SAMARCANDA 2003
(18
aprile - 30 maggio 2003)
testo
e foto di Sandra Mondini & Maurizio Missana
Italia
- Grecia - Turchia - Georgia - Azerbaijan - Turkmenistan
- Uzbekistan - Iran
Da
qualche tempo mia moglie, Sandra, mi tormentava con l'idea
di un viaggio in Asia. Avendo ormai esaurito tutte le mete
dell'Europa centrale, occidentale e orientale, nonché
il profondo nord scandinavo (Islanda compresa) e il Nord
Africa, l'Asia si proponeva ragionevolmente come futura
destinazione. Per la verità, l'idea di arrivare a
Samarcanda e Tashkent in camper stuzzicava parecchio anche
me. Ne parlai al telefono con gli amici di Verona, Luciano
e Mariarosa, i quali si dichiararono disponibili a seguirci
senza esitazione. Non passò neppure un'ora dal nostro
colloquio, che già Sandra aveva preso a tracciare
una bozza di itinerario ed io a spedire Email all'indirizzo
di agenzie turistiche dei vari stati che avremmo dovuto
attraversare per ottenere informazioni sul rilascio del
visto d'ingresso. Era il 20 novembre 2002. Alla vigilia
della partenza, scoppiò la guerra in Iraq e apparvero
le prime notizie "apocalittiche" sull'epidemia
di SARS. La cosa non ci allarmò più di tanto
e decidemmo di effettuare il viaggio in ogni caso. Dopo
tanta preparazione anche questi eventi passano in secondo
piano.
Preparazione
e notizie utili
Chiunque voglia recarsi via terra in Georgia,
Azerbaijan, Turkmenistan e
Uzbekistan ha l'obbligo ripeto obbligo,
di partire con tutti i visti in regola.
Ciò per evitare spiacevolissimi ed eterni contrattempi
che non solo possono rallentare il viaggio, ma anche bloccarlo
costringendo il turista a tornare indietro. Le guide della
edt - Lonely Planet (Asia Centrale - Georgia,
Armenia, Azerbaijan) sono quasi esaustive in materia di
visti e di agenzie turistiche. Con l'eccezione della Georgia,
che da due anni non richiede più la lettera d'invito,
e della Turchia, il cui visto si acquista in frontiera,
gli altri quattro paesi richiedono la lettera d'invito (visa
support) per rilasciare il visto turistico. Che cosa è
la lettera d'invito? Come dice il suo stesso nome, è
un invito a visitare il paese. Esso può essere rilasciato
da una agenzia di turismo autorizzata oppure da un privato
cittadino. Chi rilascia una lettera d'invito si fa garante
per lo straniero presso l'Autorità del luogo.
È già successo che comportamenti abnormi del
turista abbiano comportato la sospensione della licenza
all'agenzia che aveva rilasciato l'invito. Il primo passo
dunque, consiste nel richiedere una lettera d'invito ad
una agenzia. Quest'ultima proporrà naturalmente anche
l'acquisto di qualche servizio, quali guida, auto a nolo,
parcheggi, ecc. In tutti i paesi suddetti, non è
obbligatorio avere la guida al seguito.
Noi l'abbiamo avuta solo in Turkmenistan e Azerbaijan, mentre
per l'Uzbekistan ci ha accompagnato unicamente nelle visite
ad alcune città. Alle agenzie inoltre, avevamo richiesto
di predisporre il parcheggio notturno con possibilità
di allacciamento alla corrente elettrica e di fare riforniumento
d' acqua.
Cosa che è stata puntualmente soddisfatta, talora
in maniera egregia, all'interno di parchi di hotel dotati
di piscina, idromassaggio, sauna e bagno turco Per ottenere
l'invito è stato necessario inviare tutti i dati
personali e del passaporto all'agenzia, la quale ha poi
provveduto ad inviare via fax l'invito stesso. Ottenuto
quest'ultimo, abbiamo richiesto il modulo di domanda per
il visto alle varie ambasciate (le legazioni turkmene e
azere non sono presenti in Italia e abbiamo dovuto rivolgerci
alle loro ambasciate di Parigi), quindi abbiamo rispedito
loro tutto quanto richiesto assieme ai passaporti.
Per il Turkmenistan la procedura è stata un po' più
complessa. Accanto alla lettera d'invito e alla domanda
di visto, è stato necessario inviare anche copia
dell'assicurazione del mezzo, della copertura sanitaria
per ciascuna persona, e la fotocopia del Carnet de passage
en douane senza il quale non viene rilasciato il visto.
Il Carnet si ottiene facendo apposita domanda all'ACI, in
una qualsiasi legazione. Alla domanda bisogna allegare una
fidejussione bancaria sul valore del mezzo nuovo, ottenibile
dalla propria banca o altra ad un tasso variabile fra 1,5%
e 2,5% annuale. In genere, l'ACI rilascia il carnet nel
giro di una settimana ad un costo modesto. Negli stati in
cui il carnet viene accettato, indicati sul retro della
copertina, non si paga alcuna tassa doganale o assicurativa
sul mezzo (nel nostro viaggio: Iran e Turchia - il Turkmenistan
lo esige unicamente per il rilascio del visto e alla frontiera
si deve pagare solo una speciale tassa di trasporto e sul
diesel). Le ambasciate sono state piuttosto celeri nella
concessione dei visti. Quella Georgiana, a Roma, ha reso
i passaporti in 48 ore; quella Uzbeka, con sede sempre a
Roma, in giornata. L'ambasciata azera a Parigi ci ha rispedito
i passaporti con i visti in meno di 10 giorni, mentre quella
Turkmena in una settimana. Ai primi di marzo del 2003 avevamo
tutti i visti richiesti pronti, un mese e mezzo prima della
data di partenza fissata per il 18 aprile. Le agenzie cui
ci siamo rivolti sono state di una serietà e professionalità
encomiabili, e ciò sia nella fase preparatoria che
durante il nostro soggiorno.
Ecco il loro indirizzi Email:
Azerbaijan - improlcc@intrans.az (Mr.Fuad);
Turkmenistan - dntour@online.tm (Mr. Shohrat);
Uzbekistan - silkroad@sairamtour.com.uz (Mr.Oleg);
Iran - iranparstour@apadan.com ;
Georgia - visitgeorgia@geo.net.ge
In
Georgia, per la verità, non abbiamo usato guide,
ma il biglietto da visita di una agenzia è stato
utilissimo per respingere gli assalti (solo nella zona di
Batumi) di poliziotti affamati di dollari o euro. L'Iran
non era previsto nel viaggio di ritorno, ma una volta giunti
ad Ashgabat, capitale del Turkmenistan, abbiamo deciso di
tornare attraverso quel paese appoggiandoci alla DN TOURS.
L'agenzia turkmena, nella persona di Mr. Shorhat, ha predisposto
le cose in maniera talmente perfetta che, al nostro ritorno
dall'Uzbekistan, nel giro di due ore (sic!) avevamo il visto
in tasca.
Ci scusiamo per esserci dilungati sulla fase preparatoria,
ma abbiamo voluto mettere a disposizione di tutti coloro
che intendano affrontare un viaggio simile alcune fondamentali
notizie. Se vengono rispettate le procedure richieste, andare
in Asia centrale presenta le stesse difficoltà che
si possono incontrare viaggiando in qualsiasi luogo della
vecchia Europa. Ci vuole solo tempo e voglia di guidare.
Quanto alla lingua, pur parlando noi inglese, francese e
tedesco, sono sufficienti 10 o 15 parole di russo per cavarsela
egregiamente ovunque, grazie anche all'estrema ospitalità
e cortesia della gente. Un ultimo consiglio: molto utile
è imparare subito grazie, buongiorno e arrivederci
nell'idioma locale. È molto apprezzato da tutti,
compreso dai militari costretti a controllarvi nei frequenti
posti di blocco. Ed ecco il diario del nostro viaggio, compiuto
assieme agli amici di Verona: non vi aspettate "mirabolanti
avventure", ma solo la cronaca di un viaggio ben riuscito,
condito qua e là da qualche imprevisto che lo ha
reso solo più affascinante.
18
Aprile
Ci si sveglia in un camper service nei pressi di Ancona
dove, ieri notte, abbiamo incontrato Luciano e Mariarosa.
Pur salpando il Superfast XII alle 14, abbiamo preferito
essere già in prossimità del porto conoscendo
quanto accade quotidianamente sulla A14. Con gli amici di
Verona ci siamo incontrati a Modena e, assieme, abbiamo
raggiunto Ancona. Ottima dormita. Verso le 10 scendiamo
al porto, convertiamo le prenotazioni fatte via Internet
in biglietti e carte d'imbarco, poi ci mettiamo in attesa
dell'imbarco. Siamo i primi a salire avendo la sistemazione
camping on board. La giornata è splendida, con un
bel sole caldo. Ottimo inizio d'avventura. Ceniamo al ristorante
à la carte, quindi a letto.
19
Aprile
Nottata infame. Vuoi per il rollio della nave, o per l'emozione
del viaggio, oppure per l'ansia di dover sbarcare alle 5
del mattino a Igoumenitza, abbiamo trascorso la notte in
un tediosissimo dormi-veglia. Comunque, in mezzo al denso
fumo emesso da un TIR il cui motore è scoppiato nella
discesa della rampa del ferry, siamo a terra e, attorno
alle 7, stiamo già allegramente marciando verso Joannina
per affrontare il Passo Katara (1680 m.) e i tornanti che
attraversano i monti dell'Epiro coperti di neve.. La temperatura
è +3 °C e c'è neve fresca ai lati della
strada.
Finalmente, dopo 200 km, nei pressi delle Meteore (che non
visitiamo avendole già viste) i tornanti finiscono.
Superiamo Tessalonica e, dopo un percorso abbastanza noioso,
complice anche la pioggia, raggiungiamo Kavala, graziosa
cittadina portuale sull'Egeo. Parcheggiamo in centro, al
porto. In attesa di cenare, visitiamo al città vecchia
e il Palazzo di Mehemet Alì (XVI sec.) dove è
nato Re Faruk. Ceniamo con pesce in un ottimo ristorante
al porto. (Km 610)
20
Aprile
Freschi e riposati ci avviamo verso la frontiera turca che
raggiungiamo in meno di due ore. È una lieta sorpresa
scoprire che hanno rinnovato tutta la struttura. Le formalità
doganali sono diventate molto più rapide e facili.
