MAROCCO - DIARIO DI UN VIAGGIO
FATTO PER CASO
15 settembre - 7 ottobre 2001
di Mauro Bertagnolli
Premessa
Fino a quest'anno non avevamo mai pensato di andare in Marocco
in ferie: troppo caldo d'estate, in concorrenza con viaggi
più lontani in inverno. Troppo vicino per andarci
con un viaggio organizzato, troppo lontano per andarci in
camper. Poi una serie di circostanze (l'idea di un collega
di lavoro, lo spostamento forzato delle ferie a metà
settembre) ci ha fatto considerare questa possibilità:
tutto sommato la distanza per andare in Marocco era minore
di quella fatta l'anno prima per andare in Norvegia, le
strade erano buone, il viaggio facile. Quindi abbiamo deciso
di andare in Marocco, e mai scelta è stata più
opportuna! E' stata veramente una vacanza indimenticabile.
Il
diario
Il prezzo che si deve pagare per raggiungere il Marocco
in auto senza volersi vincolare con i traghetti da prenotare
è l'attraversamento di Francia e, soprattutto, Spagna.
Sono 2300 chilometri di viaggio (almeno da casa nostra)
che, se all'andata sono abbastanza sopportabili, al ritorno
costituiscono una dura prova.
Tralasciamo
per il momento la descrizione del viaggio da Trento fino
ad Algeciras e ritorno, che ha richiesto rispettivamente
due giorni e mezzo e tre giorni. Il racconto quindi inizia
ad Algeciras.
Giorni
1-3 - da sabato 15 a lunedì 17 settembre 2001
Trento - Brescia - Piacenza - Genova - Imperia - Ventimiglia
- Aix en Provence - Montpellier - Barcellona - Valencia
- Alicante - Malaga - Algesiras.
Giorno
4 - martedì 18 settembre 2001
Partiamo presto dal posteggio della spiaggia del Riconcillo
(bar los Polpos): qui in questa stagione, per via del fuso
orario, alle 8 è ancora buio. Acquisto il biglietto
di andata e ritorno Euroferries per Ceuta e ci imbarchiamo
sul catamarano in partenza alle 9:15.
L'imbarco
ad Algeciras è molto più tranquillo di quanto
il caotico avvicinamento al porto possa far pensare. Si
può andare direttamente al terminal, oppure si può
acquistare il biglietto in una delle decine di biglietterie
sparse lungo la strada. Al terminal si può arrivare
sia per la strada diretta, sia passando per il centro ed
andando poi verso il porto. Il biglietto, acquistato nelle
agenzie lungo la strada, a quelle al terminal o nelle biglietterie
ufficiali, costa sempre uguale. All'arrivo al terminal si
viene assaliti da un gruppo di procacciatori delle agenzie,
anche quando si è ormai di fronte all'impiegato di
uno degli sportelli. Il costo dei biglietti viene ridotto
del 10% per la tratta di ritorno se si acquista andata e
ritorno. Tutti i biglietti sono open, cioè in pratica
non esiste prenotazione.
La
giornata inizia all'insegna della foschia, che quasi ci
impedisce di vedere la rocca di Gibilterra. Dopo uno slalom
tra le navi alla fonda, il traghetto prende velocità
e in 35 minuti arriviamo in vista del porto di Ceuta. Qui
facciamo gasolio, perché Ceuta è zona franca
ed il carburante costa pochissimo, e poi ci avviamo verso
la temutissima frontiera marocchina.
Alla
dogana spagnola è tutto 'normale', ma subito dopo
l'impatto è quasi drammatico: ci sono code di marocchini
in attesa di uscire, una ressa di persone che aspetta di
entrare carica di merce, una confusione totale. Si fa fatica
a passare con il camper: meno male che è mattina
presto (sono le 8, ora marocchina). Una colonna ininterrotta
di persone cammina sulla cresta della collina sulla nostra
destra, folle di mendicanti (o almeno persone che ci sembrano
tali) si accalcano sulla nostra sinistra, la polvere è
ovunque, si fa fatica a distinguere chi ha un incarico ufficiale
da chi non ce l'ha. Sappiamo che ci sono da disbrigare parecchie
formalità, e sappiamo che qualcuno si offrirà
di aiutarci. Infatti, immediatamente una guida turistica
ufficiale, di nome Mustafà, si offre di aiutarci:
accettiamo, un po' frastornati dalla situazione per noi
assolutamente nuova. L'offerta di aiuto si trasforma ben
presto in una di accompagnamento, gratuito e disinteressato,
alla visita di Tetouan, a pochi chilometri dal confine.
Lo accettiamo, anche per liberarci quanto prima dalla sindrome
da 'bidone' in agguato che penso colpisca chiunque si rechi
in Marocco dopo aver letto tutte le guide possibili immaginabili.
Ecco
cosa ti succede una volta che, alla frontiera Spagna-Marocco,
hai superato i poliziotti spagnoli, che peraltro praticamente
non ti degnano di uno sguardo.
1.
Un poliziotto marocchino ti dice a quale sportello ti devi
rivolgere (è probabilmente il numero 4, riservato
agli stranieri): l'informazione è comunque di scarsa
utilità, tanto gli sportelli non sono numerati.
2. Posteggi in una specie di slargo tra due file di uffici/baracche,
e chiudi il veicolo.
3. Vai allo sportello suddetto, che riconosci perchè
ci sono degli stranieri in coda, e, se non lo hai già
avuto per vie traverse, ti fai dare un biglietto giallo
a persona. Lo compili e lo passi all'impiegato assieme ai
passaporti. Dopo un po', i passaporti ti vengono restituiti,
timbrati e con un numero sopra. Il numero impresso sul passaporto
del proprietario del veicolo ti serve più avanti.
4. Torni indietro di qualche metro, sotto la tettoia c'è
un container che funge da ufficio per gli autoveicoli. Lì
devi solo chiedere che ti diano il modulo verde.
5. Compili il modulo, sul quale va riportato anche il numero
stampigliato prima sul passaporto del conducente e, se hai
la carta verde valida per il Marocco (probabilmente no),
puoi tornare allo stesso container.
6. Se devi fare un'assicurazione provvisoria, ti servono
i soldi. L'ufficio cambio è poco oltre lo sportello
per gli stranieri.
7. La porta accanto all'ufficio cambio c'è l'ufficio
delle assicurazioni. L'impiegato ti chiede di dichiarare
il numero di giorni che ti fermerai in Marocco, perchè
l'assicurazione costa un tanto al giorno (circa 5 €).
Non è chiaro cosa succeda se rimani scoperto di questa
estensione e fai un incidente, ma non è molto chiaro
cosa succede anche se questa estensione ce l'hai.
8. Torni al container veicoli con passaporto, carta di circolazione,
assicurazione a posto, eventuale foglio di autorizzazione
a circolare se il veicolo non è intestato a te e
il foglio verde compilato prima.
9. Torni al veicolo, mostri il foglio verde ed il tuo passaporto
ad un doganiere che ispeziona il tutto.
10. Riparti, e alla sbarra devi mostrare i passaporti di
tutti gli occupanti al poliziotto. Sei in Marocco.
Il
foglio verde va conservato con cura: servirà in uscita
per dimostrare che non si è venduta la macchina in
Marocco.
A
Tetouan posteggiamo in un parcheggio ufficiale vicino alla
medina, che ci rilascia un regolare biglietto ('Con questo
tu è seguro', sentenzia Mustafà, nel caratteristico
miscuglio franco-ispano-italiano).Visitiamo la caratteristica
medina, per noi la prima di una lunga serie, con i suoi
vicoli che si vanno progressivamente animando. Mustafà
è molto premuroso, continua a sincerarsi che la visita
sia di nostro gradimento. Vediamo il piccolo quartiere dei
conciatori di pelli, con le vasche della calce e quelle
dei colori, la zona dei falegnami, la zona dei sarti, la
moschea (solo dall'esterno), la kasbah, cioè la zona
residenziale all'interno della medina. Iniziamo a familiarizzare
con questi nuovi termini, tra cui ne spicca uno: kilim.
Onnipresente, il tappeto berbero ci verrà presentato
decine e decine di volte con la stessa procedura e con le
stesse frasi ('No esiste due uguale', 'E' la storia di donna
berbera'). La prima volta è qui, in un ensamble artisanal,
dove ci viene anche offerto il primo tè alla menta:
solo offerto, perché quando capiscono che non compreremo
né vasi né tappeti, ci congedano, senza tè!
Una seconda lezione ci viene offerta in una antica farmacia,
con erbe, spezie e altre sostanze naturali. Qui soccombiamo
alla nostra cultura, e ci sentiamo obbligati a comprare
qualcosa, senza però rinunciare ad una debole (lo
scopriremo in seguito) trattativa.
Tetouan, le concerie
Ritornati
al parcheggio, discutiamo un bel po' sull'ammontare della
mancia, prima che Mustafà ci congedi. Siamo per la
prima volta da soli in Africa! Abbiamo già imparato
che la prima cosa da fare è pattuire la cifra del
compenso (in seguito poi però infrangeremo altre
volte questa regola senza avere nessun problema).
Questa
è la prima strana storia che ci è successa
in Marocco.
Abbiamo
preso una guida. O, meglio, lui si è preso noi. Al
confine. Ci ha aiutato con le pratiche. Poi è scattato
il trappolone. Visita di Tetouan, gratuita, solo una mancia
decisa da me se la visita mi soddisfa, tanto lui è
una guida ufficiale, lavora per il turismo. Insisto, quanto
vuoi, non vuole niente.
A
metà visita della medina di Tetouan, dopo 50 coincidenze
("di dove siete di Italia?", "Nord, Trento",
"Ah nord, io ha amici in Venezia, Novara..."),
100 elogi ("Tu ha faccia marocchina!", "Nadia?
Ma es nome arabo! Mia tersa filia se chiama Nadia!")
e 1000 verfiche che tutto stia andando per il meglio, qualcosa
inizia ad incrinarsi. Il venditore di tappeti dal quale
ci ha portato la guida capisce che di tappeti non ne vogliamo,
e ci congeda senza il tè che ci aveva promesso come
segno della leggendaria ospitalità berbera. Alla
farmacia tradizionale le cose non vanno meglio, ci spillano
solo 50 dirham dopo che ce ne avevano chiesti 130 per un
po' di zafferano e un po' di tè.
La
nostra guida inizia a denunciare qualche tic nervoso, sembra
parlare da solo, gesticola nel vuoto. Il passo, teatrale
nelle sue 'babouches' all'inizio della visita, si fa sempre
più lesto. Adesso quasi corre, arrivando al parcheggio
ci fa notare con orgoglio che si è tolto il distintivo,
il suo lavoro è finito.
"Quanto
vuoi?"
"300
dirham."
"Cosa?
Come mancia direi che te ne bastano 50."
Succede
il finimondo: dice che 300 dirham (anzi, 20 marchi) li chiede
di solito solo per il disbrigo delle pratiche, io gli replico
che 50 dirham di MANCIA sono fin troppi, lui mi dice che
non ci siamo capiti, comincia ad alzare la voce, ci minaccia
di chiamare la polizia, dice che ci porta all'ufficio del
turismo dove ci mostreranno le tariffe. Visto che non ottiene
grandi risultati, cambia strategia: dice che gli ho fatto
venire addirittura il mal di testa, dice che mai un italiano
si è comportato così in passato. Alla fine,
per farla finita, gli faccio vedere una banconota da 100
dirham. La prende, si volta, e se ne va. Neanche un saluto...
mah!
Prendiamo
la strada per Chefchaouen. Ci sono estese coltivazioni di
ulivi, ed ogni casa ha una macina all'esterno. Verso l'una
e mezza (per il nostro orologio biologico sono già
le tre e mezza) ci fermiamo lungo la strada per il pranzo,
all'ombra di un alberello. Appena fermi vediamo una macchina
che passa, rallenta, si ferma, fa manovra, torna indietro:
è un Audi targata Italia, ne scendono due tipi forzuti.
'Ecco fatto!', pensiamo, 'brutta storia'. Falso! Sono due
marocchini di un paesino del Rif che lavorano a Milano,
che si sono fermati per darci il benvenuto e scambiare quattro
chiacchiere. Presentazioni, sorrisi, strette di mano, la
frase che poi impareremo essere il vero tormentone del Marocco:
'Prima volta in Marocco? Benvenuto in Marocco!'. Ripartono
strombazzando. Beh, la vacanza sembra cominciare proprio
bene.
Nel
pomeriggio proseguiamo verso Ouezzane attraversando una
zona di coltivazioni di tabacco e sughereti. A Ouezzane
prendiamo per Meknes - Fes. Il paesaggio cambia e si fà
più ondulato, tra coltivazioni di grano e ulivi.
Ci sono una marea di asini e muli in giro, di tutte le dimensioni,
e con ogni tipo di carico; soprattutto nel pomeriggio tutti
convergono verso le fontane che ci sono lungo la strada,
carichi di ogni tipo di recipiente, per fare rifornimento
di acqua. E' un peccato non poterli fotografare! Lungo la
strada si susseguono casette di fango, con covoni di paglia,
anch'essi ricoperti di fango, probabilmente per proteggerli
dagli animali.
