Viaggiare - Diari di Viaggio


SAMARCANDA 2003

(18 aprile - 30 maggio 2003)

testo e foto di Sandra Mondini & Maurizio Missana

Italia - Grecia - Turchia - Georgia - Azerbaijan - Turkmenistan - Uzbekistan - Iran

Da qualche tempo mia moglie, Sandra, mi tormentava con l'idea di un viaggio in Asia. Avendo ormai esaurito tutte le mete dell'Europa centrale, occidentale e orientale, nonché il profondo nord scandinavo (Islanda compresa) e il Nord Africa, l'Asia si proponeva ragionevolmente come futura destinazione. Per la verità, l'idea di arrivare a Samarcanda e Tashkent in camper stuzzicava parecchio anche me. Ne parlai al telefono con gli amici di Verona, Luciano e Mariarosa, i quali si dichiararono disponibili a seguirci senza esitazione. Non passò neppure un'ora dal nostro colloquio, che già Sandra aveva preso a tracciare una bozza di itinerario ed io a spedire Email all'indirizzo di agenzie turistiche dei vari stati che avremmo dovuto attraversare per ottenere informazioni sul rilascio del visto d'ingresso. Era il 20 novembre 2002. Alla vigilia della partenza, scoppiò la guerra in Iraq e apparvero le prime notizie "apocalittiche" sull'epidemia di SARS. La cosa non ci allarmò più di tanto e decidemmo di effettuare il viaggio in ogni caso. Dopo tanta preparazione anche questi eventi passano in secondo piano.

Preparazione e notizie utili


Chiunque voglia recarsi via terra in Georgia, Azerbaijan, Turkmenistan e Uzbekistan ha l'obbligo ripeto obbligo, di partire con tutti i visti in regola.
Ciò per evitare spiacevolissimi ed eterni contrattempi che non solo possono rallentare il viaggio, ma anche bloccarlo costringendo il turista a tornare indietro. Le guide della edt - Lonely Planet (Asia Centrale - Georgia, Armenia, Azerbaijan) sono quasi esaustive in materia di visti e di agenzie turistiche. Con l'eccezione della Georgia, che da due anni non richiede più la lettera d'invito, e della Turchia, il cui visto si acquista in frontiera, gli altri quattro paesi richiedono la lettera d'invito (visa support) per rilasciare il visto turistico. Che cosa è la lettera d'invito? Come dice il suo stesso nome, è un invito a visitare il paese. Esso può essere rilasciato da una agenzia di turismo autorizzata oppure da un privato cittadino. Chi rilascia una lettera d'invito si fa garante per lo straniero presso l'Autorità del luogo.
È già successo che comportamenti abnormi del turista abbiano comportato la sospensione della licenza all'agenzia che aveva rilasciato l'invito. Il primo passo dunque, consiste nel richiedere una lettera d'invito ad una agenzia. Quest'ultima proporrà naturalmente anche l'acquisto di qualche servizio, quali guida, auto a nolo, parcheggi, ecc. In tutti i paesi suddetti, non è obbligatorio avere la guida al seguito.
Noi l'abbiamo avuta solo in Turkmenistan e Azerbaijan, mentre per l'Uzbekistan ci ha accompagnato unicamente nelle visite ad alcune città. Alle agenzie inoltre, avevamo richiesto di predisporre il parcheggio notturno con possibilità di allacciamento alla corrente elettrica e di fare riforniumento d' acqua.
Cosa che è stata puntualmente soddisfatta, talora in maniera egregia, all'interno di parchi di hotel dotati di piscina, idromassaggio, sauna e bagno turco Per ottenere l'invito è stato necessario inviare tutti i dati personali e del passaporto all'agenzia, la quale ha poi provveduto ad inviare via fax l'invito stesso. Ottenuto quest'ultimo, abbiamo richiesto il modulo di domanda per il visto alle varie ambasciate (le legazioni turkmene e azere non sono presenti in Italia e abbiamo dovuto rivolgerci alle loro ambasciate di Parigi), quindi abbiamo rispedito loro tutto quanto richiesto assieme ai passaporti.
Per il Turkmenistan la procedura è stata un po' più complessa. Accanto alla lettera d'invito e alla domanda di visto, è stato necessario inviare anche copia dell'assicurazione del mezzo, della copertura sanitaria per ciascuna persona, e la fotocopia del Carnet de passage en douane senza il quale non viene rilasciato il visto. Il Carnet si ottiene facendo apposita domanda all'ACI, in una qualsiasi legazione. Alla domanda bisogna allegare una fidejussione bancaria sul valore del mezzo nuovo, ottenibile dalla propria banca o altra ad un tasso variabile fra 1,5% e 2,5% annuale. In genere, l'ACI rilascia il carnet nel giro di una settimana ad un costo modesto. Negli stati in cui il carnet viene accettato, indicati sul retro della copertina, non si paga alcuna tassa doganale o assicurativa sul mezzo (nel nostro viaggio: Iran e Turchia - il Turkmenistan lo esige unicamente per il rilascio del visto e alla frontiera si deve pagare solo una speciale tassa di trasporto e sul diesel). Le ambasciate sono state piuttosto celeri nella concessione dei visti. Quella Georgiana, a Roma, ha reso i passaporti in 48 ore; quella Uzbeka, con sede sempre a Roma, in giornata. L'ambasciata azera a Parigi ci ha rispedito i passaporti con i visti in meno di 10 giorni, mentre quella Turkmena in una settimana. Ai primi di marzo del 2003 avevamo tutti i visti richiesti pronti, un mese e mezzo prima della data di partenza fissata per il 18 aprile. Le agenzie cui ci siamo rivolti sono state di una serietà e professionalità encomiabili, e ciò sia nella fase preparatoria che durante il nostro soggiorno.
Ecco il loro indirizzi Email:
Azerbaijan - improlcc@intrans.az (Mr.Fuad);
Turkmenistan - dntour@online.tm (Mr. Shohrat);
Uzbekistan - silkroad@sairamtour.com.uz (Mr.Oleg);
Iran - iranparstour@apadan.com ;
Georgia - visitgeorgia@geo.net.ge

In Georgia, per la verità, non abbiamo usato guide, ma il biglietto da visita di una agenzia è stato utilissimo per respingere gli assalti (solo nella zona di Batumi) di poliziotti affamati di dollari o euro. L'Iran non era previsto nel viaggio di ritorno, ma una volta giunti ad Ashgabat, capitale del Turkmenistan, abbiamo deciso di tornare attraverso quel paese appoggiandoci alla DN TOURS. L'agenzia turkmena, nella persona di Mr. Shorhat, ha predisposto le cose in maniera talmente perfetta che, al nostro ritorno dall'Uzbekistan, nel giro di due ore (sic!) avevamo il visto in tasca.
Ci scusiamo per esserci dilungati sulla fase preparatoria, ma abbiamo voluto mettere a disposizione di tutti coloro che intendano affrontare un viaggio simile alcune fondamentali notizie. Se vengono rispettate le procedure richieste, andare in Asia centrale presenta le stesse difficoltà che si possono incontrare viaggiando in qualsiasi luogo della vecchia Europa. Ci vuole solo tempo e voglia di guidare. Quanto alla lingua, pur parlando noi inglese, francese e tedesco, sono sufficienti 10 o 15 parole di russo per cavarsela egregiamente ovunque, grazie anche all'estrema ospitalità e cortesia della gente. Un ultimo consiglio: molto utile è imparare subito grazie, buongiorno e arrivederci nell'idioma locale. È molto apprezzato da tutti, compreso dai militari costretti a controllarvi nei frequenti posti di blocco. Ed ecco il diario del nostro viaggio, compiuto assieme agli amici di Verona: non vi aspettate "mirabolanti avventure", ma solo la cronaca di un viaggio ben riuscito, condito qua e là da qualche imprevisto che lo ha reso solo più affascinante.

18 Aprile
Ci si sveglia in un camper service nei pressi di Ancona dove, ieri notte, abbiamo incontrato Luciano e Mariarosa. Pur salpando il Superfast XII alle 14, abbiamo preferito essere già in prossimità del porto conoscendo quanto accade quotidianamente sulla A14. Con gli amici di Verona ci siamo incontrati a Modena e, assieme, abbiamo raggiunto Ancona. Ottima dormita. Verso le 10 scendiamo al porto, convertiamo le prenotazioni fatte via Internet in biglietti e carte d'imbarco, poi ci mettiamo in attesa dell'imbarco. Siamo i primi a salire avendo la sistemazione camping on board. La giornata è splendida, con un bel sole caldo. Ottimo inizio d'avventura. Ceniamo al ristorante à la carte, quindi a letto.

19 Aprile
Nottata infame. Vuoi per il rollio della nave, o per l'emozione del viaggio, oppure per l'ansia di dover sbarcare alle 5 del mattino a Igoumenitza, abbiamo trascorso la notte in un tediosissimo dormi-veglia. Comunque, in mezzo al denso fumo emesso da un TIR il cui motore è scoppiato nella discesa della rampa del ferry, siamo a terra e, attorno alle 7, stiamo già allegramente marciando verso Joannina per affrontare il Passo Katara (1680 m.) e i tornanti che attraversano i monti dell'Epiro coperti di neve.. La temperatura è +3 °C e c'è neve fresca ai lati della strada.
Finalmente, dopo 200 km, nei pressi delle Meteore (che non visitiamo avendole già viste) i tornanti finiscono. Superiamo Tessalonica e, dopo un percorso abbastanza noioso, complice anche la pioggia, raggiungiamo Kavala, graziosa cittadina portuale sull'Egeo. Parcheggiamo in centro, al porto. In attesa di cenare, visitiamo al città vecchia e il Palazzo di Mehemet Alì (XVI sec.) dove è nato Re Faruk. Ceniamo con pesce in un ottimo ristorante al porto. (Km 610)

