LA TURCHIA IN AUTOSTOP
di
Federica Sorba
Non
so perchè abbiamo scelto la Turchia, forse perchè
il mio ragazzo ci era già stato quando aveva dieci
anni (in camper con i genitori), ci era tornato a venti
(da solo e con pochissimi soldi) e, vicino al traguardo
dei trenta, aveva voglia di tornarci, insieme a me.
Siamo
partiti in nave da Ancona, volevamo avvicinarci gradualmente
alla Turchia, per assaporare tutte le mutazioni di clima,
di cultura, di gente. Avevamo deciso che avremmo viaggiato
in autostop, e così è stato. Il vantaggio
del muoversi in autostop è che ti costringe a stringere
rapporti molto stretti con gli abitanti dei luoghi visitati,
e questa era per noi una delle priorità più
importanti. Viaggiare non tanto, o non solo, per vedere
posti diversi e visitare monumenti e musei celebri, ma anche
per conoscere, per entrare un po' nella mentalità
e nella cultura della gente.
L'avvicinamento
alla Turchia (rigorasamente in autostop) è stato
un po' difficoltoso a causa del secolare odio che oppone
turchi e greci, ma grazie alla sorprendente gentilezza del
popolo turco (di cui abbiamo avuto modo di godere innumerevoli
volte, nel corso del viaggio), e a una buona dose di fortuna,
siamo riusciti a varcare la frontiera, e ad arrivare a Istanbul.
Qui
abbiamo pernottato allHorient House Youth Hostel,
un ostello molto pulito, dai prezzi ragionevoli, e la clientela
giovane e internazionale, con una vista mozzafiato, si trova
infatti in piena Sultannamet, proprio traa la Moschea Blu
e Ayasofya. Unico inconveniente: il canto dei muezzzim che
ti sveglia allalba, ma anche questa diventerà
ben presto una piacevole consuetudine che ci accompagnerà
per il resto del viaggio. Ci fermiamo poco a Istanbul, giusto
il tempo per intravedere qualcuno dei suoi mille volti,
per perderci nei suoi immensi e caotici mercati, per innamorarci
delle sue bellezze (imperdibile il Topkapi, e soprattutto
la visita allHarem!).
Ma
siamo smaniosi di continuare il nostro viaggio e così
la sera del 2° giorno prendiamo un autobus (lunico
in tutto il mese) che in una notte ci porta ad Antalya.
Di qui cominciano a scendere verso il sud, seguendo la costa,
alla ricerca di un angolo non ancora contaminato dal turismo
di massa, e dallinvasione dei tedeschi.
Il
cambiamento che ha subito la costa turca negli ultimi anni
ci amareggia un po (soprattutto il mio ragazzo, che
laveva vista prima). Ma la gentilezza dei turchi ci
conquista. Cominciamo a capire qualche parola e le conversazioni
si fanno un po più agevoli anche con quelli
che non parlano inglese (e sono tantissimi). Alla fine troviamo
quello che stavamo cercando: proprio in fondo alla Turchia,
a poche ore dal confine con la Siria, si nasconde una regione
dove si parla arabo e il turismo non ha ancora fatto troppi
danni. Ci sistemiamo ad Arsuz, e qui restiamo per una settimana.
La
regione è davvero bella, soprattutto Antachia,
lantica città di Antiochia, merita una visita
approfondita: noi (purtroppo o per fortuna?) labbiamo
visitata insieme a una famiglia di turchi di cui eravamo
diventati amici, ed erano molto più interessati a
farci conoscere tutti i loro parenti piuttosto che a farci
visitare la città. Lasciando la regione abbiamo deciso
di inoltrarci verso il confine con la Siria, attratti dalla
speranza di poter passare la frontiera e andare a dare uno
sguardo di là: limpresa si è
dimostrata assolutamente infattibile, ma in compenso abbiamo
scoperto uno dei posti più belli e più remoti
della Turchia.
Qui
il tempo sembrava davvero essersi fermato, e mentre camminvamo
su per i colli sopra a Yayladag, i bambini ci seguivano,
non per chiedere soldi o regali, ma solo per guardarci da
vicino, per salutarci...e i vecchi fermavano le loro vecchie
moto per regalarci i fichi più maturi, i dolcetti
più buoni...alla fine due ragazzi ci hanno fatti
salire sulla loro macchina, e ci hanno portati a casa loro,
per la notte.
Tutta
la famiglia (i nonni, otto figli, più i vari mariti
e mogli e nipoti) era entusiasta della novità, e
ci hanno regalato quanto di meglio può offrire lospitalità
turca. Il mattino dopo allalba, mentre insieme alle
donne della famiglia assistevo al rito del pane
(che la madre stava preparando apposta per noi) ho pensato
che questa è la vera magia della Turchia. Poche ore
dopo siamo partiti, per tornare nel mondo. Direzione
nord-est, verso il grande fiume Eufrate, culla delle civiltà.
A
Birecik lantichità di quei mercati,
di quelle case, di quella gente ci ha incantati... sulla
strada verso Gazi Antep e Malatya ci ha catturati
la desolazione quasi desertica dellaltipiano, interrotta
solo dal passaggio occasionale di qualche famiglia nomade,
o dai segni che hanno lasciato generazioni millenarie di
pastori. E, proseguendo verso nord, ancora paesaggi diversissimi,
il colore della terra che cambia come quello del cielo,
villaggi antichissimi nascondono mercati animati, moschee
silenziose, tracce perdute di mondi antichissimi.
E
poi il verde rigoglioso del Mar Nero, in una malinconica
atmosfera da fine-stagione e fine delle vacanze,
anche. Lultima tappa è Istanbul, e il cerchio
si chiude. Questa volta ci fermiamo un po di più,
anche perchè abbiamo bisogno di abituarci di nuovo
alla civiltà, prima di affrontare il ritorno a casa
(in aereo questa volta). Il Gran Bazar cattura tutta la
nostra attenzione, e torniamo a casa tanto carichi di spezie
da temere le reazioni dei cani, in aereoporto.