Al
Col du Zeggate giriamo a destra e facciamo conoscenza con
la prima pattuglia di Polizia, molto gentile, che ci indica
la strada per il campeggio. Giriamo a sinistra in direzione
di Moulay-Idriss. Nove chilometri dopo il bivio per Volubilis
in direzione di Meknes ci fermiamo per la notte al Camping
Zerhoun. Sono le 6 e ci sono 20°, inizia a spirare una
leggera brezza che scopriremo essere una costante delle
prime ore dopo il tramonto.
Giorno
5 - mercoledì 19 settembre 2001
Partiamo alle 7:40, sotto un cielo grigio di nubi, tornando
brevemente sui nostri passi alla volta di Volubilis, antica
città romana. Con nostra sorpresa, ci si arriva dall'alto
(chissà perché poi ce l'eravamo immaginata
in alto su una collina). Siamo i primi visitatori, ma purtroppo
non riusciamo a sfruttare l'ora per fare delle belle foto,
date le nubi basse che arrivano fin quasi a coprire il vicino
paese di Moulay-Idriss. Le rovine sono suggestive, soprattutto
i mosaici sono quasi intatti e molto particolari. Non si
riesce a far a meno di pensare a che tipo di vita e che
tipo di viaggi intraprendevano i nostri antenati per arrivare
fino a qui.
Terminata
la visita, proprio mentre arrivano i primi pullman con le
visite organizzate, partiamo per Meknes. Lungo la strada,
poco prima della cinta di mura esterne della città,
vediamo una decina di cicogne. Andiamo direttamente al campeggio
vicino al Dar el Maa prenotiamo subito una guida turistica
ufficiale, perché ci sentiamo ancora inesperti ed
insicuri. Questa volta il prezzo ci viene comunicato immediatamente
da Mohammed (150 Dh), e cerchiamo anche di mettere in chiaro
tutte le cose che vorremmo vedere: scopriremo comunque che
non è facile capire se tutte le cose che uno vuol
vedere gli vengono effettivamente mostrate. Prendiamo un
petit taxi che ci porta verso il centro: costano pochissimo
e conviene servirsene.
Meknes, particolare degli stucchi nella Medersa
Visitiamo
il mausoleo di Moulai Ismail, con begli stucchi e bei soffitti
intarsiati in legno di cedro, poi andiamo velocemente verso
la medina, incontrando lungo la strada dei venditori d'acqua
(prettamente turistici) e passando per il quartiere dei
cardatori e filatori della lana (questi invece originali).
Alla medina visitiamo subito la medersa Bou Inania, che
dopo chiude. Le mederse sono le scuole coraniche e quelle
antiche hanno tutte la stessa struttura, con un cortile
centrale contornato dalle celle degli studenti, il tutto
stuccato ed intarsiato nel legno di cedro. La medersa di
Meknes è decisamente la meglio conservata che abbiamo
visto. Dalla terrazza si ha una bella vista sulla grande
moschea e sui tetti della medina, con le loro mille antenne
e le loro mille parabole. Facciamo un giro nei souk e poi
veniamo portati in una cooperativa di berberi dove si vendono
tappeti. Qui riusciamo finalmente a bere il nostro primo
tè alla menta ma purtroppo anche a comprare il nostro
primo (e fortunatamente ultimo!) kilim. Alle 13 e 30 la
guida dichiara che abbiamo visto tutto quello che volevamo
vedere e ci congeda. Affamati, andiamo alla ricerca del
ristorante Riad, che Mohammed ci ha consigliato. Ci accompagna
nell'ultimo tratto un ragazzino che ci aveva sentiti parlare
del ristorante con la guida. Il ristorante è carino,
con un bel giardino, pulito, un po' caro per gli standard
marocchini. Mangiamo la nostra prima tajine e gli unici
dolcetti del viaggio.
Finita
la visita alla medina di Meknes, mostro la pianta della
città alla guida per chiedere ulteriori informazioni.
Quando gli faccio vedere il quartiere di Riad, mi dice:
"Ah, il ristorante Riad! Buono, non turistico",
e mi indica la strada per raggiungerlo. Va detto che il
ristorante, oltre a non essere per niente nel quartiere
Riad, è indicato da una marea di cartelli e di scritte
sui muri. Congediamo la guida, facciamo tre metri, ed un
ragazzo seduto sul gradino di una bottega, ci dice: "Buono
il Riad, no turistiquo". Non gli diamo peso, andiamo
verso il campeggio, ma dopo qualche metro decidiamo di andare
a 'sto Riad a vedere com'è, e svoltiamo seguendo
la freccia.
Dieci
minuti dopo, ad un'ennesima svolta, ci ritroviamo davanti
il ragazzo di prima. Questo, senza che glie lo chiediamo
e senza volere alcuna mancia, ci porta al Riad, seguendo
peraltro le frecce sui muri. Appena rrivati, sparisce nel
nulla. Sentiamo di nuovo parlare di lui dal cameriere un'ora
dopo, quando viene a sincerarsi che sia stato proprio il
ragazzo a consigliarci il ristorante. E' più o meno
vero, e con la nostra dichiarazione autorizziamo la concessione
di una sicura mancia.
Nel
pomeriggio, dopo essere rientrati a piedi al campeggio lungo
l'interminabile (saranno tre chilometri) muro del palazzo
Reale, visitiamo il palazzo dell'acqua con i suoi enormi
granai, la cui temperatura è mantenuta fresca da
un sistema di canalizzazioni d'acqua. Alla fine non resistiamo
alla tentazione di fare il nostro primo giro da soli e ci
facciamo portare da un petit taxi in place Ladim; giriamo
per il souk delle spezie e per il mercato delle pulci, per
il souk degli strumenti musicali e dei falegnami.
La
serata è gradevole, c'è la solita brezza e
la temperatura alle 10 di sera è di 21°.
Giorno
6 - giovedì 20 settembre 2001
Partiamo al solito verso le 8 alla volta di Fes; lungo la
strada c'è un gran traffico di asini che vanno verso
il mercato carichi di frutta e verdura. A Fes cerchiamo
subito il campeggio Diamant Vert, che individuiamo quasi
subito con un colpo clamoroso di fortuna, dopo aver attraversato
alcuni sobborghi della città. Il campeggio dista
circa 12 km dal centro, ed è fuori della portata
dei petit taxis, che non possono spingersi oltre il confine
della municipalità. Cerchiamo di farci procurare
una guida ma ci dicono che sono tutte occupate fino alle
2 del pomeriggio. Aspettiamo un po' e poi andiamo a vedere
alla reception. Sorpresa! Casualmente c'è una guida
non ufficiale che parla italiano (Mohammed, di cognome Benito);
ci accordiamo per 100Dh, per l'intera giornata.
Fes, veduta della medina
Per
andare in centro prendiamo un autobus che ci porta fino
all'inizio della città nuova; di qui proseguiamo
con un petit-taxi che ci porta alla moschea all'aperto nei
pressi del Borj sud, una delle due torri di avvistamento
fatte costruire per controllare la medina. La moschea, vicino
ad un enorme cimitero, viene utilizzata solo due volte l'anno,
poco prima del Ramadan e alla festa del Montone. Da qui
si goda una bella vista della medina. Fa abbastanza caldo,
e la parte pesante deve ancora venire. Mohammed ci porta
verso delle colonne di fumo nero alla periferia della medina:
è la zona dei ceramisti, dove in una fabbrica ci
vengono mostrati i vari procedimenti di produzione, e ci
vengono naturalmente vendute delle tipiche ceramiche blu
di Fes; riusciamo a ridurre i danni comprando solo cose
molto piccole, visto che tra l'altro dovremo portarcele
tutte in giro per la città.
Dopo
aver pagato questa specie di 'tassa' rituale alla guida,
entriamo finalmente nella medina, visitando subito la medersa
Es Sahrij e la vicina moschea nel quartiere andaluso; scendiamo
poi verso il fiume e vediamo il souk El Ghezel (mercato
della lana filata) con le sue matasse multicolori. A questo
punto Mohammed ci molla ad un suo amico, che non parla una
parola di italiano, cammina come un missile e ci porta,
ormai sudati fradici, al famoso souk dei tintori, non senza
averci prima dotati di un rametto di menta per resistere
al terribile olezzo. La zona delle vasche multicolori la
vediamo dalla terrazza di un negozio di pellami. Qui siamo
bravi, e riusciamo ad uscire senza aver comprato niente.
Ma la vista dall'alto del souk (tra l'altro semi vuoto,
vista l'ora pomeridiana ed il fatto che è giovedì)
è un po' troppo artificiale, così ci facciamo
accompagnare giù, tra le vasche. Qui è tutta
un'altra cosa, veramente spettacolare: data l'ora tarda,
non c'è nemmeno un gran odore. Poi l'idea di essere
a nostra volta fotografati da orde di turisti dei viaggi
organizzati che si sporgono dalle terrazze in alto senza
poterci imitare è divertente. Sempre seguendo l'amico
di Mohammed, che si chiama Mohammed, vediamo la Medersa
El Attarin (del tutto simile a quella di Meknes ma peggio
conservata), l'attigua mosche El Qaraouiyyn, nella quale
si può sbirciare dall'esterno, una farmacia tradizionale,
una cooperativa di tappeti, in un bellissimo palazzo nobiliare,
gestita da un signore molto gentile che ci offre il tè
anche se capisce subito che non compreremo niente.
Fes, particolare delle concerie
Mohammed
ci restituisce a Mohammed, che ci fa poi visitare la cooperativa
berbera della sua famiglia (citata nelle guide Lonely Planet
inglese e francese), dove gli uomini filano la lana per
le coperte, mentre le donne, al solito, fanno i tappeti
('no esiste due uguale'). Usciti dalla medina vediamo una
folla di persone che si vanno radunando: è un Moussem,
festa religiosa tra le più importanti della città.
Mohammed ci sconsiglia di avvicinarci, dicendoci che è
pericoloso perché ci gira brutta gente, ma è
chiaro che considera esaurito il suo lavoro ed ha fretta
di riportarci al campeggio. La visita, grazie a Mohammed,
è stata veramente piacevole, e gli regaliamo una
maglietta. Solita seratina con l'arietta dopo il tramonto.
Arriviamo
a Fes, ore nove e mezza del mattino, campeggio Diamant Vert,
fuori città. Alla reception ci dicono: prima delle
due, impossibile avere una guida, sono tutte impegnate.
Provo ad insistere, mi dice: "Se ne trovo una, vengo
a chiamarti." Alle 11 decidiamo che non possiamo passare
un giorno al campeggio, andremo da soli. Alla reception
l'impiegato ci dice che guide ufficiali non ce ne saranno
per tutto il giorno, ma che casualmente c'è lì
Mohammed, che casualmente parla l'italiano e che ci può
fare da guida per 150 dirham. Trattiamo fino a 100 dirham.
Ok, si va.
Un
pezzo a piedi, poi autobus, petit taxi, visita alla fabbrica
di ceramiche, un altro pezzo a piedi, ingresso nella medina.
Ad un incrocio, Mohammed ci presenta Mohammed, che sembra
essere lì per caso. "Io devo andare alla moschea",
ci dice Mohammed, "nel frattempo Mohammed vi porterà
qui, lì, là, dove ci rincontreremo".
Mohammed due non parla l'italiano, e va come un missile
impazzito. Ma ben presto impariamo che se ci fermiamo a
fare qualche foto lui apparentemente si perde tra i vicoli,
ma lo ritroveremo alla prima svolta importante. Durante
il percorso, piuttosto lungo, Mohammed due saluta 300 persone,
dà dei soldi a 50, ne riceve da altre 50, sempre
senza fermarsi, come se sapesse esattamente chi troverà
tra qualche metroe quanti soldi devono essere scambiati.
In una città da due milioni di abitanti, sembra che
tutti conoscano tutti.
Saranno
appuntamenti cronometrici o casualità? In ogni caso,
una cosa è certa, tutti qui sanno perfettamente cosa
faremo noi turisti!
Giorno
7 - venerdì 21 settembre 2001
Questo è il giorno il cui inizia la nostra vera visita
del Marocco: ci si allontana dalle grandi città,
si va verso gli spazi che finora abbiamo solo immaginato.
Partiamo alle 8 dal campeggio e ci dirigiamo verso Ifrane;
attraversiamo dapprima una zona collinare, poi iniziamo
a salire tra foreste di pini marittimi e coltivazioni di
meli. Il paesaggio ad un certo punto diventa roccioso, e
lungo la strada ci sono tantissime bancarelle che vendono
fossili e minerali. Ci fermiamo ad acquistare della vanadinite,
dell'azzurrite e un geode di galena (probabilmente finto,
ma carino). Attraversiamo Ifrane e arriviamo fino ad Azrou,
dove facciamo un giretto per il piccolo souk.
Da
Azrou prendiamo la stradina che porta fino al cedro Gouraoud,
gigantesco ma ormai mezzo morto. Qui ci sono parecchie scimmie
di barberia, che girano tra i turisti e le bancarelle di
fossili. Ovviamente dobbiamo acquistare qualcosa, e la scelta
cade su una scatolina di finto alabastro, barattata con
una maglietta. Proseguiamo più oltre sulla strada
che diventa sterrata ed abbastanza impegnativa per il camper
a causa di alcuni brevi tratti in forte pendenza, e si inoltra
in una stupenda foresta di cedri. Ci fermiamo a pranzo sotto
un enorme cedro nei pressi di una radura, e dopo alcune
decine di minuti veniamo raggiunti da due ragazzi in motorino
che cercano di venderci dei fossili; poi ne arriva un altro
a piedi, cercando di venderci un coltello: è ora
di andare!
