LIBIA:
AKAKUS TREKKING, DESERTO E PREISTORIA
Dicembre 2000
testo e foto di Antonio
Taddia e Gloria Monaco
Quest' anno avevamo voglia di qualcosa di
davvero speciale, di un viaggio che fosse avventuroso e
movimentato, alla ricerca di panorami mozzafiato e di salti
nella storia. La scelta e' cosi' caduta su un tipo di viaggio
molto particolare, nuovo per noi, abituati a viaggiare "in
solitaria". La meta e' la Libia, ed e' stato il suo deserto,
in particolare, ad attirarci, con le sue dune, le sue piste,
i suoi pinnacoli rocciosi, le sue infinite distese, i suoi
silenzi... in una parola: la sua poesia. Ci siamo quindi
domandati quale fosse il modo migliore per vivere un deserto,
e la risposta e' stata immediata: camminando! E' nata in
questo modo l' idea di attraversare a piedi un deserto.
Ma per recarsi a piedi in una zona desertica e' decisamente
sconsigliabile organizzare un viaggio fai da te; abbiamo
dunque iniziato ad informarci su quali agenzie proponessero
trekking di questo tipo, trovandone purtroppo poche. Alla
fine la scelta e' andata alla KEL 12 DUNE di Mestre, che
richiedeva un minimo di 6 partecipanti per una permanenza
in Libia di 14 giorni, di cui ben 9 di cammino!
Il programma e' molto allettante e noi siamo impazienti
di partire.
Domenica 24 Dicembre 2000
Partiti ieri da Bologna, siamo giunti in serata a Francoforte,
dove abbiamo trascorso la notte in un albergo vicino all'aereoporto.
Voliamo infatti con Lufthansa, che ci condurra' con un altro
volo a Tripoli, quest'oggi.
Appena scesi dall'aereo facciamo la conoscenza con Hassan,
un ragazzo egiziano che sara' la nostra guida di lingua
italiana durante tutto il viaggio, e con gli altri partecipanti
al trekking: 5 ragazze ed un ragazzo. Scopriamo, guardandoci
stupiti intorno, che in questo aereoporto non esiste una
sola parola scritta in una lingua diversa dall'arabo...
rendendoci conto con una certa dose di divertimento, che
se fossimo venuti qui da soli, avremmo potuto rimanere in
balia di questo posto per giorni interi senza capirci assolutamente
nulla!! Anche perche' la sola lingua straniera conosciuta
dai pochi libici poliglotti e' il francese, che noi non
parliamo!
Fortunatamente c'e' Hassan, che sbriga per noi le pratiche
aeroportuali; dobbiamo infatti prendere un altro volo che
ci condurra' in mezzo al deserto, piu' precisamente al paese
di Sebha. Ci sono pero' dei problemi al velivolo (!) per
cui, almeno per il momento, non partiamo. Dopo qualche tempo
trascorso a discutere sul da farsi, decidiamo di salire
a bordo di un pullman assieme ai partecipanti di un diverso
tour della KEL12 in Libia: nostra meta comune, la medina
di Tripoli!
Costruita nell' antichita' dai Fenici, questa medina e'
stata poi perfezionata dai Romani che la trasformarono in
una sorta di fortezza; contornata da mura, l' accesso e'
possibile attraverso 7 porte, fra cui quella "del mare"
da cui stiamo entrando ora. Appena fuori troneggiano i resti
ancora maestosi dell' arco di Marco Aurelio.
Prima di entrare nella medina, ci aspetta una stupenda sorpresa:
il muezzin della moschea dietro all' arco ci permette di
entrare a visitarla! E' per noi una grande emozione, dato
che siamo abituati alla rigidita' degli islamici in fatto
di religione, che normalmente non permette neppure di fotografare
la facciata delle loro belle moschee! Approfittiamo quindi
di questa inaspettata occasione e, dopo aver ammirato i
bellissimi mosaici che abbelliscono i muri esterni, ci togliamo
le scarpe ed infiliamo il naso in un mondo a noi precluso
e sconosciuto e dove solo la nostra immaginazione si era
potuta finora spingere. Ci troviamo in una sala molto vasta
e dal soffitto altissimo, costituito da tante cupole decorate
da motivi arabeschi uno diverso dall' altro; splendidi lampadari
a gocce di cristallo pendono inerti dal centro di ogni cupola
e solo alcuni sono accesi, cosi' da creare un' atmosfera
incredibile e magica, fatta di colori caldi ed avvolgenti,
di ombre e di un mistico silenzio. Il pavimento e' interamente
tappezzato di bellissimi tappeti rossi, blu' e marron; le
pareti sono tutte coperte di piastrelle dipinte a mano a
motivi floreali. Al centro di una delle pareti si trova
una scaletta sottile, coperta da un tappeto rosso, attraverso
la quale si accede al piano superiore dove si recano a pregare
le donne, che ovviamente stanno separate dagli uomini anche
nella moschea.
Usciamo controvoglia dalla penombra per ritrovarci in un
mondo di luce e rumori e ci occorrono alcuni secondi per
tornare alla realta'!
Ma siamo curiosi di visitare anche la medina, cosi' attraversiamo
la porta e camminiamo su una bella stradina; scopriamo in
breve che tutta la medina e' un intrico di stradine strette
ed in leggera salita, per ovvie ragioni difensive, su cui
si affacciano casette basse e bianche con belle porte azzurre,
verdi o marron. Ci sono diversi ponticelli ad arco che si
stagliano sul cielo sopra di noi: sono veri e propri ponti
fra una casa e l' altra che permettono di non scendere mai
in strada.
Osserviamo botteghe, negozi, stoffe coloratissime, spezie
profumate, teiere, ciabatte, tappeti... e alti puntali di
moschee con la caratteristica mezzaluna simbolo dell' Islam
appena forgiati dalle mani di abilissimi fabbri!
Terminato il giro, torniamo verso l' aereoporto, dove continueremo
la nostra attesa dell' aereo per il resto della giornata.
Sfruttiamo questa forzata immobilita' per conoscere meglio
le persone con cui vivremo a stretto contatto nei prossimi
giorni, per osservare curiosi la vita frenetica dell' aereoporto
lentamente calmarsi sul far della sera, per iniziare a domandarci
se mai partiremo da qui! Sono passate infatti ormai 10 ore
e non ne possiamo letteralmente piu'. Ci sdraiamo sul pavimento
della saletta dove ci hanno sistemato, insieme ad un centinaio
di altre persone, turisti come noi e locali, in attesa degli
eventi.
Lunedi' 25 Dicembre
L' alba ci coglie ancora tutti qui, assonnati e doloranti
per la posizione scomoda della notte.
Ormai partire e' diventata una questione vitale e cerchiamo
di capire perche' siamo ancora qui, mandando Hassan ad informarsi.
Il velivolo necessita di un pezzo di ricambio (!) che deve
arrivare da chissa' dove, ci ha riferito poco dopo; successivamente
abbiamo atteso l' arrivo del pilota, quindi tutto pare pronto
per l' imbarco. Ma sono gia' le 13 quando finalmente mettiamo
i piedi su un bimotore color sabbia della Libian Air. Con
ben 18 ore di ritardo... stiamo infine rullando sulla pista
dell'aereoporto di Tripoli!!! Non ci sembra vero e ci prepariamo
a gustare l'ebbrezza del volo.
Dall'alto si vede bene la geologia del paese; verde vicino
al mare e per un centinaio di km verso l' interno, diventa
all' improvviso completamente desertico di li' in giu'.
Il volo dura circa un'ora e mezzo, dopo di che atterriamo
a Sebha, paesone di 100 mila anime, anonimo avamposto in
mezzo a terre deserte. Da qui veniamo accompagnati ad un
albergo su una piccola collina, dove possiamo finalmente
mangiare e riposare per bene.
Dopo cena, infatti, e dopo una mezz'ora passata col gruppo
ad organizzare il trekking (ci sara' infatti da ritoccare
una tappa per colpa di questo ritardo), ognuno si ritira
esausto nella propria camera. Siamo pero' felici perche'
domani finalmente ci lasceremo alle spalle la civilta' con
tutti i problemi ad essa legati!
