TRANSASIA 2001
Resoconto
di viaggio attraverso la Turchia, l'Iran, il Pakistan, e
la Cina e ritorno attraverso il Kirghizistan, l'Uzbekistan,
il Turkmenistan, nuovamente Iran, Turchia e Grecia
Testo
di Pier
Felice Finocchi,
Foto di Marco
Serrantoni, Fabio
Negroni, Vincenzo
de Matteis, Gianni
Fornara
Eccomi
di nuovo in Viaggio con altri amici, nuovi e vecchi...............
Quando
si deve affrontare un viaggio di circa 20.000km con due
mesi di tempo, incontrando ogni tipo di condizione climatica
e metereologica e fondi stradali tra i più vari,
dal ruvido asfalto al letto del fiume, la scelta della moto
giusta equivale ad avere la certezza che metà del
progetto è realizzato. L'aver avuto a disposizione
un Dominator dava quindi ottime probabilità alla
riuscita dell'impresa.
Con una volata si arriva a Brindisi, da qui
l'imbarco per la Grecia. Inizia subito la strada
per il passo Katara, tornanti
su tornanti, strada stretta ed asfalto insidioso, in alcuni
tratti in parte sciolto. Affrontare questa strada con il
Dominator è un piacere, scattante nei corti tratti,
dove è possibile sorpassare e sicuro nella frenata
che precede il tornante.
Turchia:
I lunghi rettilinei dell'altopiano Anatolico sono stati
percorsi in quinta a pieni giri, il tachimetro segna 155km/h
anche se la moto può dare di più, ma ovviamente
è frenata dal pieno carico, dai copertoni di ricambio
e da una tanica da 5 litri usata per avere una piccola scorta
di carburante. La zona del Kurdistan Turco è affrontata
di notte, il freddo è intenso, i passi di montagna
superano i 2.000 m, ottima l'illuminazione che la moto fornisce,
un po' difficoltosa la doppia regolazione del fanale.
Iran:
Caldo secco dopo le montagne che portano a Tabriz. Sempre
accolti con entusiasmo spontaneo ad ogni sosta. Lungo un'autostrada
si affianca un'automobile con una famiglia e tirato giù
il finestrino mi passano una grossa fetta di torta. Superata
Qazvin famosa per la sua uva senza semi e una stupenda moschea,
si lascia la strada principale e ci s'inoltra su sterrati
per visitare i vecchi Caravanserragli disseminati un po'ovunque
da qui sino alla ancora lontana Cina. Qui spicca la natura
off road del Dominator che fa quasi dimenticare la prudenza,
bagaglio più importante d'ogni viaggio. Dopo la splendida
Esfahan è tempo di manutenzione, ma il tutto si riduce
a poco, l'asta dell'olio indica ancora un livello a metà
tra il massimo e il minimo, nonostante le lunghe e veloci
tirate, e la catena di trasmissione ha il suo giusto gioco.
Più
si scende a sud e più il clima si fa caldo e umido,
ottime le giacche leggere di B&T, qualche difficoltà
nel reperire benzina che in ogni modo è ancora di
buona qualità. Si tenta di raggiungere in serata
Zahedan a due passi dal confine con l'Afghanistan e il Pakistan,
questo perché viaggiare di notte potrebbe essere
pericoloso. Qui vanno e vengono contrabbandieri d'oppio
e trafficanti d'armi ed in passato si sono verificati rapimenti
e rapine ai danni dei rarissimi viaggiatori.
Pakistan:
Entrare in Pakistan da questa regione è sempre un'incognita
e seguire le strade da noi percorse può portare ad
avventure assolutamente non volute ma che una volta vissute
difficilmente si dimenticheranno.
Strano posto il Beluchistan, si presenta come un deserto
per poi diventare roccia nera e pietraie e trasformarsi
ancora in montagne quasi verdi, con gole strettissime e
valli solcate da larghi fiumie in altura altopiani di sabbia,
dove la prima cosa che faresti, è quella di ficcarti
sotto uno dei rari alberi godendone l'ombra pagando poi
lo scotto di un'inevitabile bucatura. Verso est cambia sia
il paesaggio che diventa sub tropicale, che la temperatura
che diventa letteralmente insopportabile. Il fondo stradale
è ora di terra che si trasforma in un micidiale fango
vischioso, laddove il sole non riesce ad asciugare le abbondanti
acque monsoniche.
E'
qui in Beluchistan dove più d'ogni altro luogo ho
apprezzato a pieno le caratteristiche del Dominator.