Verso il souk nei pressi di Nzala
Seguiamo
il cartello del Tour de la Foret des cedres per la strada
3398. Dalla foresta di cedri si passa ad un paesaggio sassoso
e vulcanico, disseminato di tende berbere. Dopo una ventina
di chilometri, non avendo trovato una deviazione che era
segnata sulla carta e che ci avrebbe fatto rientrare ad
Azrou, ripercorriamo a ritroso la stessa strada fino alla
statale P21. Prendiamo per Midelt, attraversando una zona
pianeggiante circondata da monti brulli. Raggiungiamo il
col du Zaz, dal quale scendiamo in una valle circondata
da montagne rosse punteggiate di cedri. Le colate di fango
e sassi ai bordi della strada ci fanno capire che qui deve
essere piovuto da non molto. La valle si apre a Zeida, dove
sorge un'importante zona mineraria. Il paesaggio cambia
di nuovo, questa volta vediamo soprattutto sabbia e cespugli
spinosi: ci stiamo avvicinando al deserto. Raggiungiamo
Midelt dove ci fermiamo al camping Municipal. Poco prima
dell'ingresso veniamo avvicinati da Aziz, un cercatore di
minerali, che ci invita a vedere i suoi minerali a casa
sua. Lo seguiamo nella sua piccolissima casa, con cataste
di letti (usati solo come contenitori di minerali) nel minuscolo
soggiorno. La vanadinite di Aziz è veramente bella,
ma lui è interessato ad una vendita in blocco di
un intero plateau di minerali, ed è davvero troppo
caro (1800 Dh), quindi rinunciamo e torniamo al campeggio.
Il camping è un parcheggio, con servizi molto spartani,
ma puliti. Siamo quasi a 1500 metri di quota e fa freschino:
alle 10 di sera ci sono 16°.
Giorno
8 - sabato 22 settembre 2001
Partiamo da Midelt alle 7:40, in una bella giornata di sole
un po' fresca (14°) in direzione di Erfoud. La strada
sale fino al Col du Salgnant: ci sono piccoli villaggi e
ksar (villaggi fortificati) in rovina. Incontriamo tantissima
gente con asini e biciclette che vanno verso un vicino souk
settimanale, pastori berberi con greggi di capre. Attraversiamo
le prime oasi, iniziamo a vedere i caratteristici cimiteri
musulmani in cui è una semplice pietra a segnare
il luogo di sepoltura. Attraversiamo lo ouad Ziz e il tunnel
du Legionaire: la strada si fa sempre più spettacolare,
le rocce stratificate hanno bellissimi colori e le gole
sono molto suggestive. Dopo una zona deserta arriviamo ad
Errachidia, dove non ci fermiamo.
Proseguiamo
invece poco oltre fino alla Source bleue de Meski, immersa
in un'oasi (a proposito, stiamo imparando che qui le oasi
sono quasi sempre ben nascoste in qualche canyon, niente
a che fare con la palma che spunta dalla sabbia). La sorgente
non è gran che, praticamente una piscina in cemento
a ridosso di una parete rocciosa dalla quale sgorga l'acqua,
ma in compenso il luogo è pieno di negozietti di
souvenir! Veniamo immediatamente avvicinati dai commercianti
e da Mohammed, che si offre di farci da guida per Merzouga,
mostrandoci tutte le sue credenziali, una serie di biglietti
da visita con raccomandazioni scritte in italiano. Gli dico
che ne riparliamo con calma, anche perché fa parecchio
caldo e non abbiamo nessuna fretta di proseguire: infatti
ci aspetta l'hammada, il deserto di pietre. Dopo pranzo,
facciamo un giro nei negozi (uno di questi ha in bella mostra
un paio di sci), beviamo alcuni tè, suoniamo il tamburo,
Nadia tenta, fortunatamente senza successo, un baratto di
magliette, scarpe da ginnastica e pasta Barilla con alcuni
oggetti di artigianato.
Ci
accordiamo in modo molto preciso con Mohammed: accompagnamento
a Merzouga, pernottamento vicino alla gran Duna, tramonto
sulle dune, al mattino partenza alle 4 a dorso di cammello
e gita di 4 ore fino alla gran Duna, rientro ad Erfoud passando,
se le condizioni lo permettono, da una pista secondaria.
L'accompagnamento ci costerà 80 Dh, che diventeranno
100 se saremo soddisfatti. Questa volta abbiamo fatto tutto
secondo le regole (ma scopriremo ben presto che il bidone
è sempre in agguato).
Indicazioni nel deserto
Partiamo
alla volta di Merzouga. Mohammed ci dice che abbiamo fatto
bene a non comprare niente a Meski perché lì
vendono solo cose per tedeschi, e che ci pensa lui a portarci
nei posti giusti: infatti poco dopo ci fermiamo sul crinale
dei fossili tra Erfoud e Merzouga, appunto in un negozietto
di fossili, piuttosto brutti. Proseguiamo, finalmente sulla
pista, verso le dune che si cominciano ad intravedere in
lontananza. In effetti sono a più di 30 chilometri,
ma qui la visibilità è spettacolare, e poi
c'è anche l'effetto della fata morgana. La pista
è buona, facile. Spesso Mohammed ci fa stare all'esterno
perché il fondo di sassi dell'hammada è meno
sconnesso della pista stessa. Ci sono solo due punti un
cui bisogna attraversare strisce di sabbia molto soffice,
di circa 30-40 metri. In altri punti bisogna scegliere tra
più piste, ma l'impressione è che vadano poi
tutte nello stesso posto (al limite una pista è più
sconnessa dell'altra, ma non sapremo mai se la nostra guida
ci ha fatto andare sulla più comoda o sulla più
spettacolare). Arriviamo a Merzouga dove, nonostante si
stia avvicinando il tramonto, dobbiamo passare sotto le
forche caudine di un negozio di tappeti berberi ('no esiste
due uguale'). Fortunatamente siamo abbastanza veloci da
arrivare al campeggio (annesso ad una specie di albergo)
per tempo; peccato che il posto sia sì all'inizio
del deserto di sabbia, ma il più lontano in assoluto
dalle dune più grandi.
Cerchiamo
di prendere accordi per la cammellata dell'indomani: ovviamente
ci dicono che non ci sono cammelli, sono tutti prenotati,
ma forse per 300 Dh a testa... Alla fine concordiamo per
300 Dh (la metà anticipata) e una maglietta in tutto,
mentre Mohammed ci prende in giro perché vogliamo
andare sulla gran Duna senza essere stati prima su quelle
piccole: ovviamente è scocciato dal fatto che non
abbiamo comprato niente nè al negozio dei fossili,
nè in quello di tappeti. D'altra parte noi abbiamo
capito di aver fatto un errore a ingaggiarlo.
Le dune di Merzouga si innalzano dall'hammada
Comunque,
dobbiamo darci da fare perché il sole tramonterà
tra un'ora, e quindi ci incamminiamo da soli verso le dune
più interne. In particolare, abbiamo visto due persone
su una duna abbastanza lontana, e siamo quasi certi che
siano stati portati lì con i cammelli. Ma, un momento:
il cammelliere berbero va in cammello o ci cammina davanti?
Ci cammina davanti! Quindi, se lui porta un cammello fino
a lì, ci possiamo arrivare anche noi, a piedi. Detto,
fatto. In 40 minuti siamo ai piedi della duna; i due cammelli
sono accucciati poco lontano, in un avvallamento. Mentre
saliamo, giusto in tempo per il tramonto, sentiamo i due
turisti parlare: sono italiani, i primi due italiani che
incontriamo dall'inizio del viaggio. Quasi non credono che
siamo potuti arrivare fin lì a piedi.
Il
tramonto è spettacolare, i colori sono sfumati, il
rosso predomina, faccio un sacco di foto, poi ci incamminiamo
per rientrare prima del buio. Ceniamo all'albergo insieme
ai due ragazzi italiani, viene organizzato uno spettacolino
coi tamburi, insomma passiamo una serata piacevole. Tra
le altre cose, andiamo a dormire tardissimo per gli standard
del viaggio: sono le 11 e mezzo, e noi domani dobbiamo alzarci
alle 3 e mezzo! Fa decisamente caldo: ci sono 29°.
Giorno
9 - domenica 23 settembre 2001
Ore 3:45, buio pesto, tutto tace, i cammelli dormono, i
cammellieri dormono più dei cammelli, tutti dormono
tranne noi, in piedi con gli occhi gonfi di sonno: ci hanno
tirato buca! Ma, consideriamo la cosa dal lato positivo:
adesso che tutti i generatori della zona sono spenti, c'è
la più incredibile stellata che abbiamo mai visto,
si vede chiaramente che la Via lattea è composta
di due rami (da noi ormai la Via Lattea non si vede praticamente
più), si distingue chiaramente la nebulosa di Orione
ad occhio nudo, si vedono costellazioni da noi invisibili,
una tra tutte la Croce del Sud. Restiamo una buona ora ad
ammirare lo spettacolo (e ogni tanto diamo una sbirciatina
ai cammelli che dormono), poi decidiamo che comunque vada,
coi cammelli non ci porterebbero più lontani di dove
erano arrivati i nostri amici la sera prima, e quindi ci
incamminiamo a piedi verso est, nella sabbia.
Sulla
solita duna, che ormai conosciamo bene, veniamo raggiunti
da due berberi, che ovviamente si offrono di farci da guide.
Rifiutiamo ed aspettiamo l'alba. Uno spettacolo fantastico:
il colore cambia ad ogni istante, i contorni delle zone
d'ombra sono così netti che fanno male agli occhi,
il contrasto tra l'oro della sabbia ed il blu del cielo
è incredibile. Decidiamo di spingerci qualche duna
più in là, mentre i due berberi vanno verso
un'altra duna dove si sono fermate delle altre persone.
Vediamo in lontananza le persone scendere dalla gran Duna
e tornare sui loro cammelli, ma non ci dispiace più
di tanto, perché loro adesso sono legati ad un programma,
noi invece siamo liberi di fare quello che vogliamo. Giriamo
ancora un po' tra le dune, troviamo una zona piena di tubetti
di sabbia, probabilmente impastati da qualche tipo di insetto.
Troviamo poi delle piastrine sottilissime di sabbia, probabilmente
formate dal vento, troviamo delle piantine che stanno in
piedi sulle loro radici anche se il vento ha portato via
la sabbia sotto di loro, troviamo orme di insetti. Saliamo
e scendiamo dalle dune, quasi increduli del fatto che la
sabbia abbia quasi lo stesso comportamento della neve che
ben conosciamo: ci sono delle zone compatte di accumulo,
delle zone soffici sottovento alle creste, si staccano perfino
delle piccole valanghe che assomigliano in tutto e per tutto
alle nostre vecchie care valanghe di fondo di neve soffice...
E' bellissimo, questa alba vale sicuramente tutto il viaggio
fatto per arrivare qui.
Effetti di luce sulle dune
Sono
quasi le 7, comincia a fare abbastanza caldo, e quindi rientriamo
al campeggio. Dopo che il cammelliere si è scusato
per il disguido e ci ha restituito i soldi dell'acconto
dei cammelli, facciamo colazione e ci accingiamo a partire.
Mohammed ci scarica ad un suo amico per il ritorno, perché
ha trovato degli altri polli da accompagnare in giro.
La
nostra destinazione per la sera è Tinerhir. Percorriamo
i 40 km di pista che ci separano da Erfoud seguendo la macchina
dell'amico di Mohammed, dopodiché prendiamo per Torf.
attraversiamo un enorme palmeto con moltissimi ksar in rovina,
e dobbiamo effettuare due guadi: pare che sulle montagne
sia piovuto il giorno prima, e se ne vedono le conseguenze.
I guadi non sono difficili, saranno profondi una quindicina
di centimetri e lunghi 50 metri, il fondo è asfaltato
e non c'è corrente. Comunque, aspettiamo che prima
di noi passi un'altra macchina, non si sa mai...
Dopo
il palmeto, il paesaggio cambia radicalmente e ci troviamo
ad attraversare un altipiano desertico con delle formazioni
rocciose stranissime: sembrano tanti vulcanelli giallognoli,
alti 4-5 metri e quasi equidistanti uno dall'altro. Fa molto
caldo, non c'è apparentemente nessuno, ma basta fermarsi
a fare una foto che salta fuori qualcuno ad offrirti fossili
o semplicemente a chiederti qualche Dirham. Nuovo cambio
di paesaggio, sassi misti a sabbia, poi creste rocciose
che spuntano dall'hammada, poi di nuovo qualche albero.
Attraversiamo Tinejad-Ait Aissa, alla disperata ricerca
di un albero dove fermarci per il pranzo. Finalmente lo
troviamo, ci fermiamo e... tempo quattro minuti arriva un
bambino; poco dopo ne arrivano altri, e la situazione si
fa insostenibile: siamo praticamente assediati, i bambini
ci assillano con le loro richieste (bonbon, stilo, dirham)
dobbiamo per forza ripartire senza pranzo.
Proseguiamo
fino a Tinerhir e prendiamo la strada per le gole di Todra.