Costo del visto 5$ a persona. Dopo aver incassato col Bancomat
250 milioni di Lire turche (1 € = 1.780.000 Lire turche)
ci avviamo verso Istanbul. Si viaggia molto spediti e, alle
14,45, attraversiamo il ponte sul Bosforo. In meno di 48
ore siamo arrivati
in Asia! Il traffico è veloce,
ma non caotico. L'autostrada attraversa i sobborghi della
grande metropoli che mostra la consueta architettura turca:
grattacieli di mille colori, case a schiera abbarbicate
sulle pendici delle colline, sagome missilistiche di sottili
e slanciati minareti. Prima della cittadina di Bolu, l'autostrada
s'interrompe. Dobbiamo valicare un passo di oltre mille
metri, inerpicandoci lungo una strada a doppia carreggiata
intasata di camion e corriere. A parte i minareti, sembra
di essere in Svizzera, anche perché sta nevicando.
La temperatura è scesa sottozero! Dopo una ventina
di chilometri, l'autostrada riprende. Usciamo a Gerede con
direzione Samsung. Verso le 19, ci fermiamo in una stazione
di servizio dove decidiamo di passare la notte. Dall'annesso
ristorante esce un ottimo profumo di Kebab, ne ordiniamo
un piatto. Con nostra grande sorpresa veniamo serviti in
camper. Fuori nevica
(Km 778)
21
Aprile
Accompagnati da un clima polare ( nevica e la temperatura
è sempre sottozero) ripartiamo verso il Mar Nero.
Verso le 9, scopriamo che la Turchia non è solo il
paese dove i benzinai ti offrono il thé prima di
fare il pieno, ma è anche il luogo dove la polizia
non ti perdona l'eccesso di velocità. In meno di
20 minuti collezioniamo 2 multe, un record, scoprendo poi
che, scambiandoci per camion, hanno applicato il limite
degli 80km/h. La prima multa (64 milioni di lire turche
a testa) viene pagata col sorriso sulle labbra; alla seconda,
le nostre osservazioni sul fatto che non siamo camion ma
autocaravan, ottengono il risultato di vederci affibbiare
un verbale pagabile solo in banca, con tanto di annotazione
sul foglio d'importazione temporanea del veicolo. Ci fermiamo
al primo grosso paese, Osmancik, come ci aveva consigliato
uno dei poliziotti più trattabili, e raggiungiamo
una banca. Qui cadono dalle nuvole. Tutta la banca si ferma.
Gli impiegati cominciano una serie di telefonate e dopo
una mezz'oretta, ci dicono di seguire uno di loro. Questo
ci porta nella sede comunale e lì riusciamo a capire
che la contravvenzione deve essere pagata all'esattoria
del municipio. Arriva anche il capo della polizia locale
che si accorge con grande imbarazzo dell'errore commesso
dai colleghi. Col cellulare chiama il comando da cui dipendono
i militi che hanno elevato la contravvenzione (non sono
in forza al suo distretto) e ci dice che per risolvere la
questione bisogna andare di persona in quella sede. Dista
100 km indietro. Paghiamo e ripartiamo con le scuse e la
strette di mano del capo della polizia di Osmancik.
Sarà per il clima piovigginoso e per un tentativo
di rispetto meticoloso dei limiti di velocità, ma
il percorso diventa molto noioso. Luciano mi avvisa per
radio che sta addormentandosi. Riprendiamo una guida veloce
con rispetto "all'italiana" dei limiti. Arrivati
a Samsung, la strada prosegue costeggiando il Mar Nero.
Ci concediamo una sosta a Unye, graziosa cittadina balneare,
dove il proprietario di un bar-ristorante in riva al mare
ci offre un thè. Ci parla sconsolato dell'invasione
turistica russa che sta creando qualche problema di vivibilità
in queste zone che prima vivevano solo di turismo locale,
nocciole e ciliegie. Ripartiamo e la strada diventa improvvisamente
tortuosa e piena di camion, con continui saliscendi. Verso
le 19, poco prima di Piraziz, ci fermiamo da un benzinaio
per la sosta notturna. Ceniamo nell'annesso selfservice.
(Km 578)
22
Aprile
Proseguiamo lungo la costa del Mar Nero, trasformata in
un immane cantiere per la costruzione di una futura superstrada,
fino a Trabzon, la mitica Trebisonda di Marco Polo. Non
ne è rimasto praticamente nulla, tranne Aya Sofia,
chiesa bizantina con ben conservati affreschi. Superiamo
Riza, la capitale turca del thè le cui piantine vengono
da noi scambiate per mirtilli (!) e infine, verso le 15,
all'uscita di un tunnel, sbattiamo contro i cancelli della
frontiera turco-georgiana. Impieghiamo poco meno di due
ore (che diventano 4 per via del fuso orario) a sbrigare
le formalità doganali con il pagamento di 55 USD
a camper e 8 Lati per la disinfezione dei mezzi. Alle 19,
ora locale, siamo in Georgia. Inizia la vera avventura.
L'entusiasmo si smorza rapidamente dopo 20 minuti a Batumi,
dove veniamo letteralmente assaliti dalla polizia e depredati
di 15 USD a camper in cambio della "scorta" fino
a Koluleti. La scorta si traduce in un gorilla in divisa
che sale sul nostro camper e ci consente di superare indenni
altri 4 o 5 posti di blocco, per consegnarci infine ad altri
"colleghi" i quali dovrebbero "scortarci"
il giorno dopo. Frastornati da una simile accoglienza, andiamo
a letto molto arrabbiati meditando la vendetta.(Km.380)
23
Aprile
La notte porta consiglio. Troviamo la soluzione per tenere
a bada la polizia. Stamani, il mondo ci sembra migliore:
splende un bel sole, è caldo e i poliziotti-scorta
si fanno di fumo appena sventoliamo loro sotto il naso il
numero telefonico dell'Ambasciata italiana e un biglietto
da visita di un'agenzia turistica georgiana raccattato alla
BIT di Milano il febbraio passato. Ai successivi posti di
controllo unicamente sorrisi, battute e, una sola volta,
registrazione del passaporto. Sarà l'ultima volta
che veniamo fermati dalla polizia in Georgia. Unico neo
in quello splendido inizio di giornata: le strade. Sono
tutte una buca e, nell'ordine, bisogna scansare, oltre alle
voragini che ti si aprono davanti, quadrupedi di ogni razza
e, nei paesi, i fili elettrici che sono molto bassi. Bene
o male, tra una buca e un vitello, arriviamo a Kutaisi.
Da qui ci arrampichiamo al Monastero di Gelati, un gruppo
di edifici del 1100, fondato da Re Davit e dedicato a Sant'Anna
e San Gioacchino. Ci fa da cicerone il gentile custode che
ci racconta la storia del monastero in un misto di russo
e inglese. È una pausa molto rilassante e piacevole,
dopo tanti giorni di guida. Ripartiamo. La strada, mucche
a parte, diventa molto più scorrevole e liscia. Le
pattuglie della polizia elargiscono grandi sorrisi al nostro
passaggio. Nient'altro! Attraversiamo graziosi paesetti
di montagna dove sfornano delle "piadine" molto
buone da buffi forni ricavati in otri di creta. Ci fermiamo
per trascorrere la notte presso un benzinaio-ristoratore
turco, lungo una amena valle a 1000 metri di altitudine.
Ben presto il parcheggio si popola di TIR e di prostitute
con tanto di regolare falò
tuttavia il luogo
è assolutamente tranquillo e sicuro. (Km 289)
24
Aprile
Con un clima nuvoloso e freddo, arriviamo a Gori. Poco male,
dobbiamo visitare il Museo di Stalin. Egli nacque in questa
cittadina, piuttosto brutta, e fece restaurare la casa paterna
vicino alla quale fu eretto anche un museo dedicato alla
storia della sua vita. Gli interni del museo non sono illuminati,
ed è un vero peccato. Nella sala dove è esposta
la sua maschera funebre il buio è totale. Comunque
la visita è interessante, anche se la guida parla
solamente il russo. Una vetrinetta, in cui sono conservati
doni offerti a Stalin, ci riporta alla memoria Don Camillo
e Peppone: al suo interno, fra gli altri, spicca una colomba
bianca regalo di un gruppo di affezionate lavoratrici di
Mantova del 1952. La dedica recita: al campione della pace,
J.V.D Stalin
Quando usciamo il sole splende permettendoci
di godere appieno la tappa successiva, Mitskheta. È
questa la ex capitale religiosa e storica della Georgia.
Vi sono chiese del XI secolo, in una delle quali, secondo
la leggenda, è sepolta la tunica di Cristo. All'interno
di esse si trovano degli ottimi affreschi il cui unico difetto
è quello d'essere consumati sino ad altezza d'uomo.
Comprendiamo subito il perché: tutte le persone vi
pregano davanti e, come atto di devozione, li baciano più
volte. Poco lontano da Mitskheta, appollaiato su di una
collina quasi irraggiungibile, c'è il Monastero di
Jivari. Ci arriviamo solo grazie all'aiuto di un poliziotto
il quale ci scorta lungo una strada a senso unico, permettendoci
di raggiungere la vetta della collina. Dopo questo tuffo
nell'architettura religiosa georgiana, riprendiamo il nostro
cammino. La strada avrebbe delle velleità da superstrada
(3 corsie), se non fosse per le buche, le mucche e la guida
folle dei locali. Comunque arriviamo a Tbilisi, che avremmo
dovuto visitare al ritorno se non avessimo cambiato programma.
Superiamo indenni la città e, nonostante la totale
mancanza di cartelli segnaletici, imbocchiamo la strada
per Lagodeki. Attraversiamo poverissimi villaggi e squallide
aeree industriali in sfacelo. In distanza, s'intravedono
i primi contrafforti del Caucaso. Iniziamo a cercare un
luogo ove parcheggiarci e sembra ormai destino trascorrere
l'ennesima nottata nella triste area di un benzinaio, quando
accade il miracolo: davanti a noi si para un ristorante
in stile quasi svizzero, nuovo, pulito e ordinato. Insomma
un sogno nella miseria generale. La cena, spiedini e contorni
vari, è splendida e all'altezza dell'immagine che
il posto offre. (Km 253)
25
Aprile
Piove che di più non si può. Con somma calma
ci avviamo verso Telavi per un giro panoramico ai piedi
del Caucaso del quale non vedremo quasi nulla essendo avvolto
da nebbie e nuvole. A Tsinandali cerchiamo di visitare le
famose cantine di Shevardnaze, ma purtroppo oggi sono chiuse
in quanto è il venerdì santo ortodosso. In
compenso, una signora cui abbiamo chiesto informazioni si
qualifica come collega e ci invita a visitare il suo studio
medico. Sembra di tornare ai tempi del Dottor Zivago. Indimenticabile
il gabinetto dentistico, dove il collega lavora praticamente
al buio; il "laboratorio" in cui gli strumenti
sono tutti manuali perché tanto la corrente va e
viene e comunque non sarebbe sufficiente a far funzionare
alcunché; lo studio antidiluviano del ginecologo,
la piccola e bassa stufa a legna che riscalda i vari locali;
il misero arredamento; e farmaci da noi non più usati.
