'aria aperta, mentre una fila interminabile di Tir e ogni genere di veicolo continuano a percorrere il nastro d'asfalto che è la via più rapida di collegamento tra il porto di sbarco più frequentato da chi arriva dall'Italia e Salonicco. E' domenica e Metsovo è pieno fino all'inverosimile, le donne vestono i costumi tipici e all'uscita dalla messa è un girotondo di canti, incensi, profumi e colori.
Ancora curve, salite e discese finché all'orizzonte si materializzano le Meteore e i suoi monasteri. La strada continua finalmente diritta verso Larissa da dove è disponibile uno spezzone della nuova autostrada che una volta terminata collegherà Atene alla frontiera con la Turchia.
Ed ecco apparire il mare, che la strada costeggerà per svariati chilometri. La sosta serale sarà la spiaggia del lungomare di Leptokaria, a fianco del campeggio estivo militare.

5/8/2002, Lunedì
Superata Salonicco il viaggio prosegue verso Kavala, la bella città bianca che la nuova autostrada lascia sullo sfondo, a fare da soggetto principale ad un panorama da cartolina. La laguna di Lagos ci accoglie con le sue cicogne. Quest'anno si può proseguire con la nuova autostrada ed evitare di passare per la laguna, ma l'ambiente e la fauna meritano una digressione all'itinerario, e sicuramente la sosta al monastero di Aghios Nicolaus, solitario in mezzo alla laguna, ripagherà per i pochi chilometri in più.
Un ponte dalla terraferma immette sull'isoletta dove bouganvillee, vasi di aromi e basilico diffondono nell'aria profumi e colori. La piccola piazza ospita alcune case, rigorosamente bianche, un paio di panchine e il monastero con le sue icone, le candele, gli incensi. Un secondo ponte collega l'isola grande, se poi grande si può definire, alla più piccola, dove una cappellina racchiude al suo interno altre icone, altri incensi, altre candele. Un'oasi di pace e serenità, all'esterno un pope vende icone e altri oggetti di culto, tutt'intorno la laguna, i gabbiani e il rumore dell'acqua che batte sulle palafitte di legno.
La nuovissima e deserta autostrada ci vede in corsa verso il confine e la frontiera. A Feres una breve sosta per l'ultimo rifornimento di gasolio greco ed ecco sopraggiungere due camper italiani che a malapena rispondono al nostro saluto, quasi con fastidio. Li ritroveremo alla frontiera.
Qui ecco la riprova di quanto i fatti dell'11 settembre quest'anno abbiano avuto i loro nefasti effetti sul turismo in Turchia. Al di fuori dei turchi che rientrano per le vacanze non c'è praticamente nessun turista ad esclusione di noi e dei due camper che sopraggiungono poco dopo e in dieci minuti sbrighiamo i vari passaggi. Siamo in Turchia.
Kesan, nodo di passaggio obbligato per chi vuole raggiungere Istanbul o deviare verso Gelibolu e Cannakkale. Quest'anno la nostra rotta sarà Gelibolu e scendiamo all'ansa di Baklaburun per pernottare. Ed ecco materializzarsi l'ospitalità turca con l'invito di un turco che parla tedesco (ci racconterà poi che lavora in Germania) a sostare sul prato davanti casa sua.

6/8/2000 Martedì
Lasciamo Baklaburun per raggiungere l'imbarco di Eceabat che ci porterà a Cannakkale. Solchiamo lo Stretto dei Dardanelli, e mettiamo piede in Asia. Le rovine di Troia ci accolgono sotto un sole inclemente e un caldo soffocante.
E dopo aver onorato la cultura, il Golfo di Edremit e il mare di Oren saranno la tappa mondana serale, con il parcheggio del porto, la sua fontana, il ristorante e il viale dove i turchi in vacanza dopo cena passeggiano e prendono il fresco.

7/8/2002, Mercoledì
Il viaggio prosegue verso Izmir e la sua aria irrespirabile. L'autostrada è nuova, i cartelli indicano aree di servizio in realtà inesistenti perché ancora da costruire. Si prosegue su questa striscia d'asfalto nuova di zecca fino a Aydin e poi su strada normale verso Mugla per la Penisola di Knidos. Strada facendo ecco la deviazione per Eskihisar, bellissimo villaggio turco abbandonato nel secolo scorso per via della miniera di lignite lì vicino. Il villaggio sorgeva accanto alle rovine di Stratonikeia, antica città fondata dai selgiuchidi che divenne un centro importante sotto i Romani. Le rovine di entrambi gli insediamenti si intersecano le une con le altre, colonne romane e spezzoni di incisioni e architravi giacciono a terra nei giardini delle case, o sono inglobati tra i muri di esse.
Posto veramente incredibile questo villaggio fantasma rimasto intatto come quando gli abitanti lo abbandonarono. Il tempo sta facendo pian piano il suo corso e tutto sta cadendo in rovina (Il minareto della moschea pende pericolosamente da un lato…) ma l'atmosfera è fantastica. Nella piazza del villaggio, alla vecchia fontana è appeso un bicchiere, per permettere ai rari visitatori di dissetarsi. Gli abitanti non ci sono più, ma l'ospitalità turca non viene dimenticata, nemmeno qui.
Il colle di Gokova permette di ammirare il grandioso paesaggio e la discesa tremenda con un panorama bellissimo del golfo. A Marmaris ecco la deviazione per la penisola di Datca. La strada in alcuni punti è rifatta e nuova, ma in altri è ancora quella vecchia, impervia, sconnessa, stretta, piena di curve, pericolosa. Ma, a consolazione, i panorami che si susseguono sono magnifici e i paesaggi di rara bellezza. Ed ecco Datca: fino a pochi anni fa piccolo villaggio di pescatori, con le donne che filavano la lana sulla spiaggia, in poco tempo si è trasformato in località balneare in piena regola, ritrovo dei turchi ricchi in vacanza.