Il paesaggio è fantastico, un enorme palmeto segue
la valle fin dalla sua origine tra le montagne, costellato
di villaggi e di antichi ksar in rovina abbarbicati sui
monti. Il contrasto tra il blu del cielo, il rosso delle
rocce e il verde delle oasi è impressionante. Ci
fermiamo al camping Atlas di Tizgui, in un piccolo palmeto
lungo il torrente, tranquillo e pulito, e finalmente possiamo
pranzare. Sono le tre, siamo in piedi da quasi dodici ore!
Trasporti pubblici nelle gole di Todra
Dopo
mangiato, decidiamo di tentare un'esplorazione solitaria
del palmeto. Illusi! Poco dopo esserci incamminati lungo
il greto del torrente veniamo agganciati da un ragazzino
che diventa per forza la nostra guida, iniziando a zigzagare
tra canali di irrigazione, orti, palme, muretti, portandoci
infine ad un vecchio khsour in rovina, veramente suggestivo.
Durante tutto il tragitto un ragazzo più grande,
che ci segue, continua a proporsi come valida alternativa
al piccolo, propagandando i suoi luoghi e dicendo che nessuno
mai va a vedere le cose che ci sta mostrando il piccolo.
Contemporaneamente ha luogo una conversazione in arabo,
abbastanza violenta, tra il piccolo e il grande, che per
quanto ci riguarda ha l'unico effetto di provocare una costante
accelerazione del ritmo della visita. Alla fine praticamente
il piccolo corre, tentando di seminare il concorrente. Rientriamo
al campeggio stanchi morti, è stata una giornata
decisamente pesante, ma possiamo ancora assistere ad una
attività interessante: è la stagione del raccolto
dei datteri, e stanno raccogliendo quelli della palma vicino
al camper. Alla fine, ce ne regalano un paio di manate.
Buonissimi. Crolliamo subito dopo cena.
Giorno
10 - lunedì 24 settembre 2001
Lasciato il camper in campeggio, alle 8 e mezza siamo per
strada e camminiamo per circa un'ora (sono poco più
di cinque chilometri) fino a raggiungere l'inizio della
gola vera e propria. Da qui proseguiamo attraverso la gola
e risaliamo la valle sovrastante per un'altra oretta, fino
ad arrivare al tratto chiamato petit gorge dai free climber.
Oggi è giorno di mercato a Tinerhir, e passano alcuni
camion carichi di persone che ritornano verso casa nei villaggi
sulle montagne. Sarebbe anche possibile addentrarsi con
il camper fino nei pressi degli alberghi nella gola e pernottare
qui.
Sulla
via del ritorno decidiamo di scendere lungo il torrente,
limaccioso solo a causa dei lavori che una ruspa sta effettuando
a monte. Poche centinaia di metri nei viottoli di campagna
e ci vediamo costretti da un guado a ritornare sui nostri
passi per cercare una via alternativa. In questo modo contravveniamo
ad una delle regole fondamentali per cercare di non farsi
importunare dai locali: dare l'impressione di sapere esattamente
dove si sta andando. Veniamo immediatamente agganciati da
un bambino che si offre di farci da guida, dopo aver portato
i panni a lavare a sua sorella al torrente. Il bambino ci
fa guadare il fiume proprio dove noi eravamo tornati indietro
e ci accompagna per alcune centinaia di metri. Poi arriva
il solito grandicello che ci dice che il piccolo deve tornare
a scuola e si offre di sostituirlo. Contrattiamo, e per
5 Dh ci porta, attraverso una vecchia kasbah e una serie
di orticelli e palmeti, fino alla strada nei pressi del
campeggio.
Pranziamo
in campeggio, vista l'esperienza del giorno precedente,
e verso le due partiamo alla volta della valle di Dades.
Attraversiamo Tinerhir, passando poi per il souk settimanale,
che è già finito, data l'ora. Pazienza, il
nostro obiettivo è il grande souk di Zagora del mercoledì.
Il paesaggio è abbastanza monotono in questo tratto.
Passata Boumalne prendiamo a destra per la valle di Dades:
ci aspetta il peggior tratto di strada di tutto il viaggio.
Facciamo venti chilometri su una striscia di asfalto fatiscente,
tutta una buca e un'ondulazione, rattoppato a più
non posso, a non più di 20 chilometri all'ora. Il
paesaggio però è fantastico: rocce rosse si
susseguono a rocce verdi, antiche kasbeh ad antichi khsour,
mimetizzati tra le rocce, il fondovalle è completamente
coltivato. Le rocce stesse cambiano continuamente di forma:
zone stratificate si alternano con zone in cui ci sono degli
enormi funghi di roccia. Il sole basso del pomeriggio contribuisce
come sempre ad aumentare la suggestione del luogo. La strada
per fortuna ad un certo punto migliora (è stata asfaltata
di fresco), ed in poco tempo arriviamo fino al punto chiave
della vallata: le gole di Dades, dove la strada si inerpica
con una serie di tornanti fino ad un passo con punto panoramico.
Il posto naturalmente è dotato di venditori acchiappaturisti,
e noi ci caschiamo e Nadia riesce a comprare degli indispensabili
oggetti in presunto argento e presunto osso di presunta
gazzella.
Formazioni rocciose nella valle di Dades
Il
venditore è prodigo di informazioni: ci dice di andare
fino in fondo alla valle, di tornare poi indietro (e vorrei
vedere) perché non c'è niente di buono da
vedere, e di riservarsi per l'indomani una gita a piedi
in una delle gole laterali alla base delle gole principali
('tre giolì, no turist, original'). Poi, in uno slancio
di generosità, ci dà un biglietto da visita
dell'albergo migliore, con annesso campeggio, dicendoci
che ci faranno pernottare gratis! Facciamo il nostro giro
fino in fondo alla valle: la strada sale fino a 2000 metri
e passa in alto sopra un canyon molto spettacolare. I campi
in basso sono verdissimi. Arriviamo fino a Msemrir, dove
termina la strada asfaltata. Verso le sei i villaggi si
popolano: si vedono donne tornare dai campi, cariche di
grano turco, mentre gli uomini siedono accovacciati lungo
la strada a chiacchierare e giocare a carte. Per inciso,
le carte che usano sono più piccole delle nostre,
e non vengono tenute a ventaglio, ma sono tutte piegate
in due longitudinalmente e vengono tenute in verticale,
leggermente sfalsate.
Ritornati
al belvedere, il venditore di prima ci chiede un passaggio,
così è sicuro che finiremo nel campeggio giusto,
il suo. Il 'Camping des Peupliers' è un prato lungo
il fiume, senza servizi, ma illuminato da una singola lampadina
che il proprietario installa per noi sul momento. Veniamo
invitati a prendere un tè all'albergo e poi ci viene
proposto di cenare al ristorante. Accettiamo perché
il posto è carino e il proprietario è simpatico.
In attesa del cous-cous ("Fatto a mano da mia moglie,
non come quello che trovate nei ristoranti di città,
dove usano le buste di cous-cous già pronto")
e dell'omelette berbera il proprietario ci illustra le meraviglie
dei pastori berberi che si trovano a monte delle gole laterali,
sugli altipiani. Ci consiglia caldamente una gita a piedi
per l'indomani, offrendoci anche i servigi di suo figlio
come guida, dicendoci che comunque non è difficile
e ci si può andare anche da soli. Dopo cena ci spiega
il significato dei disegni berberi, e come supporto ci mostra
tutti i tappeti ('no esiste due uguale') del negozio annesso
all'albergo, che lui personalmente acquista dai nomadi durante
l'inverno, barattando in cambio generi alimentari e abbigliamento.
Va detto che i colori di questi tappeti sono molto particolari,
e non ne vedremo più di simili.
Non
ce ne rendiamo ancora conto pienamente, ma da questo momento
in poi qualcosa nel nostro viaggio sta cambiando: il rapporto
con le persone sta diventando sempre meno commerciale e
sempre più amichevole. Forse ci siamo allontanati
abbastanza dalle zone più turistiche, forse ci stiamo
addentrando più profondamente nelle zone tradizionali
berbere, forse stiamo capendo lentamente come interagire
con questa gente; sta di fatto che l'interazione diventerà
sempre più intensa.
Giorno
11 - martedì 25 settembre 2001
Ci accoglie al risveglio una fresca e luminosa mattina (16°).
Partiamo a piedi, con calma, verso le 8 per avere un po'
di luminosità all'interno delle strette gole. La
gola laterale che risaliamo si prende attraversando a sinistra
il torrente a partire dal camping 'Kasbah de la vallee',
poco prima dell'inizio dei tornanti. E' una valletta sassosa,
che in breve si restringe in un canyon strettissimo. Poche
centinaia di metri più in alto inizia un sentiero
ben tracciato che, ad una biforcazione della gola, prende
il ramo di destra. Risaliamo fino ad un passo, e poi saliamo
verso l'altipiano, dove vediamo un riparo sotto una roccia.
Immaginiamo che serva sia per le capre che per gli uomini.
Un paio di grossi rapaci che volteggiano molto in alto sono
l'unica presenza animale. Il sole è già alto,
e fa parecchio caldo. Dal passo scendiamo verso destra,
verso l'altro ramo del canyon. E' molto più stretto
e sinuoso, con passaggi tra massi enormi, alcuni dei quali
sono incastrati tra le pareti rocciose a formare dei ponti
naturali. Ricongiuntici al ramo principale, torniamo al
camping. E' stata una bella passeggiata di circa due ore
e mezza.
Ripartiamo
in direzione di Boumalne e poi di El-Kelaa M'Gouna, dove
andiamo alla cooperativa artigianale di produzione dei pugnali
berberi. Qui facciamo conoscenza con Ahmed Olikhame, che
costruisce i pugnali e ci invita a vedere alcune fasi della
lavorazione. Questo ragazzo gentile ci spiega che è
stato lui a realizzare i gioielli di scena di Cleopatra
nel film di Asterix con Depardieu e Benigni, e ci mostra
tanto di contratto per comprovarlo. Ci offre il tè,
ci spiega le differenze tra i vari pugnali, ci invita a
pranzo a casa sua, dove, ci dice, suo padre ha la fornace
per temprare le lame in acciaio dei suoi coltelli. Decliniamo
l'invito (purtroppo abbiamo ancora troppa fretta) ed acquistiamo
un coltello. Le ultime fasi della finitura della lama, come
pure la sua decorazione con dei fregi molto originali viene
fatta in nostra presenza, e richiede quasi un'ora di lavoro.
Ahmed ci spiega che tra lama, impugnatura, fodero, decorazioni
e finitura un coltello richiedono tra i 4 e i 6 giorni di
lavoro: per tutto questo lavoro paghiamo 180 Dirham! Il
commiato è quasi commovente, con baci e abbracci,
come se ci conoscessimo da sempre.
La kasbah di Amerhidil
Proseguiamo
verso Ouarzazate, e poco prima di Skoura ci fermiamo per
pranzo sotto una tamerici poco oltre la kasbah El Moro,
che sulla guida è riportata come una delle poche
visitabili. Veniamo immediatamente raggiunti da un bambino,
che mi chiede se vogliamo visitare la kasbah di Amerhidil.
Gli rispondo che quella non si può visitare, ma lui
insiste che si può. Rischiamo, gli dico che sì,
visiteremo la kasbah, ma solo dopo pranzo. Questa sì
che si rivela una mossa vincente! Indipendentemente dalla
visita alla kasbah, il bambino si trasforma immediatamente
nel guardiano della nostra tranquillità. Pranziamo
rilassati, anche se abbiamo davanti un muro di bambini che
ci guardano, ridendo e scherzando, ma senza esagerare. Dopo
pranzo arriviamo in camper fin sotto la kasbah, ed entriamo
seguendo la nostra guida. Conosce molto bene il posto, ci
fa visitare tutte le stanze, e alla fine ci presenta il
proprietario, che ci accoglie nel patio, ci fa accomodare
e ci offre il tè. E' un giovanotto elegante, dai
modi gentili, con una veste immacolata. Trascorriamo mezz'ora
con lui e con un suo amico pittore sotto una fresca pergola,
chiacchierando della bellezza della vita di campagna, della
tranquillità e della pace di un patio come questo,
di altre cose amene, come se ci conoscessimo da sempre.
Alla fine ci fa firmare un libro degli ospiti; lasciamo
una mancia (ufficialmente un contributo per il restauro
della kasbah) e ripartiamo.
Abbiamo
notato che in Marocco non è proprio la cosa più
facile del mondo fermarsi con il camper fuori dai campeggi,
magari per riposare un po' o per la sosta pranzo. Così
il viggio può a volte trasformarsi in una galoppata
filata tra un campeggio e l'altro. A volte. Abbiamo sperimentato
tre modalità diverse per la sosta.
La
prima soluzione (abbastanza comune, purtroppo) prevede che
uno si ferma in un posto abbastanza solitario, sotto un
albero che fà un po' d'ombra, che a mezzogiorno ci
vuole, spalanca tutte le finestre del camper, comincia a
preparare il pranzo, ed immediatamente viene circondato
da una masnada di bambini, che lo assillano con la fatidica
invocazione: "Bon bon, stilo, dirham!" Non resta
che richiudere tutto e ripartire senza pranzo.
La
seconda soluzione (rara) inizia come la prima, ma questa
volta la gente passa, ti guarda, ti saluta e prosegue. Questa
situazione ci è successa in un magnifico palmeto
a sud di Zagora, nella valle della Draa, in una torrida
giornata.
