TURCHIA ORIENTALE 2001
di
Sylvie Surmely
DIARIO
DI VIAGGIO - PRIMA PARTE
Venerdì
27 luglio 2001
14h25, Nancy-Milano, 654 Km
Si mette in moto dopo aver caricato le bici e via in
partenza per la Turchia!
Orrore! La spia dell'olio resta accesa. Si spegne il motore,
si riavvia, si rispegne, si riavvia ancora, e si rispegne
il motore a 50 metri da casa. Oh, nooo, non ricominceremo
ancora come l'anno scorso!
Pronto!, chiamiamo il meccanico per rassicurarci, dal momento
che Philou ha cambiato l'olio proprio la settimana scorsa,
e forse non è ancora ben distribuito (lo speriamo
vivamente....). Siamo soltanto a 100 metri dal garage, riproviamo
a mettere in moto e se non va, ci potremo fermare subito.
Miracolo della meccanica, aiutati da Santa Zita, la patrona
delle cause disperate e senza dubbio anche dei camperisti
in perdizione.... la spia rossa si spegne. Speriamo di non
ricominciare come lo scorso anno, ormai i meccanici turchi
li conosciamo bene!
Dopo il Passo di Bonhomme scendiamo verso l'Alsazia e ad
Ammerschwhir vediamo un profilato Challenger targato 42mo
dipartimento, con adesivi di renne e che sembra proprio
quello dei nostri amici che rientrano dalla Norvegia: che
vie misteriose riescono a volte a far incrociare le strade
di chi ritorna dal nord con quelle di chi parte per il sud!...
Il tragitto è quello solito: Colmar, Basilea, Lucerna,
Tunnel del San Gottardo con i suoi 40 gradi e mezzo, si
tenta di battere il record degli anni precedenti, ma qui
dentro regna sempre un calore micidiale.
All'uscita da una tale fornace, i lampi cominciano a tenerci
compagnia fino a Milano, pioggia e tuoni ritmano la nostra
avanzata verso il sud. E' l'una del mattino quando fermiamo
Bouli su un'area di sosta autostradale.
Sabato
28 luglio
4h57, Milano-Brindisi, 945 km
La sveglia è stata regolata per le 5, ma Sylvie,
abituata alle sveglie mattutine, è pronta alle 4h45
e alle 4h57 è già al volante per raggiungere
Brindisi per le 18, due ore prima della partenza del traghetto,
prevista per le 20.
Ci si dà il cambio per alternare guida e riposo e
percorrere i 1.000 km che ci separano dal molo d'imbarco.
A mezzogiorno siamo a Pescara e alle 17h10 siamo a Brindisi.
I biglietti possono essere convalidati al porto, senza bisogno
di recarsi in centro città, ma vi è una coda
infinita e un immenso imbuto di macchine all'entrata. La
barriera d'ingresso è chiusa a metà, cosa
che obbliga chi entra e chi esce ad alternarsi, creando
un'attesa di più di 30 minuti. Sylvie parte a piedi
e va ad espletare le formalità. Quando saliamo il
ponte è già pieno di camper ma per fortuna
troviamo un posticino niente male.
Domenica
29 luglio
4h, Patrasso-Galaxidi, 103 km
Alle 4 risveglio obbligato per lo scalo a Igoumenitsa, scendono
in molti e possiamo scegliere un posto migliore, vicino
alle finestre. Philou sistema il tavolino da pic-nic e le
sedie per approfittare dei primi raggi del sole. Facciamo
colazione mentre incrociamo l'Isola di Lefka e ammiriamo
il paesaggio.
Alle 13 Bouli poggia le ruote sul suolo greco, precisamente
nel Peloponneso, direzione Rio per il traghetto che ci porterà
in Grecia Centrale. La traversata della cittadina di Naupacte
è gradevole e pittoresca.
Poco dopo Galaxidi un piccolo parcheggio in riva al mare
sarà la nostra sosta ideale per una notte di riposo
dopo due giorni di follie stradali.
Menù della serata: barbecue e patate, formaggio,
il tutto innaffiato da un buon vin gris della Meuse.
Lunedì
30 luglio
8h, Galaxidi-Kavala, 560 km
Il levar del sole è magnifico sul golfo di Corinto
e merita qualche fotografia.
I nomi delle località sgranano come un rosario: Lamia,
Larissa, Salonicco, ed infine Kavala con la spiaggia di
Nea Iraklista, che sarà la nostra sosta notturna.
Facciamo un bagno in un mare caldo e limpido.
Anedotto del giorno: siamo passati così di fretta
ad un pedaggio autostradale così vecchio da credere
che fosse dismesso che non siamo riusciti a fermarci per
pagare il dovuto....
Martedì
31 luglio
8h, Kavala-dopo Istanbul, 549 km
S'è alzato il vento e ci accompagnerà fino
a sera, quando ci fermeremo dopo Istanbul.
Philou controlla il mezzo, e scopre con orrore che mancano
3 litri di liquido di raffreddamento. Eh no!, non succederà
come l'anno scorso?
Il piccolo porto di Makri, un po' prima di Alexandroupoli,
suggerito da Suzy e Alain, ci accoglie per la sosta di mezzogiorno.
Dopo 100 km la spia del liquido s'accende: arresto immediato,
scrutiamo il motore, Philou vede dell'acqua ma non si capisce
la causa. L'aggiungiamo, ripartiamo e dopo qualche chilometro
ci fermiamo di nuovo. Alla fine scopre il guasto: un bullone
da stringere e fatto ciò ripartiamo con lo spirito
più rasserenato.
Prima della frontiera facciamo il pieno ed il ragazzo che
ci serve ci chiede se andiamo in Turchia e poi aggiunge:
"Turc people not good!"
Ed io rispondo: "Greek people good, Turk people good
"
L'astio tra i due paesi è grande, anche nelle giovani
generazioni.
Passiamo la dogana in 30 minuti, tempo rekord, bisogna riconoscere
che conosciamo ormai a memoria le formalità e i passaggi
da fare. Un doganiere ci chiede dove andiamo, e quando glielo
diciamo s'illumina di contentezza perché viene da
Dogubayazit, poi ci parla del monte Ararat ed è molto
fiero del fatto che noi ci andremo.
Istanbul s'annuncia con i suoi nuovi quartieri in perpetua
costruzione, decine di chilometri prima del passaggio sul
Bosforo.
Sul
ponte che unisce le due sponde c'è traffico, e l'autista
del dolmus a fianco a noi ci saluta in francese: "Buongiorno
signori", noi gli rispondiamo e allora ci chiede dove
andiamo e poi ci augura buon viaggio. Magico mondo, la Turchia.