8/8/2002, Giovedì
La strada che da Datca porta a Knidos passando per piccoli villaggi dove bambini e donne allestiscono i loro banchetti per esporre e vendere il miele è buona ed asfaltata fino agli ultimi 3-4 chilometri che sono di sterrato, e si inoltra in una zona ancora selvaggia, i paesaggi sono splendidi e la ricca macchia mediterranea diffonde i suoi profumi per l'aria assolata. Olivi, oleandri, rosmarini e piante di fichi sono ovunque. Baie incontaminate si aprono alla vista con un mare trasparente e dai colori indescrivibili.
Ed ecco gli ultimi chilometri e lo sterrato, la strada è stretta e bisogna proseguire con circospezione augurandosi di non incrociare altre vetture. Sopraggiunge un fuoristrada e qualche manovra consente ad entrambi di passare, ed ecco che il golfo di Knidos si apre davanti a noi.
Descrivere la bellezza di questo posto è impossibile, si può solo fissarlo nella mente e nel ricordo. Il sito archeologico, collocato tra due baie con un mare trasparente, si rivela una meraviglia che compensa la fatica del viaggio. Ovunque fervono lavori di scavo e migliorie, segni evidenti che fra non molto il progresso arriverà anche qui e sicuramente quei 3-4 km di sterrato non lo saranno ancora per molto.
Passeggiamo per le rovine della fiorente città portuale che risale al 400 a.C., ci sediamo sui gradini del teatro ad ammirare il mare, assaporiamo il più a lungo possibile quest'essere fuori dal mondo consapevoli che quando ritorneremo qui, tutto sarà diverso e l'atmosfera selvaggia che ora contraddistingue questo luogo sarà solo un ricordo.
Ma il viaggio deve proseguire e con dispiacere facciamo a ritroso la strada sconnessa ma suggestiva che ci riporta a Marmaris e tra sali e scendi proseguiamo lungo le coste dell'antica Licia.

9/8/2002, Venerdì
La costa meridionale della Turchia è terra di monumenti secolari, spiagge incontaminate e reperti archeologici delle varie civiltà che qui si sono succedute. Molte sono le rovine disseminate spesso in luoghi incantevoli e sulla riva di un mare color smeraldo. I meravigliosi sarcofagi sparsi ovunque, anche tra le acque del mare, e le tombe scolpite nella roccia fanno di questa zona un concentrato di storia.
Se queste rovine avessero la parola potrebbero raccontare le gesta di Bellerofonte, l'eroe greco che in groppa a Pegaso, il cavallo alato, uccise la Chimera, essere minaccioso e incredibile che sputava fuoco seminando devastazione. Le sue fiamme misteriose scaturiscono ancora dalle crepe del Monte Olimpos dove viveva e attirano ancora i visitatori, oggi come nell'antichità. Lungo queste spiagge le caretta caretta, (specie di tartaruga marina, ndr), tornano ogni estate a deporre le loro uova nella sabbia.
Phaselis sarà la prossima tappa archeologica. Il sito, che sorge su tre insenature sul mare che servivano da porti naturali della città, è un piccolo romantico paradiso aperto al pubblico fino alle 18. All'ombra dei pini tra ricca vegetazione e due spiagge nelle quali si può fare il bagno, un teatro, resti delle terme e di altri edifici, sarcofaghi, colonne e incisioni sono quello che resta di questa ricca città fondata nel sesto secolo avanti Cristo.
Alla chiusura del sito riprendiamo il viaggio lungo questa costa verso Antalya, dove ormai ogni centimetro di spiaggia è recintato e lottizzato. Arrivati, proseguiamo verso Manavgat su una nuova e bellissima strada a doppia corsia.

10/8/2002, Sabato
La strada per Akseki-Konia conduce verso grandiosi paesaggi alpini, fino ad un passo dove in un'atmosfera bucolica pascolano mandrie di mucche e greggi di pecore, le donne sono intente a lavorare il latte e preparare il formaggio e un uomo sta tosando una pecora. Una famiglia turca è arrivata fin quassù da Konia per un pic-nic. Uno di loro suona una musica melodiosa con uno strumento. Siamo sull'alpeggio di Esereyrek Dagi e sembra di essere in un altro mondo.
Il nostro cammino prosegue verso Derekoy, dove suscitiamo la curiosità del villaggio, passiamo per paesi sperduti, non ci sono indicazioni e anche la strada non è in buone condizioni, andiamo avanti affidandoci solo alla nostra mappa. Una ragazza che trascina un asino se ne va diritta ad occhi bassi per la sua strada allungando il passo quando tentiamo di fermarla per chiederle alcune indicazioni.
La strada finalmente migliora e possiamo procedere a maggiore andatura. Facciamo sosta prima a Kazim Karabekir, un tipico villaggio turco con le case a mattoncini, e poi a Ulukisla per visitare il caravanserraglio di Mehmet Pasa. Il caravanserraglio è una meraviglia, purtroppo versa in stato di abbandono ma restaurato sarebbe eccezionale. Ci sono ancora tutti gli ambienti interni, dove stimoliamo la curiosità di un nugolo di ragazzini che sta giocando a nascondino. Proseguiamo in autostrada da Pozan verso Gaziantep.