Inizia il tratto di montagna ed iniziano i primi guai, la
strada è in sostanza ad una corsia e si guida a sinistra,
i camion che vengono dal senso opposto ti obbligano a buttarti
fuoristrada se non vuoi essere investito, questo è
possibile solo grazie all'agilità delle moto. Una
jeep completamente fuori corsia investe frontalmente uno
di noi.
La fortuna ci assiste, a 15km c'è un piccolo ospedale,
ci dividiamo due su di un pick up con il ferito e due a
fare la guardia alle moto. I rari camionisti che si fermano
c'esortano ad andare via il prima possibile da quel luogo,
terra incontrastata di predoni.
C'è
tensione. Dopo alcune ore ritornano gli altri, risultato
dell'incidente, mano ingessata tre punti al naso e tre ad
un braccio. Organizziamo il trasporto della moto e del pilota
su di un camioncino fino a Quetta, capoluogo del Beluchistan.
Bisogna arrivare prima che cali la notte, ma la strada è
piena d'insidie ed è ormai il tramonto, così
all'uscita di una curva a velocità sostenuta uno
di noi non vede (e sfido chiunque a farlo) due cunette prima
della ferrovia. Ho visto la moto girare su se stessa tre
volte, lanciare una fiammata di scintille sull'asfalto,
catapultare il suo pilota a destra e fortunatamente la tanica
colma di benzina a sinistra. Tanta paura ma solo escoriazioni,
ci abbracciamo. Si rimette in sesto la moto e si riparte.
Dopo alcune ore le lontane luci di Quetta ci sembrano un
miraggio. Moto incidentata e pilota proseguono in treno
per Peshawar. Prendiamo la strada delle montagne, segnata
sulla carta come principale e sicuramente più fresca
dell'altra che costeggia l'Indo.
Siamo
in piena area tribale, dopo Zhob, dove veniamo ingoiati
da una folla non troppo ben disposta, uno sterrato ci porta
a dover guadare un fiume largo una ventina di metri, con
acqua alta fino a metà coscia. Si prosegue nella
speranza di ritornare su asfalto, ma per due lunghi giorni
non sarà così. Sempre più contento
sulla scelta della moto cerco di godermi gli altri guadi
e le varie mulattiere, ma un pick up carico di persone armate
di kalashnikov mettendosi per traverso sulla strada mi riporta
bruscamente alla realtà. Non si sa bene cosa fare,
poi ci fanno proseguire ricordandoci del pericolo al quale
andiamo incontro.
Riusciamo
a trovare qualche tanica di benzina, 75 ottani, nessun problema
per le nostre monocilindriche.
Un piccolo villaggio ci da la possibilità di approvvigionarci
di acqua (piovana), in un negozietto troviamo biscotti insieme
a bombe a mano e caricatori per mitra e l'immancabile calendario
con la foto di Bin Laden, oggi tristemente famoso. Inizia
a fare sera e non c'è modo di uscire da queste gole.
Un altro guado, ma l'acqua è troppo alta, è
buio, siamo bagnati fino alla cinta e se di giorno può
far piacere visto il gran caldo, con l'arrivo della notte
no, la temperatura scende. Accendiamo un fuoco nella speranza
di asciugarci, ma questo attira altri uomini armati che
ci fanno capire che da li è meglio andarsene e ci
guidano fino ad un guado più basso, dove la moto
con il pilota sopra è sostenuta da altre tre persone
per la forte corrente che ha l'acqua, fortunatamente le
Givi laterali sono impermeabili. Passiamo la notte all'aperto
ospiti di un pastore che ci fa un ottimo te con l'acqua
del fiume.
Il
giorno successivo stessa storia, spacci con armi e foto
di Bin Laden, guadi e mulattiere. In tutta questa regione
i Pakistani non sono assolutamente presenti. La strada che
fiancheggia il confine Afghano è un via vai di gente
armata che spesso ti ferma per la sola curiosità
di vederti, alcuni sembrano ostili altri l'opposto. Arriviamo
a Darra luogo di produzione di armi, poi Peshawar. Mi chiedo
quante di quelle persone incontrate siano in Afghanistan
a combattere e quanti di quei fortini visti siano ancora
in piedi.
Ci
ricongiungiamo con il nostro compagno e dopo alcuni giorni
a Peshawar con un caldo umido inconsueto per la stagione
si parte per la Cina. Le pessime condizioni climatiche nelle
montagne a nord ci obbligano a non affrontare lo Shangla
Pass, sono straripati i due fiumi e le valanghe hanno totalmente
bloccato la strada; ci sono state piene di fiumi con centinaia
di morti anche nella zona vicino ad Islamabad.Non è
meglio sulla via che attraversa il Karakorum, siamo costretti
più volte ad inventarci la strada.
