QUELLI DELL'HABIB
di Giovanni
Mereghetti
Dall’alto della tangenziale che taglia
in due la città si intravedono i colori bianco e
rosso della nave ammorbiditi dalla foschia che sale dal
mare, la mitica Habib, come ogni sabato è ancorata
nel porto di Genova.
L’Habib è un traghetto storico,
è la nave della compagnia di navigazione tunisina
che da più di vent’anni per molti tunisini
significa ritornare a casa, è il mezzo di trasporto
più economico per raggiungere il Continente Nero
direttamente dall’Italia.
Parte ogni sabato alle sei di sera e per l’occasione,
il molo da dove salpa, si trasforma in una sorta di teatro
multicolore dove si intrecciano storie di uomini, a volte
belle, a volte purtroppo, fatte di solitudine e tristezza.
Man mano che si avvicina l’ora della partenza, lo
spiazzo del porto si anima sempre più, la vita diventa
frenetica e i preparativi per l’imbarco fervono senza
tregua: gente che fa la fila alla Polizia di Stato, altri
che si assicurano i bagagli sul tetto dell’auto, altri
che controllano i documenti personali e il biglietto di
viaggio, altri ancora che salutano gli amici meno fortunati
che restano.
Un viaggio di quasi un giorno, poi finalmente
è di nuovo Africa, sia per chi torna dalla famiglia,
sia per chi invece parte per le avventure nel deserto; sì,
perché l’Habib è anche la nave che da
decenni porta i sahariani di mezza Europa nel Continente
Nero.
Sono passati vent’anni da quando viaggiai
per la prima volta su questo traghetto ma ogni volta che
mi imbarco è un’emozione diversa, una scarica
intensa ti entra dentro e contrasta da subito col mondo
che ti circonda, sembra un’assurdità ma è
così, è quasi come un processo naturale, intimo.
Nel piazzale del molo c’è sempre
un’atmosfera particolare, le vecchie Peugeot 504 e
le Renault 12 con targa francese contrastano con la miriade
di fuoristrada superaccessoriati pronti a scavalcare il
mare per poi affrontare le sabbie infuocate del grande deserto.
Due mondi e due realtà, da una parte la gente del
nord Africa con le proprie masserizie e le proprie speranze,
dall’altra una banda di Indiana Jones muniti di navigatore
satellitare in cerca di forti emozioni, uomini disposti
a soffrire la sete, a spalare sabbia, a cuocersi sotto il
sole rovente.
Ma quanti di loro amano veramente l’Africa,
quanti di questi uomini che vanno nel deserto lo fanno solo
per il piacere di vivere nuove esperienze e grandi emozioni.
Come è noto la Parigi-Dakar ha inquinato
una certa fetta di Africa cambiando in poco più di
un decennio la mentalità della gente del posto, la
carovana miliardaria che ha solcato le sabbie del Sahara
e attraversato i villaggi del Sahel, ha trasformato per
sempre la realtà locale che abbiamo conosciuto fino
agli anni ottanta. Purtroppo, come se non bastasse, ci si
sono poi messi tutti gli appassionati di off road dando
il vero colpo di grazia, ormai le esili vie di comunicazione
di un tempo sono diventate autostrade nella sabbia dove
sfogare i propri istinti corsaioli.
Di solito, l’obiettivo di questi avventurieri
moderni, è quello di percorrere chilometri e chilometri
nel nulla cercando di scavalcare i cordoni di dune senza
insabbiarsi o magari trovare un punto gps disperso nel nulla,
naturalmente, del mondo che li circonda non nutrono il minimo
interesse.
Fortunatamente non ci sono solo gli “smanettoni”,
il vero sahariano esiste ancora, quelli che un tempo partivano
con le vecchie Yamaha 400 col serbatoio cromato, ora partono
a bordo di fuoristrada, è passato un po’ di
tempo, è cambiato il mezzo, ma lo spirito è
rimasto lo stesso. E’ facile individuarli al bar del
porto, il volto è segnato, nelle loro rughe traspare
sempre un velo di polvere e i loro sguardi sono sempre rivolti
verso il mare.
Molti di loro viaggiano con i figli cercando
di trasmettere le proprie esperienze e il proprio amore
verso l’Africa, vanno in viaggio con i viaggiatori
di domani non solo per non cancellare le vecchie tracce
lasciate sulla sabbia negli anni passati, ma soprattutto
per tramandare alle prossime generazioni i sentimenti del
loro cuore nero.
L’ora della partenza si avvicina e l’emozione
cresce già quando il sole scompare dietro le colline
liguri, il buio sta arrivando e tra un po’ la nave
dei sogni salperà; una cena al self service, due
chiacchiere al bar e poi a nanna, fino al nuovo sorgere
del sole.
Non ci si annoia durante la traversata, c’è
chi gioca a carte, chi si rilassa a poppa o a prua immerso
nei propri pensieri, chi sorseggia una birra al bar, chi
invece si è già messo in viaggio muovendo
il dito sulla Michelin 153.
All’arrivo a Tunisi ci sono gli immancabili
controlli doganali, di solito sono veloci, basta un’oretta,
poi si passa dalla Polizia, un timbro sul passaporto e via,
verso sud, dove l’asfalto lascia il posto alle piste
sterrate.
Ora che abbiamo lasciato alle spalle le acque
del Mar Mediterraneo, le nostre menti sono già volate
nell’altro mare, quello di sabbia tanto sognato e
sospirato.
Ora siamo in viaggio davvero, i racconti e
le leggende si intrecciano mentre il sole tramonta dietro
l’ultima duna tinteggiando di calore il paesaggio
africano, nel cielo si accendono le stelle, i nostri sogni
di bambino scivolano dalle barcane vicine, è tempo
di lasciarci, la voce del silenzio ci chiama.