11/8/2002, Domenica
L'autostrada ci ha consentito un trasferimento veloce verso paesaggi e realtà profondamente diverse da quelle tipiche delle coste lice. Siamo sempre più ad Est e si sente nell'aria che qualcosa è cambiato.
I posti di blocco della Jandarma, inesistenti lungo la costa, cominciano a fare la loro apparizione. I vecchissimi camion che incrociamo sono veri modelli di antiquariato e trasportano carichi inverosimili, tutti ci salutano con sorrisi e grande lampeggio di fari.
"Merhaba": alla pompa di gasolio il gestore si inchina con fare solenne poggiando la mano sinistra sul petto e ci dà il benvenuto nel suo paese. Un uomo con gli ampi calzoni e il turbante, inginocchiato in un angolo su un piccolo tappeto, sta pregando Allah.
Ed ecco che iniziano le enormi distese di alberi di pistacchi. Ci fermiamo, un vecchietto si materializza dal nulla ed ecco, di nuovo "Merhaba", l'inchino, la mano sul petto e il solenne saluto di benvenuto si ripete.
La strada peggiora, i camions stracolmi sono sempre di più. A Birecik attraversiamo l'Eufrate, ma non ci sono più gli ibis che qui un tempo venivano a nidificare. Le case dei villaggi sono di terra mista a paglia. Immancabili le pile di sterco ammucchiate che serviranno a riscaldare nel lungo inverno.
Sanli Urfa, la città più calda della Turchia, si materializza all'orizzonte col suo brulicare di gente, il suo bazar, il Parco Golbasi e la sua leggenda di essere la città natale di Abramo. C'è fila all'ingresso della grotta dove secondo la tradizione sarebbe nato. Le donne a sinistra, gli uomini a destra, composti e in silenzio attendono il loro turno per entrare a pregare, con grande compostezza e fede, quest'uomo riconosciuto come profeta da tre religioni.
Il Parco Golbasi è un'oasi di verde e frescura dove in questa calda e afosa domenica famiglie intere passeggiano o fanno pic-nic tra mederse, moschee e due enormi vasche d'acqua ove nuotano le carpe più nutrite e viziate di tutta la Turchia. La leggenda racconta che Nimrod, re assiro, in collera con Abramo ordinò che fosse immolato su una pira funeraria. Ma un miracolo di Dio trasformò il fuoco in acqua e i carboni in carpe. E queste carpe, poiché un'altra leggenda locale dice che chi ne cattura una verrà colpito da cecità, sono considerate sacre, e possono essere nutrite soltanto con il cibo venduto in loco da alcuni venditori ambulanti. E i turchi fanno a gara per coccolare e nutrire le loro beniamine.

12/8/2002, Lunedì
Il bazar di Sanli Urfa è quanto di più autentico ci si possa aspettare da un bazar turco. Ci districhiamo tra le viuzze in mezzo a suoni, odori e corpi in movimento. Gente di ogni etnìa e dai costumi di diversi colori, donne avvolte in neri chador o in magnifici costumi viola e col volto tatuato, e uomini dalle lunghe barbe e calzoni ampi, stretti alla caviglia, spesso col caratteristico turbante o la jalaba bianca e rossa in testa (53 km separano Sanli Urfa dalla Siria), circolano in questo labirinto di strade, vicoli e cortili dove la luce filtra a volte con difficoltà.
I caravanserragli brulicano di gente che beve, fuma il narghilè o gioca a backgammon nelle fumose sale da the in cui sono stati trasformati, mentre solerti camerieri giocano agli equilibristi con enormi vassoi di rame inciso ove sistemano i cibi e le bevande ordinate dagli avventori.
Ogni genere di commercio si svolge all'aperto, e in genere ogni settore del bazar ospita una specifica attività: sarti, calzolai, incisori, macellai, venditori di spezie, ovunque risuonano rumori, profumi, suoni e grida, mentre i venditori di acqua con i loro splendidi serbatoi in ottone lucido passano avvisando con i campanelli. Nel reparto degli orefici gioielli e pietre preziose ammucchiati alla rinfusa nelle vetrine attirano la curiosità delle donne. Nella galleria coperta i tappeti sono impilati uno sopra all'altro in attesa di improbabili compratori in questa estate così difficile per il turismo.
La giornata scorre in fretta in questo ambiente insolito per un europeo e presto arriva il momento di ripartire da questa città afosa dove oggi il termometro segna i 50 gradi.
Le massicce mura in basalto nero di Diyarbakir si stagliano all'orizzonte. La città fulcro del movimento di resistenza curdo molto attivo negli anni Ottanta e Novanta per decenni è stata oggetto di cattiva fama e accuratamente evitata dai turisti. Ma le ultime informazioni riferiscono di una atmosfera più distesa e in città un parcheggio custodito ci ospiterà per la notte.
Alle 23, il grande cancello viene chiuso a doppia mandata e una branda fa la sua comparsa: il guardiano sarà lì, quello sarà il suo giaciglio notturno dal quale continuerà il suo compito, cioè sorvegliare i mezzi parcheggiati all'interno. Verso le 2 un gran battere al cancello: qualcuno vuole entrare, il guardiano si alza, apre, il pullman entra, il grande cancello viene richiuso e il guardiano si rimette a dormire.