La
terza soluzione è più rara della seconda,
ma, se si riesce ad attuarla, geniale. L'inizio è
sempre lo stesso, ma il luogo di sosta deve essere abbastanza
vicino ad un posto notevole da visitare, tipo una kasbah.
Il trucco consiste nell'assoldare immediatamente il primo
bambino che si avvicina come guida turistica, dichiarandosi
pronti ad una visita, ma dopo pranzo. Oplà, il bambino
diventa immediatamente il guardiano della tua privacy, mangerai
circondato dai bambini, ma non ti disturberanno. Se poi
la visita della kasbah è piacevole ed interessante,
hai preso due piccioni con una fava. Questo trucco, inventato
per caso, ci ha permesso di visitare la kasbah di Amedihil
vicino a Skoura, che pensavamo addirittura non fosse visitabile,
e che rappresenta uno degli esempi meglio conservati di
questo tipo di costruzione.
La
giornata è veramente molto calda. Dopo Skoura costeggiamo
per un po' una gigantesca oasi, dove sono numerosissimi
lungo la strada i venditori di datteri, poi attraversiamo
nuovamente una zona desertica, ed infine arriviamo a Ouarzazate,
che viene definita la Hollywood del Marocco, essendo la
sede di molti studios cinematografici. Qui visitiamo l'antico
mellah (il quartiere ebraico), accompagnati nostro malgrado
da un tipo che dice di essere stato un figurante del film
'Il tè nel deserto', e la kasbah dove è stato
girato il Gesù di Nazareth, accompagnati nostro malgrado
da uno dei ragazzi che aspettano i turisti al varco sulla
porta. A sera andiamo al camping: fa molto caldo, alle nove
ci sono ancora 27°.
Giorno
12 - mercoledì 26 settembre 2001
Partiamo presto, la nostra meta è Zagora ed il suo
famoso souk dei datteri. Alle 7 e mezza siamo già
in viaggio; la strada sale tra montagne vulcaniche, per
poi scendere ad Agdz, dove ritroviamo il corso della Draa.
La valle della Draa è ricoperta da un unico, enorme
palmeto, e le ksar si susseguono lungo la strada. Questa
scorre un po' in alto rispetto al fondo della vallata, e
ci offre degli scorci notevoli. A Zagora andiamo subito
al souk: dobbiamo comprare i datteri, i più famosi
del Marocco. Il mercato è molto 'vero': ci sono le
venditrici di acqua, con i loro otri dalle imboccature ricoperte
da una garza, i macellai, i venditori di polli e gli spennatori
di polli, il venditore di teste di capra, i venditori di
spezie, la maga che prepara le pozioni usando mercurio,
polvere di camaleonte e altri strani ingredienti, incantando
i potenziali compratori con chissà quali storie.
Scatto qualche fotografia tenendo la macchina in mano, a
penzoloni: non vorrei urtare la suscettibilità di
questa gente. Compriamo finalmente la nostra cassetta di
datteri: il venditore, che non capisce una parola di nessuna
lingua a noi nota, non cede di una virgola sul prezzo. Soprattutto,
non riusciamo a capire se abbiamo comprato datteri di buona
qualità al prezzo giusto, schifezze a un prezzo da
furto o che altro. Comunque sia a casa si riveleranno un
successone, nettamente migliori di qualsiasi dattero confezionato
comprato in Italia.
Zagora: venditore di teste di capra
Poco
a sud di Zagora ci fermiamo ad Amezrou, un villaggio nel
cui antico mellah si producono gioielli berberi in argento:
lo scopo è vedere la lavorazione dell'argento. La
lavorazione non la vediamo, perché tutti gli artigiani
sono al souk di Zagora a vendere la loro merce; in compenso
riusciamo a bere il tè da un commerciante e a comprare
una collana 'antica' di corallo e argento, dopo una discreta
contrattazione che ci porta al 40% del prezzo di partenza.
Il venditore ci porta poi a visitare la kasbah, dove possiamo
accedere ad una vecchia casa in via di ristrutturazione,
con i suoi abitanti intenti alle loro usuali attività:
una donna tesse una stuoia con stracci tagliati a striscioline,
un ragazzo dorme tranquillo su quello che noi definiremmo
il corridoio...
Ripartiamo,
fa molto caldo (35°) e dobbiamo aspettare le tre per
l'apertura della biblioteca coranica di Tamegroute. Ci spingiamo
un po' a sud del paese e riusciamo a trovare finalmente
un posto tranquillo dove fermarci con il camper all'ombra
delle palme. Riusciamo addirittura a mangiare fuori senza
che nessuno ci disturbi! Dopo pranzo torniamo in paese e
seguiamo l'indicazione biblioteca: finiamo in una casa dove
un tipo ci accoglie e si offre di accompagnarci. La nostra
guida (Naciri Saddine) è un artista e si dichiara
discendente degli antichi proprietari della biblioteca,
e del santone locale. La visita è piacevole, Naciri
ci spiega le differenze tra i vari scritti e tra le varie
calligrafie (alcuni pezzi datano al 1063) e ci illustra
la genesi dei numeri che noi chiamiamo arabi. Poi ci fa
visitare l'attigua zawiyya, che è equivalente alla
Mecca del Marocco: i meno abbienti possono effettuare il
pellegrinaggio qui, senza doversi recare in Arabia. Alla
fine della visita ritorniamo a casa del nostro ospite, che
ci fa un disegno benaugurante e ce lo regala. Ovviamente
ricambiamo con una mancia.
"Vi
lascio il numero del cellulare, così se passa di
qui un vostro amico mi può telefonare direttamente.
Sapete, se andate a Zagora e chiedete di me, la mafia del
turismo vi dirà certamente che sono in ospedale,
o che sono morto."
"La
mia famiglia vanta una discendenza diretta da Maometto,
in questo paese siamo l'equivalente del Papa a Roma."
"Il
due di ottobre sarei dovuto partire per Vienna per un corso
di perfezionamento, ma ho cambiato i miei piani perchè
la settimana prossima voglio fare una mostra personale a
Zagora, e poi la mia mamma non vuole che vada così
lontano."
Chi
di voi nella propria città si fiderebbe ad andare
in giro (o, meglio, a farsi portare in giro) da un tipo
che fa dichiarazioni di questo tipo? Pochi, penso, certamente
non noi.
Ebbene,
questo tipo è stata la nostra guida in una delle
visite più interessanti che abbiamo fatto in Marocco.
Ci ha accolti a torso nudo e pantaloni della tuta nella
sua casa: grande, poco illuminata, abbastanza sporca, quasi
completamente vuota, a parte un televisore perennemente
acceso, qualche tavolino ed un paio di sofà. Siamo
arrivati a lui seguendo il cartello 'Biblioteque', scritto
a mano ed appoggiato ad un cavalletto.
Ci
ha spiegato delle sue pene d'artista, poi ci ha accompagnato
fuori, a vedere la biblioteca coranica. Ci ha spiegato le
differenze tra le varie calligrafie arabe, tra la scrittura
araba e quella berbera, ci ha raccontato la genesi dei numeri
che noi chiamiamo arabi. Poi ci ha mostrato la tomba di
un suo antenato, un mausoleo che è l'equivalente
della Mecca per i poveri del Marocco, che qui possono venire
ad effettuare il pellegrinaggio almeno una volta nella loro
vita. Ci ha spiegato che la vita qui per una arabo è
abbastanza difficile, perchè si sta diffondendo un
razzismo imperante.
Ci
ha detto di essere un collaboratore delle guide della Lonely
Planet, e di essere proprio lui ad aver suggerito di non
dare mai confidenza a sconosciuti, autostoppisti, persone
apparentemente in panne!
Nel
tardo pomeriggio risaliamo la valle della Draa fino ad Agdz:
i colori delle rocce e dei palmeti alla luce del sole che
tramonta sono stupendi. Arriviamo al campeggio subito fuori
della vecchia kasbah che sta già facendo buio. Fa
ancora caldo, alle 9 di sera ci sono 26°.
Giorno
13 - giovedì 27 settembre 2001
Sole, come al solito, ed al solito partenza abbastanza presto
per sfruttare appieno le prime ore del mattino. Alle otto
siamo già per strada, ripassiamo per Ouarzazate e
proseguiamo verso nord fino ad Ait Benhaddou, la kasbah
che viene considerata la meglio conservata del Marocco,
anche perché ha subito numerosi restauri prima degli
innumerevoli film che vi sono stati girati (Lawrence d'Arabia
fra tutti). La kasbah è carina, ma, oltre ad essere
quasi totalmente disabitata, ha un sapore vagamente 'finto',
artificiale. Inoltre, è piena di tutti gli accessori
acchiappaturisti: guide molto insistenti, bancarelle con
nulla di speciale. Per noi, ormai viziati dalle giornate
originali vissute in precedenza, rappresenta ormai solo
una tappa poco significativa.
Archiviata
la pratica kasbah, ci rimettiamo in macchina, diretti sempre
verso sud. Ci aspetta quello che sulla carta dovrebbe essere
il tratto più avventuroso del viaggio: un centinaio
di chilometri indicati come pista sulla carta. In realtà
scopriremo poi che anche la mitica carta Michelin non riesce
a stare dietro al ritmo con cui il Marocco sta ammodernando
la sua rete viaria: al posto della pista troveremo infatti
una bella strada asfaltata. Percorrendo parecchi chilometri
di altipiano desertico, disseminato di greggi di capre (che
non si capisce di che cosa possano nutrirsi) arriviamo a
Tazenakht e prendiamo la strada per Foum-Zguid. Questa si
inerpica tra le montagne, con una serie spettacolare di
cambi di paesaggio: gole, forre, altipiani, oasi rigogliose,
il terreno che varia continuamente di colore, passando dall'ocra
all'oro, al viola intenso. Vediamo anche i primi esempi
di animali veramente selvatici: due scoiattoli e un lucertolone,
che ci attraversa la strada correndo solo sulle zampe posteriori.
Foum-Zguid
è per noi la vera porta del deserto: è il
punto in cui lo oued esce nella pianura attraversando una
gola tra le rocce. Di fronte a noi solo una striscia di
poche decine di chilometri di hammada ci separa dal confine
algerino, ancora non del tutto definito. Da qui in poi incontriamo
veramente poche macchine, ma la strada è ottima,
asfaltata di fresco, con delle rette interminabili.
Il deserto nei pressi di Foum Zguid
L'aria
è incredibilmente tersa e, probabilmente anche a
causa di un effetto miraggio, i veicoli che si incrociano
si vedono a grandissima distanza: devono passare parecchi
minuti (e qui si può tranquillamente viaggiare a
80 all'ora) prima di incrociarli. Ovviamente in questi casi
la lotta psicologica per stabilire chi dei due resterà
sulla striscia di asfalto assume dei contorni epici: finte,
colpi di fari e di clacson si susseguono finché,
fatalmente, uno dei due (l'europeo, ovviamente) cede, rallenta,
scende dall'asfalto. Va detto che nemmeno qui il territorio
è completamente disabitato: qua e là si scorgono
tende berbere, si vedono in distanza pastori camminare con
i loro piccoli greggi di capre. La pietraia è costellata
di alberi che noi identifichiamo, sbagliando, come alberi
di argan: non lo sono, e lo capiremo quando vedremo le vere
arganie, ma sono abbastanza simili, e sul nostro diario
finiscono sotto la denominazione argan.
Attraversiamo
il villaggio di Mrimina ed arriviamo a Tissnit, dove c'è
il primo posto di controllo fisso che incontriamo. Il poliziotto
ci chiede, al solito, da dove veniamo, dove andiamo, se
conosciamo la strada, e poi ci consiglia di visitare le
cascate. "Cascate? Ci sono delle cascate? Ma se siamo
in pieno deserto!". Ebbene, cento metri dietro il posto
di polizia il deserto finisce e ci sono le cascate e un
laghetto limpido, formati da uno oued che esce dalle montagne.
Ci sono ragazzi che pescano, che si tuffano, e ci sono asini
e capre che si rinfrescano o bevono. C'è parecchia
acqua nonostante la stagione avanzata, e l'insieme è
veramente molto suggestivo.
Proseguiamo,
la strada rientra tra le montagne e il paesaggio cambia
di nuovo, radicalmente. Siamo ai bordi di una vallata di
terra ocra, con l'erosione molto accentuata; sullo sfondo
le montagne scure si alzano imponenti, creando un contrasto
cromatico molto bello nella luce del tardo pomeriggio, che
peraltro fa risaltare ancora di più le mille curve
del terreno. In fondo a questi calanchi, quasi invisibile,
sinuosa si allunga l'oasi. Arriviamo a Tata all'imbrunire,
giusto in tempo per trovare il camping Municipal, affacciato
sulla valle dello oued in secca, peraltro parecchio sporca.
Questo posto è proprio bruttino, probabilmente è
un villaggio cresciuto come piazzaforte militare ai tempi
della guerra contro le milizie del Polisario. Ma il campeggio
ha servizi decenti, e questo è quanto ci basta. E'
stata una giornata veramente calda, abbiamo toccato i 36°,
con solo il 18% di umidità, e ancora alle 9 di sera
ci sono 29°.