20 Aprile
Freschi e riposati ci avviamo verso la frontiera turca che raggiungiamo in meno di due ore. È una lieta sorpresa scoprire che hanno rinnovato tutta la struttura. Le formalità doganali sono diventate molto più rapide e facili. Costo del visto 5$ a persona. Dopo aver incassato col Bancomat 250 milioni di Lire turche (1 € = 1.780.000 Lire turche) ci avviamo verso Istanbul. Si viaggia molto spediti e, alle 14,45, attraversiamo il ponte sul Bosforo. In meno di 48 ore siamo arrivati… in Asia! Il traffico è veloce, ma non caotico. L'autostrada attraversa i sobborghi della grande metropoli che mostra la consueta architettura turca: grattacieli di mille colori, case a schiera abbarbicate sulle pendici delle colline, sagome missilistiche di sottili e slanciati minareti. Prima della cittadina di Bolu, l'autostrada s'interrompe. Dobbiamo valicare un passo di oltre mille metri, inerpicandoci lungo una strada a doppia carreggiata intasata di camion e corriere. A parte i minareti, sembra di essere in Svizzera, anche perché sta nevicando. La temperatura è scesa sottozero! Dopo una ventina di chilometri, l'autostrada riprende. Usciamo a Gerede con direzione Samsung. Verso le 19, ci fermiamo in una stazione di servizio dove decidiamo di passare la notte. Dall'annesso ristorante esce un ottimo profumo di Kebab, ne ordiniamo un piatto. Con nostra grande sorpresa veniamo serviti in camper. Fuori nevica… (Km 778)

21 Aprile
Accompagnati da un clima polare ( nevica e la temperatura è sempre sottozero) ripartiamo verso il Mar Nero. Verso le 9, scopriamo che la Turchia non è solo il paese dove i benzinai ti offrono il thé prima di fare il pieno, ma è anche il luogo dove la polizia non ti perdona l'eccesso di velocità. In meno di 20 minuti collezioniamo 2 multe, un record, scoprendo poi che, scambiandoci per camion, hanno applicato il limite degli 80km/h. La prima multa (64 milioni di lire turche a testa) viene pagata col sorriso sulle labbra; alla seconda, le nostre osservazioni sul fatto che non siamo camion ma autocaravan, ottengono il risultato di vederci affibbiare un verbale pagabile solo in banca, con tanto di annotazione sul foglio d'importazione temporanea del veicolo. Ci fermiamo al primo grosso paese, Osmancik, come ci aveva consigliato uno dei poliziotti più trattabili, e raggiungiamo una banca. Qui cadono dalle nuvole. Tutta la banca si ferma. Gli impiegati cominciano una serie di telefonate e dopo una mezz'oretta, ci dicono di seguire uno di loro. Questo ci porta nella sede comunale e lì riusciamo a capire che la contravvenzione deve essere pagata all'esattoria del municipio. Arriva anche il capo della polizia locale che si accorge con grande imbarazzo dell'errore commesso dai colleghi. Col cellulare chiama il comando da cui dipendono i militi che hanno elevato la contravvenzione (non sono in forza al suo distretto) e ci dice che per risolvere la questione bisogna andare di persona in quella sede. Dista 100 km indietro. Paghiamo e ripartiamo con le scuse e la strette di mano del capo della polizia di Osmancik.
Sarà per il clima piovigginoso e per un tentativo di rispetto meticoloso dei limiti di velocità, ma il percorso diventa molto noioso. Luciano mi avvisa per radio che sta addormentandosi. Riprendiamo una guida veloce con rispetto "all'italiana" dei limiti. Arrivati a Samsung, la strada prosegue costeggiando il Mar Nero. Ci concediamo una sosta a Unye, graziosa cittadina balneare, dove il proprietario di un bar-ristorante in riva al mare ci offre un thè. Ci parla sconsolato dell'invasione turistica russa che sta creando qualche problema di vivibilità in queste zone che prima vivevano solo di turismo locale, nocciole e ciliegie. Ripartiamo e la strada diventa improvvisamente tortuosa e piena di camion, con continui saliscendi. Verso le 19, poco prima di Piraziz, ci fermiamo da un benzinaio per la sosta notturna. Ceniamo nell'annesso selfservice. (Km 578)

22 Aprile
Proseguiamo lungo la costa del Mar Nero, trasformata in un immane cantiere per la costruzione di una futura superstrada, fino a Trabzon, la mitica Trebisonda di Marco Polo. Non ne è rimasto praticamente nulla, tranne Aya Sofia, chiesa bizantina con ben conservati affreschi. Superiamo Riza, la capitale turca del thè le cui piantine vengono da noi scambiate per mirtilli (!) e infine, verso le 15, all'uscita di un tunnel, sbattiamo contro i cancelli della frontiera turco-georgiana. Impieghiamo poco meno di due ore (che diventano 4 per via del fuso orario) a sbrigare le formalità doganali con il pagamento di 55 USD a camper e 8 Lati per la disinfezione dei mezzi. Alle 19, ora locale, siamo in Georgia. Inizia la vera avventura. L'entusiasmo si smorza rapidamente dopo 20 minuti a Batumi, dove veniamo letteralmente assaliti dalla polizia e depredati di 15 USD a camper in cambio della "scorta" fino a Koluleti. La scorta si traduce in un gorilla in divisa che sale sul nostro camper e ci consente di superare indenni altri 4 o 5 posti di blocco, per consegnarci infine ad altri "colleghi" i quali dovrebbero "scortarci" il giorno dopo. Frastornati da una simile accoglienza, andiamo a letto molto arrabbiati meditando la vendetta.(Km.380)

23 Aprile
La notte porta consiglio. Troviamo la soluzione per tenere a bada la polizia. Stamani, il mondo ci sembra migliore: splende un bel sole, è caldo e i poliziotti-scorta si fanno di fumo appena sventoliamo loro sotto il naso il numero telefonico dell'Ambasciata italiana e un biglietto da visita di un'agenzia turistica georgiana raccattato alla BIT di Milano il febbraio passato. Ai successivi posti di controllo unicamente sorrisi, battute e, una sola volta, registrazione del passaporto. Sarà l'ultima volta che veniamo fermati dalla polizia in Georgia. Unico neo in quello splendido inizio di giornata: le strade. Sono tutte una buca e, nell'ordine, bisogna scansare, oltre alle voragini che ti si aprono davanti, quadrupedi di ogni razza e, nei paesi, i fili elettrici che sono molto bassi. Bene o male, tra una buca e un vitello, arriviamo a Kutaisi. Da qui ci arrampichiamo al Monastero di Gelati, un gruppo di edifici del 1100, fondato da Re Davit e dedicato a Sant'Anna e San Gioacchino. Ci fa da cicerone il gentile custode che ci racconta la storia del monastero in un misto di russo e inglese. È una pausa molto rilassante e piacevole, dopo tanti giorni di guida. Ripartiamo. La strada, mucche a parte, diventa molto più scorrevole e liscia. Le pattuglie della polizia elargiscono grandi sorrisi al nostro passaggio. Nient'altro! Attraversiamo graziosi paesetti di montagna dove sfornano delle "piadine" molto buone da buffi forni ricavati in otri di creta. Ci fermiamo per trascorrere la notte presso un benzinaio-ristoratore turco, lungo una amena valle a 1000 metri di altitudine. Ben presto il parcheggio si popola di TIR e di prostitute con tanto di regolare falò… tuttavia il luogo è assolutamente tranquillo e sicuro. (Km 289)

24 Aprile
Con un clima nuvoloso e freddo, arriviamo a Gori. Poco male, dobbiamo visitare il Museo di Stalin. Egli nacque in questa cittadina, piuttosto brutta, e fece restaurare la casa paterna vicino alla quale fu eretto anche un museo dedicato alla storia della sua vita. Gli interni del museo non sono illuminati, ed è un vero peccato. Nella sala dove è esposta la sua maschera funebre il buio è totale. Comunque la visita è interessante, anche se la guida parla solamente il russo. Una vetrinetta, in cui sono conservati doni offerti a Stalin, ci riporta alla memoria Don Camillo e Peppone: al suo interno, fra gli altri, spicca una colomba bianca regalo di un gruppo di affezionate lavoratrici di Mantova del 1952. La dedica recita: al campione della pace, J.V.D Stalin… Quando usciamo il sole splende permettendoci di godere appieno la tappa successiva, Mitskheta. È questa la ex capitale religiosa e storica della Georgia. Vi sono chiese del XI secolo, in una delle quali, secondo la leggenda, è sepolta la tunica di Cristo. All'interno di esse si trovano degli ottimi affreschi il cui unico difetto è quello d'essere consumati sino ad altezza d'uomo. Comprendiamo subito il perché: tutte le persone vi pregano davanti e, come atto di devozione, li baciano più volte. Poco lontano da Mitskheta, appollaiato su di una collina quasi irraggiungibile, c'è il Monastero di Jivari. Ci arriviamo solo grazie all'aiuto di un poliziotto il quale ci scorta lungo una strada a senso unico, permettendoci di raggiungere la vetta della collina. Dopo questo tuffo nell'architettura religiosa georgiana, riprendiamo il nostro cammino. La strada avrebbe delle velleità da superstrada (3 corsie), se non fosse per le buche, le mucche e la guida folle dei locali. Comunque arriviamo a Tbilisi, che avremmo dovuto visitare al ritorno se non avessimo cambiato programma. Superiamo indenni la città e, nonostante la totale mancanza di cartelli segnaletici, imbocchiamo la strada per Lagodeki. Attraversiamo poverissimi villaggi e squallide aeree industriali in sfacelo. In distanza, s'intravedono i primi contrafforti del Caucaso. Iniziamo a cercare un luogo ove parcheggiarci e sembra ormai destino trascorrere l'ennesima nottata nella triste area di un benzinaio, quando accade il miracolo: davanti a noi si para un ristorante in stile quasi svizzero, nuovo, pulito e ordinato. Insomma un sogno nella miseria generale. La cena, spiedini e contorni vari, è splendida e all'altezza dell'immagine che il posto offre. (Km 253)