13/8/2002, Martedì
Il centro di Diyarbakir è ricco di moschee in stile arabo dalle tipiche strisce alternate bianche e nere degne di essere visitate, e ovunque spicca la nera pietra con cui sono costruite le mura della città. Il bazar presso la Uli Camii ospita bravi artigiani esperti nella lavorazione del rame e delle caratteristiche brocche di Diyarbarkir. Per l'aria risuonano i colpi esperti inferti per modellare e incidere il rame. Un vecchio caravanserraglio che ospita un bel negozio di tappeti e antiquariato e altri negozi di monili in metalli preziosi offre una sosta rigeneratrice in questa città afosa. L'atmosfera è tranquilla, venditori ambulanti con i loro carretti, donne velate, uomini con calzoni larghi e turbanti, biciclette e motorini, tutto concorre a questa sensazione di essere in una dimensione diversa.
I monumenti sono belli e meritevoli di essere valorizzati, ma questi meravigliosi testimoni degli antichi splendori hanno perso il loro smalto, dovrebbero essere oggetto di curati restauri che li riportassero all'antico splendore. E' questa la nota dolente di molte meraviglie della Turchia: restaurare costa e in questo paese che ha visto passare tante civiltà molti sono i siti e i reperti che avrebbero bisogno di essere restaurati e che giacciono spesso dimenticati nell'incuria e nell'abbandono.
E' arrivato il momento di ripartire. Al parcheggio paghiamo quanto pattuito e salutato il nostro custode notturno, quest'uomo anziano dalla pelle arsa dal sole e di età indefinita che con fare solenne ci saluta inchinandosi con grande dignità, riprendiamo la nostra strada.
I controlli della jandarma si fanno più serrati, adesso sono molto più frequenti, ogni 5 km il caratteristico cartello ci avvisa che ci sarà un passaggio a zig-zag, dobbiamo rallentare e preparare i passaporti. Ma le soste sono brevi, e il più delle volte solo per scambiare un saluto e un sorriso e spezzare la monotonia di lunghe ore di guardia in completa solitudine.
Il ponte Selgiuchide di Catakkopru e il posto di blocco della jandarma offrono uno spiazzo panoramico per una breve sosta. Un gruppo di ragazzini gioca facendo capriole e nuotando nel fiume. Uno di loro si stacca dal gruppo e si avvicina. Ne arriva un altro vestito di niente…
Tra mandrie, villaggi di fango e posti di blocco il viaggio continua. Vicino Bitlis un ristorante dal parcheggio pieno deve sicuramente vantare una buona cucina. Ed ecco materializzarsi una caravan con targa italiana che ha avuto la nostra stessa idea. Ci sembra strano, da giorni non incontriamo europei e questi nuovi amici, con i quali condivideremo un tratto di strada, saranno gli unici che incontreremo in questa parte della Turchia.

14/8/2002, Mercoledì
Il tragitto che da Bitlis va verso il Lago di Van e la Chiesa di Santa Croce sull'isola di Akdamar è splendido, in un paesaggio bucolico e da definire fuori dal tempo.
Per la strada carretti e aratri come quelli esposti al Museo delle Civiltà Anatoliche di Ankara ci testimoniano che il progresso qui, ha la stessa andatura delle tartarughe che si incontrano lungo le strade. Gruppi di donne lavano il bucato sulle rive dei ruscelli, mentre gli uomini e i ragazzi si occupano delle mandrie.
Le lapidi del cimitero di Gevas, le magnifiche turbe, giacciono nell'incuria e nell'abbandono. Solo le cicale rompono il silenzio di questa afosa estate. Restiamo affascinati da questi luoghi, da questa atmosfera irreale che parla di un passato glorioso.
Il campeggio di Akdamar è il posto migliore come punto base per visitare l'isola. L'appezzamento a terrazze permette un panorama a 360 gradi sul lago, l'isola e i monti circostanti. L'accoglienza è calorosa e lo diviene ancor di più quando viene fatto il nome di amici comuni. Valori come l'amicizia qui sono ancora vivi e pieni di significato.
Un battellino conduce a orari prestabiliti sull'isola di Akdamar e la sua splendida Chiesa di Santa Croce. Il posto è idilliaco, colori e paesaggi splendidi e impossibile da descrivere in pieno.

15/8/2002, Giovedì
Pochi chilometri ci separano da Van. Dall'alto della cittadella (Van Kalesi) si ammira ciò che era l'antica città di Van, distrutta durante la prima guerra mondiale in seguito ai tumulti per la creazione di una repubblica armena. Ormai non resta altro che un campo di granate e due moschee, le fondamenta di un caravanserraglio e le mura di due chiese armene.
Ai piedi della cittadella la tomba del profeta Adburrahman Gazi è meta dei pellegrinaggi di donne sterili che vengono qui a pregare. E' un continuo andirivieni di donne che pregano, si siedono e poggiano dei sassi su dei buchi sul muro di un piccolo edificio, un sasso per ogni figlio che vogliono, e il sasso non deve cadere in terra. Se il sasso non cade a terra il loro desiderio verrà esaudito.
Le vecchie moschee che si ammirano dall'alto di Van Kalesi sono magnifiche, in una sono in corso dei lavori di restauro, mentre l'altra è chiusa e solitaria. La salita al minareto consente una veduta d'insieme su questo panorama emblematico, su questo enorme campo arso dal sole che era la vecchia Van e sul lago i cui riflessi brillano in lontananza.
Le strade che per un breve periodo si erano unite si dividono: noi andremo a nord, verso Dogubayazit, i nuovi amici a sud, verso Hakkari e la strada che costeggia l'Irak.
Una breve sosta alle cascate di Muradiye e poi all'ennesimo posto di blocco un soldato dai tratti mongoli ci saluta.
L'Ararat, il biblico monte dell'Arca, sacro simbolo dell'Armenia, comincia a fare capolino all'orizzonte. Il paesaggio si tramuta lentamente in una distesa di steppa all'infinito dove miseri villaggi di fango misto a sterco marcano ogni tanto il percorso.
Siamo sempre più ad Oriente, ce lo dice il sole che tramonta sempre più in anticipo: ormai alle 7.10 è già buio pesto.
Arriviamo a Dogubayazit sotto un cielo stellato dopo aver superato altri controlli e un altro passo su una strada deserta e in compagnia della sagoma del Monte Ararat che da diversi chilometri ci fa compagnia come parte del paesaggio.
Per il Camping Murat dobbiamo superare la città e seguire le indicazioni per Isha Pasha Saray, il palazzo per cui essa è famosa.
Al ristorante, la musica e le danze tradizionali sono categoricamente curde. Ma poco dopo il nostro arrivo ecco che spuntano dal repertorio alcune canzoni italiane e al nostro tavolo si materializzano le bevande di benvenuto. Siamo ospiti giunti fin qui da lontano e il nostro arrivo deve essere festeggiato. Come si può non rimanere colpiti da tutto questo?