Ripartiamo tristissimi, non senza aver lasciato qualche
dono utile e la promessa di inviare, se possibile, materiale
sanitario. Proseguiamo lungo la valle dove la miseria ci
viene incontro in tutte le sue manifestazioni. Abitazioni
fatiscenti, strutture pubbliche ex sovietiche abbandonate
o, se utilizzate, in pietoso stato di degrado, volti tristi.
Gentilezza, ma pochi sorrisi. E dire che questa area dovrebbe
essere una zona di produzione vinicola, dunque meno povera!
Arriviamo all'altro versante della vallata che è
molto più gradevole, essendo occupato quasi completamente
da pascoli ai piedi delle montagne, ma la magrezza dei bovini
fa capire tante cose! Arriviamo infine a Lagodeki. Qui,
gentilmente ci accompagnano all'ingresso del Parco Naturale
(una zona protetta al confine fra Azerbaijan e Daghestan)
dove possiamo tranquillamente pernottare davanti all'ex
albergo dell'ex URSS che ora ospita solo nidi di rondine
e, saltuariamente d'estate, nell'unica ala ancora agibile,
qualche squadra di calcio. Domani attraverseremo il confine.
Si aprono scommesse, l'Azerbaijan è più o
meno povero della Georgia? (Km 187)
26 Aprile
Alle 9 siamo al check-point di Balakay: sono tutti molto
sorridenti, gentili e curiosi, cosicché alle solite
ed eterne formalità, visita medica compresa (!),
si aggiunge anche la "visita turistica" del camper
ed il the di benvenuto! Il costo dell'ingresso (assicurazione,
tassa camper. ecc) è di 125 $ a camper (compresi
10 $ di mancia).
Verso le 10.30 ci raggiunge Gourban Alekserov, la guida
inviataci dall'Agenzia, talmente entusiasta e comunicativo
da essere citato a pag. 348 della guida EDT. In effetti
non sta mai zitto ed è una miniera inesauribile di
informazioni sul suo paese, oltre a parlare correntemente
5 lingue ed essere archeologo. Sarà anche per merito
suo, ma il primo impatto con l'Azerbaijan è decisamente
gradevole.
La nostra meta è un villaggio in mezzo al Caucaso
a 10 Km dalla frontiera russa che si trova ad un Passo di
3400 m attraversato da una pericolosa mulattiera e guardato
comunque a vista dai militari. Attenzione a dove si punta
l'obiettivo della fotocamera! Al villaggio, visitiamo le
rovine di una torre, una fortezza russa zarista, o meglio,
ciò che ne rimane, e il villaggio stesso, che fra
qualche anno e con un po' di fantasia potrebbe diventare
una meta turistica molto gradevole. A pochi Km, in un'amena
vallata a 1700 m di altitudine, è già sorto
un grazioso complesso, gestito da una simpatica coppia russo-azera,
con albergo, bungalow e ristorante, nel cui parcheggio trascorreremo
la notte. Unico neo: siamo in un paese musulmano e questo
ristorante non serve alcolici. (Km 98)
27
Aprile
Giornata globalmente e totalmente piovosa. Nonostante la
pioggia, affrontiamo stoicamente una scarpinata in mezzo
al fango ed al letame, per di più in salita, per
visitare le rovine (e qui quando si parla di rovine sono
proprio tali) di un Monastero Albanese del VI secolo.
Quindi ci dirigiamo verso Saki, antica città sulla
Via della Seta, e una delle poche mete turistiche azere
anche in epoca sovietica. Purtroppo arriviamo che sta diluviando
e le strade sono trasformate in fiumi in piena, il ché
è abbastanza preoccupante visto che in passato la
cittadina è stata distrutta ben due volte da furiose
inondazioni. Raggiungiamo il parcheggio dell'ex Caravanserraglio,
attualmente albergo e ristorante, situato nella parte alta
del paese e da qui, in un momento di tregua del tempo, visitiamo
il Palazzo del Khan (solo la parte esterna e per gentile
concessione delle guardie perché il palazzo è
in ristrutturazione) e il Museo dell'Artigianato ospitato
in una chiesa del VI secolo. Siamo di nuovo fradici. Per
fortuna il nostro camper, a differenza dell'albergo, è
dotato di doccia calda. La sera, cena luculliana all'ex
Caravanserraglio, struttura imponente e con interni splendidi:
antipasti, zuppa con tortelli ripieni di carne e ricotta(!),
montone alla brace, polpette di montone
testicoli
di montone e infine un dolce locale che è un vero
attentato alla salute: noci tritate tra due strati di pasta
fritta ricoperto da una glassa dolcissima, il tutto annaffiato
da thè, birra e, essendo finita l'acqua minerale,
vodka. Costo: 6$ a testa! (Km 115)
28
Aprile
Sta cominciando a nevicare. Abbandoniamo ogni ipotesi di
visita turistica ad altre località vicino a Seki
e decidiamo di dirigerci direttamente a Baku. Durante il
viaggio ci limitiamo a poche soste: la prima per fotografare
un gigantesco platano attorno al quale è stata costruita
una sala da the; la seconda per visitare la semiabbandonata
Moschea di Samaxi, che fu teatro agli inizi del secolo di
una strage di azeri ad opera di armeni; la terza per visitare
i coni di fango ribollente per la fuoriuscita del metano,
per raggiungere i quali sprofondiamo noi stessi in un' appiccicosa
melma. A metà pomeriggio ci lasciamo definitivamente
alle spalle il Caucaso innevato e raggiungiamo Baku. Il
traffico è abbastanza caotico, ma raggiungiamo facilmente
il parcheggio dell'Hotel Absharon sul lungomare. Tentiamo
invano di prenotare il traghetto per il Turkmenistan, ma
sembra non sia arrivato causa tempesta (sic!). La sera cena
dietetica in camper.
29
Aprile
Con uno scassato pulmino a nolo partiamo verso il Qobustan
per visitare la zona dei graffiti rupestri. L'entusiasmo
di Gourban ci fa sopportare allegramente i sobbalzi e gli
scossoni dovuti alla strada e la visione apocalittica della
periferia di Baku: un'immane foresta di pozzi di petrolio
arrugginiti ma funzionanti, circondati da pozzanghere oleose,
casupole misere, insediamenti industriali da day-after,
spiagge con velleità turistiche, ma con vista sulle
piattaforme, il tutto reso ancor più squallido dal
grigio plumbeo del cielo. I graffiti preistorici sono molto
suggestivi e riportano la fantasia ai tempi in cui qui c'era
una splendida e vitale savana. Rientriamo a Baku per la
visita della città vecchia e poi di nuovo altri chilometri
lungo sconnesse strade per visitare la Penisola di Absharon
col Tempio del Fuoco (attualmente alimentato da gas metano)
e la Collina che brucia per la fuoriuscita spontanea del
metano. Qui, finalmente riusciamo anche a scaldarci e a
ritemprarci coi soliti spiedini di agnello. Rientrati alla
base tentiamo un nuovo approccio al traghetto. Inizialmente,
sembra impossibile prenderlo. Poi, improvvisamente e senza
un perché plausibile, bisogna portare il camper immediatamente
all'imbarco perché "fra 20 minuti la nave parte".
Poi attesa di un'ora con mercanteggiamento del prezzo e
infine, non ci sembra vero, siamo sul Mercury 1, un vecchio
traghetto che ha conosciuto tempi migliori e termina la
sua onorata carriera, speriamo non questa volta, trasportando
vagoni merci e rari passeggeri fra le due sponde del Mar
Caspio. A bordo, siamo solo noi e una famiglia turkmena.
I materassi delle cabine ostentano macchie assai sospette
e, quanto alle coperte, non bisogna essere assolutamente
schizzinosi. Ovviamente non c'è servizio ristorante
e terminiamo la serata in compagnia di alcuni membri dell'equipaggio
che, in palese stato di ubriachezza , ci invitano a dividere
con loro vodka e cipollotti. Ci rende molto ansiosi il fatto
che uno di loro è in possesso dei nostri passaporti:
pare che questo sia assolutamente normale in vista delle
formalità doganali di domattina.
30
Aprile
Nonostante le premesse abbiamo dormito benissimo. Siamo
in vista della costa turkmena; il Mar Caspio è di
uno splendido colore turchese. Otteniamo di scendere nel
camper per farci un caffè, visto che a bordo non
c'è nulla che assomigli ad un posto di ristoro. Insomma
tutto va per il meglio e stiamo per attraccare
quando,
ad un metro dal pontile, improvvisamente la nave fa marcia
indietro e si allontana sempre più velocemente verso
il mare aperto. Sgomento e incredulità. Si fanno
strada le ipotesi più assurde: abbiamo sbagliato
traghetto, si sono interrotte le già tese relazioni
diplomatiche fra i due Stati, è scoppiata una guerra
niente di tutto ciò. La causa è un guasto
elettrico al pontile che impedisce l'attracco della nave.
Come e quando sbarcheremo non è dato sapere. Come
dicono da queste parti: Insciallah! Trascorriamo lentamente
la giornata in una situazione surreale. Ci hanno concesso
di rimanere in camper, abbiamo tirato giù le sedie
e contempliamo il mare dal portellone aperto del ferry.
Arriva un membro dell'equipaggio e si mette a pescare; arriva
la famiglia turkmena e le facciamo fare la solita visita
guidata del camper. Ogni tanto all'orizzonte compare la
sagoma di una nave. Finalmente alle 18, si levano le ancore
e un'ora dopo siamo al porto di Turkmenbashi.
Qui cominciano le comiche. Noi di qua dal portellone, loro
di là, con tanto di mascherina in faccia a contemplarci
curiosissimi. Arriva il Dottore accompagnato dall'Epidemiologo,
scena che spiace non poter riprendere per via della frontiera.
I due ci pongono una serie di domande, poi se ne vanno e
aspettiamo non si sa cosa. Dopo un'ora circa ci fanno sbarcare
i mezzi, li misurano e quindi con una pompa a mano li disinfettano
col cloro; discutono fra loro se sia il caso di disinfettare
anche gli interni, ma per fortuna, alle nostre rimostranze,
cambiano idea. Nel frattempo è arrivata la nostra
guida temporanea (siamo in anticipo di un giorno) che dovrebbe
aiutarci a disbrigare le complesse formalità. E'
un ragazzo armeno molto sveglio, ma di fronte all'elefantiaca
burocrazia turkmena anche lui si deve arrendere. Noi l'abbiamo
già fatto ed attendiamo con filosofia tutta orientale
l'evolversi degli eventi, contenti solo di aver rivisto
dopo 24 ore i nostri passaporti e sapere che stanno passando
da una baracca all'altra per le routinarie, numerose registrazioni.