Incrociamo venditori di cavetti per telefonini, (tanti!),
i turchi vanno pazzi per i cellulari.
Sosta notturna sulla prima area di servizio dell'autostrada
"Anadolu Otoyolü", in direzione di Ankara.
Il nostro sonno sarà ben controllato da un gruppo
di giovani soldati che sosteranno per tutta la notte proprio
a fianco a noi.
Cominciamo ad incontrare una nuova "specie" di
camperisti: dopo i viaggiatori, i camperisti che vanno nei
campeggi, e quelli del campeggio libero fronte-mare, eccone
un altro tipo: i turchi che rientrano a casa per le ferie
con degli Hymer nuovi fiammanti.
Ci manca il pane e Philou parte alla ricerca, Sylvie sa
bene che non ci sono negozi nei paraggi ma che lui tornerà
col pane. Strada facendo incontra una famiglia turca che
abita in Francia. Lui fa l'autotrasportatore (ci ha clacsonato
diverse volte durante il tragitto in Grecia), va a Bursa
a scaricare poi porta moglie e figli a casa a Izmir per
le vacanze. Va e viene dalla Turchia ogni 15 giorni.
Un camper italiano si parcheggia vicino a noi. Scende la
notte e poniamo fine alla giornata.
Mercoledì
1 agosto
9h, dopo Istanbul - prima di Sivas, 549 km.
L'autostrada comincia ad esserci familiare, superiamo Izmit
e i suoi container del dopoterremoto di due anni fa, e che
in buon numero sono ancora abitati.
La strada e il tunnel verso Bolu non sono ancora terminati
e la salita è infernale, punteggiata dai soliti venditori
di nocciole, tavolini di legno, cesti di paglia, giocattoli
in legno per i bambini, "lokantasi" e botteghini
di snacks.
L'autostrada è deserta, come i paesaggi alpini che
attraversiamo, con il superamento del passo a 1.600m e che
ci porta il fresco dopo i 35 gradi della pianura.
Ankara appare in un immenso paesaggio di campi di grano,
25km di una mini Manhattan spuntata dalla terra con un vicinato
di minuscole casette con a fianco i blocchetti di sterco
di vacca e paglia lasciati a seccare al sole per le fredde
sere invernali.
All'esterno della megalopoli, immensi quartieri di robivecchi
e sfasciacarrozze convivono con fiammanti moschee: v'immaginereste
voi una chiesa troneggiare tra i cantieri della Fiat?
Nella regione di Yozgat il sole regna sovrano e permette
alle industrie locali di produrre mattoni rosseggianti.
Ma questo sole generoso scalda anche immense colture di
barbabietole che permettono la fabbricazione dello zucchero
consumato in grande quantità per la preparazione
del çay (thé).
Superiamo Sorgun, dove nel 1998 la fontana di una stazione
di servizio oggi in rovina aveva accolto e rinfrescato i
piedi di Yoann e Philou.
Decidiamo di continuare per avvicinarci a Sivas e mettiamo
fine alla giornata abbastanza sul tardi in una bella stazione
di servizio BP.
Quattro camper italiani ci scorgono e vengono a parcheggiare
anche loro vicino a noi.
Giovedì
2 agosto
9h, Sivas - tra Gürün e Darende, 742 km
Toh!, alle 7 del mattino i camper italiani sono già
scomparsi, e non li rivedremo più, nemmeno a Sivas.
Sivas, che Sylvie sogna da tre anni, Sivas è finalmente
davanti a noi. La città è di facile accesso,
pulita, accogliente e vuota di turisti. Le mederse principali
da visitare sono all'interno di un bel parco, senza troppo
cercare troviamo un parcheggio custodito a pagamento proprio
lì a fianco.
La medersa Bürüciye è chiusa, ma il suo
portale è di rara bellezza.
Più lontana, la Çifte medersa, i suoi due
minareti e la medersa Sifayie sono due magnifiche rappresentazioni
dell'arte selgiuchide. Intarsi, iscrizioni, incisioni su
pietra donano agli edifici eleganza e bellezza.
All'interno della prima, un piccolo bazar artigianale dove
compriamo un bel paniere per le "findik" (nocciole)
e che a casa diventerà un rustico porta riviste.
Una sala da thé serve le sue bevande in questa oasi
di bellezza e frescura ritmata degli zampilli della fontana
centrale.
Ma la meraviglia dell'arte selgiuchide, portata dai mongoli
e ispirata all'arte delle steppe dell'Est, è all'esterno
del centro-città, purtroppo nascosta da alti bandoni
ondulati. La Gök Medersa, in stato pietoso, meriterebbe
di essere nell'elenco del patrimonio mondiale dell'Unesco.
I due minareti che fiancheggano l'entrata di questa scuola
coranica sono ricoperti di bei mosaici a tesserine blu.
Il portale è magnifico, nessuna rappresentazione
umana come vuole la tradizione musulmana, ma fiori di pietra.
L'interno è miserevole, ma cerchiamo di immaginarci
come doveva essere questa meraviglia nel XIIImo secolo.
Su consiglio di Alain riguardo la salita su uno dei minareti,
Philou ha portato una torcia e con l'accordo... finanziario
del guardiano, inforchiamo le scale che salgono in alto.
Per fortuna i muezzin non salgono più cinque volte
al giorno sui minareti: che esercizio per le loro gambe
sarebbe, con questi gradini alti e stretti!
Il panorama è bello e ci permette di scorgere i minareti
della medersa Çifte in mezzo al parco. L'ascensione
ci ha messo appetito e partiamo alla ricerca della "Büyük
Merkez Lokantasi" consigliata dalla Neos e dalla Lonely:
siamo ciechi? Ci passiamo davanti due volte senza vederla,
ma la cortesia dei turchi è proverbiale e ci conducono
lì davanti.
Il pianerottolo è riservato agli uomini, il mezzanino
è per le famiglie, ed ha l'aria condizionata. Degustiamo
un'insalata di pomodori e cacik (cetrioli con yoghurt, simile
allo tzatziki greco), sis kebab per Philou e sebzeli Sivas
kebab per Sylvie, che si rivela un enorme piatto di verdure
grigliate con pezzi di carne di montone, il tutto con pide
(pane piatto come una pizza bianca fine). Delizioso.
Per bevande coca e acqua, con l'immancabile thé alla
fine, e il tutto per la modica somma di 9.300.000 lire turche,
cioè 8,50€.
Eccoci pronti ad affrontare i vari mercati della città,
più o meno tipici. Un caravanserraglio
ospita innumerevoli negozi di calzature, un altro più
tipico, venditori di spezie e frutta secca, di cui la vicina
regione di Malatya è grande produttrice. Finiamo
al mercato della frutta e verdura, dove facciamo spese a
prezzi irrisori. Sylvie ha scovato un botteghino che espone
tantissimi barbecue molto pratici, e con 5€ Philou
fa felici acquisti.