16/8/2002, Venerdì
L'ingresso del grandioso Isha Pasha Saray non rende l'idea di quello che esso doveva essere nel momento del suo massimo splendore. Il palazzo, costruito oltre due secoli fa, ai suoi tempi era una vera meraviglia, con le sue oltre 300 stanze, il sistema di riscaldamento e acqua corrente, se si pensa che da queste parti le case di tanti poveri villaggi ancora oggi riscaldamento e acqua corrente non l'hanno mai visti. Dallo sperone dove si innalza, la vista spazia all'infinito e la splendida giornata di sole concorre a dare un senso di immensità al panorama.
I decori e le incisioni sono meravigliosi e in diversi punti fervono lavori di restauro per dare nuova vita a questa meraviglia lasciata per anni in stato di abbandono.
Dogubayazit è un grosso presidio militare e la città più a oriente della Turchia (l'Iran è a soli 35 km), e nei cortili delle caserme fanno bella mostra di sé numerosi carri armati e mezzi pesanti pronti per ogni evenienza e in città c'è un gran viavai di militari, tra ufficiali e soldati. L'atmosfera è pesante in questi giorni, caldi sia dal punto di vista climatico che da quello politico e bisogna tenersi pronti….
La strada verso Kars continua a costeggiare l'Ararat e poi si snoda lungo il confine con l'Armenia. Si intensificano i controlli e ogni posto di blocco, col tipico passaggio a zig-zag, è fornito di torretta di avvistamento e trincea fatta con sacchi di sabbia ammucchiati. Ma verremo fermati soltanto una volta, tutte le altre saranno soltanto cordiali saluti e sorrisi.
Perse lontano nel paesaggio si scorgono alcune chiese armene difficili da raggiungere e che possiamo vedere con il cannocchiale.
Un altro passo, fa freddo, gruppi di gente aspettano il dolmus (l'autobus pubblico) e un uomo ripara il suo piccolo di pochi mesi stringendolo dentro la sua giacca. Un curdo (o turco?) che ha con sé un gran sacco di mangime chiede un passaggio e ci spiega che il mezzo pubblico non passa con molta frequenza in queste zone.
La steppa regna sovrana, disseminati ovunque numerosi insediamenti con le grandi tende dalla forma bassa e rotonda tipica dei paesaggi mongoli e le mandrie di mucche, pecore, montoni, capre e cavalli. Dappertutto cataste di tezek, il letame secco che d'inverno viene usato come combustibile. Sovrasta l'ambiente una leggera nebbia, il freddo e la pioggia.
Pensiamo all'inverno da queste parti mentre guardiamo i bambini che giocano a rincorrersi nonostante il tempo inclemente, i ragazzi che cavalcano a pelle magnifici cavalli, le persone dai tratti del viso tipicamente asiatici. L'Europa è veramente lontana, in tutti i sensi.
E alla fine ecco materializzarsi Kars, tappa necessaria per visitare la città morta di Ani.

17/8/2002 Sabato
La strada che porta ad Ani è malmessa e percorsa da greggi di pecore. Arrivati alle mura della città il presidio militare controlla i documenti e i permessi di ingresso e varchiamo la porta dei leoni che dà l'accesso a questa meraviglia abbandonata che è oggi zona militare.
La rovine di questa città, un tempo capitale dell'Armenia, sono disseminate all'interno delle mura tra prati e pietre. I magnifici monumenti sono moribondi, vere meraviglie che stanno andando lentamente in rovina. Un gruppo francese è impegnato con un cantiere in un programma di conservazione che si spera possa fare qualcosa per questi gioielli finora dimenticati. I muri dipinti della chiesa di S. Gregorio cadono in pezzi, i colori sbiadiscono ogni giorno sempre di più.
Dall'altra parte del fiume, i soldati armeni ci controllano dall'alto delle loro torrette. Da questa parte, altrettanto fanno i soldati turchi dislocati su più punti. Si offrono di farci guardare "dall'altra parte" con un cannocchiale militare. Il filo spinato è a fianco a noi e sotto scorre il fiume che divide i due Stati.
Scendiamo per andare a visitare il Kusanatz (convento delle vergini), situato proprio dove corre la recinzione ma un fischio ci richiama e un soldato ci fa segno di risalire in fretta. Proprio in questi giorni l'atmosfera incandescente in Irak consiglia di essere prudenti…
Usciamo da Ani e salutiamo i soldati. Siamo al giro di boa. Da qui il nostro itinerario comincia a ripiegare verso ovest. E da qui inizia il viaggio di ritorno.
Passiamo a fianco del poverissimo villaggio di Ocakli Köyü, disteso ai piedi delle mura dell'antica città, con le misere case dai muri bassi, per proteggersi dai rigori invernali. I bambini, vestiti di povere cose, ci salutano mentre le mura di Ani e le meraviglie racchiuse al suo interno si allontanano sempre di più.