Parte di due lettere scritte ad un amici:
..................Abbiamo
dormito in mezzo alle montagne fracichi come spugne, abbiamo
bevuto acqua piovana che qui mettono da parte e adirittura
direttamente dai fiumi.
Ora siamo bloccati da una delle tante valanghe sulla strada
che dal Pakistan va in Cina 4.000 metri slm, io e un altro
siamo scesi di 100 km dove le linee internazionali ancora
funzionano, altri due sono su e non riusciamo a contattarli
perchè
anche le linee nazionali sono saltate. La strada è
un delirio per fare 40km ci vogliono anche un paio di ore,
ci sono frane in continuazione. Domani forse sapremo se
si potrà proseguire o no.
Purtroppo il tempo è brutto e piove spesso cosa anormale
per la stagione.
........
Ciao belli
spero tutto bene.
Qui purtroppo sempre più casini......
Eravamo a 40km dall`ultimo posto di frontiera pakistana,
poi mancavano 120km di zona neutra tra montagne e passi
dai 4000 ai 5000 metri, quando ad uno di noi e` venuta la
febbre, come se non bastasse per il tempo pessimo che abbiamo
trovato (cosa anomala per la stagione) le linee internazionali
sono saltate. Ci siamo divisi, due e due Marco ed io siamo
scesi di circa 40km, che detta così sembra una barzelletta
ma 40km
tra le montagne del Karakorum non finiscono mai, ci sono
frane e mini frane in continuazione su di una strada praticamente
a mezza corsia,siamo scesi dove sembrava che le linee funzionassero,
ma così non era e il giorno dopo siamo scesi di altri
100km e qui sono quasi ok.
Tutto questo perchè dovevamo e ancora dobbiamo metterci
in contatto con il cinese che ci dovrebbe attendere sull'altro
versante del Karakorum (quello cinese) con le patenti e
le targhe altrimenti in Cina non si entra.
Solo che lui a sua volta pare sia rimasto bloccato su una
montagna in Cina dove aveva portato un gruppo di turisti......
Stiamo pensando di andare ugualmente fino alla frontiera
cinese, ma se lui o chi per lui non ha lasciato niente per
noi, allora siamo nei guai, perchè non potremmo rientrare
più in Pakistan in quanto il nostro visto è
per una sola entrata.
Siamo un po` in stallo, la situazione che più odio.
Per di più ora non riusciamo nemmeno a comunicare
con i due amici lasciati lassù, perchè anche
le linee nazionali li sono saltate.
Cina:
Dai circa 5.000m del Kunjarab si scende nel Pamir cinese.
Si viaggia tra i 3000 e i 4000m slm e superando i 120 km/h
la carburazione ne risente.
La prima notizia che abbiamo è che il passo Torugart
che ci porterà in Kyrghizstan è chiuso per
frane. N'approfittiamo per varie escursioni intorno a Kashgar.
Qui dopo aver sostituito la trasmissione non tanto per necessità
ma quanto per alleggerirci un po', montiamo gli MT 90 della
Pirelli e cambiamo l'olio al motore. Affrontiamo agevolmente
i 120km di sterrato fino in Kyrghizstan, superato il confine
con sorpresa nessuna traccia di asfalto, ma solo pietre.
Gran caduta suuna pietraia da parte mia, sanguinante ad
una gamba la prima cosa che penso è alla moto, è
tutto a posto e grazie alle borse laterali mi sono salvato
la gamba.
Per viaggi di questo genere si sente l'esigenza di un cavalletto
centrale ed infatti, la foratura seguita mi ha fatto rimpiangere
di non averlo messo. Nelle praterie in quota e senza tutto
il bagaglio, abbiamo potuto sfruttare per puro divertimento
sia la potenza che la maneggevolezza del Dominator. Qualche
giorno spensierato nelle Yurte dei pastori Kirghisi ci rimette
in forma e via di nuovo. Un "piccolo" problema
burocratico a Bishkek ci da modo di conoscere la piccola
comunità di Italiani che vive li, sono in 9, due
giorni a spaghetti, vino e caffè e incredibile a
credersi c'è un Italiano che fa la MOZZARELLA!
Attraversando
il Kazakistan si giunge in Uzbekistan, la
benzina è sempre 75 ottani, ma il motore sembra non
accorgersene. Samarcanda, Bukhara dove incontriamo altri
amici giunti fin li da altre strade e poi il deserto del
Turkmenistan, dove dormire a l'aperto è qualcosa
d'indimenticabile; così come la dogana turkmena.
Tre volte ho attraversato questo confine e tre volte per
un motivo o per l'altro la sosta è stata di 6/7 ore.
Qui spesso il pieno si fa direttamente dal serbatoio di
qualche camion.