Martedi' 26 Dicembre
Due pullmini arrivano dopo pranzo, caricano i nostri zaini
e ci fanno salire: ci aspettano 600 km di strada asfaltata
che ci condurranno a Ghat, in pieno Sahara. Attraversiamo
paesaggi deserti e superbi, puntellati di piccole alture
rocciose o sabbiose. Ci fermiamo solo per comprare un po'
di frutta, pane e bibite. Ma la strada e' molto lunga e
ne approfittero' per raccontare un po' di storia della Libia.
Breve storia della Libia
Siamo nel nord Africa, a pochi km dalle coste della nostra
isola piu' "africana", Lampedusa. La Libia confina ad est
con l' Egitto, ad ovest con l' Algeria e a sud con il Ciad.
E' bagnata dal Mediterraneo, solcando le acque del quale
le imbarcazioni di innumerevoli popoli dell' antichita'
si spinsero alla sua conquista. Anche l' Italia fu a lungo
interessata al dominio delle sue coste, in tempi moderni
come in tempi antichi, quando anziche' di Italia si parlava
ancora di Regno dell' Antica Roma. I Romani si impossessarono
di alcune citta' costiere fondate dai Fenici, "romanizzandole"
ad arte e dando cosi' vita a gioielli come Sabratha e Leptis
Magna.
Per passare ai giorni nostri, l' Italia condusse un' ampia
manovra di colonizzazione, lasciando fortini in mezzo al
deserto, confinando i nomadi in campi con la scusa di ridurre
il nomadismo, ma anche portando avanti in modo esemplare
una grande campagna per sconfiggere la malaria, costruendo
pozzi e pompe, rassodando terreni aradi trasformandoli in
magnifici campi di mandorli, ulivi, mandarini, aranci e
viti, costruendo una rete stradale che permette tuttora
di raggiungere i principali paesi. Ha costruito anche scuole
ed ospedali, in modo che, perlomeno la parte sedentaria
della popolazione, non ha serbato tutto sommato cattivi
ricordi della colonizzazione. Le cose peggiorarono con l'
arrivo di numerosissime famiglie italiane, che ovviamente
si impossessarono dei terreni migliori ed arrivarono a superare
addirittura il numero di indigeni! Scoppio' la seconda Guerra
Mondiale, in seguito alla quale la Libia fu proclamata monarchia
da un emiro che aveva opposto grande resistenza alla colonizzazione
italiana. Durante il regno di Re Idris, sotto il suolo libico
viene scoperto il petrolio, che rendera' il paese uno dei
piu' importanti fornitori mondiali di greggio; ma la fortuna
bacia solo un quarto della popolazione, che per la maggior
parte e' rappresentata da miserabili.
Cosi', nel 1969, un colpo di stato incruento porta al potere
Gheddafi, il quale sostiene di voler dare piu' potere alla
massa, essendo lui stesso figlio di beduini e quindi povero.
Egli utilizza gli introiti del petrolio per grandi lavori
pubblici, soprattutto mirati a portare l' acqua dove non
c'e', pompandola da enormi falde in pieno deserto e portandola
mediante maestosi acquedotti dove serve. Fa smantellare
le basi militari inglesi ed americane, nazionalizza il 51
% delle multinazionali che estraggono il petrolio nei suoi
territori, caccia tutta la comunita' italiana, confiscando
ogni suo bene. Nel 1973 presenta al mondo il suo Libro Verde,
che dovrebbe essere secondo lui una via di salvezza dal
capitalismo che ormai imperversa nel mondo occidentale.
Dal 1974 Gheddafi e' coinvolto in episodi di terrorismo,
in seguito ai quali, nel 1994, le Nazioni Unite proclamano
l' embargo alla Libia. Questa risoluzione stritola pian
piano il paese, fa impazzire i prezzi, favorisce il mercato
nero e danneggia la popolazione; lentamente il dittatore
inizia ad intiepidirsi, fa chiudere i campi di addestramento
di gruppi terroristici.
Nel 1997 Papa Woityla si schiera per la fine dell' embargo,
insieme a Nelson Mandela che aveva ottenuto sostegno ed
aiuti per la sua lotta antiapartheid in Sudafrica dallo
stesso Gheddafi. E' cosi' che nel 1998 ha fine questo periodo
buio per la Libia, la quale apre immediatamente le porte
al turismo e ai rapporti con l' estero. Ed e' grazie a questa
apertura che noi siamo qui oggi, in trepidante attesa di
scoprire le meraviglie nascoste di un paese cosi' vicino
al nostro ma per tanti anni cosi' lontano.
Lentamente il sole si abbassa
all' orizzonte, mentre noi superiamo ancora un posto di
blocco dove giovani ed annoiati militari si alzano da terra
per venirci incontro e scambiare quattro chiacchiere, finalmente
contenti di vedere qualcuno. E' quasi buio quando incontriamo
una jeep dal vivace colore giallo; e' ferma lungo la strada
e noi ci fermiamo subito dopo. Ne scendono tre magnifici
tuareg, nelle loro lunghe vesti; ci dice Hassan che sono
alcuni dei ragazzi che ci accompagneranno nel deserto ...e
che sono fermi li' ad aspettarci da ieri sera! Proseguiamo
quindi il nostro viaggio, per giungere in breve ad uno spiazzo
sabbioso a lato della strada, dove passeremo la notte. Scendiamo
dai pullmini e ci guardiamo attorno, esausti ma felici:
domani inizieremo a camminare ma gia' ora assistiamo ad
uno spettacolo della natura che ci lascia sempre una bel
ricordo: il tramonto. La luce del sole morente sta colorando
di rosso ogni cosa, ed in particolare rimaniamo incantati
da una spettacolare formazione rocciosa che i tuareg chiamano
"la montagna maledetta", poiche' la leggenda la vuole abitata
da alcuni spiriti maligni.
Montiamo le tende, ceniamo intorno ad un bel fuoco, mentre
i tuareg se ne stanno poco distanti intorno al loro fuoco.
Quando ci diamo la buonanotte sono gia' le 10 e 30.
Mercoledi' 27 Dicembre
Anche l' alba su questa sabbia rossa e' splendida. Dopo
colazione disfiamo in breve tempo l' accampamento e risaliamo
sui pullmini. A soli 30 km da dove siamo ora c'e' Ghat,
ultimo posto civilizzato prima del "grande nulla" del deserto.
Vi giungiamo tutti elettrizzati dal piacere della scoperta
e restiamo abbagliati dalla bellezza del posto. Ghat e'un minuscolo paese abitato da tuareg gentili,
che appena ci vedono da lontano si avvicinano silenziosi
e stendono a terra le loro coperte che ricoprono con splendidi
monili fatti intermante a mano; sono infatti ottimi modellatori
di argento e gli oggetti costano anche parecchio! Il paese
e' costituito da una sorta dilabirinto di case basse e di
un materiale simile al tufo che, essendo costituito dalla
terra dei dintorni, si confonde in modo sublime al paesaggio
circostante.La cosa piu' bella e' che il fondo su cui si
cammina e' sempre e solo costituito da sabbia rossa e morbidissima.
E del resto non potrebbe non essere cosi': siamo nel deserto
e la sabbia copre ogni cosa, figuriamoci se non si deposita
sulle stradine fra le case!
Torniamo alle auto, per scoprire che i nostri zaini sono
stati trasferiti a bordo di 2 jeep, dal momento che iniziamo
da qui a penetrare in territori selvaggi dove il solo mezzo
che puo' agevolmente muoversi e' una vettura 4 per 4 ...oltre
che i nostri piedi 2 per 2!!
Percorriamo un tratto di pista verso est, osservando davanti
a noi innalzarsi sempre piu' il profilo scuro di un' altopiano
roccioso, verso cui ci dirigiamo decisi. Siamo incantati
e non riusciamo a staccarne gli occhi: e' quello il deserto
che attraverseremo, che sara' la nostra casa per i prossimi
9 giorni, che ci donera' emozioni uniche...e' proprio il
Tadrart Akakus!