18/8/2002 Domenica
In direzione di Erzurum la strada è buona, anzi ottima. La città è famosa per il suo bazar che ospita valenti orefici e per la sua medresa (antica scuola coranica) e la moschea Ulu Camii.
Da qui una strada che passa tra alpeggi e distese di arnie conduce a Rize. Il paesaggio è cambiato, i posti di blocco della Jandarma cominciano a diradarsi e verso Ispir la strada costeggia un bellissimo fiume a fianco del quale è stato costruito un centro di rafting con graziosi bungalow in legno. Tutto è curato, prato all'inglese, ristorante. Non sembra di stare in Turchia, o almeno, questa non è la Turchia che abbiamo conosciuto noi.

19/8/2002 Lunedì
Verso Rize bisogna superare ancora un passo, tra i prati un villaggio montano distende le sue case di legno. L'aria è particolarmente fresca, nonostante la giornata bella e soleggiata. Come vivrà questa gente nel freddo inverno?
Dopo il passo una lunga discesa costeggia un fiume e alcuni boschi, che lasciano poi il posto a delle colline dove cominciano ad intravedersi le coltivazioni di thè che avvisano che stiamo arrivando sul Mar Nero. Ovunque, le colline e ogni piccolo appezzamento di terreno, sono invase dalle coltivazionidi thè.
Ed ecco infine il Mar Nero e la strada, in alcuni punti a doppia corsia, che lo costeggia. Si cominciano a vedere camions e macchine con targa della Georgia. Lungo la strada gli spiazzi per la sosta sono rari, e sia la spiaggia che il mare non entusiasmano. Né l'acqua, né la spiaggia è pulita, anzi, in diversi punti alquanto sporche. Inoltre, gli accessi alla spiaggia sono veramente pochi, la strada corre a fianco della riva senza offrire alcun punto abbastanza grande per parcheggiare e scendere sulla battigia.
La strada poi, è un immane cantiere. E' in corso la costruzione di quella nuova con diversi tunnel e a doppia carreggiata. Anche qui la Turchia del domani sta avanzando a passi da gigante.
Ed ecco Trabzon col suo traffico caotico. Non sembra nemmeno di essere in Turchia: la maggior parte della gente veste all'occidentale, le donne indossano pantaloni stretti e poche hanno il capo coperto, i marciapiedi del centro sono affollatissimi di persone che vanno e vengono. L'antica Trebisonda non ha smentito il suo passato commerciale: le banche sono tantissime e tutte piene di gente, lunghe file di persone sono in coda davanti ai distributori automatici di banconote. Il tutto ha dell'incredibile, almeno per noi che ancora abbiamo negli occhi i paesaggi, le steppe, e i villaggi dell'Est e quindi più forte sentiamo la differenza e ci colpisce questo ritorno in un ambiente più occidentale.
La Chiesa di Santa Sofia e i suoi affreschi sono il motivo principale di una visita all'antica Trebisonda. Essa svetta a pochi passi dalla costa, su una terrazza che domina il litorale, racchiusa in un romantico giardino disseminato di lapidi antiche.
Poco lontano da Trabzon invece, meritevole di una deviazione, è il grandioso monastero di Sumela, costruito in epoca bizantina e abitato da monaci greci fino al 1923, anno del suo abbandono.
La strada che porta a Sumela passa prima per Macka da dove una strada più piccola che costeggia il fiume inerpicandosi in un bel paesaggio di boschi conduce fino all'ingresso del Milli Park (parco naturale). Si arriva quindi ad un piccolo slargo, dove si può parcheggiare a fianco di una bella fontana di acqua gelata. A sinistra un chiosco funge da ufficio postale, più in alto alcune case in stile montano, a destra un ponte conduce ad un'area pic-nic con alcuni negozi di souvenirs e un paio di ristoranti. Superata questa zona comincia il sentiero per scalare la montagna e arrivare al Monastero.
Per chi non vuole fare l'ultimo tratto a piedi ci sono dei pulmini che proseguono la strada fino ad un parcheggio posto più in cima, da dove poi un ultimo tratto a piedi consente di arrivare all'ingresso del Monastero.
Alziamo lo sguardo in alto ed ecco che esso si materializza sulle nostre teste, arroccato com'è sul fianco della montagna.

20/8/2002 Martedì
Ci arrampichiamo lungo il sentiero che in una mezz'oretta conduce all'ingresso del monastero. Siamo in compagnia di parecchi turisti turchi (o curdi?…). Saliamo gli ultimi gradini che conducono ad una porta, superata la quale, si entra in un altro mondo. All'interno edifici, stanze, fontane, forno, chiesa, tutto quello che serviva per essere indipendenti in questo angolo lontano da tutto e da tutti. Il luogo, dopo gli innumerevoli atti vandalici subiti negli 80 anni di abbandono, è ora in pieno restauro e le transenne e il materiale da costruzione sono ovunque e non ci consentono una visita completa. Anche i meravigliosi affreschi che decorano la chiesa sia dentro che fuori, sono in maggior parte coperti. La chiesa è costruita all'interno di una grotta e il soffitto è costituito dalla nuda pietra, anch'essa completamente affrescata. L'insieme è meraviglioso anche se è evidente lo stato pietoso in cui versa dopo anni di abbandono e incuria.
Ma chi verrà qui fra qualche tempo troverà tutto restaurato, perché i lavori proseguono a ritmo serrato. Anche qui è evidente il desiderio della Turchia di migliorare e rivalutare il suo patrimonio artistico, lasciato in decadenza per anni e anni.
Terminata la visita decidiamo di continuare ancora per un pezzo a costeggiare il Mar Nero fino ad Ordu e da lì ripiegare all'interno. Riprendiamo quindi il mare e la strada costiera con i suoi lavori in corso. Le spiagge accessibili sono poche, i bordi della strada sono invasi dalle nocciole stese ad asciugare per chilometri e chilometri. A Giresun giriamo verso l'interno e Sebinkarahisar.
Il tempo non è dei migliori, la strada costeggia il fiume che è in piena, in parecchi punti è crollata e transennata, e procediamo con cautela poiché in diverse occasioni la striscia di strada che si è salvata dalla piena del fiume non consente che il passaggio alternato. Siamo in compagnia di una camionetta della Jandarma. Lungo il fiume notiamo diversi ponti di corde che consentivano di raggiungere le case sull'altro lato e che sono crollati. Ad un certo punto la strada comincia a salire e raggiungiamo il passo, ove il clima è particolarmente freddo.
Mentre scendiamo verso Sebinkarahisar ecco spuntare il sole ed aprirsi il cielo su un paesaggio splendido, montagne e pianure con colori che vanno dal verde all'ocra e ai vari toni del marrone. Arrivati a Sebinkarahisar giriamo verso il lago in direzione di Susehri, che sarà la nostra sosta notturna.