L'anello si chiude ed eccoci ancora in Iran, ma nel nord.
Da qui estremo est dell'Iran in quattro giorni siamo ad
Igoumenitsa pronti per imbarcarci per l'Italia. Durante
questa tirata a pieno gas, il Dominator ha cominciato a
singhiozzare, ma è bastato levare il filtro supplementare
della benzina per farlo ripartire al massimo come se non
si fosse accorto di tutti gli stupendi km che ci ha regalato.
Ci
vorrebbe ora tutto un resoconto di quello che è accaduto
in centro Asia, degli innumerevoli posti di blocco della
polizia, con situazioni che sembrano in un primo momento
irrisolvibili e poi magicamente svaniscono; della solerzia
di alcuni funzionari e dell'esatto opposto di altri, dell'aiuto
e della totale indifferenza ricevuti. Ci vorrebbe un capitolo
a parte solo sulle persone incontrate anche loro in viaggio
come noi e ci vorrebbe sopratutto un sacco di tempo per
fare tutto questo.... ci vorrebbe poi qualcuno che potesse
comprendere come ci si sente dopo esperienze di questo genere....
soli, soli nel senso positivo della parola ma allo stesso
tempo parte di un qualcosa di più grande di noi e
quindi.... felici.
Ma quello che a mio giudizio ci vorrebbe veramente è
far fare un giro per il mondo a tutte quelle persone che
non vivono la loro vita ma la subiscono, a tutte quelle
persone che non sanno apprezzare quello che hanno ma sanno
lamentarsi per quello che non hanno, per farla corta a tutti
quelli che sanno ben vedere " la pagliuzza nell'occhio
del proprio vicino".
Assaggi
di vita nelle Yurte....
Yurte
o Gher? La disputa va avanti da innumerevoli anni, Mongole
o centroasiatiche?
Non lo sappiamo, ma abbiamo avuto la fortuna di "viverci"
e la percezione di cosa ciò significhi.
Lunghi sterrati che si arrampicano su morbide montagne fino
a 3000/3500m, qui appaiono immensi e dolci altopiani, attraversati
da ruscelli il cui contenuto è l'equivalente del
nostro rubinetto; disseminate come preziosi e rari funghi
bianchi, qua e la fanno la loro comparsa le yurte. A circa
un chilometro, un lago.
Cavalli, qualche raro cammello a pelo lungo, pecore e altri
ovini a noi sconosciuti, il tutto su di un tappeto verde
che da un senso di tranquillità di morbidezza, di
un mondo a noi veramente lontano, di
semplicità.
Ed è questo quello che più ci ha colpito,
la semplicità della vita, non nel senso di facilità,
ma nel suo significato più bello, saper apprezzare
ciò che si ha ed usarlo al meglio.
L'interno
di queste meravigliose tende di feltro montato su di una
struttura in legno, ci colpisce.
La piccola porta in legno coloratissima, tappeti variopinti,
sia alle pareti sia sul terreno, una stufa alimentata da
sterco seccato al sole ed un piccolo quanto ingegnoso contenitore
per l'acqua, appeso alla parete, che scarica in un piccolo
lavandino che a sua volta immette il liquido usato in un
recipiente sottostante.
Completano l'arredamento un ampio tavolino basso (qui non
si usano le sedie) e caldissime coperte piegate durante
il giorno, pronte ad essere usate durante la fredda notte.
L'escursione termica è veramente grande, si passa
da circa 30 gradi, in pieno giorno a zero nella nottata;
questo quando il tempo è buono. La mattina prima
del nostro arrivo aveva nevicato.
Cibo semplice e ottimo, zuppe di legumi, pesce di lago essiccato
al sole e quindi arrostito, latte fermentato leggermente
alcolico, riso e carne. La mattina ci si lava nel ruscello.
La notte il silenzio è assoluto, si sfida volentieri
il freddo per ammirare il cielo, così immenso che
sembra inghiottirci, così indimenticabile, indimenticabile
come questi pastori nomadi che ci hanno qui ospitato e che
ci hanno fatto capire il valore e la grandezza della Vita
in condizioni che a noi appaiono intollerabili.
Grazie
a tutti quelli che hanno creduto in noi, a partire da: Honda,
B&T, Suomy, Givi, Pirelli, Plutoline, Vendramini, Spyball
e Motofollia.
Grazie a chi ha partecipato: Marco Serrantoni, Fabio Negroni,
Vincenzo de Matteis, Gianni Fornara e il sottoscritto e
grazie sopratutto ai primi due per la lunga e paziente organizzazione.
(Questo
articolo è apparso su Inmoto di gennaio 2002)