Lasciamo Sivas in direzione Malatya. Troviamo lungo la strada
un bel posto sul bordo di un ruscello, ma dei ragazzini
molti insistenti ci obbligano a ripartire. Alcuni chilometri
più avanti un ristorante di pesce a fianco del fiume
Tokma viene eletto a nostra sosta notturna.
Ajmed, un trentenne calvo e robusto, ci invita a braccia
aperte a sistemarci all'ombra dei pioppi.
A destra il fiume, a sinistra gli alberi, sul retro il "mangal"
(grill) dove Ajmed prepara il "balik" (pesce)
o il montone, con contorno di insalata di pomodori.
Per noi sarà pesce grigliato allevato nelle vicine
vasche. E con i rari clienti, eccoci ad intrattenere una
conversazione in turco... ed è qui che entra in azione
il dizionario franco-turco acquistato prima della partenza.
Ed anche senza di questo, Sylvie e Philou riescono a capire
quello che dicono queste persone senza conoscere una parola:
mistero!
Si capisce che Ajmed guadagna 250$ al mese, moneta invariabilmente
utilizzata per rendere idea dei prezzi, perché qui
la moneta è in perenne inflazione e solo il dollaro
può dare un'idea stabile. Spende 100$ per la casa
dove vive con la moglie e due figli. E' di lontane origini
siriane, vicino al Mar Morto, e ci indica il suo villaggio
sulla mappa della Giordania. Quest'uomo emana buonumore,
gentilezza e gioia di vivere. Ci pone delle domande con
tatto e delicatezza, che lavoro facciamo, ma il dizionario
non riporta né "informatica", né
"computer" e Ajmed capisce soltanto quando gli
mostriamo il portatile. Quanto guadagnamo, e qui rimane
a bocca aperta, ma tutto viene ridimensionato quando gli
diciamo che il costo della casa è sette volte superiore
al suo, e così via.
Saali, un bell'uomo di una quarantina d'anni che ogni tanto
si unisce alla conversazione, non perde mai il suo immenso
sorriso: è macellaio, uccide i montoni che mangiano
i clienti del ristorante. Ride, ride in continuazione, e
alla fine ci regala un sacchetto di albicocche.
E' tempo di andare a dormire, ma Ajmed con il suo tatto
ci chiede a che ora vogliamo partire, perché arriverà
soltanto alle 10, e se partiamo prima ci sarebbe il conto...
Fa i suoi calcoli e sono 5.000.000 (4,50€), una sciocchezza,
considerata anche la sosta notturna!
Gliene presentiamo 10.000.000 dicendo di tenerli tutti e
a fatica lo convinciamo che non vogliamo il resto.
Un'ultima foto, e l'indirizzo per fargliela arrivare.
La notte passa nel fresco e nella tranquillità.
Venerdì 3 agosto
9h30, tra Gürün e Darende-Kahta, 301km
Toh, dei belati a fianco di Bouli, un pastore ed i suoi
"kayun" (montoni) ci passa vicino, più
per curiosità che per altro. Saali ci suggerisce
di fotografarli, poi di fotografare lui e il pastore. Dopo
qualche manovra eccoci di partenza, un po' in ritardo questa
mattina.
Attraversiamo contrade desertiche, superiamo passi ad oltre
1.500 metri e attraversiamo piccole oasi di poche decine
di case, con l'immancabile moschea (Allah è onnipresente),
piantagioni di albicocche, poi di nuovo il deserto... profondi
canyon che ci ricordano i film messicani e le loro case
dai tetti piatti, i muri lisci dove le albicocche sono stese
a seccare: mancano solo i gringos.
Malatya si avvicina, la discesa s'addolcisce e la temperatura
risale... principio dei vasi ... comunicanti (l'altitudine
scende, la temperatura sale, cvd).
In città dobbiamo fare acquisti in uno dei suoi due
supermercati nuovi fiammanti. L'Afra sarà quello
scelto.
Facciamo provvista d'acqua, "baklava" (dolci),
çay, ekmek (pane). Basta, Bouli rigurgita ancora
di surgelati e provviste di ogni genere.
Alla periferia della città una fabbrica di tessuti
con il suo negozio ci colpisce ed entriamo a fare acquisti
niente male, poi cerchiamo un posto all'ombra per il pranzo.
Lo troviamo a fianco di quella che ci sembra una caserma.
Mentre prepariamo, un uomo in uniforme arriva portandoci
una brocca di acqua gelata e un timballo, sicuramente fa
parte del rituale di accoglienza e non possiamo rifiutare.
Ma la sorpresa non è finita: dieci minuti più
tardi arrivano altri due soldati con un enorme bouquet di
peonie e di rose rosse, rosa e gialle. Sylvie è sorpresa,
rimane senza parole e riesce soltanto a dire "Tesekkür
ederim" (grazie infinite). Bouli è ben fornito,
nel gavone c'è pure un vaso che spunta per accogliere
questo bellissimo dono floreale. E dopo i fiori, sarà
il çay (thé), che fa sempre parte di ogni
rituale di ospitalità. Li ospitiamo a bordo e intavoliamo
una conversazione aiutati dal nostro magico dizionario.
Ma anche se la compagnia è piacevole, è tempo
di ripartire.
La strada serpeggia per una vallata dove scorre un bel fiume,
una ventina di donne e uomini stanno facendo il bucato.
Le donne lavano con i piedi nell'acqua, gli uomini stendono
su dei cespugli, poi il bucato s'asciuga, lo piegano formando
delle alte pile immacolate. Eh sì, gli uomini turchi
fanno il bucato, non si sarebbe detto.
Ci fermiamo ad una stazione "Petrol Ofisi", che
sembra l'ultima per parecchi chilometri, facciamo il pieno
e poi Philou chiede se può caricare acqua. Naturalmente!,
ci rispondono, qui l'acqua scorre a fiotti per far sopravvivere
un magro praticello e qualche albero riscattato all'elevato
calore. E poi ci offrono il theall'ombra degli alberi, e
insistono per rinfrescare anche Bouli. Philou rifiuta, ma
non c'è niente da fare, non si può che accettare
con il sorriso, un rifiuto sarebbe un affronto: noi gli
facciamo l'onore di venire nel loro paese e loro ci vogliono
accogliere degnamente. Alla fine di una toletta completa,
ripartiamo e riprendiamo la nostra traversata di un deserto
punteggiato ogni tanto da alcune oasi di frescura perdute
nel mezzo del nulla.