21/8/2002 Mercoledì
Splende il sole su Sivas, le sue moschee, medrese e mercati. Questa città fantastica che ci ha affascinato lo scorso anno e nella quale decidiamo di tornare con piacere ospita sontuosi esempi di architettura selgiuchide e un magnifico bazar di tappeti all'interno di un antico caravanserraglio. Per le strade un gran viavai di persone dai più svariati abbigliamenti, il mercato trabocca di spezie e di frutta maturata al sole, in un turbinìo di colori e profumi, di sapori e odori dimenticati.
Decidiamo di modificare il tragitto e fare sosta in Cappadocia prima di arrivare ad Ankara e così la prossima tappa sarà Urgup che raggiungiamo in serata. Ci sono altri italiani, e dopo tanti giorni di viaggio solitario scambiamo impressioni e opinioni con altri camperisti che ci chiedono informazioni sulla strada verso il Nemrut Dagi.

22/8/2002 Giovedì
Urgup e le sue case troglodite sono la prima visita della giornata, poi tocca a Mustafapasha, bel paesino con le antiche case greche. Ortahisar e il suo alto pinnacolo dal quale si gode una vista splendida su questa zona particolare che è la Cappadocia riempiranno il pomeriggio e a chiusura toccherà alla rinomata e già conosciuta Göreme.
Ovunque si nota la grande mancanza di turisti e in particolare a Göreme alcuni negozi da noi frequentati lo scorso anno non ci sono più. E' una crisi che la Cappadocia sta soffrendo da anni, essendosi spostati i flussi turistici verso mete più alla moda attualmente, e i fatti dell'11 settembre hanno dato il colpo di grazia a chi già tirava avanti a fatica.

23/8/2002 Venerdì
La splendida Kayseri, le sue mura che racchiudono la città vecchia e il suo bazar dei tappeti saranno la nostra meta prima della lunga tappa verso Ankara.
Il bazar di Kayseri è affascinante, nella parte vecchia è una profusione di spezie, artigiani al lavoro, sarti, ciabattini, camiciai.
All'interno di un vecchio caravanserraglio botteghe della lana, negozi di tappeti e di stoffe e foulards cercano di accaparrarsi gli unici turisti che circolano in città, cioè noi. Da un angolo un vecchietto ci chiama e ci fa cenno di seguirlo: finiamo in un piccolo buco, il suo "laboratorio" dove cuce cuscini deliziosi. La simpatia che questo vecchio emana è tale che ci spinge ad accontentarlo comprando alcune delle sue creazioni.

24/8/2002 Sabato
Il Museo delle Civiltà Anatoliche di Ankara è interessante e merita la mezza mattinata che vi si può dedicare. Da qui, al termine della visita, una strada in salita porta alla cittadella, posta in alto e che sembra stridere col carattere piuttosto moderno della città, una piccola isola con le antiche case e le antiche moschee. Dal castello, in parte restaurato, si gode una bellissima vista sulla città.
Una strada in discesa porta alla più antica moschea di Ankara, e da lì ci si può dirigere verso il bazar che si snoda tutto lungo le stradine che scendono dal Castello con le sue molteplici botteghe di tutti i generi.
Ma i bazar dell'est sono ormai lontani, le moltitudini colorate, i volti asiatici, i costumi e le donne tatuate sono ormai un ricordo.