A mezzanotte siamo ancora qui. Abbiamo anche subito una
disinfezione del cavo orale con un antidiluviano apparecchio
a raggi UV (almeno così sembra di aver capito) secondo
le recentissime disposizioni del governo. Solo in quel momento,
e per validissimi motivi, col tono aggressivo delle grandi
occasioni, ci rifiutiamo di avvicinare la bocca all'apparecchio
a meno di 20 cm. La collega, bardata come se dovesse affrontare
una guerra batteriologica, comprende le nostre ragioni e
fa quel che deve fare, ma a distanza di sicurezza. Seguono
poi altri andirivieni da un ufficio (meglio sarebbe definirli
ripostigli) all'altro, altre scartoffie, altri timbri. Una
cosa sola si può dire (e che rende forse meno umoristica
la scoperta che il Turkmenistan è gemellato con la
Svezia!), che non c'è assolutamente corruzione, almeno
qui e per quanto ci riguarda. Nessuno chiede un soldo più
del dovuto.
Finalmente verso l'una e venti, usciamo dalla frontiera
e scopriamo che vige il coprifuoco e che dopo le 22 non
si può girare in macchina. Siamo a circa 100 metri
dalla frontiera, ma c'è un posto di blocco dove veniamo
controllati e registrati di nuovo. Otteniamo di poter andare
al nostro parcheggio presso un albergo a 20 km di distanza,
e vi arrviamo dopo aver rischiato di investire una donna
ubriaca che camminava nel bel mezzo della strada. Nonostante
la stanchezza realizziamo di essere arrivati in un paese
assai curioso: dalle baracche della frontiera siamo ora
davanti ad un avveniristico e luminosissimo albergo al cui
ingresso domina la statua dorata del Presidente Nyazov.
1
Maggio
Dopo aver curiosato in quella cattedrale nel deserto che
è l'albergo, partiamo verso la capitale, non prima,
però di esserci riforniti di valuta locale. Oggi
è festa e la banca è chiusa. Niente paura,
il bazar di Turkmenbashi, questo è il nome del porto
turkmeno, pullula di giovanotti che sventolano mazzi di
banconote. Così facciamo ciò che tutte le
guide sconsigliano di fare perché illegale e, in
cambio di 50 euro, ci ritroviamo con un malloppo di banconote
che non stanno nelle tasche. Occorre fare il pieno. Altra
lieta sorpresa: basta l'equivalente di 1 $ (!) per riempire
il serbatoio. In compenso nel regno del petrolio, le pompe
di benzina sono antidiluviane, e così se non si sta
più che attenti si fa il bagno nel gasolio (cosa
che succede sia a Luciano che a Maurizio, con grande gioia
delle nostre telecamere).
La strada verso Ashgabat è in discrete condizioni
e si snoda per 580 km, dapprima in mezzo al deserto (che
è tale anche se allagato dalle recenti piogge), poi
attraverso una pianura coltivata che si allarga ai piedi
delle montagne che segnano il confine con l'Iran. Avvistiamo
i primi dromedari, ci fermiamo agli innumerevoli posti di
blocco, dove molto gentilmente registrano i nostri dati.
I fumatori del gruppo devono dedicarsi al loro vizio di
nascosto perché il Presidente ha proibito di fumare
all'aperto! Secondo Stato al mondo dopo il Butan. Osserviamo
stupiti le gigantografie col faccione bonario del dittatore
o con le sue frasi storiche. Ci accorgiamo dall'asfalto,
diventato improvvisamente velluto, che siamo ormai vicini
alla capitale.
Ashgabat ci accoglie in un tripudio di aiuole, fontane,
statue dorate del Presidente e della sua Mamma. Marciapiedi
e strade sono pulitissimi e circondati da edifici sontuosi
con poliziotti e militari ad ogni angolo. Presenza silenziosa
ed inquietante. Basta che puntino il manganello e ci si
deve fermare per la solita identificazione. Sono molto corretti
tuttavia, e si aprono in grandi sorrisi appena sentono il
nome Italia. Nessuno chiede alcunché. Non pensavamo
che gli italiani fossero tenuti in sì grande considerazone.
Sorprendente è anche l'albergo nel cui parcheggio
trascorreremo le prossime notti. È un bell'hotel,
gestito da un simpaticissimo ed intraprendente compatriota,
il Sig Luigi, aiutato da Marietto, che ospita in un'atmosfera
di amicizia e cordialità tutta l'enclave straniera
di passaggio ad Ashgabat. Diventa normale, fra un piatto
di taglioline all'amatriciana e uno di gamberoni del Golfo
(del Barein, s'intende, giunti freschi in aereo, e il cui
sceicco ci passa accanto con un largo sorriso) chiacchierare
con l'Ambasciatore di qualche paese europeo o addirittura
trascorrere un piacevolissimo dopocena conversando con Sua
Eccellenza il Nunzio Apostolico di Ankara. (Km 581)
2
Maggio
Dopo che Luigi ci ha fatto orgogliosamente visitare tutto
l'albergo, offrendoci anche la prima colazione, ci avviamo
alla scoperta di Asghabat in compagnia di Maya, una simpatica
ventunenne turkmeno-ucraina che ci farà da guida.
Dalla famosa statua dorata del Presidente, alta 70 m e che
ruota seguendo il sole, ai sontuosi palazzi, alle magnifiche
fontane (in un paese occupato dal deserto per il 90%), ai
curatissimi giardini, ai monumenti inneggianti Turkmenbashi
(il padre dei Turkmeni, cioè Nyazov) e al suo libro
Ruhama (che è testo obbligatorio nelle scuole), tutto
concorre a creare un'atmosfera da operetta buffa, se non
fosse per la costante presenza di poliziotti in divisa e
in borghese che controllano ogni movimento e ti fermano
in qualsiasi momento per dar un'occhiatina al passaporto.
E guai se ci si scorda la registrazione presso l'Ovir. Essa
è obbligatoria e va fatta entro tre giorni dall'ingresso
in Turkmenistan, per tutti coloro che vi soggiornano per
più di cinque. Senza la registrazione, il passaporto
viene ritirato e può passare qualche giorno prima
che la situazione si sblocchi
Altra cosa da ricordare
prima di affrontare la visita del centro di Asghabat, è
quella di svuotare bene la vescica e non bere: fra tanti
magnifici palazzi e giardini nessuno a pensato ad una toilette!
Al pomeriggio visita del Museo del Tappeto con spiegazioni
fin troppo esaurienti del significato simbolico dei disegni.
Qui è anche esposto il più grande tappeto
del mondo, 301 mq, riportato sul Guinness dei Primati.
3
Maggio
Con un pulmino a nolo raggiungiamo Nisa, l'antica capitale
del regno dei Parti, le cui rovine sono situate in uno scenografico
sfondo di montagne. Qui, stanno lavorando due equipe archeologiche,
una russa ed una
italiana, che si odiano cordialmente.
Scambiamo due chiacchiere con gli italiani che sono arrivati
da qualche giorno. Sono giovani con un po' di boria, che
gli sarà passata completamente quando li rivedremo
al nostro ritorno ad Ashgabat, per via di una fesseria commessa
a cuor leggero. Ci avviamo poi verso Kow-Ate, una grotta
che ospita nelle sue profondità un lago termale con
acqua a 36°. Dopo aver percorso praticamente al buio
una scalinata di 250 metri, ci si può immergere per
una salutare (?) nuotata, cosa che, dopo un attimo di perplessità,
ci affrettiamo a fare anche noi. Anche questa è un'esperienza.
Tornati in superficie, ci dedichiamo ad un rilassante pic-nic
a base di spiedini, mentre la zona si popola di cicalanti
turkmene dai coloratissimi vestiti. Sulla strada del ritorno
sosta alla Moschea di Geok-tepe che sorge sulla collina
che vide l'ultima eroica resistenza opposta dai Turkmeni
all'esercito zarista. È assai poco frequentata come
luogo di culto e, per volere del Presidente, la madrasa
non è funzionante. Torniamo alla base, dove ci attendono
sauna, bagno turco, piscina, idromassaggio e 30 minuti di
rilassanti massaggi operati di Svetlana. In questo paese
i camperisti sono trattati benissimo! La sera, da bravi
turisti quali siamo, andiamo a cena in una yurta alla periferia
di Asghabat dove finalmente assaggiamo il pvlov, piatto
nazionale a base di riso verdure e carne. Un gradevole diversivo
ai soliti shaslik.
4
Maggio
In mattina ci immergiamo nella coloratissima confusione
del Bazar Tolkuska, che raggiunge il suo apice la domenica,
cioè oggi. Vi si trova di tutto: dai tappeti alle
sete, dai cammelli alle spezie, dai giganteschi cappelli
di pelo, ai gioielli e alle mercanzie più varie.
Colori, suoni, odori: una vera manna per fotografi e videoamatori.
Anche qui però, l'occhio vigile del potere non demorde.
Veniamo fermati e cortesemente pregati di mostrare i passaporti
per la solita registrazione. Trascorriamo il pomeriggio
riposandoci in piscina e, la sera, cena all'italiana con
la gradita sorpresa di mangiare due fette di salame in compagnia
del Nunzio Apostolico di Ankara. Per finire la serata, Luigi
ci accompagna in una visita di Ashgabat by-night, talmente
illuminata da sembrare Las Vegas, se non per il fatto che
in giro non c'è nessuno. Visitiamo altri due alberghi
voluti dal Presidente e gestiti da Luigi. Sono molto eleganti,
molto belli, molto vuoti. Pare che da ieri Nyazov abbia
sospeso tutti i visti di ingresso in Turkmenistan con la
scusa della Sars.
5
Maggio
Dopo aver salutato Luigi, imbocchiamo la strada per Mary
che si snoda per 350 km attraverso una pianura a tratti
coltivata, poi sempre più desertica. La rotabile
costeggia le montagne che confinano con l'Iran e l'Afghanistan.
Uniche soste ai posti di blocco, sempre più numerosi,
con momenti assolutamente ameni: "da dove venite?
",
"Italy
", "portateci con voi
"
implora un militare, il tutto in un complicato, ma comprensibile
miscuglio linguistico. Alle16 arriviamo a Mary e parcheggiamo
all'ombra di un gigantesco Hotel ex-Intourist che niente
ha a che vedere col Nissa Hotel. Non si può nemmeno
telefonare ad Ashgabat, figuriamoci in Italia
La cittadina
è graziosa, cosparsa di nuovi monumenti e di fontane
del Presidente. C'è anche un gradevole bazar. (Km
378)
6
Maggio
A 16 km da Mary sorgono le rovine di Merv, una delle più
antiche e grandi città dell'Asia Centrale lungo la
Via della Seta. Le sue origini si perdono nella notte dei
tempi e pare che i racconti delle Mille e una notte si siano
ispirati ad essa. Oggi ci vuole molta fantasia a ricostruire
il tutto e forse qualche spedizione archeologica non guasterebbe.