Ed eccoci arrivati a Kahta, la temperatura da 43º è
scesa a 39º. Abbiamo caldo e sognamo una piscina, e
all'Hotel Zeus, per 9€ veniamo accontentati e ci immergiamo
in un'acqua turc...hese. Ci sistemiamo al Camping Zeus,
a fianco del Camping Commagene che non ha piscina. Siamo
i soli, e poi in serata arriva una coppia di motociclisti
di Firenze.
Inauguriamo il barbecue e facciamo qualche altro tuffo prima
di andare a nanna.
Sabato
4 agosto
7h per Sylvie, 9h per Philou (no comment), Kahta- Nemrut
Dagi, 61 km
Mattinata calma tra incombenze varie, bucato, verifiche
meccaniche, stesura del diario e tuffi in piscina.
Arriva un gruppo di camper italiani, gli occupanti sono
sulla cinquantina, molto discreti. Dopo un bagno in piscina
partono per l'escursione al Nemrut Dagi.
Un piccolo camper austriaco, papà, mamma, bambina
e nonno, ritornano dalla nottata passata sul Nemrut: ci
spiegano che si può salire, lentamente, molto lentamente
e che in cima un parcheggio in piano per 5/6 veicoli è
l'ideale per passarvi la notte, infatti un camper francese
era lì con loro.
Perfetto, questa notte saremo noi che dormiremo lassù
e che alle 5 del mattino potremo ammirare l'alba sul sepolcro
di Antiochio I.
Wait and see...
Alle 16 lasciamo Kahta e il comfort del campeggio dopo aver
comprato il buon ekmek che accompagnerà la nostra
colazione di domani. Ci fermiamo dapprima ai tumuli di Karakus
eretti da Mithridate I per sua madre, sua figlia e sua nipote
(e la moglie dov'è andata a finire??). E' in realtà
un tumulo di pietrisco e quattro colonne di cui una sormontata
da un'aquila e un'altra sormontata da un leone a cui manca
la testa che è a terra, qualche decina di metri più
in là. Questo sito sembra il preludio a ciò
che dovrebbe essere il sepolcro di Antiochio I, 45 km più
avanti e 2.200 metri più in alto (che manìa
di grandezza che hanno gli uomini!, mentre invece le donne
si accontentano di ciò che gli uomini gli vogliono
concedere...)
Il caldo è tremendo, Philou procede, per ora la strada
è facile, attraversiamo dei villaggi dove i bambini
ci fanno segno con la mano, timidamente. Philou si chiede
quando cominceranno le difficoltà,
ed ecco che arrivano a 12 km dalla meta: l'asfalto si trasforma
in ciottoli per due chilometri: beh, pensiamo, se è
questo l'acciottolato di cui parlava il nostro vicino austriaco,
è una risata.... Ridete, ridete, non riderete più
fra poco
.
Dopo due chilometri l'acciottolato si trasforma in sentiero
e la salita in prima fa salire il calore e accendere la
spia del liquido di raffreddamento. Ci fermiamo, aspettiamo
un quarto d'ora, cade il silenzio e preoccupati, nessuno
dei due apre bocca per non spaventare l'altro... Pensiamo:
Antiochio è stato proprio un megalomane di prima
classe e un sadico per le nostre meccaniche, dal momento
che anche le nostre macchine del XXImo secolo sono messe
a dura prova da questo reuccio che regnò tra il 69
e il 23 Avanti Cristo.
Seconda sosta per surriscaldamento, seconda angoscia dissipata
scattando fotografie e riprese dell'evento che, lo speriamo
di cuore, si evolverà in bene.
Che situazione! E pensare che dobbiamo telefonare a Marina
per dirle se è possibile la salita al Nemrut o no:
possibile sì, ragionevole no!
La salita varia da un 12 ad un 22% minimo, e in linea retta
senza possibilità di sosta. La meccanica è
messa a dura prova. Quando si crede che il calvario sia
finito esso ricomincia daccapo.
Bouli, non ti fermare proprio adesso! Bouli, realizza uno
dei nostri sogni, dormire al Nemrut Dagi e vedere il sole
levarsi sulle teste giganti di questo santuario fuori dal
comune!
Terza sosta ad un chilometro dalla meta, con pendenza del
20%, se non riusciamo a ripartire dormiremo qui questa notte.
Scrutanto la cima del Nemrut vediamo soltanto dei veicoli
parcheggiati in pendenza: dove sta il posto di cui parlava
il nostro collega austriaco? Ripartiamo e arrivati troviamo
circa 25 vetture parcheggiate. Ma la fortuna è con
noi, e troviamo un vasto terrapieno a sinistra della strada
che sarà ideale per la notte e da qui circa 10 minuti
di salita a piedi ci separano dall'entrata al sito. Inch'Allah,
la strada per noi si ferma qui.
Non assistiamo al tramonto del sole sulle statue ma soltanto
sulle montagne. Il panorama è grandioso e la parola
non basta per descriverlo, dai 2.200 metri la vista abbraccia
la regione, la diga d'Atatürk sull'Eufrate (decisamente
questo fiume ci ha dato appuntamento, ci eravamo bagnati
alle sue acque l'anno scorso in Siria), le montagne all'infinito
e un sentimento strano ci sommerge davanti a tanta immensità.
Nella mini-boutique acquistiamo un libro sul sito e una
piccola riproduzione della testa di Antiochio I in attesa
di vederla dal vivo domani all'alba.
Un tale avvenimento si festeggia degnamente e Philou apre
una bottiglia di Col de Velours (a migliaia di chilometri
da casa la Meuse sarà degnamente rappresentata questa
sera,) e il nettare con le sue bollicine scende nelle coppe
di champagne, mentre un fuoco illumina la notte stellata.
La luna questa sera è tra gli invitati poiché
ci fa l'onore di essere piena. E' veramente una serata eccezionale.
A nanna, sono già le 22 e domani dobbiamo alzarci
alle 4 per salire ad ammirare il levar dell'astro solare
sulle terrazze del santuario.
Domenica
5 agosto
4h, Nemrut Dagi-Sanli Urfa, 235 km
Il risveglio è alle 4, un caffé ed un the
ed eccoci alle 4.30 pronti a scalare le centinaia di metri
che ci separano dalla cima. I dolmus hanno già riversato
un gran numero di visitatori semi-addormentati, piccola
fila per I biglietti ed eccoci sul sentierino di ciottoli
che s'inerpica sul tumulo alto 50 metri ma che ne ha perduti
circa 25 in seguito ai tentativi degli archeologi di accedere
alla camera funeraria fino ad oggi ancora inviolata.