Il Tadrart Akakus e' un parco nazionale e rappresenta il
proseguimento di un altro parco, il Tassili algerino. E'
costituito da un massiccio altopiano di arenaria, attraversato
da fiumi fossili risalenti alla preistoria che hanno scavato
profondi e spettacolari canyon, sulle pareti dei quali troveremo
i chiari segni del passaggio dell' uomo. Si sviluppa in
senso nord-sud e noi lo penetriamo a livello delle sue pendici
meridionali; il nostro tragitto percio' prevede di camminare
per un centinaio di km verso nord, per ridiscendere a valle
di fronte alle belle dune dell' erg Murzuk.
Ma
per il momento siamo appena scesi dalle jeep e, infilati
gli zaini, iniziamo a procedere verso le roccaforti occidentali
dell' altopiano. Le jeep fanno dietro front e noi restiamo
soli. Improvvisamente siamo proiettati in un mondo silenzioso
e puro, dove gli unici elementi estranei siamo proprio noi.
Oltre a noi 8 e ad Hassan, procede davanti a noi Argh Mohammed,
un anziano tuareg di ben 65 anni che sara' la nostra guida
terrestre. Camminiamo e impariamo subito una cosa importante:
notiamo infatti che la nostra guida cammina di preferenza
vicino ai pochi cespugli che ricoprono questa vasta distesa
petrosa. Il motivo e' di una semplicita' tale che ci meravigliamo
tutti di non averci pensato: la vegetazione nasce dove c'e' acqua, ovvero
un fiume o un torrente. Qui di acqua non c'e' neppure l'
ombra, ma se osserviamo bene il terreno, ci accorgiamo di
star seguendo il letto in secca di un corso d' acqua che
ha lasciato un poco di umidita' nel terreno sottostante,
da cui le poche piante traggono nutrimento.Ebbene, quando
l' acqua scorre leviga i sassi lungo il percorso, arrotondandoli
e riducendoli... quindi camminarvi sopra risulta piu' agevole
che lontano dal corso d' acqua!! Quante cose impareremo
in questa manciata di giorni...avremo modo di stupirci della
nostra ignoranza e della sapienza di questa gente del deserto
che nella conoscenza del paesaggio ha tratto la chiave della
salvezza, specialmente nel passato quando era nomade.
Ci avviciniamo sempre piu' all'alta parete rocciosa, seguendo
sempre il tuareg. Osserviamo il suo abbigliamento curioso
e pittoresco: un paio di pantaloni blu, un vestitone verde
lungo fino alle ginocchia, un giubbotto verde scuro tenuto
aperto, un turbante bianco attorno al capo e due semplicissimi
sandali ai piedi. Ci sembrano cosi' fuori luogo i nostri
scarponi da montagna guardando lui! Intanto per terra notiamo
alcune "palline" vegetali color giallo; sono i piccoli frutti
di una pianta strisciante tipica dei climi aridi, che una
volta maturi si staccano, si seccano al sole fintanto che
la polpa all' interno si asciuga, liberando i semini che
poi sono trattenuti dalla dura buccia esterna. Il risultato
sono queste simpatiche palline che se scosse ricordano molto
le maracas!
Dopo una sosta ed uno spuntino energetico a base di banane,
arance e uova, iniziamo la risalita della parete, alla base
della quale siamo infine giunti. Bellissime cenge invisibili
da lontano si inerpicano lentamente fino in cima, da dove
lo sguardo spazia sulla vastita' della valle appena attraversata.
In alcuni punti ci accorgiamo di camminare letteralmente
sui fossili; grandi lastre scure sono infatti completamente
rivestite di splendidi fossili di antichissime piante grasse.
Una volta giunti sulla cima si vedono a valle i segni lasciati
dai corsi d' acqua asciutti.
E'
stupendo quassu', ma la guida ci fa cenno di seguirla: la
tappa e' ancora lunga e dobbiamo arrivare al campo serale
con la luce. Voltiamo percio' le spalle alla valle, osservando
davanti a noi l' esistenza di una seconda e piu' bassa parete
da risalire. Una volta giunti sull' altura sommitale, i
nostri occhi si perdono in un' enorme distesa piatta e scura,
da cui si innalzano bizzarre formazioni chiare; la guida
si sta dirigendo decisa verso una di queste, dalla curiosa
forma di un fungo. Arrivati ai suoi piedi, scopriamo meravigliati
le prime pitture rupestri!Questo trekking viene chiamato
"museo sotto le stelle" proprio per ricordare una delle
caratteristiche importanti dell' Akakus, ovvero le sue pitture
rupestri, universalmente conosciute per la loro bellezza.
E avremo modo di verificare di persona l' integrita' di
queste forme d' arte primitiva, i colori ancora incredibilmente
vivaci, il senso della prospettiva e delle proporzioni che
i nostri antenati di 6, 7 mila anni fa avevano imparato
ad usare.
I colori bianco e rosso usati sono stati impastati con albume
d' uovo o con latte, nel chiaro intento degli uomini di
allora di fare arrivare i loro disegni fino ai giorni nostri.
In tutto cio' troviamo una sorta di magia e di mistero affascinanti!
Proseguiamo col naso per aria scoprendo mucche pezzate,
bellissimi struzzi e singolari uomini senza braccia.
Ritorniamo sulla distesa di rocce scure, staccandoci lentamente
dal gruppo per respirare un' aria piu' solitaria e silenziosa.
Poco dopo notiamo in distanza una lingua di sabbia chiarissima
alla base di un roccione, e li' sotto si trova la jeep gialla
con il resto dei tuareg che ci accompagnano.
In effetti, le nostre giornate prevedono di camminare in
luoghi selvaggi e silenziosi, per cui le jeep seguono un
itinerario differente dal nostro, incontrandoci solo al
campo della sera e, quando e' possibile, anche al campo
di mezzogiorno. Con noi viaggia sempre Argh Mohammed, senza
il quale ci perderemmo dopo 5 minuti e moriremmo tutti di
sete e di fame! Sulle jeep invece ci sono il cuoco, l' aiutocuoco,
l' autista ed il capo spedizione che fa pure lui da autista.
Per il momento non li conosciamo ancora, poiche' mantengono
le distanze e noi li rispettiamo per questo.
Sulla sabbia pranziamo con insalata, formaggio, riso e frutta.
Poi ci riposiamo una mezz' oretta, quindi riprendiamo il
cammino, passando a fianco di altre spettacolari formazioni
chiare su di uno splendido terreno scuro di minuscole rocce.
Ben presto ci accorgiamo che le ombre iniziano ad allungarsi
e che il mondo si dipinge di un rosso intensissimo. Si avvicina
il momento piu' bello della giornata nel deserto, e copriamo
in fretta gli ultimi metri che ci separano dal luogo stabilito
per trascorrere la notte. Quando arriviamo, prima ancora di togliere
gli scarponi dai piedi doloranti, ci guardiamo intorno a
bocca spalancata. Siamo stupefatti per la bellezza di questo
posto, e giorno dopo giorno ci renderemo conto che i tuareg
hanno scelto per le nostre notti i posti piu' belli di tutto
l' Akakus!
Ci troviamo infatti in un piccolo circo roccioso che nasce
come per miracolo sulla distesa piatta attraversata oggi;
interamente costituito di arenaria rossa, si modella davanti
a noi in uno spettacolare arco naturale alto circa 50, 60
metri, che sembra disegnato sul blu del cielo. E' una visione
mozzafiato, ma dobbiamo montare le tende prima del buio,
cosi' rimandiamo a domani l' ammirazione per l' arco.