Comunque, bighellonare fra vecchi muri pieni di nidi di
uccelli, raccogliendo cocci più o meno antichi sotto
l'occhio benevolo e saggio dei dromedari ha un certo fascino,
anche perché siamo soli. Manca persino la polizia!
Ripartiamo da Merv, inoltrandoci progressivamente nel KaraKum,
uno dei più vasti deserti sabbiosi del mondo. La
nostra destinazione è la Riserva Desertica di Repetek.
Qui, veniamo accolti da un tizio che pretende 200 $ quale
diritto di ripresa ( per non più di un'ora) per ciascuna
delle due telecamere che abbiamo con noi. Nonostante il
pernottamento in camper sia già stato pagato dall'agenzia,
decidiamo di andarcene tanto più che, come si può
ben immaginare, il deserto è sempre uguale sia dentro
sia fuori dalla riserva. Ci parcheggiamo poco lontano, vicino
ad un posto di blocco, praticamente in mezzo alle dune.
Luciano ed io ci avventuriamo subito armati di fotocamera,
pronti ad immortalare scarabei giganteschi, impronte di
scorpioni grandi come topi (purtroppo solo le impronte)
e lucertole di varie dimensioni. Per non fare la figura
del pirla evitiamo di fotografare un bacchetto che sembra
un serpente
e così facciamo i pirla due volte,
perché il bacchetto saetta via strappandomi un urlo
atroce. Ci diranno poi che si tratta del Serpente Freccia,
una delle tre varianti velenose che abitano questo "paradiso".
La notte, invece, ci fanno compagnia branchi di sciacalli,
che, attirati dai resti della nostra cena (ci siamo messi
anche noi a cucinare spiedini di montone!), si aggireranno
furtivi attorno ai camper. (Km 228)
7
Maggio
Partiamo alla volta dell'AmuDaria, il fiume pazzo, questo
vuol dire il nome, che con i suoi cambiamenti di percorso
ha plasmato e modificato la storia di questi paesi. Attualmente
scorre a cavallo fra il Turkmenistan e l'Uzbekistan separando
con una fascia fertile il Karakum (deserto Nero) dal KizilKum
(deserto rosso). Per superare il fiume, bisogna sperare
che sia in piena, perché il ponte che lo attraversa
è un'improbabile struttura di ferro, fatta costruire
dallo Zar nel 1901. E' ovvio che se l'acqua è scarsa,
i vari cassoni galleggianti che lo compongono, non collimando
fra di loro, creano dei dislivelli difficilmente superabili
per i nostri mezzi. Per fortuna le recenti piogge hanno
fatto il loro dovere. Rimane da superare lo scoglio umano
che si materializza sotto le spoglie di un solerte funzionario,
il quale, non contento del foglietto verde che gli presentiamo
assieme ai passaporti, pretende anche un foglietto giallo
di immigrazione che non possediamo. Niente lo smuove, neppure
un tentativo di corruzione operato da Luciano. Dopo 30 minuti,
decide di lasciarci passare comunque. Paghiamo un pedaggio
di 50 $ anziché i normali 10, perché alla
frontiera hanno sdoganato il camper sotto la voce "autobus"
e non autocaravan. L'accesso al ponte è un tipico
sterrato da gara per fuoristrada e i fangosi avvallamenti
sono riempiti di fascine per diminuire lo sbalzo fra riva
e ponte. Quest'ultimo è lungo un chilometro e mezzo
e, ogni qualvolta un mezzo pesante transita da un pontone
all'altro, l'ultimo, sgravato dal peso del camion, si solleva
di almeno 20-30 cm. Insomma attraversarlo non è semplicissimo.
A metà, tanto per complicare ulteriormente le cose,
c'è un punto di blocco e di registrazione, posto
su di una barca ancorata alla spalletta del ponte, dove
è obbligatorio fermarsi. Riusciamo comunque ad arrivare
dall'altra parte e, dopo ulteriori numerosi e snervanti
controlli arriviamo finalmente alla frontiera con l'Uzbekistan.
Straordinariamente impieghiamo solo 45 minuti ad uscire
dal "libero stato" del Turkmenistan e altri 90
minuti per entrare in Uzbekistan (costo di assicurazione
e tassa diesel 35 $). Sembra di essere in un altro mondo:
strade di standard quasi europeo, c'è la linea per
il cellulare (in Turkmenistan manca), si fuma liberamente
con gran gioia dei viziosi del gruppo, e i posti di controllo
sono rarissimi. In meno che non si dica siamo a Bukhara,
accolti con gentilezza e curiosità nel parcheggio
dell'Hotel NewBuchara, uno splendore a 5 stelle dagli interni
sontuosi.
Ci buttiamo per le vie della città vecchia e del
Registan. In cima alla cittadella non c'è nessuno
ed una guardia, in cambio dell'acquisto di alcune cartoline,
ci accompagna in un'area chiusa al pubblico, perché
ancora piena delle macerie di un bombardamento del 1920,
dalla quale si gode uno splendido panorama della città.
Complice la luce del tramonto ci scateniamo in un'orgia
fotografica. Questa sera, dopo aver ricevuto in cambio di
2 banconote da 50 euro, un chilo di banconote locali, ceniamo
al ristorante dell'hotel. Memorabile la confusione che facciamo
al momento del conto. Ogni banconota vale 200 lire! (Km
211)
8
Maggio
Giornata dedicata alla visita di tutto ciò che c'è
da vedere: moschee, madrase, mausolei, bazar, caravanserragli
e la dimora dell'ultimo emiro. La guida, che fa questo mestiere
dai tempi dell'Intourist, parla italiano egregiamente, il
che ci facilita molto. Inutile descrivere lo splendore dei
monumenti. Bisogna andarci! Pomeriggio dedicato agli acquisti
(i tappeti sono molto a buon mercato) e serata in un grazioso
ristorantino sulla Labi-hauz, la più famosa e caratteristica
piazza di Bukhara, con i suoi gelsi ultracentenari (il menù
comunque è sempre quello: o shaslik o pvlov!)
9
Maggio
Clima freddo e piovoso. Ci avviamo, attraverso una landa
semidesertica, verso Shakhrisabz, la patria di Tamerlano.
La segnaletica è assai scarsa, ma fortunatamente
ad ogni incrocio c'è sempre qualcuno che dà
un a mano. Giunti alla cittadina, la visitiamo. I monumenti,
con le loro belle cupole blu, sono ben restaurati e meritano
sicuramente la visita, anche con la pioggia. Un custode
ci apre la cripta che contiene la presunta tomba di Tamerlano
e intona la preghiera del Muezzin, il tutto dietro compenso,
ma la suggestione della penombra e del canto sono molto
suggestivi.
Ci dirigiamo poi verso il passo di Amakutan (1700 m) per
raggiungere Samarcanda. Grava una nebbia insistente ed in
cima al passo c'è una coda di automezzi che attende
pazientemente di transitare. Scopriamo che una frana di
fango ha interrotto la strada, decidiamo di fare dietro
front e di raggiungere Samarkanda per una strada alternativa.
Diluvia, sta venendo buio e la strada in questione è
quasi impercorribile per le buche. Samarkanda è sempre
di più un miraggio! Finalmente arriviamo: manca il
cartello e quindi non possiamo scattare la storica foto.
Poco male, tanto è ormai notte e piove a dirotto.
Troviamo rapidamente il parcheggio dell'Hotel Aphrodisia,
dove, come al solito siamo accolti con grande gentilezza
e premura. Cena in camper. (Km 516)
10
Maggio
La pioggia di ieri è solo un ricordo. Splende il
sole. L'hotel presso cui siamo parcheggiati è in
pieno centro storico, così ci immergiamo nell'atmosfera
accogliente ed ospitale di questa splendida città,
crogiolo inimitabile di popoli e crocevia storico di tanti
mitici viaggi (e, da oggi, anche del nostro!). Inutile dilungarsi
nella descrizione delle splendide maioliche del Registan
e dei tanti altri monumenti o nell'evocazione della confusione
tutta orientale di certi quartieri. La sola cosa da fare
è andarci. Non ci priviamo di uno spettacolo di musiche
e danze nella suggestiva cornice di una Madrasa, né
di una ricca cena in un ristorante del quartiere iraniano
(sempre sashlik, ma non solo di montone) né di una
passeggiata notturna fra i monumenti illuminati. Giungiamo,
per caso, in tempo per assistere ad uno spettacolo di suoni
e luci nella piazza del Registan, al termine del quale un
poliziotto, in cambio di una mancia, ci accompagna all'interno
di una madrasa e ci permette di indossare un costume locale
(cosa molto spassosa). Siamo a Samarcanda e non ci sembra
ancora vero!
11
Maggio
Imbocchiamo la strada per Tashkent solo verso le 10 del
mattino, dopo essere riusciti finalmente a fare il pieno
di gasolio, grazie all'aiuto di un taciturno uzbeko che
ci ha condotto in aperta campagna dove alcuni contadini
hanno riempito i nostri serbatoi con taniche di gasolio.
Qui infatti, il gasolio è merce rara, poiché
nell'ex-URSS quasi tutti gli automezzi andavano a benzina.
Perdiamo poi altri 20 minuti per posizionarci sotto il cartello
di Samarcanda e scattare la memorabile foto: come resistere
alla tentazione? Infine imbocchiamo la cosiddetta autostrada
per la capitale, che sarebbe tale se non ci fossero quadrupedi
vaganti, auto contromano, inversioni ad U, imbocchi di strade
sterrate, un fondo stradale indegno e, magari, qualche distributore
in più.