25 Aprile
Piove che di più non si può. Con somma calma ci avviamo verso Telavi per un giro panoramico ai piedi del Caucaso del quale non vedremo quasi nulla essendo avvolto da nebbie e nuvole. A Tsinandali cerchiamo di visitare le famose cantine di Shevardnaze, ma purtroppo oggi sono chiuse in quanto è il venerdì santo ortodosso. In compenso, una signora cui abbiamo chiesto informazioni si qualifica come collega e ci invita a visitare il suo studio medico. Sembra di tornare ai tempi del Dottor Zivago. Indimenticabile il gabinetto dentistico, dove il collega lavora praticamente al buio; il "laboratorio" in cui gli strumenti sono tutti manuali perché tanto la corrente va e viene e comunque non sarebbe sufficiente a far funzionare alcunché; lo studio antidiluviano del ginecologo, la piccola e bassa stufa a legna che riscalda i vari locali; il misero arredamento; e farmaci da noi non più usati. Ripartiamo tristissimi, non senza aver lasciato qualche dono utile e la promessa di inviare, se possibile, materiale sanitario. Proseguiamo lungo la valle dove la miseria ci viene incontro in tutte le sue manifestazioni. Abitazioni fatiscenti, strutture pubbliche ex sovietiche abbandonate o, se utilizzate, in pietoso stato di degrado, volti tristi. Gentilezza, ma pochi sorrisi. E dire che questa area dovrebbe essere una zona di produzione vinicola, dunque meno povera! Arriviamo all'altro versante della vallata che è molto più gradevole, essendo occupato quasi completamente da pascoli ai piedi delle montagne, ma la magrezza dei bovini fa capire tante cose! Arriviamo infine a Lagodeki. Qui, gentilmente ci accompagnano all'ingresso del Parco Naturale
(una zona protetta al confine fra Azerbaijan e Daghestan) dove possiamo tranquillamente pernottare davanti all'ex albergo dell'ex URSS che ora ospita solo nidi di rondine e, saltuariamente d'estate, nell'unica ala ancora agibile, qualche squadra di calcio. Domani attraverseremo il confine. Si aprono scommesse, l'Azerbaijan è più o meno povero della Georgia? (Km 187)
26 Aprile
Alle 9 siamo al check-point di Balakay: sono tutti molto sorridenti, gentili e curiosi, cosicché alle solite ed eterne formalità, visita medica compresa (!), si aggiunge anche la "visita turistica" del camper ed il the di benvenuto! Il costo dell'ingresso (assicurazione, tassa camper. ecc) è di 125 $ a camper (compresi 10 $ di mancia).
Verso le 10.30 ci raggiunge Gourban Alekserov, la guida inviataci dall'Agenzia, talmente entusiasta e comunicativo da essere citato a pag. 348 della guida EDT. In effetti non sta mai zitto ed è una miniera inesauribile di informazioni sul suo paese, oltre a parlare correntemente 5 lingue ed essere archeologo. Sarà anche per merito suo, ma il primo impatto con l'Azerbaijan è decisamente gradevole.
La nostra meta è un villaggio in mezzo al Caucaso a 10 Km dalla frontiera russa che si trova ad un Passo di 3400 m attraversato da una pericolosa mulattiera e guardato comunque a vista dai militari. Attenzione a dove si punta l'obiettivo della fotocamera! Al villaggio, visitiamo le rovine di una torre, una fortezza russa zarista, o meglio, ciò che ne rimane, e il villaggio stesso, che fra qualche anno e con un po' di fantasia potrebbe diventare una meta turistica molto gradevole. A pochi Km, in un'amena vallata a 1700 m di altitudine, è già sorto un grazioso complesso, gestito da una simpatica coppia russo-azera, con albergo, bungalow e ristorante, nel cui parcheggio trascorreremo la notte. Unico neo: siamo in un paese musulmano e questo ristorante non serve alcolici. (Km 98)

27 Aprile
Giornata globalmente e totalmente piovosa. Nonostante la pioggia, affrontiamo stoicamente una scarpinata in mezzo al fango ed al letame, per di più in salita, per visitare le rovine (e qui quando si parla di rovine sono proprio tali) di un Monastero Albanese del VI secolo.
Quindi ci dirigiamo verso Saki, antica città sulla Via della Seta, e una delle poche mete turistiche azere anche in epoca sovietica. Purtroppo arriviamo che sta diluviando e le strade sono trasformate in fiumi in piena, il ché è abbastanza preoccupante visto che in passato la cittadina è stata distrutta ben due volte da furiose inondazioni. Raggiungiamo il parcheggio dell'ex Caravanserraglio, attualmente albergo e ristorante, situato nella parte alta del paese e da qui, in un momento di tregua del tempo, visitiamo il Palazzo del Khan (solo la parte esterna e per gentile concessione delle guardie perché il palazzo è in ristrutturazione) e il Museo dell'Artigianato ospitato in una chiesa del VI secolo. Siamo di nuovo fradici. Per fortuna il nostro camper, a differenza dell'albergo, è dotato di doccia calda. La sera, cena luculliana all'ex Caravanserraglio, struttura imponente e con interni splendidi: antipasti, zuppa con tortelli ripieni di carne e ricotta(!), montone alla brace, polpette di montone… testicoli di montone e infine un dolce locale che è un vero attentato alla salute: noci tritate tra due strati di pasta fritta ricoperto da una glassa dolcissima, il tutto annaffiato da thè, birra e, essendo finita l'acqua minerale, vodka. Costo: 6$ a testa! (Km 115)


28 Aprile
Sta cominciando a nevicare. Abbandoniamo ogni ipotesi di visita turistica ad altre località vicino a Seki e decidiamo di dirigerci direttamente a Baku. Durante il viaggio ci limitiamo a poche soste: la prima per fotografare un gigantesco platano attorno al quale è stata costruita una sala da the; la seconda per visitare la semiabbandonata Moschea di Samaxi, che fu teatro agli inizi del secolo di una strage di azeri ad opera di armeni; la terza per visitare i coni di fango ribollente per la fuoriuscita del metano, per raggiungere i quali sprofondiamo noi stessi in un' appiccicosa melma. A metà pomeriggio ci lasciamo definitivamente alle spalle il Caucaso innevato e raggiungiamo Baku. Il traffico è abbastanza caotico, ma raggiungiamo facilmente il parcheggio dell'Hotel Absharon sul lungomare. Tentiamo invano di prenotare il traghetto per il Turkmenistan, ma sembra non sia arrivato causa tempesta (sic!). La sera cena dietetica in camper.

29 Aprile
Con uno scassato pulmino a nolo partiamo verso il Qobustan per visitare la zona dei graffiti rupestri. L'entusiasmo di Gourban ci fa sopportare allegramente i sobbalzi e gli scossoni dovuti alla strada e la visione apocalittica della periferia di Baku: un'immane foresta di pozzi di petrolio arrugginiti ma funzionanti, circondati da pozzanghere oleose, casupole misere, insediamenti industriali da day-after, spiagge con velleità turistiche, ma con vista sulle piattaforme, il tutto reso ancor più squallido dal grigio plumbeo del cielo. I graffiti preistorici sono molto suggestivi e riportano la fantasia ai tempi in cui qui c'era una splendida e vitale savana. Rientriamo a Baku per la visita della città vecchia e poi di nuovo altri chilometri lungo sconnesse strade per visitare la Penisola di Absharon col Tempio del Fuoco (attualmente alimentato da gas metano) e la Collina che brucia per la fuoriuscita spontanea del metano. Qui, finalmente riusciamo anche a scaldarci e a ritemprarci coi soliti spiedini di agnello. Rientrati alla base tentiamo un nuovo approccio al traghetto. Inizialmente, sembra impossibile prenderlo. Poi, improvvisamente e senza un perché plausibile, bisogna portare il camper immediatamente all'imbarco perché "fra 20 minuti la nave parte". Poi attesa di un'ora con mercanteggiamento del prezzo e infine, non ci sembra vero, siamo sul Mercury 1, un vecchio traghetto che ha conosciuto tempi migliori e termina la sua onorata carriera, speriamo non questa volta, trasportando vagoni merci e rari passeggeri fra le due sponde del Mar Caspio. A bordo, siamo solo noi e una famiglia turkmena. I materassi delle cabine ostentano macchie assai sospette e, quanto alle coperte, non bisogna essere assolutamente schizzinosi. Ovviamente non c'è servizio ristorante e terminiamo la serata in compagnia di alcuni membri dell'equipaggio che, in palese stato di ubriachezza , ci invitano a dividere con loro vodka e cipollotti. Ci rende molto ansiosi il fatto che uno di loro è in possesso dei nostri passaporti: pare che questo sia assolutamente normale in vista delle formalità doganali di domattina.

30 Aprile
Nonostante le premesse abbiamo dormito benissimo. Siamo in vista della costa turkmena; il Mar Caspio è di uno splendido colore turchese. Otteniamo di scendere nel camper per farci un caffè, visto che a bordo non c'è nulla che assomigli ad un posto di ristoro. Insomma tutto va per il meglio e stiamo per attraccare… quando, ad un metro dal pontile, improvvisamente la nave fa marcia indietro e si allontana sempre più velocemente verso il mare aperto. Sgomento e incredulità. Si fanno strada le ipotesi più assurde: abbiamo sbagliato traghetto, si sono interrotte le già tese relazioni diplomatiche fra i due Stati, è scoppiata una guerra… niente di tutto ciò. La causa è un guasto elettrico al pontile che impedisce l'attracco della nave. Come e quando sbarcheremo non è dato sapere. Come dicono da queste parti: Insciallah! Trascorriamo lentamente la giornata in una situazione surreale. Ci hanno concesso di rimanere in camper, abbiamo tirato giù le sedie e contempliamo il mare dal portellone aperto del ferry. Arriva un membro dell'equipaggio e si mette a pescare; arriva la famiglia turkmena e le facciamo fare la solita visita guidata del camper. Ogni tanto all'orizzonte compare la sagoma di una nave. Finalmente alle 18, si levano le ancore e un'ora dopo siamo al porto di Turkmenbashi.
Qui cominciano le comiche. Noi di qua dal portellone, loro di là, con tanto di mascherina in faccia a contemplarci curiosissimi. Arriva il Dottore accompagnato dall'Epidemiologo, scena che spiace non poter riprendere per via della frontiera. I due ci pongono una serie di domande, poi se ne vanno e aspettiamo non si sa cosa. Dopo un'ora circa ci fanno sbarcare i mezzi, li misurano e quindi con una pompa a mano li disinfettano col cloro; discutono fra loro se sia il caso di disinfettare anche gli interni, ma per fortuna, alle nostre rimostranze, cambiano idea. Nel frattempo è arrivata la nostra guida temporanea (siamo in anticipo di un giorno) che dovrebbe aiutarci a disbrigare le complesse formalità. E' un ragazzo armeno molto sveglio, ma di fronte all'elefantiaca burocrazia turkmena anche lui si deve arrendere. Noi l'abbiamo già fatto ed attendiamo con filosofia tutta orientale l'evolversi degli eventi, contenti solo di aver rivisto dopo 24 ore i nostri passaporti e sapere che stanno passando da una baracca all'altra per le routinarie, numerose registrazioni.
A mezzanotte siamo ancora qui. Abbiamo anche subito una disinfezione del cavo orale con un antidiluviano apparecchio a raggi UV (almeno così sembra di aver capito) secondo le recentissime disposizioni del governo. Solo in quel momento, e per validissimi motivi, col tono aggressivo delle grandi occasioni, ci rifiutiamo di avvicinare la bocca all'apparecchio a meno di 20 cm. La collega, bardata come se dovesse affrontare una guerra batteriologica, comprende le nostre ragioni e fa quel che deve fare, ma a distanza di sicurezza. Seguono poi altri andirivieni da un ufficio (meglio sarebbe definirli ripostigli) all'altro, altre scartoffie, altri timbri. Una cosa sola si può dire (e che rende forse meno umoristica la scoperta che il Turkmenistan è gemellato con la Svezia!), che non c'è assolutamente corruzione, almeno qui e per quanto ci riguarda. Nessuno chiede un soldo più del dovuto.
Finalmente verso l'una e venti, usciamo dalla frontiera e scopriamo che vige il coprifuoco e che dopo le 22 non si può girare in macchina. Siamo a circa 100 metri dalla frontiera, ma c'è un posto di blocco dove veniamo controllati e registrati di nuovo. Otteniamo di poter andare al nostro parcheggio presso un albergo a 20 km di distanza, e vi arrviamo dopo aver rischiato di investire una donna ubriaca che camminava nel bel mezzo della strada. Nonostante la stanchezza realizziamo di essere arrivati in un paese assai curioso: dalle baracche della frontiera siamo ora davanti ad un avveniristico e luminosissimo albergo al cui ingresso domina la statua dorata del Presidente Nyazov.