E' troppo bella l' atmosfera del campo a quest' ora: ognuno
in silenzio monta il suo giaciglio, chi ha finito o chi
preferisce dormire sotto le stelle contempla il cielo farsi
sempre piu' scuro, i tuareg si affacendano attorno al fuoco
coi loro vestitoni lunghi, la temperatura gradualmente si
abbassa. Una magia che prosegue con la cena, tutti seduti
su bei tappeti ed alla sola luce del fuoco e di una piccola
lampada a gas. Che ricordi meravigliosi, che momenti indimenticabili...devo
sforzarmi di proseguire il racconto perche' rischio di emozionarmi
troppo.........
Giovedi' 28 Dicembre
Passiamo una notte splendidamente tranquilla, come solo
il deserto sa regalare. La luce del giorno ci coglie gia'
indaffarati nell' accampamento; subito dopo colazione dobbiamo
infatti partire poiche' la tappa di oggi e' molto lunga.
Ma riusciamo a ritagliare un quarto d' ora tutto dedicato
al meraviglioso arco: qualcuno non resiste alla tentazione
di scalarne la vetta, e quando 2 di noi arrivano lassu'
sono solo dei puntini colorati!
Salutiamo questo bell' angolo e ci incamminiamo dietro la
guida dal passo velocissimo. Io ed Antonio restiamo spesso
indietro perche' ci fermiamo a fare una foto o a contemplare
il panorama che ci lasciamo alle spalle. E' comunque impossibile
perdere il gruppo, dato che il terreno e' anche oggi tanto
piatto da sembrare una distesa senza fine.
Camminiamo in silenzio e l' unico rumore che si ode e' quello
dei nostri passi. Fa caldo e lentamente, col passare delle
ore, ci spogliamo da giubbotti e maglioni per restare in
maniche corte. Osserviamo con una certa dose di invidia
Argh Mohammed: da quando e' partito e' rimasto esattamente
vestito uguale. Queste persone sono talmente temprate dai
climi estremi della loro terra che pare davvero non si accorgano
delle variazioni di temperatura!
All'
orizzonte non si vede nulla, ma se ci soffermiamo a guardarlo
pare che si arrotondi su se stesso, dandoci l' impressione
di camminare su un' enorme sfera nera. Cosi' il nostro procedere
si trasforma in una sorta di allucinazione, pare di muoversi
senza spostarsi di un solo millimetro, il panorama circostante
sempre identico. Osservando il terreno, poi, le piccole
pietre tutte simili e del medesimo colore, appoggiate ad
un suolo piu' chiaro, quasi alla stessa distanza le une
dalle altre, accentuano ancor piu' lo stato di placida ed
estatica ipnosi!
Noi siamo tutti tranquillissimi, ogni stress legato alle
nostre vite in citta' si e' definitivamente dileguato; la
vita qui e' semplicemente camminare e non pensare a nulla
se non alla bellezza dei luoghi. Nessuno ha fretta di arrivare
in un qualche posto: abbiamo iniziato a "vibrare" in sintonia
all' energia del deserto! Anche il nostro modo di parlare
e' cambiato, e' piu' calmo e riflessivo. Ogni nostro gesto
denota una grande serenita'.
All' improvviso, ecco sollevarsi l' orizzonte: gli occhi
di tutti noi vengono catturati da questa nuova immagine,
che si rivelera' una formazione di arenaria tutta mammellonata,
sulla quale saliamo. Dalla cima osserviamo una distesa si
rocce alte e stratificate, chiare, che formano talvolta
torrioni pittoreschi dai fianchi sapientemente erosi dal
vento. Una visione fantastica, rallegrata anche da alcune
pitture rupestri.
Poco oltre ci aspettano i tuareg per il pranzo: un' altra
visione favolosa perche' siamo affamati!
Si riparte presto e si torna su un terreno simile in tutto
e per tutto a quello di questa mattina, con la differenza
che ora si vedono bene i segni lasciati dai pneumatici delle
jeep. Rovinano un po' la selvaggezza del posto ma non ci
facciamo troppo caso, anche perche' alla nostra sinistra
sta succedendo qualcosa di incredibile.
Il terreno si interrompe di netto e sprofonda in un precipizio
profondissimo: affacciandoci ci sentiamo improvvisamente
gli esseri piu' piccoli del mondo. Una spaccatura enorme
si stende sotto di noi, un canyon spettacolare solcato da
altri canyon minori, in un susseguirsi di anse morbide e
depressioni vertiginose: un maestoso mondo primordiale!
Proviamo ad immaginare questo posto dieci milioni di anni
fa, quando il clima era mite e c'erano enormi fiumi, valli
verdi e praterie, e su queste migliaia di animali selvaggi
e addomesticati dagli stessi uomini che ci hanno lasciato
le pitture... ma e' piuttosto difficile!
Dopo aver proseguito un' altra ora circa, allontanandoci
e riavvicinandoci ai canyon, vediamo venirci incontro le
due jeep dei tuareg. Hassan ci aveva infatti informato che
non avremmo potuto raggiungere a piedi il campo, sempre
per colpa di quel fatidico ritardo a Tripoli, dunque l'
unica alternativa sarebbe stata quella di fare l' ultimo
tragitto sulle jeep. Siamo dispiaciuti, ma accettiamo di
buon grado la soluzione. Saliamo sul retro di una delle
jeep (l'altra e' piena di legna da ardere, raccolta durante
il tragitto dai tuareg: si tratta per lo piu' di rami secchi
di acacia, uno dei pochi arbusti che vive a queste temperature),
cercando di coprirci come possiamo il viso: arriveremo,
pieni di polvere, sul far della sera al luogo destinato
al campo, dopo aver coperto una distanza di 17 km da questa
mattina.
L'accampamento viene allestito in fretta, su una vasta distesa
di sabbia soffice e calda. Tutto intorno ci sono cespuglietti
dal tenue colore verdino, che i tuareg usano per fare tisane
contro la cattiva digestione. La temperatura scende di parecchio
durante la notte, per cui ci copriamo bene prima di sederci
attorno al fuoco. E qui, al profumo forte della legna arsa,
al canto silenzioso delle stelle e sotto lo sguardo timido
e misterioso dei tuareg, ha inizio un' altra splendida notte
nel deserto.
Venerdi' 29 Dicembre
La luce del sole accende un nuovo giorno di cammino. Si
parte come al solito verso le 9, dopo una sostanziosa colazione.
Si torna sul terreno scuro di ieri, movimentato pero' oggi
da diversi roccioni molto belli. Durante il nostro lento
procedere abbiamo tutto il tempo di accorgerci e di cogliere
i piu' piccoli particolari del mondo che ci sta attorno:
e' questa la cosa che amiamo di piu' dell' andare a piedi,
e anche qui nell' Akakus ci sono mille piccole cose degne
di essere osservate ...a dispetto di chi pensa che nel deserto
non c'e' nulla!
Le pietre su cui camminiamo, per esempio, sono per la maggioranza
quasi perfettamente tonde, erose dal vento che le fa rotolare
sul suolo duro: ci divertiamo a trovare la piu' perfetta!
Il colore e' pure importante: queste "palle" sono nerissime,
tanto da sembrare di roccia lavica, e pesantissime. Molte,
sollevandole da terra, si presentano bionde sotto: e' il
sole che ne ha ossidato col tempo la faccia superiore. Talvolta
incontriamo delle zone di terreno chiaro completamente libero
dalle pietre, e di solito queste rare aree hanno una forma
circolare ed un diametro di 1 o 2 metri: chissa' come si
formano?
Improvvisamente il colore cambia e ci ritroviamo a camminare
su bellissime pietre viola! Poi appare qualche cespuglio
spinoso a ricordarci che la vita e' possibile anche qui,
e l' anima si solleva ancor piu' quando fra le spine scorgiamo
un timido fiorellino rosa! Queste sono le piccole cose che
fanno emozionare in un deserto.
All' orizzonte ci sono delle rocce basse ma molto modellate,
verso le quali siamo diretti; quando ci arriviamo (giocano
strani scherzi le distanze qui: per la nitidezza dell' aria,
sembra sempre che quell' altura sia li' ...ma quando sono
passate due ore ci accorgiamo che e' ancora la'!!) scopriamo
di entrare in un fantastico labirinto di sculture di roccia
chiara e stratificata. Quando poi all' improvviso il panorama
torna come per incanto a riaprirsi... le parole non possono
descrivere lo stupore che tutti noi abbiamo provato nel
trovarci di fronte quello spettacolo!