C'è affluenza e in circa 15/20 minuti arriviamo sulla
terrazza Est poiché è là che l'astro
celeste abbraccerà le statue, il tumulo e le celebri
teste cadute dal loro piedistallo.
Il luogo è pieno di gente, almeno 300 persone, molti
turisti turchi, alcuni dei quali con fornelletto a gas,
enormi teiere e tutto l'occorrente per preparare il the!
Il sito si componeva di tre terrazze di cui ne restano due,
la terrazza Est per il levar del sole e quella Ovest per
il tramonto, oltre al gran tumulo di pietre che nascondono
la tomba del re.
La terrazza est è vasta poiché ospitava un
altare di cui non resta che la piattaforma ed una statua
di leone seduto; le sette immense statue sedute di Antiochio
e degli dei greci hanno perso la testa nel corso dei terremoti
che scuotono ogni tanto la regione, e queste giacciono a
terra. La terrazza Ovest ha le stesse statue ma su una terrazza
più piccola, più intima.
Bisogna pazientare un'oretta per lo spettacolo solare, ma
lo spettacolo umano è già iniziato e con un
po' d'occhio attento ci si rende conto che non tutti sono
venuti a cercare le stesse cose. I turchi aspettano l'alba
sulla montagna, sono tutti girati verso il punto da dove
apparirà il sole, mentre i turisti stranieri hanno
lo sguardo e la macchina fotografica puntata sulle statue.
Un guardiano fornito di fischietto richiama all'ordine i
curiosi che cercano di salire sulle statue o sul tumulo...
L'occhio si abitua lentamente all'oscurità che lascia
progressivamente spazio all'alba, siamo circondati da montagne
che man mano emergono alla luce del sole.
Eccolo, arriva, è ancora invisibile ma già
schiarisce il cielo, e all'improvviso degli "oh!"
si levano dalla folla riunita in questo luogo unico. Il
tumulo e le statue prendono un colore ocra luminoso. L'insieme
è incredibile e le macchine fotografiche entrano
in azione, e anche noi facciamo lo stesso cercando di scattare
foto senza turisti, cosa alquanto difficile.
Col passare del tempo la terrazza si svuota e restano soltanto
tre coppie di turisti, per scattare delle fotografie in
tutta solitudine, una coppia italiana, una turca e noi,
tutte e tre rapite dall'atmosfera di questo luogo fuori
dal comune.
E mentre il sole s'innalza nel cielo ammiriamo il frutto
della megalomania dell'uomo: che follia questo santuario
a 2.200 metri di altezza, ma un vero regalo per le generazioni
che ne sono seguite!
Andiamo a vedere anche la terrazza ovest, molto più
piccola, ma con dei bei bassorilievi intagliati nella pietra
nera e le teste sono in miglior stato e raggruppate, cosa
che gli dà un maggior senso di potenza e nobiltà.
Il momento è magico. Siamo nel luogo di cui tanto
abbiamo sognato dal nostro primo viaggio nel 1992. Quello
che tanto avevamo guardato sui depliants turistici è
qui, sotto i nostri occhi. Facciamo delle foto ma principalmente
ammiriamo il paesaggio, l'immensità montagnosa, i
riflessi dorati e le scintille dei laghi formati dalla costruzione
della diga sull'Eufrate.
Non vogliamo andarcene e torniamo alla terrazza Est un'ultima
volta, ed effettivamente ormai siamo soli, sembra che il
posto appartenga a noi soltanto, cosa che amplifica la sua
magia e la sua bellezza.
Il guardiano è già da tempo ritornato all'ingresso
e la stessa cosa facciamo anche noi, anche se a malincuore,
dopo essere ripassati di nuovo per la terrazza ovest per
un ultimo addio, o meglio, un arrivederci.
Raggiungiamo Bouli che sono le 8, facciamo una sostanziosa
colazione e lasciamo con dispiacere questo luogo magico
verso le 9.15.
La discesa è lenta e prudente, con una sosta per
far raffreddare i freni supersollecitati. Ne approfittiamo
per riposare all'ombra degli sparuti alberi che crescono
a questa altitudine, e dissipare le preoccupazioni per gli
eventuali problemi meccanici che potrebbero verificarsi.
Arrivati vicino a Kahta giriamo verso il ponte romano di
Cendere, che dopo aver visto passare le legioni romane 2.000
anni fa, vede ora arrivare le legioni dei turisti moderni.
La sua forma a dorso d'asino sembra creare problemi ad un
piccolissimo camper che sta cercando di attraversarlo.
Ci parcheggiamo all'ombra vicino ad un ristorante curdo
che vende anche tappeti, e facendogli capire che torneremo
per pranzo gli chiediamo il permesso per sostare.
Philou ha notato che parecchie famiglie turche o curde,
per noi sono tutte uguali, non riusciamo a distinguere,
stanno facendo pic-nic all'ombra di una grotta che il corso
d'acqua lì vicino ha creato nel corso dei secoli.
Un costume da bagno, un paio di short, un asciugamano ed
eccoci filare verso le acque fresche e limpide del torrente.
Arriva un gruppo di capre che risalgono il fiume, passando
sotto il ponte, condotte da alcuni bambini a piedi o a cavallo.
Uno spettacolo fuori dall'ordinario si presenta ai nostri
occhi, famiglie intere, con vettovaglie e bambini al collo
cominciano ad attraversare il fiume. Sylvie aiuta alcune
bambine a superare gli ostacoli, le piccole sono sorprese
da questa mano inattesa e i papà ringraziano col
capo.
Risaliamo il corso d'acqua verso delle anse
dove speriamo di trovare la possibilità di fare un
bagno ma ovunque troviamo uomini, adolescenti, bambini,
ma di donne o ragazze nemmeno l'ombra.
Abbandoniamo quindi l'impresa e torniamo al ristorante,
dove il patron ha da offrirci soltanto un'omelette fatta
con uova curde (ci tiene a precisarlo) ed una insalata di
pomodori. Sarà l'ombra e la frescura, ma questo semplice
pasto ci sembra delizioso. Poi il patron ritorna e ci vanta
la bellezza dei tappeti in vendita ma gli spieghiamo che
a casa abbiamo già sumak, kilims e tappeti marocchini.
Riprendiamo la nostra strada verso sud.
Un'altra grandiosa opera incrocia la nostra strada verso
Sanli Urfa, ma è un'opera moderna: la grande diga
sull'Eufrate che fa parte del grande progetto che permetterà
l'irrigazione di tutto il sud-est del paese e far divenire
fertile e produttiva una regione arida. Il soldato posto
all'ingresso della zona controllata chiede i passaporti
e ne approfitta per sbirciare a lungo Sylvie. Un chilometro
più in là, possiamo ammirare questa gigantesca
costruzione, la quinta del
mondo: alcuni militari annoiati, messi a guardia di questo
luogo, ci invitano a prendere il the.