Attraversiamo una sconfinata pianura coltivata, interrotta
qua e là da sonnolenti paesini con casette bianche
dal tetto di eternit. Non si sa per quale motivo l'autostrada
attraversa un pezzo di territorio kazako e non è
transitabile, pertanto occorre fare una deviazione di circa
100 Km. Nel primo pomeriggio arriviamo a destinazione: il
parcheggio dell'Hotel Uzbekistan, un gigante ex-Intourist
ben tenuto, dove mettiamo in stato confusionale le due impiegate
della reception che non capiscono cosa ce ne facciamo del
parcheggio senza la camera. Ma l'equivoco, grazie alla consueta
disponibilità e cortesia, viene presto chiarito quando
viene mostrata la lettera dell'agenzia uzbeka. Trascorriamo
il resto del pomeriggio passeggiando per il centro, con
l'aiuto dei taxi, perché le dimensioni delle città
sovietiche, e di questa in particolare, e il concetto di
centro sono molto diversi dai nostri canoni. Tashkent è
una moderna metropoli abitata da una variopinta umanità
(ben 40 etnie), in mezzo alla quale ci si mescola molto
volentieri. ( Km 337)
12
Maggio
Puntualissima si presenta la guida, un'emozionata ragazza
che ha trascorso la notte in bianco ripassando la lingua
italiana che sta studiando da un anno. Ci accompagna nella
città vecchia a visitare madrase e moschee. Niente
di eccezionale, se si esclude un Corano dell'ottavo secolo
conservato in una cassaforte climatizzata. E' poi la volta
della Tashkent moderna con le sue vaste piazze, giardini
e monumenti di sovietica memoria. A mezzogiorno decidiamo
di ripartire. La corsia dell'autostrada verso Samarcanda
ha un fondo migliore, inoltre, quando arriviamo all'enclave
kazaka ci permettono di passare in quanto turisti stranieri.
Così, possiamo aggiungere alla collezione di paesi
un piccolo spezzone di Kazakistan. Siamo completamente soli
e quando arriviamo al posto di controllo kazako suscitiamo
la solita curiosità. Per la verità, i più
buffi sono loro, che si presentano in mezzo alla strada
con mascherina sul volto e copricapo chirurgico: neanche
dovessero affrontare la peste! Peccato non poter filmare.
Arriviamo rapidamente a Samarcanda (altra foto sotto un
altro cartello: ormai è diventato un tormentone),
la superiamo e, lungo la strada per Bukhara ci fermiamo
a Kattakurgan per chiedere informazioni su come raggiungere
un lago vicino. Un imbronciato poliziotto, dopo essersi
assicurato della nostra italianità, non esita a fermare
un ignaro automobilista chiedendogli (o imponendogli?) di
accompagnarci nel luogo da noi richiesto. E così
il poveretto si fa 12 Km e ci porta in riva a lago, dove
trascorreremo la notte. N.B. in qualche occasione il nostro
spirito di autonomia ci ha spinto a non seguire il programma
concordato con le Agenzie, e perciò i pernottamenti
sono stati scelti a caso nei luoghi che più ci piacevano.
A posteriori si può dire che la cosa è fattibile
e non si corre alcun rischio. (Km 371)
13
Maggio
Nonostante la mancanza di segnaletica e un momentaneo blocco
del traffico per il passaggio del Presidente dell'Uzbekistan,
riusciamo a raggiungere agevolmente l'ingresso delle Gole
di Sarmys. E qui incappiamo nelle solite surreali situazioni
di questi paesi. L'accesso è sbarrato da un cancello
e due torrette che segnano l'ingresso di
una colonia
per bambini. Non si sa come fare a raggiungere le gole.
Tuttavia, grazie alla disponibilità della direttrice
russa, che ci mette a disposizione gratuitamente un antidiluviano
camion militare e un suo dipendente come guida, raggiungiamo
la destinazione, o meglio la fine di un tratturo che conduce
alle gole. Da qui comincia un'avventurosa passeggiata con
guadi di torrenti (Luciano quasi fa un bagno per aiutare
noi donne) , arrampicate lungo scarpate assai sdrucciolevoli
e avvistamenti di aquile. Ne vale la pena, perché
i graffiti rupestri, scolpiti su roccia scura simile all'ardesia,
sono veramente superbi. Anche qui, in epoche preistoriche,
c'era una rigogliosa e fertile savana, popolata da giraffe,scimmie,
tigri e bufali.
Ripartiamo nel primo pomeriggio. La strada verso Bukhara
è abbastanza disastrata, ma migliora quando imbocchiamo
quella per Nukus. Fa molto caldo (30° fuori, quasi 40°
dentro) e ci hanno già fermato svariate volte ai
posti di controllo, più per curiosità che
per altro. "Italian Tourist" sembra una magica
parola che induce solo sorrisi e battute scherzose. Lentamente
la campagna coltivata cede al deserto: stiamo entrando nel
Kizil Kum, il deserto rosso che si estende ad est dell'AmuDarja.
Alle 18,30 siamo campeggiati dietro ad uno spartano posto
di ristoro in mezzo alla sabbia. Per quanto assurdo possa
sembrare, ci cucineranno pesce fritto che gusteremo con
appetito mentre fuori
piove! (Km 368)
14
Maggio
E' tornato il sole. Attraversiamo un pezzo di deserto in
direzione nord avvistando qualche piccolo roditore bianco
che saetta fra le dune. La strada mette a dura prova le
giunture sia nostre che del camper. Per un certo tratto
costeggiamo il fiume. Sbagliamo strada e finiamo direttamente
in un pezzetto di territorio turkmeno. Risultato: 3 registrazioni
in 500 metri! Arriviamo comunque a Kiva verso le 13, cioè
in anticipo di mezza giornata rispetto al programma. Possiamo
così passeggiare tranquillamente fra i bei palazzi
di questa città-museo godendone l'aspetto esterno.
La visita guidata è prevista per domani. Un acquazzone
improvviso ci costringe a trovare riparo all'ingresso principale
della cinta muraria dove veniamo ripresi ed intervistati
da una Tv uzbeka: peccato non poterci rivedere! Da Kiva
raggiungiamo Urgench, cittadina di sapore sovietico, dove
è previsto il nostro pernottamento e dove incontriamo
Sancho, la nostra guida di domani, un giovane uzbeko di
sangue misto mongolo-iraniano con quattro denti d'oro splendente.
Pare che il motivo per cui la maggior parte della popolazione
di questi paesi sfoggia queste sfolgoranti chiostre dentarie
sia dovuto ai danni prodotti dall'acqua salata delle fonti
di captazione e, ovviamente, dall'impossibilità economica
di pagarsi capsule in resina. Qualche anno fa i denti d'oro
erano di moda, dicono. (Km 345)
15
Maggio
Visita culturale di Kiva, inclusa la parte museale e gli
interni dei palazzi tra i quali, quello straordinario di
una moschea che vanta decine di colonne che, seppur di legno,
la fanno assomigliare ala moschea di Cordoba. Luciano e
Maria Rosa non partecipano al giro, perché Luciano
ha 38,9 °C di febbre, senza altri sintomi. Sarà
il primo caso di SARS in Uzbekistan o un banale colpo d'aria?
Propendiamo per la seconda ipotesi, anche perché
nel primo pomeriggio sta decisamente meglio e si sente in
grado di ripartire. Intendiamo dirigerci verso Moynak e
le vecchie rive del Lago d'Aral.
La strada riattraversa l'Amu Darya, e anche in questo punto
su di un ponte di ferro galleggiante. La situazione è
peggiorata da un furioso temporale. Un guardiano fradicio
di pioggia rinuncia a farci capire il costo del passaggio
e ci dà via libera. E' un'esperienza indimenticabile
attraversare il fiume ribollente di fango giallastro ed
illuminato dal livido colore dei fulmini su di un ponte
semovente le cui giunzioni stanno insieme per miracolo.
Comunque arriviamo dall'altra parte indenni. La strada si
snoda poi fra campi coltivati, ora non solo a cotone, ed
aridi terreni in cui affiora abbondante il sale, attraversando
villaggi piuttosto malandati e fangosi. Non è facile
trovare un'area in cui parcheggiare, Tuttavia, superato
Kilingrad, uno squallido e misero paese, e dopo aver subito
un ennesimo violento acquazzone, troviamo un posto idoneo,
asfaltato e un po' fuori strada, in mezzo alla steppa. (Km
398)
16
Maggio
Moynak è una povera e triste cittadina che un tempo
sorgeva sulle rive del Lago di Aral. Attualmente il lago
dista 40 chilometri e attorno al paese si estende uno spaventoso
deserto di sabbia dal quale affiorano i relitti arrugginiti
di vecchie navi. C'è anche un monumento ai caduti
della Seconda Guerra Mondiale, costruito su di un ex-belvedere
che si sta pericolosamente sfaldando. Luciano sprofonda
fino alla coscia in una voragine che si apre all'improvviso.
Discutiamo animatamente sui pro ed i contro dell'intervento
umano sulla natura: questo disastro ecologico sembra derivare
infatti dall'irrigazione forzata del bacino dell'AmuDarya,
nel tentativo di fertilizzare i territori, esperimento effettuato
ai tempi dell'URSS, per incentivare la coltivazione del
cotone. Non sapendo che altro fare, oltre che osservare
la miseria altrui, torniamo sui nostri passi e tentiamo
di tornare indietro per una strada parallela a quella dell'andata.
La cartina è sbagliata, la strada non esiste (o meglio
c'è una pericolosissima pista che attraversa l'ex
alveo del fiume), né esistono ponti che lo attraversano,
perciò, dopo uno spuntino ai bordi del fiume, rifacciamo
lo stesso percorso dell'andata. Il ritorno è vivacizzato
dall'incontro con un branco di cammelli, quelli veri asiatici,
con due gobbe, talmente rari da sembrare in via di estinzione.
Arriviamo infine a Nukus, tristissima capitale del Karakalpakistan,
che è una povera repubblica semi-indipendente dell'Uzbekistan.
La città è la quintessenza dello squallore
sovietico, che raggiunge il suo acme all'hotel Nukus, nel
cui parcheggio facciamo pic-nic e pernottiamo. (Km 316)
17
Maggio
Impieghiamo più del previsto a raggiungere la frontiera
uzbeko-turkmena. Ci avevano parlato di una distanza di 16
chilometri da Nukus, ma in realtà sono parecchi di
più. Le formalità di uscita, nonostante la
torpidità mentale delle guardie, portano via solo
45 minuti, misurazione della febbre compresa. Il bello viene
cento metri dopo, alla frontiera turkmena, dove un solerte
funzionario ci comunica che non può permetterci di
percorrere la strada prevista (500 Km di asfalto attraverso
il deserto del Karakum), in quanto la normativa non consente
il passaggio di autoveicoli stranieri del peso superiore
agli 800 Kg e ci prospetta di transitare per una pista (sic!)
lunga 1500 Km , che sulla nostra carta nemmeno esiste. La
situazione, nonostante la mediazione di Maya, che ci ha
raggiunto qui in aereo, sembra non avere sbocchi, anche
perché, contrariamente a quanto si possa pensare,
il diniego opposto dal funzionario non è assolutamente
un tentativo di estorcerci soldi. Dopo circa 4 ore e mezzo,
con la temperatura esterna che ha raggiunto i 34° e
quella interna i 47°, arriviamo ad un compromesso: sul
foglio di viaggio verrà segnato l'itinerario consentito,
ma noi poi, faremo ciò che ci pare, salvo risolvere
il problema di volta in volta ai vari posti di controllo
dislocati lungo la strada. Finalmente siamo fuori: ovvero
passiamo dalla "prigionia" alla "libertà
vigilata" del Turkmenistan.