Una parete alta circa 10 metri e' per meta' crollata in
grossi massi accatastati ai suoi piedi, lasciando a nudo
una seconda parete, incredibilmente levigata, che scopriamo
essere parallela alla prima ma divisa da essa da una fessura
di circa 40 cm. La cosa piu' spettacolare e' che questa
seconda parete, che battezziamo "la lavagna", e' completamente
ricoperta di geroglifici!
Tracciati nella roccia viva, formano delle colonne verticali
e, Hassan ci spiega, nessuno e' ancora riuscito a decifrarli.
Il fascino del mistero ci avvolge, e si accresce anzi quando
sentiamo il resto della storia. Si racconta che, nelle notti
di luna piena, in un dato periodo dell' anno, la luna mandi
i suoi raggi argentei attraverso la fessura fra le due pareti
...illuminando tutta la "lavagna": che spettacolo!
Lasciata questa fetta di storia, proseguiamo in silenzio
ed in fila indiana perche' sul terreno e' ben visibile un
sentierino privo di sassi. Dopo un' ora circa ci aspetta
il pranzo, poi torniamo ad infilare gli scarponi e ci accingiamo
a seguire il tuareg che ci sta incitando a metterci di nuovo
in marcia. Lentamente ci rendiamo conto che c'e' della sabbia
fra le pietre e che, piu' proseguiamo, piu' essa si fa largo,
fino a proiettarci decisamente sulle dune! Il panorama cambia
ancora una volta, lasciandoci di sasso per la meraviglia.
E' troppo bello arrivare gradualmente sulle dune; ogni momento
e' una conquista del nostro lento ma deciso procedere.
Su di una parete rocciosa, nascosta da alcuni arbusti frondosi,
la guida ci mostra una splendida incisione: in scala di
circa 1 a 4 sta di fronte a noi un elefante!! Approfittiamo
di questo bel posto per mangiare qualche arancia, poi torniamo
a camminare. Ormai la sabbia e' ovunque intorno a noi e
rallegra gli occhi col suo caldo colore rosso; da essa spuntano
fantastici torrioni che disegnano vallate e corridoi su
cui noi ci sentiamo piccolissimi. La sabbia mette a dura
prova le nostre gambe, gia' doloranti, sopprattutto nelle
ore centrali della giornata, quando la temperatura e' maggiore
e la sabbia piu' morbida: si sprofonda ed ogni duna sembra
un muro!
Cosi'
passa il pomeriggio e quando le ombre nitidissime delle
rocce si disegnano sul suolo sabbioso noi siamo stanchissimi.
Dopo aver superato un ennesimo costone, ci giriamo in direzione
est ...e ci fermiamo tutti di scatto. Proprio di fronte
a noi, sulla sommita' di una duna ed ai piedi di una enorme
piramide naturale, le jeep dei tuareg ci segnalano che siamo
arrivati. Il luogo e' assolutamente bellissimo e noi, uno
dopo l' altro, ci lasciamo cadere a terra, da dove iniziamo
una lunga contemplazione. Sappiamo che dovremmo andare a
montare le tende, ma non ci interessa: vogliamo solo restare
qui a riempirci gli occhi di tanta selvaggia bellezza, per
non scordarla mai piu', per portarla sempre con noi. Qualcuno
fa una battuta: " Ragazzi... non ce ne frega piu' niente
di niente ...siamo allo sbando ormai!!" e giu' tutti in
una sonora risata che contagia anche Hassan e la guida!
Cosi' restiamo sdraiati ancora una mezz' oretta, ovvero
fin quando si rende assolutamente improrogabile l' allestimento
del campo! Saliamo la duna, abbracciata sui dui lati da altre pareti
rocciose, oltre ovviamente alla spettacolare piramide che
ci proteggera' dai venti questa notte. Ognuno sceglie poi
il proprio posto e si monta la tenda; i tuareg dormono sempre
all' aperto, coperti anche nelle notti piu' fredde da una
semplice coperta di lana grezza.
Quando ci raduniamo per la cena, ci attende una bella sorpresa.
I tuareg, infatti, ci invitano al loro fuoco e noi non ce
lo facciamo ripetere; per tutti noi questi tuareg hanno
rappresentato moltissimo in questa avventura, ne sono stati
parte integrante e conoscerli meglio era allora il nostro
piu' intimo desiderio! Percio', quando Hassan ci mette a
conoscenza della loro usanza di fare le presentazioni con
delle persone estranee solo la terza sera di "convivenza"...
ci si illuminano gli occhi ed improvvisamente proviamo ancora
piu' rispetto per questo popolo, per la sua riservatezza
e timidezza, oltre che per l' attaccamento alle tradizioni
che speriamo non debbano mai morire. Ci sediamo quindi in
circolo, allungando le mani ed i piedi verso le fiamme (qualcuno
si brucera' le suole delle scarpe!). Ognuno dice il proprio
nome, anche i tuareg, e la motivazione che lo ha spinto
a venire nel deserto. Poi ci raccontiamo storie e curiosita'
finche' non giunge ora di cena. I cuochi sono bravissimi,
sapendo unire i sapori della loro cucina ai nostri piu'
occidentali, esibendosi ogni sera in una zuppa diversa a
base di legumi squisiti e salsa piccante e secondi di pollo
e capra con verdure cotte saporite. Serberemo ottimi ricordi
anche dei pasti del deserto!
Prima di andare a dormire, dopo aver parlato ancora a lungo
intorno al fuoco, decidiamo di fare una breve passeggiata
senza gli scarponi sulla sabbia soffice, ormai fattasi fresca,
al buio di una notte appena illuminata da una sottile falce
di luna. Il pericolo rappresentato dagli scorpioni e dai
serpenti, temibili abitanti del deserto, non sussiste in
questa stagione, dato che si chiudono in una sorta di letargo
per risvegliarsi quando la temperatura tornera' a rialzarsi,
ovvero in primavera. Cosi' risaliamo un' alta duna dalla
quale godiamo di una vista fantastica sul campo, dove i
fuochi mandano lingue rosse sulle pareti rocciose. Girando
intorno lo sguardo, invece, non si scorge una sola luce
che non sia quella delle stelle: notte nera e silenziosa,
avvolgici nella tua tranquillita' e tienici stretti fino
a domani....
Sabato 30 Dicembre
Ci prepariamo ad una nuova giornata di cammino, salutando
questo meraviglioso posto. Scendiamo in una ampia valle
di sabbia, incontrando diverse pitture, fra cui una splendida
scena pastorale lunga circa 2 metri, dove si osservano uomini
intenti a cacciare, a bere in una capanna, a condurre le
mucche al pascolo, a mimare scene di guerra indossando caratteristici
copricapi con le corna! Ma Argh Mohammed non ci lascia mai
troppo tempo: anche la tappa di oggi e' lunga. Dalla sabbia
si passa ad un suolo piu' compatto, dove ad un certo punto
incrociamo una piccola e strana carovana: 3 cammelli, un
uomo sul dorso di uno di essi ed un tuareg davanti che fa
strada. Sapremo piu' tardi che si trattava di un turista
che ha scelto di vivere da solo il deserto, con la sua guida;
bello, ma quanto gli sara' costato?
Poco dopo avvistiamo un gruppo di cammelli sparsi in una
valletta verso la quale siamo diretti. La nostra guida ci
fa fermare, per dirigersi decisa verso un tuareg sdraiato
ad osservare i suoi cammelli. Si conoscono e noi restiamo
a guardarli parlare a grandi gesti, scoppiare a ridere e
salutarsi subito dopo. Tornato verso il gruppo, il nostro
tuareg si riavvia nuovamente in silenzio verso un restringimento
della valletta.