Giorno
14 - venerdì 28 settembre 2001
Oggi inizierà la nostra avventura più intensa,
che ci tratterrà in questa zona molto più
di quanto avevamo programmato, e durerà un paio di
giorni. Partiamo da Tata con la temperatura che è
già di 25°, con l'intenzione di visitare almeno
uno dei siti archeologici con graffiti rupestri citati dalle
guide: se sono citati dalle guide, pensiamo, magari sono
anche indicati. E infatti, nei pressi di Tiggane un cartello
in francese indica, sulla sinistra, la presenza di graffiti
a 800 metri, riportando inoltre tutti i vincoli di salvaguardia
cui essi sono sottoposti. Una buona pista porta verso un
piccolo passo tra due creste rocciose: il sito è
sicuramente lì! Un occhio al contachilometri, e abbandoniamo
la strada principale. Il passo è proprio a 800 metri
di distanza, ci siamo. Scendiamo e iniziamo a guardarci
intorno: come saranno 'sti graffiti, grandi, piccoli, in
alto, su dei sassi, in qualche anfratto, direttamente sulla
cresta? Riconosciamo solo qualche resto di trincea, sicuramente
utilizzata negli anni '80 del secolo scorso, ma niente graffiti.
Delusi, ritorniamo alla strada statale e proseguiamo.
Ad
Oum el Alek vediamo un altro cartello, che indica un sito
a 5 chilometri. Dapprima siamo dubbiosi: se non abbiamo
trovato quello a 800 metri, figuriamoci quello a 5 chilometri!
Poi decidiamo di provarci comunque. Attraversiamo un paesino
e, dopo meno di 200 metri, la pista si divide in tre piste
diverse che si inoltrano nel deserto. Non abbiamo nessuna
speranza! Tornati sui nostri passi, mentre riattraversiamo
il paese, un signore ci chiama con una certa insistenza:
"Monsieur, monsieur!". Ci chiede se vogliamo vedere
i graffiti, ma siamo abbastanza incerti ('non fate mai salire
estranei in macchina', ci ammonivano le guide, e ce lo aveva
ribadito anche Naciri). Alla fine la curiosità è
troppo forte, e l'aspetto mite e rilassato del signore ci
convince. Salito in camper, ci guida attraverso il deserto
verso una cresta di rocce lontane: la pista è agevole,
ed attraversa anche il percorso della Parigi-Dakar.
Scopriamo
che il signore era lì per caso, in quanto abita a
30 chilometri da qui ed era andato a trovare sua madre,
e veniamo a sapere che non è un signore qualsiasi:
è Mouloud Taarabet, di fatto lo scopritore di quasi
tutti i graffiti della zona. Quello che ci farà vedere,
a detta sua, è uno dei siti migliori, e risale a
6500 anni fa, quando qui c'era la savana. Lasciato il camper
alla scarsa ombra di un finto argan ci incamminiamo su per
una cresta, che assomiglia alla spina dorsale di un enorme
scheletro nero che sporga dalla sabbia.
Mouloud
Taarabet è un signore tranquillo, silenzioso, magro,
dall'aria un po' triste. Dimostra più dei suoi quarant'anni
scarsi. Ti accompagna in giro, ti spiega con dovizia di
particolari i dettagli dei graffiti, si ritira in disparte
quando ritiene che la sua presenza non sia opportuna. I
graffiti sono proprio 'suoi', li ha scoperti lui, li sta
difendendo dalla burocrazia del suo Paese, e ne sta pagando
le conseguenze. La sua è una storia strana, che spero
di aver capito bene dato il mio grado di comprensione del
francese.
Una
ventina di anni fa intraprese la ricerca degli antichi insediamenti
umani della zona spinto dall'incoraggiamento di sua madre
e guidato da alcuni racconti di anziani del villaggio, e
percorse così tutte le creste e le valli, individuando
ben 45 siti con graffiti preistorici. Ebbe quindi una proficua
collaborazione con il Ministero della Cultura. Ottenne poi
un lavoro come consulente per la conservazione, o guardiano
che dir si voglia, che durò per qualche tempo. Poi
le persone al vertice cambiarono, ci furono varie visite
di funzionari, e Moloud si rese conto che questi non erano
interessati alla protezione dei siti, ma volevano semplicemente
asportare i migliori graffiti per esporli nei musei di Rabat.
Ma Moloud aveva rivelato l'ubicazione di soli 15 dei 45
siti, e si rifiutò di consegnare anche il più
piccolo graffito. Ovviamente perse il lavoro statale che
prima aveva avuto.
Ora
di fatto è disoccupato, fa la guida, lavora soprattutto
con i gruppi. Ci dice che ogni tanto lavora con gli italiani
di Avventure nel Mondo, ci dice di conoscere molto bene
i graffiti della Val Camonica.
Nella
giornata trascorsa con noi, si è prodigato per renderci
la visita piacevole, espandendola dai graffiti agli usi
e costumi della sua gente, agli apsetti paesaggistici. Non
ha trascurato di consigliarci per il proseguimento del nostro
viaggio, in modo che non perdessimo la visita di alcuni
posti veramente notevoli, al di fuori del circuito tradizionale.
Il suo rapporto con noi è stato veramente da amico,
e l'impressione è stata che fosse veramente felice
ed orgoglioso di mostrarci le bellezze del suo paese, senza
nascondere secondi fini.
Arrivati
in cresta, Mouloud ci fa vedere il primo graffito, una gazzella.
Poi si mette a scavare nella sabbia, prendendo i riferimenti
necessari con le altre pietre che sporgono. Lo aiuto: dice
che qui sotto c'è un graffito stupendo, ma la sabbia
è veramente tanta ed è molto faticosa da spostare.
Dopo un po' desistiamo, anche perché è quasi
mezzogiorno e fà parecchio caldo. Riprendiamo il
nostro cammino sulla cresta, e giriamo per quasi due ore
a passo svelto tra graffiti di elefanti, gazzelle, struzzi,
leoni buoi con l'aratro e uomini. Mouloud ci fa notare le
differenze tra i graffiti originali e quelli contemporanei,
eseguiti dai nomadi berberi negli ultimi anni. Sulla via
del ritorno ci fermiamo sul sito dove sorgeva un villaggio:
si distinguono ancora i resti dei focolari, ed il terreno
è cosparso di piccoli frammenti di terracotta decorata
e di selce scheggiata. Ne raccogliamo alcuni, Mouloud ci
dice che questi non sono reperti importanti.
Tornando
verso la statale non resisto e mi faccio fare una foto con
il camper sul tracciato della Dakar... Poco distante, due
carcasse di automobili ricordano i tempi della guerra: sono
ciò che resta di uno scontro a fuoco tra i governativi
ed i guerriglieri del Polisario. Qui, ci dice Mouloud, negli
anni ottanta la gente fu costretta a scappare dai villaggi,
che venivano continuamente attaccati, ed a rifugiarsi nei
paesi più grossi verso le montagne, protetti dall'esercito.
Oum el Alek: graffiti preistorici
Mouloud
ci propone un programma attraente per il resto della giornata:
pranzo vicino ad una sorgente, una ventina di chilometri
ad ovest, un salto a casa sua, la visita al grande souk
del villaggio vicino (dura una settimana intera!), poi a
dormire in un posto tranquillo, vicino a casa di un suo
amico. Accettiamo di buon grado, ormai siamo amici. Percorriamo
pochi chilometri e, abbandonato l'asfalto, arriviamo a Tagadirt,
un paesino arroccato sulle pendici della montagna. Essendo
venerdì le strade sono piene di uomini e ragazzi
che vanno e vengono dalla moschea nelle loro cillava bianche.
Poco più in là ci fermiamo per il pranzo in
un palmeto, sui bordi di un laghetto formato da una piccola
diga: la vegetazione è lussureggiante, il lago è
pieno di rane e vediamo anche un airone grigio. Siamo al
centro dell'attenzione di un gruppetto di donne che stanno
intrecciando delle foglie di palma, Mouloud probabilmente
spiega loro chi siamo e da dove veniamo, sembrano molto
interessate a quello che dice.
Dopo
pranzo, Mouloud ci invita a casa sua a Touzounine per il
tè. La casa è semplice e fresca, ha due stanze
senza finestre, dalle pareti di fango imbiancate a calce,
illuminate da un buco nel tetto di paglia. Non ci sono mobili,
ma c'è la televisione. Conosciamo la giovane moglie
di Mouloud e i suoi due bambini di 2 e 5 anni. La signora
è in attesa del terzo figlio e chiede qualche consiglio
medico a Nadia. Alla fine ci regala un coprivivande in paglia
fatto da lei; ricambiamo con un po' di alimenti secchi (che
servono alla signora) e qualche medicinale.
Oum el Alek: resti degli scontri a fuoco
Ripartiamo
insieme a Mouloud: si va al grande souk di Ait Guebli. C'è
molta animazione, si capisce che si tratta veramente di
un avvenimento importante per tutta la regione: la gente
arriva da tutte le direzioni, dal deserto, dall'oasi e dalle
montagne, tutte le donne sono vestite a festa, sfoggiano
degli abiti bianchi e sono ingioiellate. Il souk in effetti
è composto da non più di una ventina di bancarelle,
che scompaiono di fronte alle più di duecento che
abbiamo visto al souk settimanale di Zagora: questo ci fa
almeno intuire, se non capire, in quale meravigliosa dimensione
umana vivano ancora queste persone.
Da
Ait Guebli torniamo brevemente indietro per abbandonare
di nuovo l'asfalto. Ci addentriamo tra le montagne: in verità
non ho capito bene dove Mouloud voglia portarci, perché
il mio francese è praticamente zero. Ho capito solo
che lui va a dormire a casa di un amico, che è un
posto tranquillo e che possiamo fermarci lì per la
notte con il camper. Non pensavo che ci avrebbe fatto fare
20 chilometri di pista, nemmeno segnata sulla carta e nel
bel mezzo delle montagne. La pista si snoda in un'ampia
vallata, poi si insinua in una gola: le luci del tramonto
sono al solito spettacolari. All'imbrunire arriviamo al
villaggio di Tamzraret, dove la pista termina. Non c'è
nessun veicolo, e sicuramente il nostro è il primo
camper che sia mai arrivato fin qui. Mouloud ci dice che
la meta è un villaggio di pastori nomadi poco più
avanti, e mi invita a proseguire. Sembra sapere il fatto
suo, ma quando una pista è finita è finita.
Insabbiati!
O, meglio, inghiaiati, e proprio davanti al villaggio! Bella
figura, arrivano tutti gli uomini che si mettono a discutere,
probabilmente sulla stupidità degli europei, o forse
sulle modalità di estrazione del camper dalla ghiaia
del greto dell'oued. Ovviamente arrivano anche i bambini,
che ridono e scherzano come al solito. Mouloud sembra veramente
dispiaciuto per l'inconveniente, e si mette a scavare come
un forsennato. Io tiro fuori il kit da sabbia: piastre in
plastica e pala. Qualcuno dal villaggio porta qualche pezzo
di legno di palma e qualche stuoia, un altro arriva con
una pala, che però si guarda bene sia dall'usare
che dal prestarci (forse perchè non l'abbiamo chiesta).
Con un po' di fatica ci togliamo dalla ghiaia, e possiamo
proseguire, a piedi, per la casa dell'amico di Mouloud.
Il
villaggio dei pastori berberi è composto da capanne
di sassi e frasche, con coperte a fare da tetto. Una imponente
signora ci accoglie sull'uscio di una di queste: è
vestita di colori sgargianti e sfoggia bellissimi gioielli
berberi. E' la mamma dell'amico di Mouloud, il quale è
andato al souk e non tornerà prima di domani. Ci
invita comunque a cena: decliniamo l'invito con la scusa
che dobbiamo trovare un posto buono per la notte prima che
faccia buio del tutto. Mouloud ci accompagna, e sulla strada
incontriamo quello che sembra un notabile del villaggio:
taccuino in mano e cellulare, sembra si stia recando nell'unico
posto della stretta valle dove c'è un po' di campo!
Ci
fermiamo per la notte a circa un chilometro dal paese, a
lato della pista, in un palmeto. Mouloud ci dà appuntamento
per l'indomani alle sette e mezzo e si incammina nel buio.
A poco a poco le ultime grida dei bambini del villaggio
si spengono nell'oscurità. Il silenzio è assoluto,
pazzesco, la notte è calda e limpidissima, ci sono
cento volte le stelle che si vedono da noi. Siamo veramente
nel punto più fuori dal mondo che abbiamo mai raggiunto.
Giorno
15 - sabato 29 settembre 2001
Ci svegliamo alle 7. Mouloud è già fuori dal
camper ad aspettarci: ha avuto una notte difficile, tormentato
dalle zanzare. Ci chiede dove abbiamo intenzione di andare,
e quando gli parliamo di Fort Beau Jerif non è d'accordo
sulla nostra scelta. Mi propone un itinerario alternativo,
secondo lui molto più interessante, indicandomi sulla
cartina due piste che di recente sono state risistemate
e quindi sono perfettamente percorribili in camper. Non
contento, mi disegna una cartina a mano con tutte le indicazioni
dei luoghi che abbiamo visitato, e di quelli che dobbiamo
ancora visitare.
Ripartiamo
verso la statale. Lungo la strada diamo un passaggio a due
pastori berberi che vanno verso il souk (ci sono circa 17
chilometri da fare a piedi). Arrivati alla statale ci congediamo
da Mouloud, e prendiamo la strada in direzione Bouizakarne.