Nonostante il ritardo, ci concediamo la sosta prevista a
Konie Urgench, l'antica capitale del Korezm, distrutta dai
Mongoli e definitivamente abbandonata dopo che il corso
dell'AmuDarja cambiò direzione. Le sue rovine, sparse
in mezzo ad un cimitero le cui tombe talora mostrano il
loro inquietante contenuto, comprendono vari mausolei e
il più alto minareto dell'Asia centrale, dall'inconfondibile
sagoma che l'assomiglia ad una moderna ciminiera. Nota divertente:
il guardiano ci guarda un attimo e ci chiede se veniamo
da Kiva. Il mistero è presto risolto: ci ha visto
ieri sera in televisione e ci ha riconosciuto. Maurizio,
stella dell'intervista alla TV Uzbeka, gli concede un autografo!
Ripartiamo rapidamente, ci attendono 500 Km di deserto.
All'inizio, la strada attraversa zone coltivate, poi lentamente
le zone desertiche prendono il sopravvento. Superiamo un
castello semidiroccato e poco dopo ci fermiamo in pieno
deserto per la notte. Magnifico stellato con stelle cadenti
e decine di satelliti. ( Km 165)
18
Maggio
Questa mattina levataccia alle 6, in tempo per vedere l'alba.
Per fortuna che qui è vietato girare dopo le 22:
questa notte c'è stato un via vai di camion da far
invidia all'A 1! Ci siamo alzati molto presto per poter
attraversare il deserto in giornata. Siamo su di una stradaccia
che peggio di così non si può: praticamente
una sequela ininterrotta di buche, più o meno profonde
e larghe, circondate da vaghe rimembranze di asfalto. Per
farla breve (ma in realtà è stato eterno e
ha messo a dura prova le capacità di guida di Maurizio
e Luciano, nonché la resistenza dei mezzi) impieghiamo
6 ore per fare 98 Km! Fortunatamente la strada dopo i primi
200 km circa migliora e permette un'andatura più
veloce, ma bisogna comunque prestare la massima attenzione,
perché ci sono sempre delle enormi buche in agguato.
In taluni punti, inoltre, la strada è insabbiata.
Il panorama in compenso, è molto suggestivo: grandi
dune sabbiose, rari villaggi di yurte e abitazioni di fango,
branchi di indolenti cammelli, piccoli roditori saettanti
e lucertoloni rosa dall'aspetto molto aggressivo. Ovviamente
ci sono i soliti posti di blocco. Per fortuna, a nessun
poliziotto viene in mente di chiederci il foglio di viaggio.
Tutto procede benissimo, anche perché abbiamo deciso
di non avvalerci dell'aiuto di Maya e di arrangiarci. Usiamo
il solito sistema: sorriso, "Salam aleikum
Italian
Tourist", stretta di mano, passaporto in vista. Il
tutto riscuote molta simpatia da parte degli addetti, cosa
che invece, abbiamo notato, si verifica meno se scende la
guida. Probabilmente questo accade per il rapporto esistente
fra i locali e la polizia, che non è certo dei più
idilliaci. Tentiamo di spiegarlo a Maja, che è molto
stupita della facilità con cui superiamo i posti
di blocco. Ci confesserà che siamo i primi turisti
della DN tours ad avere rapporti diretti con la polizia.
Arriviamo finalmente ad Ashgabat, accolti calorosamente
da Luigi e Marietto. (Km 417)
19
Maggio
La pratica per ottenere il visto per l'Iran si è
favorevolmente conclusa, durante la nostra assenza, grazie
a Mr Sohrat della DN Tours. Oggi, purtroppo, è il
compleanno di un qualche cugino di Maometto e l'Ambasciata
Iraniana è chiusa, pertanto trascorriamo la mattinata
girovagando per il Bazar Russo alla ricerca di rotoli di
seta grezza, che non troviamo. Alla fine approdiamo al Museo
del Tappeto, dove la Direttrice molto gentilmente decide
di accompagnarci presso un famiglia che produce questi tessuti.
Il taxi ci viene procurato da un... poliziotto il quale,
praticamente, dirotta un'auto che stava già attendendo
un altro cliente! Mah, sono veramente strani questi sistemi
La visita si rivela molto interessante: la nonna accovacciata
tinge di viola il filato dentro una tinozza, la nipote sta
dipanando, la mamma sta lavorando al telaio e si occupa
della vendita dei rotoli. Ne acquistiamo qualcuno, incantati
dai colori. Siamo o non siamo sulla Via della Seta? Torniamo
ai camper e promettiamo a Maja di non muoverci: la ragazza
è terrorizzata dalla paura che ci cacciamo in qualche
casino con la polizia. Ovviamente non le diamo retta, e
nel pomeriggio ce ne andiamo a zonzo per il centro, scordandoci
addirittura i passaporti. Ma non ci succede nulla, anche
se veniamo cortesemente fermati ed invitati a sederci su
di una certa panchina (e non su di un'altra!), perché
c'è un gruppo di diplomatici turchi in visita alla
statua girevole del presidente. Tutta la zona è completamente
off-limit. Avremo modo la sera di leggere un articolo, pubblicato
su Panorama, che riporta i risultati del Freedom Act: il
Turkmenistan è considerato, fra i 15 paesi canaglia,
uno dei peggiori. E domani è attesa dall'Italia l'On.
M. Boniver la quale dovrebbe affrontare l'argomento "diritti
umani". Qui si dice che il Presidente sia piuttosto
irritato per questa intromissione e non intenda riceverla:
chissà se riusciremo mai a sapere come è andata
a finire.
20
maggio
Mentre attendiamo nella hall del Nissa hotel che ci vengano
riconsegnati i passaporti vistati, abbiamo l'onore di conoscere
l'Ambasciatore Italiano a Mosca, qui giunto per ricevere
l'On. Boniver. È piuttosto stupito della nostra presenza
e ci invita alla massima prudenza e attenzione perché
"
questi sono posti pericolosissimi
"
dice. Gli facciamo notare che prima di partire ci siamo
informati sul sito del Ministero degli Esteri e che quest'ultimo
definisce questi paesi assolutamente tranquilli. Non riusciamo
ad attenuare le sue perplessità: forse perché
si è ritrovato fra i piedi anche gli archeologi italiani,
che sembra abbiano qualche serio"problema burocratico"
E mentre l'Ambasciatore parte alla volta dell'aeroporto
per ricevere l'Onorevole, noi torniamo in possesso dei nostri
passaporti. Dobbiamo partire alla volta della frontiera,
anche perché oggi ci scade il temine di soggiorno
e non vorremmo dover chieder l'aiuto dell'Ambasciatore.
La frontiera dista pochi chilometri da Ashgabat. Le formalità
non sono eccessive (o forse ormai ci siamo abituati) anche
se la frontiera stessa è suddivisa in due parti a
distanza di pochi chilometri l'una dall'altra. Maya ci lascia
al primo cancello, le lasciamo i nostri indirizzi e la invitiamo
in Italia, ma sarà improbabile che possa venire in
quanto il Presidente non consente che i suoi sudditi si
muovano liberamente.
La strada si snoda attraverso le montagne in una terra di
nessuno, dove non ci sono neanche le pecore, ma solo torrette
di avvistamento. Dopo una decina di chilometri, si arriva
alla frontiera iraniana, dove per prima cosa ci ingiungono
di metterci il chador, poi iniziano le snervanti ed eterne
formalità ed il solito moltiplicarsi di scartoffie.
In Iran è obbligatorio il Carnet de Passage en Douane,
che per fortuna abbiamo, altrimenti si deve pagare un'esorbitante
tassa di importazione del veicolo. Inoltre, i mezzi vengono
accuratamente perquisiti alla ricerca soprattutto di bevande
alcoliche la cui importazione è severamente proibita.
Arrivano al punto di aprire ed annusare le bottiglie di
acqua minerale! E fra l'altro il doganiere (una versione
iraniana di G. Giannini in " Travolti da un insolito
destino
") approfitta abbondantemente degli spazi
ristretti del camper per strusciarsi addosso. Ecco il risultato
di queste società represse
Anche questa volta
comunque, tutto fila liscio e finalmente imbocchiamo la
strada verso Sebzevar. Il paesaggio di montagna è
molto bello, ma ben presto siamo travolti da un violentissimo
temporale con saette impressionanti ed un vento laterale
fortissimo che trascina con sé di tutto, cespugli
compresi. Altrettanto repentinamente torna il sereno ed
appaiono scorci bucolici con scene da vecchio testamento:
fornaci fumanti, case di fango, donne avvolte dai veli,
greggi vaganti per i pascoli. Ci fermiamo, ormai al tramonto,
nel parcheggio di un dignitoso hotel di Sebzevar. Avremmo
dovuto arrivare a Sharud dove era previsto il rendez-vous
con la guida, ma le lungaggini di frontiera ce lo hanno
impedito. (Km 280)
21
Maggio
Partenza alle 7 alla volta di Sharud dove arriviamo puntuali,
alle 10,30, all'appuntamento con la guida. Il suo nome è
Meran, un loquace trentaseienne laureato in italiano con
una tesi sulla Divina Commedia e le sue somiglianze con
un poema persiano di tema analogo di 1000 anni più
vecchio. Chilometro dopo chilometro, attraversiamo uno sterminato
deserto con begli scorci su montagne di nuda roccia, qualche
caravanserraglio in rovina (400 anni fa un visir ne fece
costruire 999 lungo la Via della Seta), laghi salati e paesucoli
piuttosto poveri. Ci concediamo un'unica sosta per un veloce
spuntino e per fare il pieno (ben 2 $ !). Il caldo è
in progressivo aumento, con punte di 35° fuori e 48°
dentro. Portare il chador rende il viaggio abbastanza insopportabile;
per fortuna la strada è in buone condizioni, anche
se il traffico di camion è molto intenso. Verso le
15,30, raggiungiamo la periferia di Teheran (12 milioni
di abitanti, asse est-ovet 30 km, asse Nord_sud 40 Km) e,
come d'incanto, ci troviamo invischiati nel più caotico
traffico che mente umana possa concepire. Teheran, anche
a detta dei suoi abitanti, è una città inquinata,
brutta, caotica e infinita. Vi campeggiano, oltre a ritratti
di soldati morti durante la guerra con l'Iraq e minacciose
frasi anti-americane, anche quelli degli Ayatollah (turbante
bianco:normali, turbante nero, discendenti del Profeta e,
quindi, meno in pericolo in caso di rivoluzione!). La maggior
parte delle donne indossa svolazzanti chador neri modello
Belfagor. Tuttavia, straordinariamente, nessuno interrompe
la sua attività quando il Muezzin chiama alla preghiera.