Insieme
a noi, oggi cammina tutto il giorno anche Hamadane, il capo
spedizione, che merita due parole! Devo dire, infatti, che
dopo la serata di ieri, i tuareg sono molto cambiati con
noi: oggi sembra che ci conoscano da sempre, ci sorridono
e ci fanno piccoli scherzi. Proprio Hamadane e' il piu'
estroverso dei cinque, ed alla fine della giornata avra'
dato ad ognuno di noi un buffo soprannome, nato dalla sua
osservazione del gruppo in questi giorni! Si diverte anche
a tirarci la maglia da dietro mentre camminiamo, cosa che
ci fa scoppiare a ridere ogni volta!
In una occasione, mentre Taddy se ne stava in muta contemplazione
del panorama, seduto sul crinale di una duna, l' ho visto
strisciare sul fianco della stessa duna, alle spalle dell'
ignaro poveretto... e quando e' giunto a pochi centimetri
dal suo sedere, ha infilato un dito sotto la sabbia e poi
l' ha punzecchiato da sotto in su' . Taddy, pensando ad
uno scorpione, ha fatto un salto incredibile, rotolando
poi giu' dalla duna, nel clamore generale di una gran risata!!
Insomma, ci divertiamo un sacco in loro compagnia; si sono
trasformati in simpatici giullari del deserto!
Oggi e' la giornata degli incontri, infatti vediamo passare
un gruppo sull' altro lato di una valle: forse sono quelli
di Avventure Nel Mondo, che fanno piu' o meno il nostro
stesso giro ma in senso contrario.
Quando ci fermiamo per il pranzo, sotto il sole cocente,
mangiamo in fretta e poi cerchiamo riparo all' ombra delle
jeep. I tuareg ci imitano quasi subito ed e' bella questa
sorta di intimita' che nasce dal desiderio comune di proteggerci
dalla forza della natura. Ne approfittiamo per imparare
alcuni giochi che loro fanno sulla sabbia, come una specie
di dama... bastoncini di legno contro cacchette secche di
cammello!
Ripartiti, attraversiamo una valle scura in leggera salita,
osservando le rocce a destra e a sinistra che si animano
di spettacolari archi e buchi; la salita termina su di un
panoramico crinale, oltre il quale scorgiamo un altra vallata,
grandiosa e selvaggissima. Il silenzio di questi posti ci
rimarra' dentro a lungo, specialmente dei momenti di contemplazione
di panorami come quello che abbiamo sotto gli occhi ora,
mentre i tuareg si allontanano un po' per inginocchiarsi
verso la Mecca e pregare.
Scendiamo dunque e continuiamo a camminare fino a sera,
entrando nella zona detta di "Ouiss", caratterizzata da
molta sabbia e spettacolari spuncioni di roccia. Attraversiamo
una piana con moltissime impronte di pneumatici che il vento
non riesce a cancellare, passando accanto ad un campo tendato
dove si fermano i partecipanti ai tour in jeep. Noi ovviamente
tiriamo dritto, andando a cercare nuovamente il silenzio
e la solitudine, scalando dune su dune, riempiendoci gli
occhi dei tanti spettacolari giochi del vento con la sabbia:
onduline, creste, anse, profili a semiluna, teneri sbuffi
dalle creste in un susseguirsi infinito di movimenti che
modellano giorno dopo giorno il panorama. E' infatti proprio
la conoscenza dei venti che permette ai tuareg di non perdersi
e di capire sempre dove si trovano; non potrebbero infatti
basarsi solo sulla semplice memoria dei posti visitati,
dei profili delle montagne o delle dune, troppo labili nel
tempo! Ma ricordando invece che in quella determinata zona,
per esempio, i venti predominanti spirano da sud a nord,
osservando il profilo di una roccia capiscono quale e' la
direzione giusta da seguire. Ovviamente ho molto semplificato
con le mie parole un misterioso processo mentale che accomuna
la gente del deserto e che forse e' meglio non cercare di
capire affinche' mantenga il suo fascino!
La sera e' alle porte quando risaliamo l' ultima duna quasi
verticale, incastonata fra begli spuncioni rossi, fra i
quali, giunti sulla sommita', scorgiamo le jeep ed i tuareg.
Il campo di questa notte si trova in bilico sulle dune,
in una piccola area pianeggiante da cui si domina l' intera
valle sottostante. Bellissimo!
Mentre prepariamo le tende, qualcuno fa alzare gli sguardi
di tutti, indicando laggiu' nella valle una minuscola vettura
che procede abbastanza veloce su una pista dritta e piatta:
il suo rumore non arriva fin qui per via del vento e la
sua visione pare piu' simile ad un' allucinazione che alla
realta'... eppure ci ricorda che laggiu', da qualche parte,
c'e' ancora la civilta', alla quale nessuno di noi ha fretta
di tornare. Siamo troppo felici qui, in mezzo a questo "niente"
che ci riempie di qualcosa di incredibile, in compagnia
dei nostri tuareg tutti indaffarati a preparare la cena!
Domenica 31 Dicembre
Questa mattina ci svegliamo con calma, senza il cucchiaino
di Hassan che martella sul pentolino per tirarci fuori dalle
calde tende. Impariamo infatti che oggi ci fermeremo qui,
ovvero non cammineremo, poiche' la prossima sera si festeggia
il nostro capodanno ed e' meglio questo luogo per l' occasione
piuttosto che scendere a valle.
Ad ogni modo, non staremo fermi nel campo, ma andremo a
zonzo per conto nostro, nascondendoci come in un gioco dietro
ad incantevoli denti di roccia che paiono immobili vedette
ferme li' ad osservare severe il nostro vagare.
Il giorno trascorre sereno, fra una passeggiata, una medicazione
delle inevitabili vesciche, qualche chiacchiera, il pranzo.
Quando poi giunge l' ora della cena, siamo tutti curiosi
di conoscere il menu' particolare che ci hanno riservato
i nostri fedelissimi. Restiamo a bocca aperta nello scoprire
che ci faranno assaggiare il loro pesce al cartoccio, rigorosamente
cotto sotto la cenere! La serata prosegue poi con giochi
e danze alle note dolci ma un po' gracchianti della musica
tuareg incisa su un vecchissimo nastro! Incredibile: riusciamo
a stare svegli fino a mezzanotte!!
Lunedi' 1 Gennaio 2001
Quando mettiamo il naso fuori dalla tenda, uno spettacolo
nuovo ed inaspettato ci accoglie: la nebbia! I bei colori
di ieri sono tutti velati ed uniformi, ma non importa: abbiamo
una cosa piu' urgente cui pensare. Una delle jeep, durante
la piccola bufera scoppiata durante la notte, e' rimasta
insabbiata, e serve una bella spinta per tirarla fuori!
Oggi si riprende il cammino e siamo tutti molto riposati.
Le tappe dei prossimi giorni saranno piu' brevi, almeno
fino all' ultima, quella cioe' che ci portera' fuori dall'
Akakus. Scendiamo a valle e camminiamo a lungo senza che
la nebbia ne voglia sapere di alzarsi; i ricordi di questa
giornata sono infatti un po' velati. La zona che attraversiamo
ora e' piatta e dal terreno compatto dove si procede velocemente;
belle sculture di roccia rallegrano il paesaggio e noi ci
divertiamo a scorgere nelle forme naturali alcuni personaggi.
Ricordiamo per esempio il pellerossa di profilo con tanto
di naso aquilino e copricapo piumato, Burt Simpson seduto
con le spalle ad un altro personaggio simile a lui, un barbapapa'
con la bocca aperta... oltre ad innumerevoli fori, archetti
e pietre in precario equilibrio le une sulle altre.
Arriviamo al campo di mezzogiorno, che sara' anche quello
della notte, poco dopo l' una; una soffice e piccola duna
su cui montare le tende e' semplice e veloce. Nel pomeriggio
siamo lasciati liberi di scorazzare nei dintorni, sotto
l' occhio curioso di Hamadane che e' salito su una roccia
altissima e la cui figura esile e alta si staglia sul cielo
chiaro come un' immobile sentinella!