Al ritorno tre giovani ci chiedono dove andiamo e se possiamo
dargli un passaggio fino a Urfa: sono due giovani turchi
che abitano a Liegi ed un loro cugino. Mehmet è architetto
e lavora proprio vicino l'ufficio di Sylvie.
Questa mattina presto erano anche loro sulla cima del Nemrut
ed avevano visto il nostro camper e provato un po' di invidia
per queste persone che avevano potuto passare la notte lassù,
vicino alle stelle.
Facciamo così un'ora di tragitto insieme, in piacevole
compagnia, e si offrono di accompagnarci ad un parcheggio
vicino al centro. Mentre parcheggiamo pagano il parcheggio
per due giorni. L'ospitalità turca non viene dimenticata
nemmeno dagli emigranti, abituati ad un altro stile di vita.
Ci guidano poi verso la meraviglia della città: Gölbasi,
la vasca sacra.
Il luogo è bellissimo: un immenso insieme di vasche,
medersa e moschee sparse in un grande parco adatto alle
passeggiate e ai pic-nic, un'oasi di frescura e tranquillità
unite alla bellezza dell'architettura araba, una meraviglia
in questa città che sembra essere la più calda
della Turchia.
Mehmet ci racconta che un re aveva acceso un grande falò
per precipitarvi Abramo e che un miracolo aveva trasformato
il fuoco in acqua e la legna in carpe: da allora le carpe
sono sacre e
non si possono nutrire che con il cibo venduto sul posto.
I pesci si gettano sui piccoli bocconi gettati dai visitatori
e li seguono a bocca spalancata. Non si riesce nemmeno a
distinguere più l'acqua, tanto sono numerosi.
Ci invitano a prendere il the e arricchiamo la nostra cultura
turca grazie ai nostri giovani amici: Mehmet è architetto,
il suo amico è all'ultimo anno di medicina ed il
suo cugino turco è professore di geografia, e ci
erudiscono su una miriade di argomenti.
Allaha ismarladik, güle, güle, bisogna salutarci,
grazie per averci invitato sul vostro camper e di essere
stati nostri ospiti a Urfa la gloriosa. E ci scambiamo gli
indirizzi per rivederci a cena al ritorno di tutti in Francia.
Scende la notte e si accendono le luci che illuminano la
kale (cittadella), le vasche e le moschee, e noi, dopo una
cena a base di Urfa kebab e sis kebak con cipolle e pomodori
presso la Ayn-Zaliha lokantasi, ci ritiriamo nel camper
per un meritato riposo. Sono le 11 di sera, siamo in piedi
dalle 4 di questa mattina e la giornata è stata lunga
e veramente piena.
Lunedì
6 agosto
9h30, Sanli Urfa - 25 km
Ci eravamo ripromessi di svegliarci presto per andare a
scoprire le viuzze dei numerosi bazar di Sanli Urfa ma non
avevamo fatto i conti con la stanchezza e solo alle 10 inizia
il nostro viaggio per i vicoli di questa cittadina incredibile
per noi occidentali e ci inoltriamo in un percorso da Mille
e una Notte.
Oggi sarà la giornata più frenetica per i
nostri acquisti.
L'inizio della mattinata è dedicato agli acquisti
di Philou, e in una botteguccia di 3 metri per 5 compriamo
una lanterna e una lampadina da utilizzare fuori del camper,
il tutto per la modica cifra di 0,50€, the e sigaretta
compresi. Ci chiediamo come fanno a vivere con questi prezzi
irrisori!
Poi è la volta di alcune belle coppe cesellate che
servono a bere l'ayran. Mercanteggiamo, poi il venditore
ne va a cercare altre, più antiche, alle fine due
antiche e cesellate più tre nuove vanno a finire
dentro il nostro zaino.
Nel bazar dei falegnami, tra lettini per bambini, tavolini,
armadi, letti e finestre compriamo due confortevoli sgabelli
per meno di 3€: ovunque vediamo utilizzare questo tipo
di sgabelli ed ora anche noi ne possediamo due.
A fianco, dei fabbri stanno preparando delle bellissime
culle per neonati, una meraviglia di finezza ed eleganza,
ed il rumore dei martellamenti ritma la loro giornata.
Due giovincelli di meno di 10 anni ci seguono incuriositi,
hanno abbandonato il loro compito come lustrascarpe per
venirci dietro. Che avvenire avranno, ora che ha preso piede
la moda delle scarpe da ginnastica?
Siamo presi dalla febbre degli acquisti: E' la volta di
una torcia nuova, quella vecchia ha ormai reso l'anima ad...
Allah e Philou si lancia in una contrattazione con un venditore
che gliene vuole vendere una per 2 milioni (meno di 2€,
decisamente una rovina!!) e alla fine mentre stiamo uscendo
il venditore accanto ce ne offre una identica per la metà,
e così ce ne andiamo con la nostra torcia pagata
1 milione.
Su una piazzetta all'ombra, appena all'uscita di queste
stradine tortuose, una lampada in metallo cesellato e opaco
dal tempo e... dalla polvere del luogo, attira l'occhio
di Sylvie. Di forma quadrata, dà l'impressione di
essere una lampada per esterno, c'è una porticina
e all'interno una piccola lampada ad olio, con una base
cesellata. Considerato il lavoro, deve costare ben cara
ed abbiamo notato che qui la contrattazione è abbastanza
difficile perché i prezzi sono onesti. Riusciremo
a spuntare soltanto 5 milioni di sconto (4€) sul prezzo
che ci verrà richiesto, ma sarà uno degli
acquisti più apprezzati di tutto il viaggio. Poi,
decidiamo di acquistare un grande vassoio per le nostre
cene turche, e ci rechiamo in una bottega che ne ha di tutte
le misure: il n. 17, di 85cm di diametro sarà il
nostro. Molto bello, ma poco pratico da trasportare per
le viuzze del bazar!
Riprendiamo la strada del camper per posare tutte le nostre
meraviglie e poi ci rechiamo verso il ristorante vicino
alle vasche, che è il luogo più fresco e piacevole
della città.
Passiamo nel bazar dei tessuti dove stoffe di tutti i colori
incantano gli occhi e poi nel bazar delle spezie dove ci
inebriamo le narici di mille profumi.
In un piccolo angolo, un venditore di keffiehs ci arpiona
cercando di convincerci a comprare la sua merce e ci conduce
al piano superiore dove delle vecchie Singer in perfetto
stato cuciono senza sosta mentre altre donne stirano con
vecchi ferri a vapore.