Dopo una trentina di chilometri di hammada arriviamo a Fam
el Hisn, che rappresenta il punto più a sud del nostro
viaggio: siamo a sud del 30° parallelo. Vicino al paese
c'è il secondo posto di controllo fisso: questa volta,
oltre alle domande che ormai sono di rito, il poliziotto
prende nota dei numeri di passaporto e della targa. Alla
fine, con nostro stupore, ci chiede se vogliamo bere un
tè: riflettendoci poi in seguito, abbiamo pensato
che effettivamente in un posto dove passano sì e
no 50 macchine al giorno riuscire a fare due chiacchiere
deve alleviare di parecchio la noia.
Il
paesaggio muta di nuovo al passare dell'ennesima cresta
montuosa, e cominciamo a vedere parecchi cactus, oltre ad
alcune piante grasse dalle foglie carnose, i fiori lanuginosi
e i frutti molli. Seguendo le indicazioni di Mouloud, qualche
chilometro prima di Taghjicht prendiamo a destra per Amtoudi.
Seguiamo una strada asfaltata che dopo 14 chilometri si
trasforma in pista, uniforme ma parecchio sassosa, che mi
fa piangere pensando agli ammortizzatori del povero camper.
La pista, di 17 chilometri, sembra non finire mai, con rette
lunghissime. Più di una volta pensiamo di rinunciare,
ma per fortuna non ci lasciamo prendere dallo sconforto
e insistiamo: stiamo andando verso l'agadir e la sorgente
di Id AÎ ssa. Arrivati in paese, dominato dal granaio
fortificato, veniamo subito circondati dai bambini, poi
si fa avanti un signore in tunica azzurra che ricorda l'architetto
egizio del cartone animato di Asterix e Cleopatra. Si tratta
di Alì, che ci chiede subito se ci manda Mouloud,
e poi se vogliamo visitare l'agadir andando a piedi o a
dorso di mulo. Ovviamente si va a piedi. Detto, fatto: Alì
prende la vecchia chiave in legno dell'agadir e si lancia
su per un sentiero sassoso. Tutti quanti qui camminano velocissimi,
ma ormai siamo abbastanza abituati. L'agadir, del 1200,
merita assolutamente la deviazione e lo sconquasso patito
dal veicolo.
Uno degli agadir sulla valle di Id Aissa
Dopo
pranzo (che si svolge al solito sotto lo sguardo vigile
di circa 20 bambini) vogliamo seguire ancora le indicazioni
di Mouloud e ci incamminiamo verso la 'source', circondati
dai soliti bambini. Man mano che procediamo, questi a poco
a poco desistono; ne restano solo tre, che ovviamente saranno
le nostre guide. Ci vuole più di un'ora di cammino
per arrivare alla parte più suggestiva della gola,
dove il torrente forma delle cascate e delle pozze d'acqua
limpidissima, che fanno venir voglia di fare un bel tuffo.
Lungo la strada ci sono altri due agadir, uno dei quali
si protende da una roccia a picco e sembra un castello delle
favole. I nostri piccoli accompagnatori (Mohamed, Rashid
e Alì) non tardano ad individuare i nostri punti
deboli, e quindi io mi trovo a dover fotografare un sacco
di rocce, creste, particolari, Nadia si ritrova con le mani
piene di fiori, erbe profumate, una zucca, datteri, semi
di argan (finalmente quello vero).
Tafroute: case e granito
Sono
le quattro del pomeriggio quando ripartiamo per Tafroute:
abbiamo trascorso quasi una giornata in un posto che non
avevamo nemmeno considerato in sede di programmazione del
viaggio, e per il quale in seguito avevamo previsto una
deviazione di due, tre ore al massimo. Magia del Marocco.
Prendiamo la strada (asfaltata e rettificata di fresco)
che sale da Timoulaye passando per Ifrane de l'Anti Atlas.
Le colline di terra e granito rosa spiccano nella luce del
tramonto su un cielo cobalto, l'architettura delle case
cambia: sono rosa anche queste, ed hanno un fregio bianco
o giallo sugli spigoli. Entriamo nella vallata di Tafroute
che ormai è quasi buio, ma riusciamo a distinguere
il paesaggio caratterizzato da coltivazioni di mandorli
e argan. Arriviamo in paese che è buio pesto, e ci
fermiamo al camping Troi Palmiers. Il clima è rinfrescato,
ci sono 20°.
Giorno
16 - domenica 30 settembre 2001
Ormai si parla di ritorno. La parte migliore del viaggio
è sicuramente alle nostre spalle, ma siamo soddisfatti
perché siamo riusciti a prolungarla al massimo. Si
parte presto, alle sette e mezza. Dopo un giretto al mercato,
nello squallido paese di Tafroute (circondato però
da belle montagne di granito) andiamo a vedere la famosa
gazzella scolpita. E' bruttina rispetto a quelle di Mouloud,
ma vale la pena di andarci perché ci sono delle caratteristiche
casette arroccate tra le rocce di granito che ricordano
quelle della Costa Smeralda; ci si attacca la solita guida
non richiesta che poi insiste perché andiamo a vedere
la solita cooperativa di tappeti berberi. Questa volta non
ci sediamo nemmeno, il proprietario capisce che siamo esausti
e ci fornisce solo rapide spiegazioni ('no esiste due uguale'),
dopodiché possiamo ripartire.
Prendiamo
la strada per Agadir e dopo pochi chilometri ci fermiamo
a Oumesnat, per visitare la 'Maison Traditionelle'. E' una
casa antica su tre piani (stalle e laboratori al piano inferiore,
cucina e stanze della famiglia al piano intermedio, salone
per gli ospiti e terrazza al piano superiore, con un ingresso
separato), che conserva parecchi arredi e strumenti tradizionali.
Le spiegazioni del proprietario cieco, estremamente esaurienti,
ed il suo fare cordiale rendono la visita estremamente piacevole.
Ripartiamo
lungo la valle di Ameln. La strada si fa tortuosa e corre
lungo un versante estremamente scosceso. Passiamo accanto
al caratteristico villaggio arroccato di Tioulit, poi scendiamo
nella pianura tra coltivazioni di argan. Da Ait Baha ad
Agadir la strada corre monotona tra serre e coltivazioni.
Non entriamo nemmeno ad Agadir, ci limitiamo a passare sulla
circonvallazione per la squallida periferia, e quello che
ci colpisce di più è il traffico: in effetti
nell'ultima settimana di macchine ne abbiamo viste veramente
poche, e il ritrovarci in coda per un semaforo rosso ci
dà la misura di come la vacanza stia veramente per
finire. La costa a nord di Agadir ci accoglie con qualche
nuvola bassa e parecchio vento. Compriamo qualche banana
ad una bancarella (le coltivano qui, nei valloni che scendono
verso il mare) e, passato cap Rhir, abbandoniamo la costa.
La zona è abbastanza arida, costellata di alberi
di argan; su alcuni di questi si vedono le famose capre
marocchine che, pur di riuscire a mangiare qualche ramoscello
fresco, si arrampicano fino a parecchi metri da terra. Ovviamente
i pastori vogliono qualche Dirham per concederci le loro
modelle da fotografare.
Arriviamo
ad Essaouria all'imbrunire, e andiamo direttamente al campeggio
sotto il faro. Il campeggio è pieno di camper, ed
è la prima volta da quando siamo in Marocco che troviamo
più di tre/quattro altri campeggiatori oltre a noi.
Giorno
17 - lunedì 1 ottobre 2001
Oggi è, tanto per cambiare, una limpida giornata
di sole. Al mattino visitiamo la cittadina, piacevole con
il suo porto peschereccio, le sue case bianche, i suoi bastioni
portoghesi, i suoi intagliatori di legno di tuia ed il suo
aspetto ordinato e pulito. Ovviamente siamo in centro prima
che la vita cominci, ed assistiamo alle contrattazioni sulle
bancarelle del pesce al porto. Diventiamo una simpatica
attrazione quando Nadia, intenta a guardare non si sa cosa,
va a sbattere con la testa contro un segnale stradale che
riporta un pericolo generico!
Le capre arrampicate su un albero di Argan
Alle
11 partiamo alla volta di Marrakech. Lungo la strada c'è
poco da vedere oltre alle capre sugli alberi di argan e
all'enorme traffico di asini che si intensifica mano a mano
che ci si avvicina alla città. Mangiamo per strada
e poi entriamo a Marrakech. Raggiungere il centro venendo
da Essaouria è facilissimo. Praticamente si va sempre
dritto, finché non si vede la torre della Kotoubia
sulla destra. La si punta e si arriva in un posteggio segnalato
(abusivo) poco distante.
Iniziamo
la nostra visita con le tombe sadiane, il palazzo el Badi,
il museo d'arte marocchina, piuttosto poverello, mentre
molto bello è il palazzo che lo ospita, il Dar si
Said. Successivamente ci infiliamo nei souk: evidentemente
ormai sembriamo abbastanza sicuri di noi per non farci importunare.
I souk ci deludono un po': ci sembrano finti, fatti apposta
per i turisti (che peraltro rappresentano almeno la metà
delle persone che ci girano). Evidentemente ormai siamo
un po' viziati... C'è di buono che i commercianti
qui sono poco insistenti, si concentrano di più sui
gruppi di turisti organizzati. Arriviamo alla medersa Ben
Youssef, simile alle altre già viste, ma molto più
grande e con in aggiunta dei caratteristici cortiletti interni
su cui si affacciano le celle degli studenti.
Ritorniamo
a piazza Jemaa el Fnaa sul far del tramonto: la piazza si
sta animando, iniziano ad apparire i maghi, gli acrobati,
gli incantatori di serpenti, le donne che fanno i tatuaggi
con l'henné. Da non perdere sono i finti venditori
d'acqua che sfoggiano variopinti costumi, ma ai piedi hanno
le meno caratteristiche Timberland. Prendono posto le bancarelle
dei ristoranti, e si sviluppano molte colonne di fumo profumato
di carne alla brace. Decine di pullman sbarcano orde di
turisti che passano per la piazza per poi rintanarsi al
sicuro sulle terrazze degli alberghi e dei bar. Noi restiamo
in giro, e cerchiamo con cura la bancarella dove cenare.
Mangiamo delle croquettes e cous cous per pochi Dirham,
poi facciamo un altro giretto e infine torniamo al camper.
Marrakech: la piazza al tramonto
Attraversare
a piedi le strade a quest'ora, con il buio, è veramente
un'esperienza interessante: dozzine di biciclette, motorini,
macchine sfrecciano senza un ordine apparente in ogni direzione.
Guidare in questo caos è invece abbastanza divertente.
C'è di buono che qualche manovra estrema sugli incroci
passa del tutto inosservata. Prendiamo la strada per Casablanca
dove, a 12 chilometri dalla città sulla sinistra
c'è, molto ben nascosto (almeno di notte) nei pressi
di un distributore, il campeggio Ferdaous. E' stata una
giornata calda, abbiamo toccato i 36° e, alle dieci
e mezza, ci sono ancora 26°.
Giorno
18 - martedì 2 ottobre 2001
Al mattino mi accorgo di avere una gomma sgonfia, e ricordo
che la sera prima, arrivando al campeggio, sentivo un tic-tic
provenire da quella parte. Controllo e trovo una grossa
vite conficcata in un pneumatico. Poco male, siamo vicini
ad un distributore: gonfio la gomma per non rovinarla, andiamo
al distributore, e, in meno di 5 minuti e per 20 dirham,
la gomma è riparata. Fantastico!
Rientriamo
in città per un altro giro dei souk e per vedere
il quartiere delle concerie vicino alla porta Bab ed-Debbarh,
con il suo passaggio complicatissimo che impone una quintupla
svolta per attraversarla. Veniamo agganciati dalla solita
guida, che ci fa visitare una conceria berbera ed una araba
(ci spiega che la differenza sta solo nel tipo di pelli
che lavorano): la visita è interessante, perché
finalmente vediamo qualche operaio al lavoro. Alla fine
della visita, con la scusa della terrazza panoramica, veniamo
portati in un negozio di... tappeti ('no esiste due uguale'),
e poi in uno di pellami. Siamo ormai scafatissimi: in 5
minuti siamo liberi. La nostra guida ci fa un lungo discorso
su tutte le mance che dovrà dare a tutti quelli che
abbiamo fotografato e ci chiede 100 Dh. Gliene diamo 10,
ci guarda stranito: "Ma, come, solo 10 Dh? Per due
persone?" Gli rispondiamo che sono fin troppi, li intasca
e se ne va.
La
visita di Marrakech volge al termine, e, visto che abbiamo
ancora un po' di tempo, decidiamo di allontanarci ulteriormente
dalla costa per andare alle cascate di Ozoud, di cui ci
hanno parlato molto bene. A Demnate ci fermiamo per vedere
il ponte naturale di Imi-n-Ifri, una grotta passante, non
particolarmente interessante, piena di rifiuti. Arriviamo
alle cascate d'Ozoud nel pomeriggio, e becchiamo il secondo
vero bidone della nostra visita del Marocco, dopo quello
dei cammelli. Il posto è molto bello, la luce del
pomeriggio è quella giusta, ma qui hanno fame di
turisti. Veniamo subito assaliti da vari posteggiatori,
uno dei quali ci propone di campeggiare da lui, ha l'acqua
e la toilette. Poi ci propone di andare a visitare le cascate,
dove ci segue, continuando a proporci giri per il pomeriggio
e per l'indomani mattina. Gli dico che possiamo fare da
soli e qui si inalbera, dicendo che la nostra incolumità
è di sua responsabilità, che le guardie l'hanno
visto come nostro accompagnatore, che il posto è
pericoloso... Siccome non ne possiamo più di accompagnatori,
rinunciamo alla visita delle cascate e, dopo una rapida
foto, ripartiamo. Passiamo davanti all'unico campeggio ufficiale
del posto il cui custode ci dice che sì, il campeggio
sarebbe aperto ma, siccome probabilmente stanotte pioverà,
non accetta campeggiatori!