Alla sera viene allestito un piccolo mercatino sul cofano
ricoperto da un tappeto di una delle jeep: si vendono bei
braccialetti d' argento lavorato, collanine, orecchini...
e fantastiche punte di frecce in selce appartenute agli
uomini primitivi delle pitture rupestri!
Martedi' 2 Gennaio
Anche oggi la nebbia non lascia tregua, ma e' molto meno
fitta di ieri e semplicemente schiarisce un poco i colori.
Torniamo sul terreno compatto di ieri, finche' non penetriamo
in un sottile canalone di roccia, alla fine del quale ci
affacciamo dall' alto sulla zona detta "Haddad", ovvero
"il dito". Si tratta di una valle ampia e piatta, che costituisce
la migliore porta di ingresso all' Akakus ai mezzi motorizzati,
con al centro uno spettacolare dito di roccia rivolto al
cielo, ora finalmente blu.
Non immaginavo, anche se in cuor mio lo speravo, di passare
proprio di qui, poiche' per me questa zona e' particolare;
esattamente una anno fa, infatti, mio papa' ha trovato la
macchina fotografica che sto usando ora proprio ai piedi
del dito di roccia!! Una bella coincidenza dunque, una sorta
di cerchio che si chiude!
Mentre sto raccontando ai ragazzi le avventure della mia
macchina fotografica, accade poi una cosa incredibile. Premetto
che quando io ed Antonio stavamo pensando al progetto di
attraversare l'Akakus a piedi, il mio papa' stava progettando
di attraversarlo in moto insieme ad un gruppo misto di jeep
e moto, esattamente come un anno fa. Era ovvio che incontrarsi
nel bel mezzo del deserto fosse un'idea pazzesca, percio'
ognuno e' partito tranquillo per la propria strada.
Ma a quanto pare questa zona del deserto e' carica di un'energia
straordinaria, in grado di avvicinare fra loro momenti,
oggetti... e addirittura persone. Ebbene, mentre sto parlando
coi ragazzi del gruppo (ce ne stiamo seduti a circa 300
metri dal fatidico dito, sorseggiando un dissetante the'
nero) mi accorgo di uno strano movimento sotto al dito stesso:
un gruppo numeroso di jeep e' appena giunto da chissa' dove
e diverse persone si aggirano nei dintorni per sgranchirsi
le gambe. Io sento un forte richiamo e senza accorgermene
mi metto a correre nella loro direzione, lasciando tutti
i compagni a bocca aperta, subito seguita da Antonio scalzo
e da Hamadane con sottanone e ciabatte infradito. Ho paura
che ripartano prima che io possa raggiungerli, lasciandomi
con il dubbio se li' ci sia oppure no mio padre, cosi' aumento
il passo fino a che i primi che mi vedono mi domandano:
"Sei per caso la figlia di Monaco?". Meno male che mio padre
ha parlato di me ai suoi compagni come ho fatto io coi miei...
gridando un felice "...si'!" continuo a correre cercando
una moto arancione. Improvvisamento la vedo, e vedo anche
papa', girato di schiena... e quando si volta mi dice: "E
tu cosa ci fai qui?!"
Ed ha inizio una grande festa, con tutti che si chiudono
intorno a noi gridando "papa', papa'" e scattando foto ricordo!
Abbiamo rappresentato l'evento della giornata: padre e figlia
che si incontrano in mezzo al deserto!
Che bel momento, che bella emozione: che bel regalo mi ha
fatto oggi l'Akakus! Nel frattempo, dopo Antonio arriva
anche Hamadane, che presento orgogliosa a papa'. Il suo
gruppo, infatti, e' guidato da un ragazzo di Bologna e non
ha la fortuna di viaggiare come noi con la gente del deserto;
quando percio' lo invito a prendere un the' intorno al fuoco
acconsente felice e si avvicina al bivacco in sella alla
sua moto, mentre noi due saliamo sulla jeep di uno dei tuareg
che e' venuto a recuperarci. Ma quando mettiamo piede a
terra, ci rendiamo conto che tutto il gruppo si sta spostando
alla volta del piccolo e silenzioso bivacco... che in men
che non si dica si trasforma in un frenetico e chiassoso
scambio di mani, di battute, di bicchierini di the', di
fotografie scattate ai nostri timidi e frastornati tuareg!
Il tutto ha fine quando la loro guida chiama tutti a gran
voce incitando ognuno a risalire in sella o in jeep. Alzando
ondate di sabbia e in un rumore assordante, infine, ripartono
diventando quasi subito piccoli puntini scuri sulla distesa
chiara: noi non vediamo l' ora di riprendere il cammino,
per immergerci nuovamente nel silenzio e nella purezza del
deserto.
L' incontro con papa' rimarra' mitico per me ed avra' insegnato
a tutti noi che l'aver scelto di visitare l'Akakus a piedi
e' stata senza dubbio la cosa migliore!
Riprendiamo percio' il nostro
lento percorso, che ci portera' nel pomeriggio a scalare
due immense dune, la seconda piu' alta della prima, tanto
che, quando arriviamo sulla cima, ci pare di essere sul
K2!! Da quassu' si domina un paesaggio dalla struggente
bellezza e dopo qualche minuto di contemplazione ci lasciamo
andare in discesa, scivolando allegramente sulla sabbia
come fossimo sulla neve. Arrivati a valle, girandoci indietro
ci dispiace un po' di aver rovinato la duna coi nostri balzi,
ma riprendiamo tranquilli il cammino: il vento sistemera'
in breve ogni cosa!
Arriviamo in serata al campo, con una spettacolare "sala
da pranzo" incastonata fra le rocce. Mentre noi montiamo
le tende i tuareg impastano una fantastica pagnotta che
cuoceranno direttamente nella sabbia, sotto alle braci.
Siamo increduli: come puo' la sabbia non restare attaccata
al pane? Eppure non un solo granello entrera' nelle nostre
bocche!
Mercoledi' 3 Gennaio
Questa notte c'e' stato parecchio vento, ma quando ci alziamo
per fortuna si e' un po' calmato. La temperatura durante
il giorno si alza molto ed e' quindi meglio che ci sia un
poco di vento, ma se dovesse essere troppo forte sarebbe
un pericolo per gli occhi e per le macchine fotografiche;
e' importante portare con se' sempre un capiente sacchetto
di plastica dove sistemare le apparecchiature elettroniche,
estremamente fragili quando vengono a contatto con la sabbia
ultra fine del deserto!
Anche oggi camminiamo poco, tornando lentamente ma inesorabilmente
sul terreno roccioso dei primi giorni. Ci stiamo infatti
riavvicinando al bordo dell' altopiano, dal quale scenderemo
purtroppo domani.
L' ultimo campo dell' Akakus e' un po' triste, se vogliamo;
di fronte al fuoco sembriamo tutti un po' nervosi. Ci eravamo
talmente abituati a questo mondo che l' idea di doverlo
abbandonare ci sconforta. E' un po' come se passassimo l'
ultimo giorno con la persona amata prima di un lungo periodo
di forzata separazione: vorremmo che fosse tutto bello,
ma non riusciamo ad essere che nervosi e distaccati. Ad
ogni modo trascorriamo un bel po' di tempo sdraiati a terra
con i piedi verso il fuoco e gli occhi verso il cielo stellato:
qui non ci sono luci artificiali ad inquinare la purezza
del firmamento, che quindi appare in tutta la sua bellezza.
Giovedi' 4 Gennaio
Disfiamo il campo e ripartiamo in direzione ovest. Attraversiamo
alcune vallette scure e sassose, in fila indiana dietro
al nostro Argh Mohammed, che oggi indossa dei calzini sotto
ai sandali: brutto segno!
A meta' giornata giungiamo su una larga sella, dalla quale
si gode di una vista incredibile sul mondo sottostante:
siamo sul limitar dell' altopiano e nella valle la' sotto
si distingue bene la striscia di asfalto che unisce Sebha
a Ghat. Parallela a questa corre, ormai inutilizzata da
tempo, la vecchia pista sterrata. Oltre a queste due, poi,
si estende un enorme mare di dune gialle e rosse: e' l'Erg
di Oubari, che giunge fino alle porte di Gadames, sul confine
algerino. Miopadre l' ha attraversato col suo gruppo 2 giorni
fa.