All'angolo di una strada, il Gümrük Han, bel caravanserraglio
trasformato in giardino da the, dove uomini, e solo uomini,
chiacchierano, bevono the e giocano a backgammon mentre
su un tavolo alcuni sono impegnati a riparare degli orologi
meccanici.
Al
piano superiore lo stesso spettacolo, solo uomini mentre
i bambini lavorano, sia vendendo oggetti o aiutando i genitori
nell'impresa familiare, o nei campi.
Tutti vogliono essere fotografati e poi ricevere la fotografia,
e il nostro taccuino di viaggio si riempie di indirizzi:
Ahmet del ristorante del pesce grigliato sul bordo del fiume,
Nabi, il piccolo venditore di materiale elettrico, Mustafa
il panettiere e i suoi compagni di lavoro, Ahmet il sarto
con i suoi baffi, Kazim il venditore di keffieh e foulard
che ci ha offerto il the, Halil il gioielliere così
gentile e dal quale siamo ritornati a fare altri acquisti...
e la lista si allunga con grande felicità di Sylvie
e dei suoi figuranti così sorridenti.
Ovunque gioiellieri vendono oro, ma noi preferiamo l'argento
lavorato in modo artigianale. Nel bazar dei gioielli troviamo
un collier molto bello ma costoso. Alla fine lo compriamo
da Halil, allo stesso prezzo ma compresa la gentilezza e
il the, e poi vi facciamo ritorno per acquistare dei pendenti
che contengono al loro interno un estratto del Corano. E'
un articolo molto comune da queste parti, ma da noi è
un articolo originale e fuori dal comune.
Uscendo dai bazar vediamo dei bei cuscini sui quali i turchi
si siedono per mangiare. Chiediamo come si chiamano, e ciò
ci faciliterà nelle nostre future ricerche.
E' ora di lasciare Sanli Urfa, sia per il caldo che vi regna
che per il nostro portafoglio, ma è con dispiacere
che lasciamo alle nostre spalle questa cittadina che aveva
appena cominciato a svelarci i suoi segreti.
Una stazione BP dove due timidi ragazzini stanno giocando
sarà la nostra sosta per la notte. Non è niente
di speciale, ma è sicura: siamo ormai ad oriente
ed è bene che cominciamo a fare attenzione alle nostre
soste.
Ad ogni fermata è sempre lo stesso cerimoniale: siamo
accolti da due o tre uomini, alcuni ragazzini e poi il gruppo
si ingrossa: il telefono senza fili qui funziona a meraviglia!
Una R12 (qui ce ne sono a bizzeffe) della "Jandarma"
si ferma a fianco di Bouli e ne scende un giovane arrogante
che invita Philou a bere una Coca Cola e allo stesso tempo
gli dice di infilarsi una maglietta perché è
sconveniente stare a torso nudo. Durante la conversazione
egli ignora totalmente Sylvie. Lei è soltanto una
povera donna in un paese dove chi comanda sono gli uomini.
Mustafa Kemal, quanto è lontana la tua Turchia egalitaria
e democratica!....
La notte è lunga, soffocante e verso l'una di notte
una macchina si ferma, illumina con i suoi fari e dà
un colpo di clacson. Il benzinaio, che sta dormendo al fresco
sul tetto, si sveglia, scende, va a servire il cliente,
dopo di che ritorna la calma e sia lui che noi torniamo
a dormire.
Martedì
7 agosto
9h, Urfa-Ahlat (Lago di Van), 454 km
I 200 km che separano Urfa da Diyarbakir non sono che
un vasto deserto di pietre nere dove l'agricoltura fa fatica
a sopravvivere. I contadini qui usano bruciare le stoppie
il che rafforza l'impressione di un deserto lugubre e inospitale
dove rari villaggi dalle case di terra e dai tetti piatti
sono nati lontano da ogni vegetazione e alberi. Diyarbakir,
che ha una ben cattiva reputazione, verrà da noi
evitata e ne vedremo da lontano soltanto le scure mura di
cinta.
La jandarma si fa sempre più presente man mano che
procediamo verso Est, ogni 15 km un posto di blocco o un
passaggio a zig-zag ferma la nostra avanzata. Ci chiedono
i passaporti, a volte dove siamo diretti, ma più
spesso quando il soldato, chiuso all'interno della sua garitta,
alza gli occhi e ci guarda, ci lascia passare facendoci
un cortese cenno di saluto. Non deve essere certo facile
essere curdo in questa regione che è la loro e che
essi rivendicano!
Bei terreni irrigati, come ovunque in Turchia, prendono
il posto dell'inferno nero, ma sono soltanto delle oasi
in mezzo a terre aride, inframmezzate da un verde intenso
bordato d'ocra, e un blu azzurro: impossibile da raccontare
ma soltanto da fare proprio e imprimere nella memoria.
La nostra sosta di mezzogiorno sarà a Catakköprü
dove un grande ponte selgiuchide è sfigurato da un
nuovo ponte lì nei pressi, e sopratutto dalla costruzione
di una diga indispensabile per l'irrigazione. Qui siamo
di nuovo fermati dalla jandarma che ci invita gentilmente
a parcheggiare per fare delle fotografie. Ne approfittiamo
per farci consigliare un ristorante e ci indicano una lokanta.
Ed anche qui, diveniamo l'attrazione della giornata.
Menù inesistente, mangeremo ciò che avranno
la bontà di cucinarci.
Un the, poi due, per ingannare l'attesa, "parliamo"
con gli altri clienti finché un giovincello viene
a preparare la tavola, ed i nostri vicini di tavolo, dei
camionisti simpatici, ci fanno portare della coca cola.
L'attesa è all'altezza del piatto preparato, un succulento
insieme di minuscoli pezzi di carne di montone, peperoni
e pomodori servito con pane finissimo. Non rimarrà
niente sul piatto.
Riprendiamo il cammino verso Beykan, dove il caldo è
insopportabile, gli abitanti hanno installato sui tetti
delle case dei letti giganti dove dorme tutta la famiglia.
La jandarma aumenta i controlli, che punteggiano la strada
uno ogni 5 km, all'inizio siamo colpiti dal fatto, poi ci
si fa l'abitudine, ma ci si può abituare a vivere
sotto la minaccia delle armi?
A Bitlis è il massimo, arriviamo proprio dietro ad
un convoglio militare eccezionale, un carro caricato su
un enorme rimorchio per il trasporto di carri armati affiancato
da camions pieni fino all'orlo di soldati. La popolazione
kurda resta indifferente a questo defilé di forza
ed intimidazione... Noi procediamo al passo, e intanto abbiamo
tutto il tempo di osservare la città, ogni edificio
pubblico, scuola, municipio, posta.. è ornato da
immensi drappi turchi che ornano le facciate su più
piani, incredibile e vessante per i curdi, pensiamo noi.