Secondo Meran la gente è molto stanca di questo regime
teocratico. Dopo aver girovagato col camper per più
di due ore in mezzo al traffico infernale, rischiando collisioni
ogni minuto, poiché il parcheggio previsto non è
agibile, decidiamo di pernottare in quello,vigilato ed ombreggiato,
vicino alla stazione delle autocorriere. Poi , corsa mozzafiato
in taxi e full immersion nel caos di Teheran by-night per
raggiungere un luogo che nessuno penserebbe possibile nell'Iran
degli Imam: una miriade di graziosi ristorantini, negozietti,
case da the e da fumo ingegnosamente e miracolosamente abbarbicati
alle pendici di una montagna lungo il corso di un impetuoso
torrente e frequentati da allegre comitive di ragazzi e
ragazze soli
(cosa impensabile fino a qualche anno fa, quando addirittura
rischiavano l'arresto!). Ci infiliamo anche noi in un ristorante
illuminato da torce e terminiamo la serata con kebab e trote,
il tutto annaffiato da un'ottima
acqua minerale non
gasata e, per i più difficili, da un bicchiere di
birra islamica.
22
Maggio
Con un pulmino ed autista partiamo alla scoperta di Teheran,
città talmente grande che, per attraversarla bisogna
programmare
le ferie. Mentre Maurizio dormicchia, noi
visitiamo il Museo Archeologico, un interessante compendio
di storia dal 5000 a.C. fino a Ciro il Grande, poi il Museo
Islamico che espone vetri, miniature e ceramiche, quindi
un bazar e, infine, la residenza estiva dell'ultimo Scià
Reza Pahlevi, una dimora anni '50, tutto sommato abbastanza
dimessa, ma circondata da un bel parco, dove lo smog sembra
non entrare. Poiché Teheran non offre molto altro,
dopo aver salutato Meran, decidiamo di partire. Scarseggiano,
anzi, mancano quasi del tutto anche i distributori diesel.
Per fortuna abbiamo la solita tanica di scorta, perché
il primo lo troviamo a 98 Km dal centro! Proseguiamo oltre
Zanjan e troviamo un'ottima occasione di pernottamento presso
un Tir Park, dotato di posto di soccorso, moschea, e negozio
di alimentari. (Km 405)
23
Maggio
La strada verso Bazargan è trafficatissima di camion
e, data la peculiare guida degli iraniani, altrettanto pericolosa:
ma Allah ci protegge e rapidamente arriviamo al confine.
Le formalità di uscita sono rapidissime, anche troppo!
Infatti, quando abbiamo già superato il cancello
con la mezzaluna e noi donne ci siamo finalmente tolte il
chador, i funzionari iraniani si accorgono di non averci
chiesto il Carnet de Passage: succede il finimondo! Loro
non possono venire di qua, noi ovviamente non ci sogniamo
di tornare di là (per chi non l'avesse capito, l'unico
vero pericolo in questi paesi sono i burocrati) e a malincuore
allunghiamo attraverso le sbarre l'agognato documento solo
dopo che un funzionario della dogana turca si fa garante
del ritorno del medesimo. Seguono frenetici controlli di
tutti i numeri possibili (passaporto, telaio del mezzo,
targa, ecc.), ovviamente sempre attraverso le sbarre, poi
i funzionari spariscono e noi attendiamo con una certa ansia
che ci riportino il Carnet cosa che, per fortuna, puntualmente
avviene. Scopriamo inoltre di poter usare il Carnet anche
in Turchia, risparmiando così la tassa di ingresso
del veicolo.
Finalmente entriamo nella libera Turchia: chi l'avrebbe
mai detto che dopo un viaggio del genere la Turchia ci sarebbe
sembrata Europa? Come al solito uno spaventoso temporale
festeggia il nostro passaggio di frontiera e, come al solito,
torna rapidamente il sereno. Ci dirigiamo verso il lago
di Van attraverso pascoli smeraldini, maestose montagne
ancora innevate, coni vulcanici e antiche colate laviche.
Vi sono frequentissimi posti di blocco dell'esercito, ma
si limitano a controllare cordialmente chi siamo o addirittura
a chiederci un passaggio. Ci parcheggiamo in riva al lago
di Van, presso un ristorantino gestito da curdi.( Km 649)
24
Maggio
Visitiamo il castello di Van, una fortificazione di varie
epoche (da quella urartea testimoniata da belle iscrizioni
cuneiformi, a quella selgiuchide). Per arrivare in cima
bisogna essere agili come capre e ben allenati perché
il tragitto è abbastanza faticoso (forse perché
siamo a 1730 m?), ma ne vale la pena. Dall'alto, oltre al
panorama sul lago, si distinguono molto bene le fondamenta
dell'antica Van, distrutta dai bombardamenti fra curdi,
turchi, armeni e russi, durante la Prima Guerra mondiale.
Proseguiamo lungo il lago, che è di uno splendido
color smeraldo, fino all'imbarcadero per Akdamar, una chiesa
armena dell'undicesimo secolo, con splendidi bassorilievi,
costruita su di un'isoletta in mezzo al lago. E' questa
una meta di pic-nic e la barca è stracarica di comitive
di giovani curdi con cibarie, barbecue e samovar. Tornati
sulla terraferma, proseguiamo lungo una panoramica strada
che si inerpica in mezzo alle montagne. Uno sguardo al Nemrut,
il vulcano che ha creato il lago di Van, poi attraversiamo
gole molto suggestive verso Bitlis. Ci concediamo una veloce
sosta a Silivan dove i militari di guardia ci permettono
di fotografare e riprendere un ponte selgiuchide del 1140,
poi di nuovo verso ovest attraverso un'infinita distesa
di campi ondulati e ben coltivati di frumento fino a Diyuarbakir,
la "capitale" della regione curda. Ci fermiamo
presso un ospitale benzinaio poco dopo la città.
(Km 449)
25
Maggio
Di buon'ora ci avviamo verso l'Eufrate. La strada non è
granché, ma, rispetto a quattro anni fa, il parco
auto e camion turchi ci sembra completamente rinnovato ed
anche i paesi hanno un aspetto molto dignitoso. L'imbarcadero
sull'Eufrate, invece, è sempre lo stesso. Come pure
il traghetto è lo stesso ferrovecchio dell'altra
volta. Durante il tragitto un convinto muezzin vuole a tutti
i costi aggregarci al suo gruppo che sta andando in pellegrinaggio
presso un famoso e saggio Imam (non riusciamo a capire se
vivo o morto) e magari, se ci riesce, farci convertire all'Islam.
Decliniamo gentilmente l'invito e proseguiamo per la nostra
strada. Poco dopo siamo tranquillamente parcheggiati ai
piedi del Nemrut Dagi, in attesa che venga l'ora giusta
per salirvi e godere il tramonto. Raggiungiamo la cima con
un'auto, messa a disposizione dal proprietario del "campeggio"
ove siamo parcheggiati, guidata da un quindicenne senza
patente, ma che, comunque si dimostrerà all'altezza
della situazione. Visitiamo in completa solitudine il terrazzo
Est ed anche quello Ovest. Ma quando si avvicina l'ora del
tramonto la solitudine viene interrotta dall'arrivo di torme
di "cavrones", come li definirà un appassionato
fotografo spagnolo. Riusciremo ad immortalare qualche immagine
degna? Meglio prenderla in ridere. Il tramonto è
comunque molto suggestivo, le statue come da copione assumono
una bella tonalità rosata. La discesa è molto
scivolosa, il ritorno in auto molto tranquillo. Stasera
cena a base di kebab, talmente duro da risultare quasi immasticabile.
(Km 131)
26
Maggio
Tragitto piuttosto monotono fino a Kaiseri, dove giungiamo
nel pomeriggio e dove , come al solito, bisogna elegantemente
cercare di scansare i venditori di tappeti fastidiosi ed
insistenti come zanzare. Ci liberiamo del primo, lasciandolo,
piuttosto perfidamente, con Luciano e Mariarosa, ma veniamo
puniti dall'appiccicosità di un secondo, che riesce,
non sappiamo come, a trascinarci nel suo negozio e a sciorinare
tutte le merci possibili. Resistiamo strenuamente e riusciamo
a non comprare nulla. Gli spiego che: primo, odio i tappeti!
Secondo, odio questo sistema coercitivo di fare acquisti!
Ci salutiamo ridendo con baci ed abbracci. Dopo una tonificante
escursione ai grandi magazzini, dove nessuno ti importuna,
ripartiamo verso la Cappadocia. Alle 20 siamo parcheggiati
al Camping Panorama di Goreme, con vista sulle formazioni
rocciose e stiamo per andare a cena in un grazioso ristorante
in paese.(Km 614)
27
Maggio
Mi sveglio casualmente in tempo per scattare qualche foto
del paesaggio all'alba. Fra i camini delle fate si stanno
levando in volo due colorate mongolfiere. Trascorriamo la
mattinata in visita al Museo Open Air di Goreme, un compendio
di tutto ciò che si può vedere in Cappadocia,
tra cui splendide chiese rupestri magnificamente affrescate.
Partiamo un po' a malincuore con direzione Ankara. Un errore
ci porta costeggiare la riva est del più grande lago
salato della Turchia e a godercene la luccicante riva. Poi
imbocchiamo l'autostrada e verso le 19, ci fermiamo in riva
ad un lago, nei pressi di Arifje a circa 100 Km da Istanbul.(Km
623)
28
Maggio
Oggi tappa di trasferimento. Il traffico non è eccessivo,
le formalità al confine Turchia- Grecia sono veloci
e riusciamo senza troppa fatica ad arrivare oltre Tessalonica
e a campeggiarci in riva al mare vicino a Dion. Cena molto
gustosa a base di fritto di pesce. (Km 818)
29
Maggio
Arriviamo verso le 13.00 a Patrasso e riusciamo ad imbarcarci
alle 18.00 sul Superfast V,
dopo essere passati dalla biglietteria a convalidare il
biglietto open.
La traversata inizia con uno splendido tramonto. Domani
tutti
a casa, a raccontare a chiunque avrà voglia di ascoltarci,
le nostre "avventure".(Km 280)
30
Maggio
Alle 14,30 sbarchiamo ad Ancona e subito imbocchiamo la
A14 per Bologna dopo aver salutato i nostri compagni di
viaggio. Alle 18, siamo a casa dopo 42 giorni e quasi 14.000
chilometri. Per l'esattezza, 13.870!