Sgranocchiando nocciole ed uva passa, assistiamo incuriositi
ma distaccati al dialogo fra Hassan e la guida. Capiamo
che non e' questa la via migliore per scendere a valle,
cosi' ci spostiamo su una sella vicina, dopo essere rientrati
momentaneamente in Akakus. A questo punto inizia la discesa,
piuttosto avventurosa per via della ripidezza e delle rocce
friabili su cui appoggiamo i piedi. Spesso ci immobilizziamo
tutti nel sentire qualche sasso che rotola veloce verso
valle, sperando di non trovarcisulla sua traiettoria! Quando
infine giungiamo a valle, camminando sul letto di un vecchio
fiume, fra grosse pietre gettate qua e la', ci giriamo
spesso indietro e ci sembra incredibile di essere scesi
proprio da quella parete praticamente verticale!
Superiamo l' asfalto, seguendo con lo sguardo una strana
coppia aggirarsi in questo paesaggio desertico. Si tratta
di una cammella col suo cammellino, e Hassan ci racconta
come queste bestie, attaccatissime al loro padrone, non
si allontanino mai da esso se non quando devono partorire.
Allora si allontanano anche di molti km e restano lontani
anche per diversi mesi col loro cucciolo, per poi tornare
pero' sempre dal loro padrone! Che bella storia!
Ci fermiamo sotto l' esile ombra di una spinosa acacia ed
intavoliamo un' accanita partita a dama con le cacchette
di cammello che qui abbondano. Parliamo fra noi dei giorni
andati, lo sguardo fisso su quella lunga parete scura che
non dimenticheremo mai.
Le ore passano e ci domandiamo cosa stiamo aspettando: Hassan
ci spiega che non abbiamo trovato all' appuntamento gli
altri tuareg con le jeep, che dovrebbero portarci nuovamente
a Ghat. Argh Mohammed sta allora cercando di dar fuoco ad
un vecchio copertone abbandonato lungo l' asfalto, per attirare
l' attenzione dei suoi compagni col fumo nero che dovrebbe
alzarsi, ma non ha successo e noi aspettiamo ancora. La
cosa buffa e' che a noi del gruppo non interessa proprio
nulla di dover stare fermi qui, inattivi: lo svacco totale
continua anche fuori dall'Akakus! Anzi, ci facciamo delle
gran risate guardando Hassan farsi sempre piu' nervoso ed
irascibile! Continua a perdere le partite a dama una dopo
l' altra e la cosa lo fa infuriare!
Beninteso, ci siamo trovati molto bene anche con lui e se
ora ridiamo e' in modo assolutamente bonario!
Dopo qualche tempo arrivano comunque i tuareg che ci accompagnano
in un luogo bellissimo in mezzo alle dune di Oubari. Osserviamo
la sabbia cambiare velocemente colore fino ad infuocarsi
letteralmente, e ci prepariamo a trascorrere l'ultima notte
in tenda. Questa sera con noi ci sono molti piu' tuareg,
fra cui un gigante dal bellissimo viso nero che ci fara'
da autista nei prossimi giorni.
Venerdi' 5 Gennaio
E' finito il tempo di camminare, ma non ancora quello di
scoprire! Oggi, infatti, veniamo proiettati in mezzo alle
alte dune dell' erg di Oubari, dove si nascondono alcuni
splendidi laghetti di acqua dolce, chiamati di Mandara,
in un contesto di oasi verdi che assomigliano tanto ad un
miraggio. Ci fermiamo qualche tempo in riva ad uno di essi,
osservando qualcuno che non resiste alla tentazione di un
bagno in mezzo al deserto! Belle palme frondose ed alte
canne palustri fanno da cornice naturale allo specchio d'
acqua scura dove nuotano numerosi pesci e dove, quando la
superficie del lago e' tranquilla e liscia si specchiano
il cielo e le dune: un bellissimo spettacolo!
Il
viaggio prosegue alla volta di Tripoli, dopo l' ultimo pranzo
sulle stuoie dei tuareg. E' giunta infatti l'ora di salutare
i nostri amici, che ci stringono forte le mani ridendo nel
loro particolare modo che abbiamo imparato a conoscere cosi'
bene: ci mancheranno. Li ringraziamo per averci donato un'
avventura tanto bella, promettendo di scrivere ed inviare
loro qualche foto nell' attesa di un non impossibile ritorno
da queste parti.
Finiti i saluti, torniamo sulle aute che ci lasceranno all'aereoporto
di Sebha sul finire della giornata. Il volo si conclude
a Tripoli, dove in taxi raggiungiamo l' albergo che la KEL
12 ha scelto per noi.
Dopo una bella doccia siamo tutti pronti per la cena ed
Hassan a questo punto ci fa una sorpresa: anziche' cenare
all'anonimo ristorante dell' albergo... ce ne andremo in
un ristorante tipico di Tripoli, specialita' pesce!! Tutti
contenti ci incamminiamo verso una zona non molto battuta
della citta' ed entriamo in una bella sala elegantemente
arredata... e all' improvviso ci sentiamo spaesati, persi,
fuori luogo. Cosa ci facciamo in un posto come quello anziche'
starcene seduti per terra sulla sabbia? E dov'e' il fuoco,
il pane cotto sotto la cenere, dove sono i turbanti colorati
dei tuareg? Lentamente dobbiamo rientrare nella realta'
e farci una ragione del fatto che questo posto appartiene
purtroppo di piu' alla nostra realta' quotidiana di quanto
non vi appartengano la calda sabbia del deserto o le risate
cristalline di Hamadane. Lentamente torneremo alla normalita',
ma per ora preferiamo continuare a parlare ed a ricordare
insieme questi meravigliosi giorni appena trascorsi!
Sabato 6 Gennaio
Ormai la vacanza si avvicina alla conclusione, ma per fortuna
abbiamo la possibilita' di finire in bellezza visitando
un altra meraviglia del suolo libico. Non si tratta questa
volta di una creatura della natura bensi' di una vera e
propria "figlia dell' uomo": Leptis Magna.
Questa citta' antica, risalente al secondo secolo dopo Cristo,
si trova nella regione della Tripolitania, a pochi km da
Tripoli, sulla costa mediterranea. E' affacciata ad uno
spettacolare porto naturale che aveva attirato fenici, bizantini
e greci ancor prima dei romani, ma furono proprio questi
ultimi ad erigere maestosi monumenti che rimasero nascosti
sotto metri e metri di sabbia fino agli anni 20 del secolo
scorso, quando furono disseppelliti e ripuliti da mani esperte.
Quello che possiamo vedere oggi e' uno spettacolo unico,
davvero imperdibile se si viene in Libia: bellissimi viali
larghi e pavimentati, alte colonne e statue, un teatro che
incarna uno dei migliori esempi di arte romana del periodo.
I sotterranei dove venivano rinchiuse le belve provenienti
dal centro dell' Africa e destinate al Circo Massimo di
Roma: anche questa e' storia... Il lungo corridoio piano
ed erboso, affacciato sul mare, dove si svolgevano la corsa
ed altri sport. Il mercato, le terme, gli archi: c'e' da
girare un' intera giornata, ma noi dobbiamo lasciare anche
questo posto: l' aereo per tornare a casa ci aspetta.
Salutiamo in silenzio la Libia e vivacemente Hassan, il
nostro accompagnatore che e' stato in tutto e per tutto
uno di noi, camminatori di terre deserte.......
Arrivederci ad un prossimo viaggio!
Vorremmo salutare i componenti del gruppo, con cui siamo
stati benissimo e che hanno concorso con la loro simpatia
a rendere unico il nostro viaggio in Libia; Marina, Orietta,
Giuseppe, Donatella, Chiara ed Elisabetta; grazie e ...
arrivederci ad un prossimo viaggio!!