Ci
dirigiamo quindi, ormai a notte fatta, verso Bin el Ouidane.
L'hotel du Lac ha un campeggio, ma in questa stagione è
chiuso. Lo squallido barista intuisce la nostra situazione
e ci dice che possiamo stare nel posteggio dell'albergo,
peraltro in salita, pagando il prezzo pieno del campeggio
(35 Dh, quasi il più alto che abbiamo mai pagato),
senza poter nemmeno usufruire dei servizi del bar; altrimenti,
ci dice, possiamo andare alle cascate d'Ozoud, dove c'è
un altro campeggio! Che brutto finale di giornata: prendiamo
anche qualche goccia di pioggia!
Giorno
19 - mercoledì 3 ottobre 2001
Adesso bisogna veramente iniziare a fare qualche chilometro
verso casa. Scendiamo in pianura ad Afourer e poi attraversiamo
vastissime coltivazioni di frutta e olivi fino a Oued Zeem.
Proseguiamo per Rommani passando per le zone di coltivazione
delle miniere di fosfati, poi attraverso Ait El Ounda arriviamo
a Rabat. Qui prendiamo l'autostrada fino a Larache: si attraversano
foreste di querce da sughero, campi di pomodori e di canna
da zucchero. Proseguiamo sulla costa fino ad Asilah, tra
una serie interminabile di bancarelle di ceramica e meloni.
Visitiamo
il paesino, caratteristico per le sue case bianche e azzurre
racchiuse dai bastioni portoghesi. Ci sono parecchi murales
di buon gusto, e un cimitero musulmano a picco sul mare,
molto fotogenico. Una specie di guida tenta l'approccio,
ma ormai non ce n'è per nessuno: semplicemente facciamo
come se non ci fosse, e dopo un paio di minuti ci lascia
in pace.
Andiamo
al campeggio più vicino al centro, Al Saada. C'è
vento, il mare è formato, è nuvolo. Siamo
piombati in autunno.
Giorno
20 - giovedì 4 ottobre 2001
Decidiamo di fare la strada costiera fino a Ceuta. Passiamo
per Tangeri senza entrare in città e poi perdiamo
quasi due ore per fare le poche decine di chilometri fino
alla Spagna: ci sono dei lavori in corso, e stanno mettendo
talmente tanta ghiaia che a momenti ci insabbiamo!
Arriviamo
in frontiera alle 9:30 marocchine (le 11:30 spagnole). C'è
parecchia coda, ci mettiamo quasi un'ora a disbrigare le
formalità doganali. Ci imbarchiamo sul traghetto
delle 14:30. Arrivederci Marocco!
Uscire
dal Marocco è molto più facile che entrarci.
Ecco cosa succede.
1.
Sei in coda con le altre macchine. Un passeggero va allo
sportello per gli stranieri, quello con la coda, e compila
il solito foglietto giallo per ciascuna persona. Lo passa
all'impiegato assieme ai passaporti. Dopo un po', i passaporti
vengono restituiti, timbrati.
2. Ritornato in macchina, alla sbarra devi mostrare i passaporti
di tutti gli occupanti al poliziotto.
3. Sotto la tettoia c'è un container che funge da
ufficio per gli autoveicoli. Nei pressi di questo devi fermarti
con la macchina perchè l'impiegato deve vederla personalmente.
4. Vai al container (o al tavolino che c'è fuori)
con passaporto, carta di circolazione e il foglio verde.
5. Torni al veicolo, mostri il foglio verde ed il tuo passaporto
ad un doganiere che ispeziona il tutto.
6. Poi passi alla dogana spagnola, senza grosse formalità.
Fatto.
Ad
Algesiras, visto che abbiamo ancora tempo, decidiamo di
fare una piccola deviazione, passando per Ronda, che non
avevamo mai visitato. La strada si inerpica tra gli ulivi
e poi nella macchia. E' molto panoramica e divertente. Numerosi
paesini candidi stanno abbarbicati sulle pendici della montagna.
Ronda
merita una visita, la parte intorno al ponte, con le sue
stradine di acciottolato, ripide e tortuose è proprio
caratteristica. L'idea è quella di proseguire verso
Granada per poi risalire dall'interno della Spagna fino
a Valencia, ma un indisposizione del pilota ci fa cambiare
programma. Andiamo al campeggio di Ronda, dove constatiamo
che ho almeno 39° di febbre.
Giorni
21-23 - da venerdì 5 a domenica 7 ottobre 2001
Ronda - Malaga - Alicante - Valencia - Barcellona - Montpellier
- Aix - Ventimiglia - Imperia - Col di Nava - Alba - Trento
(km 61698).
Annotazioni
e consigli
Siamo andati in Marocco per la prima volta, e ci siamo rimasti
solo per pochi giorni. Queste annotazioni non possono quindi
dirsi frutto di esperienza, ma derivano da semplici impressioni.
Rifornimenti
Il Gasolio si trova dappertutto, non abbiamo avuto alcun
problema, ma per sicurezza, soprattutto al sud, abbiamo
fatto gasolio con una certa frequenza, cercando di non scendere
mai soto il mezzo serbatoio.
Abbigliamento
Abbiamo sempre viaggiato rispettosi dei costumi locali,
cioè indossando i pantaloni lunghi, ma ci è
sembrato che ormai i pantaloni corti, almeno per gli uomini,
non creino problemi in nessun luogo, neanche nel più
sperduto che si può raggiungere con un veicolo normale.
In città abbiamo visto delle turiste europee vestite
in modo addirittura provocante, e la cosa ci ha dato un
pò fastidio.
Acquisti
Non vale la pena di fare acquisti nei primi due-tre giorni,
soprattutto se poi si va verso sud. Le abilità nel
trattare aumentano, non ci si sentirà più
in dovere di acquistare qualcosa, i prezzi calano inesorabilmente
allontanandosi dalle grandi città. Abbiamo notato
che se si fa un'offerta troppo bassa e quindi fuori mercato,
il venditore tende a rinunciare subito alla trattativa;
se il venditore non rinuncia, significa che il prezzo proposto
è già accettabile. A questo punto il prezzo
finale dell'articolo dipende in larga parte dal tempo a
disposizione del compratore (che, per definizione di turista,
è sempre limitato). In ogni caso, i rilanci devono
essere minimi, perchè il venditore calerà
il prezzo in modo infinitesimale.
Programmazione
del viaggio
Conviene tenersi larghi nei tempi, in quanto possono verificarsi
dilatazioni impreviste, vuoi per le continue visite a negozi
di tutti i tipi, vuoi perchè non è sempre
facile fare esattamente ciò che si era programmato.
Le informazioni dei locali ingaggiati come guide sono sempre
state valide e oneste, abbiamo grazie a loro visto posti
bellissimi, a volte nemmeno citati sulle guide. Questo vale
tanto più quanto più ci si sposta verso sud:
avevamo previsto di passare sulla fascia a sud dell'anti-atlante
in un giorno, ci siamo rimasti quattro giorni e siamo dovuti
venir via perchè i tempi stringevano.
Le
scarpe nelle case
Se venite invitati in una casa privata è probabile
che il soggiorno sia praticamente vuoto tranne una serie
di stuoie di palma, con magari sopra qualche coperta e qualche
cuscino. Se vi fanno accomodare, cosa praticamente sicura,
toglietevi le scarpe prima di salire sulla stuoia: non è
il pavimento, è l'inizio del mobilio.
Il
viaggio in pillole
In questa tabella sono elencate tutte le tappe del viaggio.
Giorno |
km |
tot |
Percorso |
Pernottamento |
1 |
463 |
463 |
Trento
- Brescia - Piacenza - Genova - Savona - S.Bartolomeo
a Mare |
Area
di sosta per camper |
2 |
1089 |
1552 |
S.Bartolomeo
a Mare - Ventimiglia - Aix en Provence - Monpellier
- Barcellona - Tarragona - Castellon de la Plana |
Area
autostradale de la Plana |
3 |
925 |
2477 |
Castellon
de la Plana - Valencia - Murcia - Almeria - Malaga
- Algeciras |
Parcheggio
Playa del Riconcillo |
4 |
308 |
2785 |
Algeciras
- Ceuta - Tetouan - Chefchaouen - Moluay Idriss |
Camping
Zerhoun |
5 |
43 |
2828 |
Moluay
Idriss - Volubilis - Meknes |
Camping
Agdal |
6 |
70 |
2898 |
Meknes
- Fes |
Camping
Diamant Vert |
7 |
262 |
3160 |
Fes
- Azrou - Foresta dei Cedri - Midelt |
Camping
Municipal |
8 |
271 |
3431 |
Midelt
- Errachidia - Meski - Erfoud - Merzouga |
Camping
? (l'ultimo!) |
9 |
219 |
3650 |
Merzouga
- Erfoud - Jorf - Tinerhir |
Camping
Atlas |
10 |
162 |
3812 |
Tinerhir
- Boumalne - Msemrir - Gole di Dades |
Camping
des Peupliers |
11 |
155 |
3967 |
Gole
di Dades - Boumalne - El Kelaa M'Gouna - Amerhidil
- Skoura - Ouarzazate |
Camping
Municipal |
12 |
327 |
4294 |
Ouarzazate
- Agdz - Zagora - Tamegroute - Zagora - Agdz |
Camping
Kasbah Palmeral |
13 |
425 |
4719 |
Agdz
- Ouarzazate - Ait Benhaddou - Tazenakt - Foum Zguid
- Tissint - Tata |
Camping
Municipal |
14 |
156 |
4875 |
Tata
- Oum el Alek - Touzounine - Tizgui - Tamzraret |
tra
le palme |
15 |
331 |
5206 |
Tamzraret
- Tizgui - Fam el Hisn - Amtoudi - Id Aissa - Amtoudi
- Ifrane de l'anti Atlas - Tafroute |
Camping
les troi palmiers |
16 |
357 |
5563 |
Tafroute
- Oumesnat - Ait Baha - Agadir - Essaouria |
Camping
del faro |
17 |
203 |
5766 |
Essaouria
- Marrakech |
Camping
Ferdaous |
18 |
277 |
6043 |
Marrakech
- Demnate - Cascate d'Ozoud - Bin el Ouidane |
Camping
Hotel du Lac |
19 |
537 |
6580 |
Bin
el Ouidane - Rommani - Rabat - Larache - Asilah |
Camping
As Saada |
20 |
242 |
6822 |
Asilah
- Tangeri - Ceuta - Algeciras - Ronda |
Camping
El Sur |
21 |
905 |
7727 |
Ronda
- S. Pedro de Alcantara - Malaga - Almeria - Murcia
- Valencia - Castellon de la Plana |
Area
autostradale de la Plana |
22 |
1091 |
8818 |
Castellon
de la Plana - Tarragona - Barcellona - Monpellier
- Aix en Provence - Ventimiglia - S.Bartolomeo a Mare |
Area
di sosta per camper |
23 |
528 |
9346 |
S.Bartolomeo
a Mare - Imperia - Col di Nava - Alba - Alessandria
- Piacenza - Brescia - Trento |
a
casa |
La
durata del viaggio (da Trento a Trento) è stata di
23 giorni.
Abbiamo
percorso in tutto 9346 chilometri, di cui 4236 in Marocco,
consumando circa 910 litri di gasolio.
L'equipaggio
era composto da Mauro e Nadia, su un Nord Camper Jumbo del
1983.
Abbiamo
speso 1703 € per viaggio, vitto, campeggi, pedaggi,
guide e mance, considerando che abbiamo portato gran parte
degli alimentari da casa, di cui: 176 € in Italia;
177 € in Francia; 576 € in Spagna (incluso il
traghetto con il Marocco, andata e ritorno); 774 €
in Marocco (di cui 312 € di souvenirs).
Indirizzi
Ci pare doveroso citare le tre persone con cui abbiamo avuto
le migliori relazioni nel sud del paese, anche perchè
sono dei sicuri punti di riferimento.
Mouloud
Taarabet, 84050 Douar Touzounine, Akka, (Pr. Tata), Maroc,
cell. 062291864: il profondo conoscitore dei graffiti nel
deserto.
Saddine
Naciri, Hotel Riad Naciri, 45600 Tamegroute, cell. 062609722:
l'eccentrico artista esperto in grafia araba.
Ahmed
Olikhame, Cooperative artisanal Les Pognard, Cooperative
n° 47, Kelaa M'Gouna, Ouarzazate, Maroc: il simpatico
artigiano dei coltelli berberi.
Ringraziamenti
Un sentito ringraziamento a Nadia, che ha scritto il diario
'dal vivo' e che non ha mai cessato di incoraggiarmi ("Beh,
cosa fai? Sei ancora lì che scrivi?") ed aiutarmi
("Mi correggi la bozza?" "Non ne ho voglia"
"Per piacere!" "Vabbè...ok va tutto
bene." "Ma se ci hai messo solo 4 minuti!")
durante la stesura della presente versione.