1 Maggio
Dopo aver curiosato in quella cattedrale nel deserto che è l'albergo, partiamo verso la capitale, non prima, però di esserci riforniti di valuta locale. Oggi è festa e la banca è chiusa. Niente paura, il bazar di Turkmenbashi, questo è il nome del porto turkmeno, pullula di giovanotti che sventolano mazzi di banconote. Così facciamo ciò che tutte le guide sconsigliano di fare perché illegale e, in cambio di 50 euro, ci ritroviamo con un malloppo di banconote che non stanno nelle tasche. Occorre fare il pieno. Altra lieta sorpresa: basta l'equivalente di 1 $ (!) per riempire il serbatoio. In compenso nel regno del petrolio, le pompe di benzina sono antidiluviane, e così se non si sta più che attenti si fa il bagno nel gasolio (cosa che succede sia a Luciano che a Maurizio, con grande gioia delle nostre telecamere).
La strada verso Ashgabat è in discrete condizioni e si snoda per 580 km, dapprima in mezzo al deserto (che è tale anche se allagato dalle recenti piogge), poi attraverso una pianura coltivata che si allarga ai piedi delle montagne che segnano il confine con l'Iran. Avvistiamo i primi dromedari, ci fermiamo agli innumerevoli posti di blocco, dove molto gentilmente registrano i nostri dati. I fumatori del gruppo devono dedicarsi al loro vizio di nascosto perché il Presidente ha proibito di fumare all'aperto! Secondo Stato al mondo dopo il Butan. Osserviamo stupiti le gigantografie col faccione bonario del dittatore o con le sue frasi storiche. Ci accorgiamo dall'asfalto, diventato improvvisamente velluto, che siamo ormai vicini alla capitale.
Ashgabat ci accoglie in un tripudio di aiuole, fontane, statue dorate del Presidente e della sua Mamma. Marciapiedi e strade sono pulitissimi e circondati da edifici sontuosi con poliziotti e militari ad ogni angolo. Presenza silenziosa ed inquietante. Basta che puntino il manganello e ci si deve fermare per la solita identificazione. Sono molto corretti tuttavia, e si aprono in grandi sorrisi appena sentono il nome Italia. Nessuno chiede alcunché. Non pensavamo che gli italiani fossero tenuti in sì grande considerazone. Sorprendente è anche l'albergo nel cui parcheggio trascorreremo le prossime notti. È un bell'hotel, gestito da un simpaticissimo ed intraprendente compatriota, il Sig Luigi, aiutato da Marietto, che ospita in un'atmosfera di amicizia e cordialità tutta l'enclave straniera di passaggio ad Ashgabat. Diventa normale, fra un piatto di taglioline all'amatriciana e uno di gamberoni del Golfo (del Barein, s'intende, giunti freschi in aereo, e il cui sceicco ci passa accanto con un largo sorriso) chiacchierare con l'Ambasciatore di qualche paese europeo o addirittura trascorrere un piacevolissimo dopocena conversando con Sua Eccellenza il Nunzio Apostolico di Ankara. (Km 581)

2 Maggio
Dopo che Luigi ci ha fatto orgogliosamente visitare tutto l'albergo, offrendoci anche la prima colazione, ci avviamo alla scoperta di Asghabat in compagnia di Maya, una simpatica ventunenne turkmeno-ucraina che ci farà da guida. Dalla famosa statua dorata del Presidente, alta 70 m e che ruota seguendo il sole, ai sontuosi palazzi, alle magnifiche fontane (in un paese occupato dal deserto per il 90%), ai curatissimi giardini, ai monumenti inneggianti Turkmenbashi (il padre dei Turkmeni, cioè Nyazov) e al suo libro Ruhama (che è testo obbligatorio nelle scuole), tutto concorre a creare un'atmosfera da operetta buffa, se non fosse per la costante presenza di poliziotti in divisa e in borghese che controllano ogni movimento e ti fermano in qualsiasi momento per dar un'occhiatina al passaporto. E guai se ci si scorda la registrazione presso l'Ovir. Essa è obbligatoria e va fatta entro tre giorni dall'ingresso in Turkmenistan, per tutti coloro che vi soggiornano per più di cinque. Senza la registrazione, il passaporto viene ritirato e può passare qualche giorno prima che la situazione si sblocchi… Altra cosa da ricordare prima di affrontare la visita del centro di Asghabat, è quella di svuotare bene la vescica e non bere: fra tanti magnifici palazzi e giardini nessuno a pensato ad una toilette! Al pomeriggio visita del Museo del Tappeto con spiegazioni fin troppo esaurienti del significato simbolico dei disegni. Qui è anche esposto il più grande tappeto del mondo, 301 mq, riportato sul Guinness dei Primati.

3 Maggio
Con un pulmino a nolo raggiungiamo Nisa, l'antica capitale del regno dei Parti, le cui rovine sono situate in uno scenografico sfondo di montagne. Qui, stanno lavorando due equipe archeologiche, una russa ed una… italiana, che si odiano cordialmente. Scambiamo due chiacchiere con gli italiani che sono arrivati da qualche giorno. Sono giovani con un po' di boria, che gli sarà passata completamente quando li rivedremo al nostro ritorno ad Ashgabat, per via di una fesseria commessa a cuor leggero. Ci avviamo poi verso Kow-Ate, una grotta che ospita nelle sue profondità un lago termale con acqua a 36°. Dopo aver percorso praticamente al buio una scalinata di 250 metri, ci si può immergere per una salutare (?) nuotata, cosa che, dopo un attimo di perplessità, ci affrettiamo a fare anche noi. Anche questa è un'esperienza. Tornati in superficie, ci dedichiamo ad un rilassante pic-nic a base di spiedini, mentre la zona si popola di cicalanti turkmene dai coloratissimi vestiti. Sulla strada del ritorno sosta alla Moschea di Geok-tepe che sorge sulla collina che vide l'ultima eroica resistenza opposta dai Turkmeni all'esercito zarista. È assai poco frequentata come luogo di culto e, per volere del Presidente, la madrasa non è funzionante. Torniamo alla base, dove ci attendono sauna, bagno turco, piscina, idromassaggio e 30 minuti di rilassanti massaggi operati di Svetlana. In questo paese i camperisti sono trattati benissimo! La sera, da bravi turisti quali siamo, andiamo a cena in una yurta alla periferia di Asghabat dove finalmente assaggiamo il pvlov, piatto nazionale a base di riso verdure e carne. Un gradevole diversivo ai soliti shaslik.

4 Maggio
In mattina ci immergiamo nella coloratissima confusione del Bazar Tolkuska, che raggiunge il suo apice la domenica, cioè oggi. Vi si trova di tutto: dai tappeti alle sete, dai cammelli alle spezie, dai giganteschi cappelli di pelo, ai gioielli e alle mercanzie più varie. Colori, suoni, odori: una vera manna per fotografi e videoamatori. Anche qui però, l'occhio vigile del potere non demorde. Veniamo fermati e cortesemente pregati di mostrare i passaporti per la solita registrazione. Trascorriamo il pomeriggio riposandoci in piscina e, la sera, cena all'italiana con la gradita sorpresa di mangiare due fette di salame in compagnia del Nunzio Apostolico di Ankara. Per finire la serata, Luigi ci accompagna in una visita di Ashgabat by-night, talmente illuminata da sembrare Las Vegas, se non per il fatto che in giro non c'è nessuno. Visitiamo altri due alberghi voluti dal Presidente e gestiti da Luigi. Sono molto eleganti, molto belli, molto vuoti. Pare che da ieri Nyazov abbia sospeso tutti i visti di ingresso in Turkmenistan con la scusa della Sars.