25/8/2002 Domenica
Il Mausoleo di Atatürk è la carta di presentazione di quello che la Turchia vuole diventare: un paese moderno ed efficiente. Una lunga recinzione sui quattro lati, metal detector all'ingresso, un lungo viale immerso in un parco dove il prato all'inglese è rasato alla perfezione e poi ecco la grande spianata dove sorge l'edificio. Tutto è grandioso, le porte sono di ottone lucido, i marmi brillano, il personale di sorveglianza è in gran numero, i soldati sfoggiano divise perfette.
Come stride la differenza con quanto visto nell'Est! Non possiamo fare a meno di pensare ai soldati che abbiamo visto nelle garitte delle steppe ai confini della Turchia, spesso con le divise sudate.
Nel mausoleo è esposto il cenotafio di Atatürk (la salma è custodita nel sotterraneo), bisogna percorrere un percorso obbligato, si entra da una parte, si raggiunge il cenotafio senza fermarsi troppo a lungo (la sorveglianza è pronta a intervenire subito e invita a procedere oltre) e si esce da un'altra porta. Sul lato orientale dell'edificio un piccolo museo e una sala video dove un cortometraggio a ciclo continuo presenta la vita del "Padre della Patria" e il periodo storico in cui è vissuto. Sul lato opposto si trovano esposte alcune auto utilizzate da Atatürk durante la presidenza. In fondo all'enorme piazzale, di fronte al mausoleo, il sarcofago di Ismet Inönü, secondo presidente della Repubblica Turca.
L'autostrada in direzione di Istanbul è semi-deserta e monotona. Non è terminata e il viaggio deve continuare sulla statale in direzione di Düzce e verso Izmit. Si rientra poi in autostrada per un certo tratto fino al casello di Istanbul.
Il ponte sul Bosforo è in ristrutturazione e bisogna incolonnarsi tutti in una sola corsia.
"Welcome to Europe" recita il cartello, e mentre un traffico infernale caratterizza il nostro passaggio abbandoniamo l'Asia ripensando con nostalgia a quanto abbiamo lasciato nell'Est.
Il traffico della tangenziale di Istanbul è sempre lo stesso, caotico e disordinato. Ma quest'anno il campeggio è desolatamente deserto.

26/8/2002 Lunedì
Istanbul è sempre una città affascinante. La giornata sarà dedicata a visitare quanto lasciato in sospeso nella visita precedente.
Sehazade Camii e le tombe del suo giardino, Beyazit Camii, la Moschea di Solimano saranno le tappe principali di un itinerario che si snoderà per il centro di Istanbul e che comprenderà anche una immancabile puntata all'insolitamente deserto Gran Bazar e al Bazar Egiziano.

27/08/2002 Martedì
Kesan ci rivede dopo circa un mese, ricchi di un bagaglio di ricordi ed esperienze che porteremo con noi oltre frontiera.
Siamo in dogana, deserta anche questa volta e veloci sono le pratiche di uscita. "Did you like Turkey?" domanda l'impiegato mentre registra l'uscita.
Imboccato il ponte che divide la Turchia dalla Grecia salutiamo i soldati che ricambiano con cordialità e con dispiacere lasciamo questo bellissimo paese.
Entriamo in Grecia e nella fiammante e deserta autostrada. Come da copione già visto ritorniamo alla stazione di servizio di Feres dove avevamo fatto sosta all'andata e proseguiamo verso Lagos, la sua laguna e il Monastero di Aghios Nicolaus. Xanthi e Kavala, la città bianca, sono oltrepassate e la strada inizia a costeggiare il mare dove abbondano le belle calette e i posti adatti alla sosta. Ma la stagione è ormai alla fine e la ressa che avevamo notato all'andata è scomparsa.

28/08/2002 Mercoledì
Asprovalta, poi Salonicco, con i suoi venditori di pani di sesamo agli incroci, le Sorgenti di Dafne con il santuario racchiuso tra bancarelle di ricordini si susseguono fino a Lamia, dove l'autostrada per Atene viene abbandonata per girare verso Amfissa, con una strada in salita ma ottima e che ci porta verso il passo e la zona delle miniere di argento, e la discesa verso Itea e Galaxidi.
Da qui la strada corre lungo il mare tra panorami splendidi.
In un punto indefinito di questa costa abbiamo appuntamento con amici, anche loro al rientro dalle vacanze e con i quali passeremo queste ultime ore prima di rientrare in Italia.

29/08/2002 Giovedì
Il sole e il mare della Grecia fanno da contorno ad una giornata di riposo, scambi di impressioni sulle vacanze appena trascorse e progetti per quelle future, prima di riprendere la via di casa.

30/08/2002 Venerdì
Andirro e le sue chiatte ancora portano a Rio, sull'altra sponda verso Patrasso. Ma il nuovo ponte in costruzione tra breve consentirà un passaggio più rapido tra la Grecia continentale e il Peloponneso.
A Patrasso siamo in lista per l'imbarco verso l'Italia. Controllo passaporti, il mezzo viene perquisito all'interno mentre fuori i cani poliziotto girano intorno annusando l'aria. La prassi si ripete con ogni veicolo in fila per imbarcarsi.
Sistemati sul ponte in open deck ci prepariamo alla nostra ultima notte di viaggio.

31/08/2002 Sabato
Bari si scorge in lontananza con un cielo carico di pioggia. L'estate è finita e l'Italia ci accoglie con segni inconfondibili che il nostro viaggio è giunto al termine.
Usciamo dal porto e imbocchiamo la tangenziale direzione autostrada verso Roma, ripercorrendo in senso inverso il tragitto dell'andata e ammirando i paesaggi conosciuti.
C'è una confusione inusuale ad una stazione di servizio, stanno ispezionando un grosso Tir e le volanti della polizia continuano ad arrivare a sirene spiegate. Poco dopo, ecco alla radio la notizia del ritrovamento, in una stazione di servizio della Napoli-Bari, dei corpi senza vita di 5 clandestini curdi all'interno di un Tir proveniente dalla Grecia. Il nostro pensiero corre alle pianure e ai villaggi attraversati nel Kurdistan e a chi da lì era partito con l'illusione di un futuro migliore.

Considerazioni

Al termine di questo viaggio forte è la consapevolezza di aver vissuto per un mese a contatto con un popolo meraviglioso. Il rispetto per l'ospite, la delicatezza e la cortesia di cui siamo stati oggetto non si possono descrivere appieno e ci hanno lasciato una profonda considerazione per un popolo che nonostante le condizioni e le realtà difficili in cui a volte vive molto ha da insegnarci in fatto di umanità e rispetto verso l'individuo.


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