5 Maggio
Dopo aver salutato Luigi, imbocchiamo la strada per Mary che si snoda per 350 km attraverso una pianura a tratti coltivata, poi sempre più desertica. La rotabile costeggia le montagne che confinano con l'Iran e l'Afghanistan. Uniche soste ai posti di blocco, sempre più numerosi, con momenti assolutamente ameni: "da dove venite?…", "Italy…", "portateci con voi…" implora un militare, il tutto in un complicato, ma comprensibile miscuglio linguistico. Alle16 arriviamo a Mary e parcheggiamo all'ombra di un gigantesco Hotel ex-Intourist che niente ha a che vedere col Nissa Hotel. Non si può nemmeno telefonare ad Ashgabat, figuriamoci in Italia… La cittadina è graziosa, cosparsa di nuovi monumenti e di fontane del Presidente. C'è anche un gradevole bazar. (Km 378)

6 Maggio
A 16 km da Mary sorgono le rovine di Merv, una delle più antiche e grandi città dell'Asia Centrale lungo la Via della Seta. Le sue origini si perdono nella notte dei tempi e pare che i racconti delle Mille e una notte si siano ispirati ad essa. Oggi ci vuole molta fantasia a ricostruire il tutto e forse qualche spedizione archeologica non guasterebbe. Comunque, bighellonare fra vecchi muri pieni di nidi di uccelli, raccogliendo cocci più o meno antichi sotto l'occhio benevolo e saggio dei dromedari ha un certo fascino, anche perché siamo soli. Manca persino la polizia!
Ripartiamo da Merv, inoltrandoci progressivamente nel KaraKum, uno dei più vasti deserti sabbiosi del mondo. La nostra destinazione è la Riserva Desertica di Repetek. Qui, veniamo accolti da un tizio che pretende 200 $ quale diritto di ripresa ( per non più di un'ora) per ciascuna delle due telecamere che abbiamo con noi. Nonostante il pernottamento in camper sia già stato pagato dall'agenzia, decidiamo di andarcene tanto più che, come si può ben immaginare, il deserto è sempre uguale sia dentro sia fuori dalla riserva. Ci parcheggiamo poco lontano, vicino ad un posto di blocco, praticamente in mezzo alle dune. Luciano ed io ci avventuriamo subito armati di fotocamera, pronti ad immortalare scarabei giganteschi, impronte di scorpioni grandi come topi (purtroppo solo le impronte) e lucertole di varie dimensioni. Per non fare la figura del pirla evitiamo di fotografare un bacchetto che sembra un serpente… e così facciamo i pirla due volte, perché il bacchetto saetta via strappandomi un urlo atroce. Ci diranno poi che si tratta del Serpente Freccia, una delle tre varianti velenose che abitano questo "paradiso". La notte, invece, ci fanno compagnia branchi di sciacalli, che, attirati dai resti della nostra cena (ci siamo messi anche noi a cucinare spiedini di montone!), si aggireranno furtivi attorno ai camper. (Km 228)

7 Maggio
Partiamo alla volta dell'AmuDaria, il fiume pazzo, questo vuol dire il nome, che con i suoi cambiamenti di percorso ha plasmato e modificato la storia di questi paesi. Attualmente scorre a cavallo fra il Turkmenistan e l'Uzbekistan separando con una fascia fertile il Karakum (deserto Nero) dal KizilKum (deserto rosso). Per superare il fiume, bisogna sperare che sia in piena, perché il ponte che lo attraversa è un'improbabile struttura di ferro, fatta costruire dallo Zar nel 1901. E' ovvio che se l'acqua è scarsa, i vari cassoni galleggianti che lo compongono, non collimando fra di loro, creano dei dislivelli difficilmente superabili per i nostri mezzi. Per fortuna le recenti piogge hanno fatto il loro dovere. Rimane da superare lo scoglio umano che si materializza sotto le spoglie di un solerte funzionario, il quale, non contento del foglietto verde che gli presentiamo assieme ai passaporti, pretende anche un foglietto giallo di immigrazione che non possediamo. Niente lo smuove, neppure un tentativo di corruzione operato da Luciano. Dopo 30 minuti, decide di lasciarci passare comunque. Paghiamo un pedaggio di 50 $ anziché i normali 10, perché alla frontiera hanno sdoganato il camper sotto la voce "autobus" e non autocaravan. L'accesso al ponte è un tipico sterrato da gara per fuoristrada e i fangosi avvallamenti sono riempiti di fascine per diminuire lo sbalzo fra riva e ponte. Quest'ultimo è lungo un chilometro e mezzo e, ogni qualvolta un mezzo pesante transita da un pontone all'altro, l'ultimo, sgravato dal peso del camion, si solleva di almeno 20-30 cm. Insomma attraversarlo non è semplicissimo. A metà, tanto per complicare ulteriormente le cose, c'è un punto di blocco e di registrazione, posto su di una barca ancorata alla spalletta del ponte, dove è obbligatorio fermarsi. Riusciamo comunque ad arrivare dall'altra parte e, dopo ulteriori numerosi e snervanti controlli arriviamo finalmente alla frontiera con l'Uzbekistan.
Straordinariamente impieghiamo solo 45 minuti ad uscire dal "libero stato" del Turkmenistan e altri 90 minuti per entrare in Uzbekistan (costo di assicurazione e tassa diesel 35 $). Sembra di essere in un altro mondo: strade di standard quasi europeo, c'è la linea per il cellulare (in Turkmenistan manca), si fuma liberamente con gran gioia dei viziosi del gruppo, e i posti di controllo sono rarissimi. In meno che non si dica siamo a Bukhara, accolti con gentilezza e curiosità nel parcheggio dell'Hotel NewBuchara, uno splendore a 5 stelle dagli interni sontuosi.
Ci buttiamo per le vie della città vecchia e del Registan. In cima alla cittadella non c'è nessuno ed una guardia, in cambio dell'acquisto di alcune cartoline, ci accompagna in un'area chiusa al pubblico, perché ancora piena delle macerie di un bombardamento del 1920, dalla quale si gode uno splendido panorama della città. Complice la luce del tramonto ci scateniamo in un'orgia fotografica. Questa sera, dopo aver ricevuto in cambio di 2 banconote da 50 euro, un chilo di banconote locali, ceniamo al ristorante dell'hotel. Memorabile la confusione che facciamo al momento del conto. Ogni banconota vale 200 lire! (Km 211)

 

8 Maggio
Giornata dedicata alla visita di tutto ciò che c'è da vedere: moschee, madrase, mausolei, bazar, caravanserragli e la dimora dell'ultimo emiro. La guida, che fa questo mestiere dai tempi dell'Intourist, parla italiano egregiamente, il che ci facilita molto. Inutile descrivere lo splendore dei monumenti. Bisogna andarci! Pomeriggio dedicato agli acquisti (i tappeti sono molto a buon mercato) e serata in un grazioso ristorantino sulla Labi-hauz, la più famosa e caratteristica piazza di Bukhara, con i suoi gelsi ultracentenari (il menù comunque è sempre quello: o shaslik o pvlov!)

9 Maggio
Clima freddo e piovoso. Ci avviamo, attraverso una landa semidesertica, verso Shakhrisabz, la patria di Tamerlano. La segnaletica è assai scarsa, ma fortunatamente ad ogni incrocio c'è sempre qualcuno che dà un a mano. Giunti alla cittadina, la visitiamo. I monumenti, con le loro belle cupole blu, sono ben restaurati e meritano sicuramente la visita, anche con la pioggia. Un custode ci apre la cripta che contiene la presunta tomba di Tamerlano e intona la preghiera del Muezzin, il tutto dietro compenso, ma la suggestione della penombra e del canto sono molto suggestivi.
Ci dirigiamo poi verso il passo di Amakutan (1700 m) per raggiungere Samarcanda. Grava una nebbia insistente ed in cima al passo c'è una coda di automezzi che attende pazientemente di transitare. Scopriamo che una frana di fango ha interrotto la strada, decidiamo di fare dietro front e di raggiungere Samarkanda per una strada alternativa. Diluvia, sta venendo buio e la strada in questione è quasi impercorribile per le buche. Samarkanda è sempre di più un miraggio! Finalmente arriviamo: manca il cartello e quindi non possiamo scattare la storica foto. Poco male, tanto è ormai notte e piove a dirotto. Troviamo rapidamente il parcheggio dell'Hotel Aphrodisia, dove, come al solito siamo accolti con grande gentilezza e premura. Cena in camper. (Km 516)

10 Maggio
La pioggia di ieri è solo un ricordo. Splende il sole. L'hotel presso cui siamo parcheggiati è in pieno centro storico, così ci immergiamo nell'atmosfera accogliente ed ospitale di questa splendida città, crogiolo inimitabile di popoli e crocevia storico di tanti mitici viaggi (e, da oggi, anche del nostro!). Inutile dilungarsi nella descrizione delle splendide maioliche del Registan e dei tanti altri monumenti o nell'evocazione della confusione tutta orientale di certi quartieri. La sola cosa da fare è andarci. Non ci priviamo di uno spettacolo di musiche e danze nella suggestiva cornice di una Madrasa, né di una ricca cena in un ristorante del quartiere iraniano (sempre sashlik, ma non solo di montone) né di una passeggiata notturna fra i monumenti illuminati. Giungiamo, per caso, in tempo per assistere ad uno spettacolo di suoni e luci nella piazza del Registan, al termine del quale un poliziotto, in cambio di una mancia, ci accompagna all'interno di una madrasa e ci permette di indossare un costume locale (cosa molto spassosa). Siamo a Samarcanda e non ci sembra ancora vero!

11 Maggio
Imbocchiamo la strada per Tashkent solo verso le 10 del mattino, dopo essere riusciti finalmente a fare il pieno di gasolio, grazie all'aiuto di un taciturno uzbeko che ci ha condotto in aperta campagna dove alcuni contadini hanno riempito i nostri serbatoi con taniche di gasolio. Qui infatti, il gasolio è merce rara, poiché nell'ex-URSS quasi tutti gli automezzi andavano a benzina. Perdiamo poi altri 20 minuti per posizionarci sotto il cartello di Samarcanda e scattare la memorabile foto: come resistere alla tentazione? Infine imbocchiamo la cosiddetta autostrada per la capitale, che sarebbe tale se non ci fossero quadrupedi vaganti, auto contromano, inversioni ad U, imbocchi di strade sterrate, un fondo stradale indegno e, magari, qualche distributore in più.
Attraversiamo una sconfinata pianura coltivata, interrotta qua e là da sonnolenti paesini con casette bianche dal tetto di eternit. Non si sa per quale motivo l'autostrada attraversa un pezzo di territorio kazako e non è transitabile, pertanto occorre fare una deviazione di circa 100 Km. Nel primo pomeriggio arriviamo a destinazione: il parcheggio dell'Hotel Uzbekistan, un gigante ex-Intourist ben tenuto, dove mettiamo in stato confusionale le due impiegate della reception che non capiscono cosa ce ne facciamo del parcheggio senza la camera. Ma l'equivoco, grazie alla consueta disponibilità e cortesia, viene presto chiarito quando viene mostrata la lettera dell'agenzia uzbeka. Trascorriamo il resto del pomeriggio passeggiando per il centro, con l'aiuto dei taxi, perché le dimensioni delle città sovietiche, e di questa in particolare, e il concetto di centro sono molto diversi dai nostri canoni. Tashkent è una moderna metropoli abitata da una variopinta umanità (ben 40 etnie), in mezzo alla quale ci si mescola molto volentieri. ( Km 337)

12 Maggio
Puntualissima si presenta la guida, un'emozionata ragazza che ha trascorso la notte in bianco ripassando la lingua italiana che sta studiando da un anno. Ci accompagna nella città vecchia a visitare madrase e moschee. Niente di eccezionale, se si esclude un Corano dell'ottavo secolo conservato in una cassaforte climatizzata. E' poi la volta della Tashkent moderna con le sue vaste piazze, giardini e monumenti di sovietica memoria. A mezzogiorno decidiamo di ripartire. La corsia dell'autostrada verso Samarcanda ha un fondo migliore, inoltre, quando arriviamo all'enclave kazaka ci permettono di passare in quanto turisti stranieri. Così, possiamo aggiungere alla collezione di paesi un piccolo spezzone di Kazakistan. Siamo completamente soli e quando arriviamo al posto di controllo kazako suscitiamo la solita curiosità. Per la verità, i più buffi sono loro, che si presentano in mezzo alla strada con mascherina sul volto e copricapo chirurgico: neanche dovessero affrontare la peste! Peccato non poter filmare.
Arriviamo rapidamente a Samarcanda (altra foto sotto un altro cartello: ormai è diventato un tormentone), la superiamo e, lungo la strada per Bukhara ci fermiamo a Kattakurgan per chiedere informazioni su come raggiungere un lago vicino. Un imbronciato poliziotto, dopo essersi assicurato della nostra italianità, non esita a fermare un ignaro automobilista chiedendogli (o imponendogli?) di accompagnarci nel luogo da noi richiesto. E così il poveretto si fa 12 Km e ci porta in riva a lago, dove trascorreremo la notte. N.B. in qualche occasione il nostro spirito di autonomia ci ha spinto a non seguire il programma concordato con le Agenzie, e perciò i pernottamenti sono stati scelti a caso nei luoghi che più ci piacevano. A posteriori si può dire che la cosa è fattibile e non si corre alcun rischio. (Km 371)

13 Maggio
Nonostante la mancanza di segnaletica e un momentaneo blocco del traffico per il passaggio del Presidente dell'Uzbekistan, riusciamo a raggiungere agevolmente l'ingresso delle Gole di Sarmys. E qui incappiamo nelle solite surreali situazioni di questi paesi. L'accesso è sbarrato da un cancello e due torrette che segnano l'ingresso di…una colonia per bambini. Non si sa come fare a raggiungere le gole. Tuttavia, grazie alla disponibilità della direttrice russa, che ci mette a disposizione gratuitamente un antidiluviano camion militare e un suo dipendente come guida, raggiungiamo la destinazione, o meglio la fine di un tratturo che conduce alle gole. Da qui comincia un'avventurosa passeggiata con guadi di torrenti (Luciano quasi fa un bagno per aiutare noi donne) , arrampicate lungo scarpate assai sdrucciolevoli e avvistamenti di aquile. Ne vale la pena, perché i graffiti rupestri, scolpiti su roccia scura simile all'ardesia, sono veramente superbi. Anche qui, in epoche preistoriche, c'era una rigogliosa e fertile savana, popolata da giraffe,scimmie, tigri e bufali.
Ripartiamo nel primo pomeriggio. La strada verso Bukhara è abbastanza disastrata, ma migliora quando imbocchiamo quella per Nukus. Fa molto caldo (30° fuori, quasi 40° dentro) e ci hanno già fermato svariate volte ai posti di controllo, più per curiosità che per altro. "Italian Tourist" sembra una magica parola che induce solo sorrisi e battute scherzose. Lentamente la campagna coltivata cede al deserto: stiamo entrando nel Kizil Kum, il deserto rosso che si estende ad est dell'AmuDarja. Alle 18,30 siamo campeggiati dietro ad uno spartano posto di ristoro in mezzo alla sabbia. Per quanto assurdo possa sembrare, ci cucineranno pesce fritto che gusteremo con appetito mentre fuori… piove! (Km 368)

14 Maggio
E' tornato il sole. Attraversiamo un pezzo di deserto in direzione nord avvistando qualche piccolo roditore bianco che saetta fra le dune. La strada mette a dura prova le giunture sia nostre che del camper. Per un certo tratto costeggiamo il fiume. Sbagliamo strada e finiamo direttamente in un pezzetto di territorio turkmeno. Risultato: 3 registrazioni in 500 metri! Arriviamo comunque a Kiva verso le 13, cioè in anticipo di mezza giornata rispetto al programma. Possiamo così passeggiare tranquillamente fra i bei palazzi di questa città-museo godendone l'aspetto esterno. La visita guidata è prevista per domani. Un acquazzone improvviso ci costringe a trovare riparo all'ingresso principale della cinta muraria dove veniamo ripresi ed intervistati da una Tv uzbeka: peccato non poterci rivedere! Da Kiva raggiungiamo Urgench, cittadina di sapore sovietico, dove è previsto il nostro pernottamento e dove incontriamo Sancho, la nostra guida di domani, un giovane uzbeko di sangue misto mongolo-iraniano con quattro denti d'oro splendente. Pare che il motivo per cui la maggior parte della popolazione di questi paesi sfoggia queste sfolgoranti chiostre dentarie sia dovuto ai danni prodotti dall'acqua salata delle fonti di captazione e, ovviamente, dall'impossibilità economica di pagarsi capsule in resina. Qualche anno fa i denti d'oro erano di moda, dicono. (Km 345)

15 Maggio
Visita culturale di Kiva, inclusa la parte museale e gli interni dei palazzi tra i quali, quello straordinario di una moschea che vanta decine di colonne che, seppur di legno, la fanno assomigliare ala moschea di Cordoba. Luciano e Maria Rosa non partecipano al giro, perché Luciano ha 38,9 °C di febbre, senza altri sintomi. Sarà il primo caso di SARS in Uzbekistan o un banale colpo d'aria? Propendiamo per la seconda ipotesi, anche perché nel primo pomeriggio sta decisamente meglio e si sente in grado di ripartire. Intendiamo dirigerci verso Moynak e le vecchie rive del Lago d'Aral.
La strada riattraversa l'Amu Darya, e anche in questo punto su di un ponte di ferro galleggiante. La situazione è peggiorata da un furioso temporale. Un guardiano fradicio di pioggia rinuncia a farci capire il costo del passaggio e ci dà via libera. E' un'esperienza indimenticabile attraversare il fiume ribollente di fango giallastro ed illuminato dal livido colore dei fulmini su di un ponte semovente le cui giunzioni stanno insieme per miracolo. Comunque arriviamo dall'altra parte indenni. La strada si snoda poi fra campi coltivati, ora non solo a cotone, ed aridi terreni in cui affiora abbondante il sale, attraversando villaggi piuttosto malandati e fangosi. Non è facile trovare un'area in cui parcheggiare, Tuttavia, superato Kilingrad, uno squallido e misero paese, e dopo aver subito un ennesimo violento acquazzone, troviamo un posto idoneo, asfaltato e un po' fuori strada, in mezzo alla steppa. (Km 398)

16 Maggio
Moynak è una povera e triste cittadina che un tempo sorgeva sulle rive del Lago di Aral. Attualmente il lago dista 40 chilometri e attorno al paese si estende uno spaventoso deserto di sabbia dal quale affiorano i relitti arrugginiti di vecchie navi. C'è anche un monumento ai caduti della Seconda Guerra Mondiale, costruito su di un ex-belvedere che si sta pericolosamente sfaldando. Luciano sprofonda fino alla coscia in una voragine che si apre all'improvviso. Discutiamo animatamente sui pro ed i contro dell'intervento umano sulla natura: questo disastro ecologico sembra derivare infatti dall'irrigazione forzata del bacino dell'AmuDarya, nel tentativo di fertilizzare i territori, esperimento effettuato ai tempi dell'URSS, per incentivare la coltivazione del cotone. Non sapendo che altro fare, oltre che osservare la miseria altrui, torniamo sui nostri passi e tentiamo di tornare indietro per una strada parallela a quella dell'andata. La cartina è sbagliata, la strada non esiste (o meglio c'è una pericolosissima pista che attraversa l'ex alveo del fiume), né esistono ponti che lo attraversano, perciò, dopo uno spuntino ai bordi del fiume, rifacciamo lo stesso percorso dell'andata. Il ritorno è vivacizzato dall'incontro con un branco di cammelli, quelli veri asiatici, con due gobbe, talmente rari da sembrare in via di estinzione. Arriviamo infine a Nukus, tristissima capitale del Karakalpakistan, che è una povera repubblica semi-indipendente dell'Uzbekistan. La città è la quintessenza dello squallore sovietico, che raggiunge il suo acme all'hotel Nukus, nel cui parcheggio facciamo pic-nic e pernottiamo. (Km 316)

17 Maggio
Impieghiamo più del previsto a raggiungere la frontiera uzbeko-turkmena. Ci avevano parlato di una distanza di 16 chilometri da Nukus, ma in realtà sono parecchi di più. Le formalità di uscita, nonostante la torpidità mentale delle guardie, portano via solo 45 minuti, misurazione della febbre compresa. Il bello viene cento metri dopo, alla frontiera turkmena, dove un solerte funzionario ci comunica che non può permetterci di percorrere la strada prevista (500 Km di asfalto attraverso il deserto del Karakum), in quanto la normativa non consente il passaggio di autoveicoli stranieri del peso superiore agli 800 Kg e ci prospetta di transitare per una pista (sic!) lunga 1500 Km , che sulla nostra carta nemmeno esiste. La situazione, nonostante la mediazione di Maya, che ci ha raggiunto qui in aereo, sembra non avere sbocchi, anche perché, contrariamente a quanto si possa pensare, il diniego opposto dal funzionario non è assolutamente un tentativo di estorcerci soldi. Dopo circa 4 ore e mezzo, con la temperatura esterna che ha raggiunto i 34° e quella interna i 47°, arriviamo ad un compromesso: sul foglio di viaggio verrà segnato l'itinerario consentito, ma noi poi, faremo ciò che ci pare, salvo risolvere il problema di volta in volta ai vari posti di controllo dislocati lungo la strada. Finalmente siamo fuori: ovvero passiamo dalla "prigionia" alla "libertà vigilata" del Turkmenistan.
Nonostante il ritardo, ci concediamo la sosta prevista a Konie Urgench, l'antica capitale del Korezm, distrutta dai Mongoli e definitivamente abbandonata dopo che il corso dell'AmuDarja cambiò direzione. Le sue rovine, sparse in mezzo ad un cimitero le cui tombe talora mostrano il loro inquietante contenuto, comprendono vari mausolei e il più alto minareto dell'Asia centrale, dall'inconfondibile sagoma che l'assomiglia ad una moderna ciminiera. Nota divertente: il guardiano ci guarda un attimo e ci chiede se veniamo da Kiva. Il mistero è presto risolto: ci ha visto ieri sera in televisione e ci ha riconosciuto. Maurizio, stella dell'intervista alla TV Uzbeka, gli concede un autografo! Ripartiamo rapidamente, ci attendono 500 Km di deserto. All'inizio, la strada attraversa zone coltivate, poi lentamente le zone desertiche prendono il sopravvento. Superiamo un castello semidiroccato e poco dopo ci fermiamo in pieno deserto per la notte. Magnifico stellato con stelle cadenti e decine di satelliti. ( Km 165)

18 Maggio
Questa mattina levataccia alle 6, in tempo per vedere l'alba. Per fortuna che qui è vietato girare dopo le 22: questa notte c'è stato un via vai di camion da far invidia all'A 1! Ci siamo alzati molto presto per poter attraversare il deserto in giornata. Siamo su di una stradaccia che peggio di così non si può: praticamente una sequela ininterrotta di buche, più o meno profonde e larghe, circondate da vaghe rimembranze di asfalto. Per farla breve (ma in realtà è stato eterno e ha messo a dura prova le capacità di guida di Maurizio e Luciano, nonché la resistenza dei mezzi) impieghiamo 6 ore per fare 98 Km! Fortunatamente la strada dopo i primi 200 km circa migliora e permette un'andatura più veloce, ma bisogna comunque prestare la massima attenzione, perché ci sono sempre delle enormi buche in agguato. In taluni punti, inoltre, la strada è insabbiata. Il panorama in compenso, è molto suggestivo: grandi dune sabbiose, rari villaggi di yurte e abitazioni di fango, branchi di indolenti cammelli, piccoli roditori saettanti e lucertoloni rosa dall'aspetto molto aggressivo. Ovviamente ci sono i soliti posti di blocco. Per fortuna, a nessun poliziotto viene in mente di chiederci il foglio di viaggio. Tutto procede benissimo, anche perché abbiamo deciso di non avvalerci dell'aiuto di Maya e di arrangiarci. Usiamo il solito sistema: sorriso, "Salam aleikum…Italian Tourist", stretta di mano, passaporto in vista. Il tutto riscuote molta simpatia da parte degli addetti, cosa che invece, abbiamo notato, si verifica meno se scende la guida. Probabilmente questo accade per il rapporto esistente fra i locali e la polizia, che non è certo dei più idilliaci. Tentiamo di spiegarlo a Maja, che è molto stupita della facilità con cui superiamo i posti di blocco. Ci confesserà che siamo i primi turisti della DN tours ad avere rapporti diretti con la polizia. Arriviamo finalmente ad Ashgabat, accolti calorosamente da Luigi e Marietto. (Km 417)

19 Maggio
La pratica per ottenere il visto per l'Iran si è favorevolmente conclusa, durante la nostra assenza, grazie a Mr Sohrat della DN Tours. Oggi, purtroppo, è il compleanno di un qualche cugino di Maometto e l'Ambasciata Iraniana è chiusa, pertanto trascorriamo la mattinata girovagando per il Bazar Russo alla ricerca di rotoli di seta grezza, che non troviamo. Alla fine approdiamo al Museo del Tappeto, dove la Direttrice molto gentilmente decide di accompagnarci presso un famiglia che produce questi tessuti. Il taxi ci viene procurato da un... poliziotto il quale, praticamente, dirotta un'auto che stava già attendendo un altro cliente! Mah, sono veramente strani questi sistemi… La visita si rivela molto interessante: la nonna accovacciata tinge di viola il filato dentro una tinozza, la nipote sta dipanando, la mamma sta lavorando al telaio e si occupa della vendita dei rotoli. Ne acquistiamo qualcuno, incantati dai colori. Siamo o non siamo sulla Via della Seta? Torniamo ai camper e promettiamo a Maja di non muoverci: la ragazza è terrorizzata dalla paura che ci cacciamo in qualche casino con la polizia. Ovviamente non le diamo retta, e nel pomeriggio ce ne andiamo a zonzo per il centro, scordandoci addirittura i passaporti. Ma non ci succede nulla, anche se veniamo cortesemente fermati ed invitati a sederci su di una certa panchina (e non su di un'altra!), perché c'è un gruppo di diplomatici turchi in visita alla statua girevole del presidente. Tutta la zona è completamente off-limit. Avremo modo la sera di leggere un articolo, pubblicato su Panorama, che riporta i risultati del Freedom Act: il Turkmenistan è considerato, fra i 15 paesi canaglia, uno dei peggiori. E domani è attesa dall'Italia l'On. M. Boniver la quale dovrebbe affrontare l'argomento "diritti umani". Qui si dice che il Presidente sia piuttosto irritato per questa intromissione e non intenda riceverla: chissà se riusciremo mai a sapere come è andata a finire.

20 maggio
Mentre attendiamo nella hall del Nissa hotel che ci vengano riconsegnati i passaporti vistati, abbiamo l'onore di conoscere l'Ambasciatore Italiano a Mosca, qui giunto per ricevere l'On. Boniver. È piuttosto stupito della nostra presenza e ci invita alla massima prudenza e attenzione perché "…questi sono posti pericolosissimi…" dice. Gli facciamo notare che prima di partire ci siamo informati sul sito del Ministero degli Esteri e che quest'ultimo definisce questi paesi assolutamente tranquilli. Non riusciamo ad attenuare le sue perplessità: forse perché si è ritrovato fra i piedi anche gli archeologi italiani, che sembra abbiano qualche serio"problema burocratico"… E mentre l'Ambasciatore parte alla volta dell'aeroporto per ricevere l'Onorevole, noi torniamo in possesso dei nostri passaporti. Dobbiamo partire alla volta della frontiera, anche perché oggi ci scade il temine di soggiorno e non vorremmo dover chieder l'aiuto dell'Ambasciatore. La frontiera dista pochi chilometri da Ashgabat. Le formalità non sono eccessive (o forse ormai ci siamo abituati) anche se la frontiera stessa è suddivisa in due parti a distanza di pochi chilometri l'una dall'altra. Maya ci lascia al primo cancello, le lasciamo i nostri indirizzi e la invitiamo in Italia, ma sarà improbabile che possa venire in quanto il Presidente non consente che i suoi sudditi si muovano liberamente.
La strada si snoda attraverso le montagne in una terra di nessuno, dove non ci sono neanche le pecore, ma solo torrette di avvistamento. Dopo una decina di chilometri, si arriva alla frontiera iraniana, dove per prima cosa ci ingiungono di metterci il chador, poi iniziano le snervanti ed eterne formalità ed il solito moltiplicarsi di scartoffie. In Iran è obbligatorio il Carnet de Passage en Douane, che per fortuna abbiamo, altrimenti si deve pagare un'esorbitante tassa di importazione del veicolo. Inoltre, i mezzi vengono accuratamente perquisiti alla ricerca soprattutto di bevande alcoliche la cui importazione è severamente proibita. Arrivano al punto di aprire ed annusare le bottiglie di acqua minerale! E fra l'altro il doganiere (una versione iraniana di G. Giannini in " Travolti da un insolito destino…") approfitta abbondantemente degli spazi ristretti del camper per strusciarsi addosso. Ecco il risultato di queste società represse… Anche questa volta comunque, tutto fila liscio e finalmente imbocchiamo la strada verso Sebzevar. Il paesaggio di montagna è molto bello, ma ben presto siamo travolti da un violentissimo temporale con saette impressionanti ed un vento laterale fortissimo che trascina con sé di tutto, cespugli compresi. Altrettanto repentinamente torna il sereno ed appaiono scorci bucolici con scene da vecchio testamento: fornaci fumanti, case di fango, donne avvolte dai veli, greggi vaganti per i pascoli. Ci fermiamo, ormai al tramonto, nel parcheggio di un dignitoso hotel di Sebzevar. Avremmo dovuto arrivare a Sharud dove era previsto il rendez-vous con la guida, ma le lungaggini di frontiera ce lo hanno impedito. (Km 280)

21 Maggio
Partenza alle 7 alla volta di Sharud dove arriviamo puntuali, alle 10,30, all'appuntamento con la guida. Il suo nome è Meran, un loquace trentaseienne laureato in italiano con una tesi sulla Divina Commedia e le sue somiglianze con un poema persiano di tema analogo di 1000 anni più vecchio. Chilometro dopo chilometro, attraversiamo uno sterminato deserto con begli scorci su montagne di nuda roccia, qualche caravanserraglio in rovina (400 anni fa un visir ne fece costruire 999 lungo la Via della Seta), laghi salati e paesucoli piuttosto poveri. Ci concediamo un'unica sosta per un veloce spuntino e per fare il pieno (ben 2 $ !). Il caldo è in progressivo aumento, con punte di 35° fuori e 48° dentro. Portare il chador rende il viaggio abbastanza insopportabile; per fortuna la strada è in buone condizioni, anche se il traffico di camion è molto intenso. Verso le 15,30, raggiungiamo la periferia di Teheran (12 milioni di abitanti, asse est-ovet 30 km, asse Nord_sud 40 Km) e, come d'incanto, ci troviamo invischiati nel più caotico traffico che mente umana possa concepire. Teheran, anche a detta dei suoi abitanti, è una città inquinata, brutta, caotica e infinita. Vi campeggiano, oltre a ritratti di soldati morti durante la guerra con l'Iraq e minacciose frasi anti-americane, anche quelli degli Ayatollah (turbante bianco:normali, turbante nero, discendenti del Profeta e, quindi, meno in pericolo in caso di rivoluzione!). La maggior parte delle donne indossa svolazzanti chador neri modello Belfagor. Tuttavia, straordinariamente, nessuno interrompe la sua attività quando il Muezzin chiama alla preghiera. Secondo Meran la gente è molto stanca di questo regime teocratico. Dopo aver girovagato col camper per più di due ore in mezzo al traffico infernale, rischiando collisioni ogni minuto, poiché il parcheggio previsto non è agibile, decidiamo di pernottare in quello,vigilato ed ombreggiato, vicino alla stazione delle autocorriere. Poi , corsa mozzafiato in taxi e full immersion nel caos di Teheran by-night per raggiungere un luogo che nessuno penserebbe possibile nell'Iran degli Imam: una miriade di graziosi ristorantini, negozietti, case da the e da fumo ingegnosamente e miracolosamente abbarbicati alle pendici di una montagna lungo il corso di un impetuoso torrente e frequentati da allegre comitive di ragazzi e ragazze soli
(cosa impensabile fino a qualche anno fa, quando addirittura rischiavano l'arresto!). Ci infiliamo anche noi in un ristorante illuminato da torce e terminiamo la serata con kebab e trote, il tutto annaffiato da un'ottima… acqua minerale non gasata e, per i più difficili, da un bicchiere di birra islamica.

22 Maggio
Con un pulmino ed autista partiamo alla scoperta di Teheran, città talmente grande che, per attraversarla bisogna programmare…le ferie. Mentre Maurizio dormicchia, noi visitiamo il Museo Archeologico, un interessante compendio di storia dal 5000 a.C. fino a Ciro il Grande, poi il Museo Islamico che espone vetri, miniature e ceramiche, quindi un bazar e, infine, la residenza estiva dell'ultimo Scià Reza Pahlevi, una dimora anni '50, tutto sommato abbastanza dimessa, ma circondata da un bel parco, dove lo smog sembra non entrare. Poiché Teheran non offre molto altro, dopo aver salutato Meran, decidiamo di partire. Scarseggiano, anzi, mancano quasi del tutto anche i distributori diesel. Per fortuna abbiamo la solita tanica di scorta, perché il primo lo troviamo a 98 Km dal centro! Proseguiamo oltre Zanjan e troviamo un'ottima occasione di pernottamento presso un Tir Park, dotato di posto di soccorso, moschea, e negozio di alimentari. (Km 405)

23 Maggio
La strada verso Bazargan è trafficatissima di camion e, data la peculiare guida degli iraniani, altrettanto pericolosa: ma Allah ci protegge e rapidamente arriviamo al confine. Le formalità di uscita sono rapidissime, anche troppo! Infatti, quando abbiamo già superato il cancello con la mezzaluna e noi donne ci siamo finalmente tolte il chador, i funzionari iraniani si accorgono di non averci chiesto il Carnet de Passage: succede il finimondo! Loro non possono venire di qua, noi ovviamente non ci sogniamo di tornare di là (per chi non l'avesse capito, l'unico vero pericolo in questi paesi sono i burocrati) e a malincuore allunghiamo attraverso le sbarre l'agognato documento solo dopo che un funzionario della dogana turca si fa garante del ritorno del medesimo. Seguono frenetici controlli di tutti i numeri possibili (passaporto, telaio del mezzo, targa, ecc.), ovviamente sempre attraverso le sbarre, poi i funzionari spariscono e noi attendiamo con una certa ansia che ci riportino il Carnet cosa che, per fortuna, puntualmente avviene. Scopriamo inoltre di poter usare il Carnet anche in Turchia, risparmiando così la tassa di ingresso del veicolo.
Finalmente entriamo nella libera Turchia: chi l'avrebbe mai detto che dopo un viaggio del genere la Turchia ci sarebbe sembrata Europa? Come al solito uno spaventoso temporale festeggia il nostro passaggio di frontiera e, come al solito, torna rapidamente il sereno. Ci dirigiamo verso il lago di Van attraverso pascoli smeraldini, maestose montagne ancora innevate, coni vulcanici e antiche colate laviche. Vi sono frequentissimi posti di blocco dell'esercito, ma si limitano a controllare cordialmente chi siamo o addirittura a chiederci un passaggio. Ci parcheggiamo in riva al lago di Van, presso un ristorantino gestito da curdi.( Km 649)

24 Maggio
Visitiamo il castello di Van, una fortificazione di varie epoche (da quella urartea testimoniata da belle iscrizioni cuneiformi, a quella selgiuchide). Per arrivare in cima bisogna essere agili come capre e ben allenati perché il tragitto è abbastanza faticoso (forse perché siamo a 1730 m?), ma ne vale la pena. Dall'alto, oltre al panorama sul lago, si distinguono molto bene le fondamenta dell'antica Van, distrutta dai bombardamenti fra curdi, turchi, armeni e russi, durante la Prima Guerra mondiale. Proseguiamo lungo il lago, che è di uno splendido color smeraldo, fino all'imbarcadero per Akdamar, una chiesa armena dell'undicesimo secolo, con splendidi bassorilievi, costruita su di un'isoletta in mezzo al lago. E' questa una meta di pic-nic e la barca è stracarica di comitive di giovani curdi con cibarie, barbecue e samovar. Tornati sulla terraferma, proseguiamo lungo una panoramica strada che si inerpica in mezzo alle montagne. Uno sguardo al Nemrut, il vulcano che ha creato il lago di Van, poi attraversiamo gole molto suggestive verso Bitlis. Ci concediamo una veloce sosta a Silivan dove i militari di guardia ci permettono di fotografare e riprendere un ponte selgiuchide del 1140, poi di nuovo verso ovest attraverso un'infinita distesa di campi ondulati e ben coltivati di frumento fino a Diyuarbakir, la "capitale" della regione curda. Ci fermiamo presso un ospitale benzinaio poco dopo la città. (Km 449)

25 Maggio
Di buon'ora ci avviamo verso l'Eufrate. La strada non è granché, ma, rispetto a quattro anni fa, il parco auto e camion turchi ci sembra completamente rinnovato ed anche i paesi hanno un aspetto molto dignitoso. L'imbarcadero sull'Eufrate, invece, è sempre lo stesso. Come pure il traghetto è lo stesso ferrovecchio dell'altra volta. Durante il tragitto un convinto muezzin vuole a tutti i costi aggregarci al suo gruppo che sta andando in pellegrinaggio presso un famoso e saggio Imam (non riusciamo a capire se vivo o morto) e magari, se ci riesce, farci convertire all'Islam. Decliniamo gentilmente l'invito e proseguiamo per la nostra strada. Poco dopo siamo tranquillamente parcheggiati ai piedi del Nemrut Dagi, in attesa che venga l'ora giusta per salirvi e godere il tramonto. Raggiungiamo la cima con un'auto, messa a disposizione dal proprietario del "campeggio" ove siamo parcheggiati, guidata da un quindicenne senza patente, ma che, comunque si dimostrerà all'altezza della situazione. Visitiamo in completa solitudine il terrazzo Est ed anche quello Ovest. Ma quando si avvicina l'ora del tramonto la solitudine viene interrotta dall'arrivo di torme di "cavrones", come li definirà un appassionato fotografo spagnolo. Riusciremo ad immortalare qualche immagine degna? Meglio prenderla in ridere. Il tramonto è comunque molto suggestivo, le statue come da copione assumono una bella tonalità rosata. La discesa è molto scivolosa, il ritorno in auto molto tranquillo. Stasera cena a base di kebab, talmente duro da risultare quasi immasticabile. (Km 131)

26 Maggio
Tragitto piuttosto monotono fino a Kaiseri, dove giungiamo nel pomeriggio e dove , come al solito, bisogna elegantemente cercare di scansare i venditori di tappeti fastidiosi ed insistenti come zanzare. Ci liberiamo del primo, lasciandolo, piuttosto perfidamente, con Luciano e Mariarosa, ma veniamo puniti dall'appiccicosità di un secondo, che riesce, non sappiamo come, a trascinarci nel suo negozio e a sciorinare tutte le merci possibili. Resistiamo strenuamente e riusciamo a non comprare nulla. Gli spiego che: primo, odio i tappeti! Secondo, odio questo sistema coercitivo di fare acquisti! Ci salutiamo ridendo con baci ed abbracci. Dopo una tonificante escursione ai grandi magazzini, dove nessuno ti importuna, ripartiamo verso la Cappadocia. Alle 20 siamo parcheggiati al Camping Panorama di Goreme, con vista sulle formazioni rocciose e stiamo per andare a cena in un grazioso ristorante in paese.(Km 614)

27 Maggio
Mi sveglio casualmente in tempo per scattare qualche foto del paesaggio all'alba. Fra i camini delle fate si stanno levando in volo due colorate mongolfiere. Trascorriamo la mattinata in visita al Museo Open Air di Goreme, un compendio di tutto ciò che si può vedere in Cappadocia, tra cui splendide chiese rupestri magnificamente affrescate. Partiamo un po' a malincuore con direzione Ankara. Un errore ci porta costeggiare la riva est del più grande lago salato della Turchia e a godercene la luccicante riva. Poi imbocchiamo l'autostrada e verso le 19, ci fermiamo in riva ad un lago, nei pressi di Arifje a circa 100 Km da Istanbul.(Km 623)

28 Maggio
Oggi tappa di trasferimento. Il traffico non è eccessivo, le formalità al confine Turchia- Grecia sono veloci e riusciamo senza troppa fatica ad arrivare oltre Tessalonica e a campeggiarci in riva al mare vicino a Dion. Cena molto gustosa a base di fritto di pesce. (Km 818)

29 Maggio
Arriviamo verso le 13.00 a Patrasso e riusciamo ad imbarcarci alle 18.00 sul Superfast V,
dopo essere passati dalla biglietteria a convalidare il biglietto open.
La traversata inizia con uno splendido tramonto. Domani…tutti a casa, a raccontare a chiunque avrà voglia di ascoltarci, le nostre "avventure".(Km 280)

30 Maggio
Alle 14,30 sbarchiamo ad Ancona e subito imbocchiamo la A14 per Bologna dopo aver salutato i nostri compagni di viaggio. Alle 18, siamo a casa dopo 42 giorni e quasi 14.000 chilometri. Per l'esattezza, 13.870!


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