A Tatvan, che non vede più arrivare molti traghetti
da Van, ci fermiamo a fare acquisti, suscitando sempre la
curiosità della gente.
Il prossimo incontro non sarà con la jandarma ma
con delle grosse tartarughe. Per tre volte alcuni esemplari
ci attraverseranno la strada durante il tragitto verso Ahlat.
Ahlat non è una grande cittadina e Philou chiede
ad un poliziotto dove possiamo sostare, ma questo non ci
degna di molta attenzione. Non fa niente, andremo a chiedere
alla jandarma.
Il piantone di guardia ci dice che non può fare niente
per noi, e I superiori sono assenti. Niko, un soldato gentile
che vive in Germania ad Amburgo e sta facendo I suoi due
anni di ferma ci spiega... in tedesco (Philou e Sylvie,
che facevate nei vostri anni di scuola? Se aveste immaginato
che la lingua tedesca un giorno vi sarebbe stata utile.....)
che i capi sono andati a nuotare nel Lago di Van lì
vicino. Mentre aspettiamo ci offre il the e ancora il the,
facciamo conversazione, ci spiega che è sposato con
una tedesca ed ha un bambino di 4 anni, e che il tempo gli
sembra così lungo lontano dalla sua famiglia...
Non vedendo tornare nessuno prende la decisione di scriverci
un biglietto in turco che dovremo consegnare alla Polizia,
affinché ci conduca in un posto sicuro.
Ciò fatto, la polizia si attiva immediatamente (con
un modo di fare ben diverso da quello avuto in precedenza)
e sotto scorta veniamo accompagnati fino al Park Alani,
un luogo con tavoli da pic-nic dove i turchi vengono la
sera a prendere il fresco e a passeggiare.
Un giovane ci rivolge la parola in inglese e poi ci chiede
di visitare la nostra casetta su ruote, poi tutti gli altri
poliziotti vogliono anche loro fare una visita e si meravigliano
del forno, frigo, doccia, tutti comfort che non pensavano
potessero esserci su un camper e ci elogiano il fatto di
poter essere così indipendenti.
Mercoledì
8 agosto
8h. Ahlat-Akdamar, 213 km
Colazione e via a visitare la città e il suo sorprendente
ed enigmatico cimitero selgiuchide ricco di centinaia di
stele di tufo grigio ricoperte di licheni argentati.
Ogni
stele è ornata di diversi motivi, dragoni stilizzati,
e scritture antiche: il tempo e la natura ha fatto il resto,
cosa che dona loro una bellezza magica e misteriosa.
Un luogo molto bello, dove la pietra si fonde con l'erba
e il blu profondo del cielo.
Adilcevaz, che possiede una bella moschea dalle molte cupole,
è stata sfigurata da un viale con panche in cemento
imitazione legno, dal gusto orrendo, al posto di una bella
spiaggia bianca.
Per raggiungere Van ci tocca
far salire Bouli a 2.235 m. in un paesaggio di verde inatteso.
Parecchie famiglie stanno approfittando della frescura del
piccolo ruscello che scorre in molteplici rivoli. Un vero
quadro bucolico.
Dopo il passo, una strana sensazione di "già
visto", o piuttosto un paesaggio somigliante a quanto
si vede alla televisione sull'Himalaya o la Cordigliera
delle Ande: montagne spoglie, villaggi di terra che si fondono
con le montagne e una vegetazione che la fa da padrona.
Molto bello e spoglio.
Infine l'isola di Akdamar, il suo "campeggio"
spartano e il suo gestore troppo simpatico per essere onesto!
Philou dà ancora dimostrazione del suo barbecue cuocendo
una parte dei 3kg di carne di montone e bovino comprata
questa mattina da un macellaio per 8€.
Giovedì
9 agosto
7h30 (per chi sapete) e 9h (per chi immaginate), Akdamar-Van,
60 km.
Laboriosa mattinata di pulizie per Bouli che è tutto
polveroso, sia all'esterno che all'interno, e piccola nuotata
seguita da una sessione di bucato,in quanto, come dicono
tutte le guide, l'acqua del lago è molto salina,
ed ogni indumento ne esce impeccabile.
Alle 15 partenza con un battellino a vapore per l'isola
di Akdamar che ospita un gioiello dell'architettura
armena, la chiesa della Santa Croce costruita nel 921 per
ordine di Gagik Artzruni, re di Vaspurakan.
Le ptture esterne sono un po' sbiadite, ma le magnifiche
sculture ci lasciano esterefatti: rami di vite, animali
e uomini ornano tutto il circuito, molteplici scene della
Bibbia sono una lettura a cielo aperto: Jonas e la balena,
Davide e Golia, Daniel nella gabbia dei leoni (grazie Lonely
Planet per tutti questi dettagli!, anche qui sul posto nessuna
guida, né un libro o una cartolina da poter acquistare).
Scattiamo fotografie e facciamo tante riprese, vogliamo
cercare di portare con noi il ricordo dell'atmosfera di
questo luogo magico.
Nelle piccole calette dell'isola, I turchi giunti qui per
il posto e per l'architettura, fanno il bagno e fanno pic-nic
con la famiglia. Facciamo anche noi una nuotata nell'acqua
un po' oleosa di questo piccolo Mar Morto.
Prima di lasciare il luogo notiamo che le forze armate hanno
preso possesso di una parte dell'isola e un elicottero sorvola
sopra di noi facendo fotografie....
Mentre
il battellino ci riporta sulla terraferma, contempliamo
per l'ultima volta questa oasi di bellezza allo stato puro.
Arrivederci Akdamar, ritorneremo un giorno!
Passando a Gevas, ammiriamo un bel mausoleo costruito davanti
ad una siepe di verde, sul fondo della montagna.
VAN ci appare alla fine della giornata, la vita riprende
il suo corso, gli abitanti sono per le strade passeggiando
dopo il lavoro, all'entrata della città troviamo
un supermercato MMMigros che riceverà la nostra visita
domani mattina, adesso vogliamo sperimentare il ristorante
Çem, consigliato vivamente dalla Lonely.
Secondo la mappa si trova verso l'imbarcadero del "feribot".
Percorriamo Iskele Caddesi e non troviamo nulla per 3 km,
era quindi a destra e non a sinistra che si doveva andare.
Inch'Allah, facciamo dietrofront e lo troviamo vicino alla
stazione di servizio Türk Petrol.
Philou ne approfitta per fare il pieno d'acqua e l'impiegato
si meraviglia che ci voglia tanto tempo, I nostri 200 litri
lo lasciano sbalordito.
I camerieri del ristorante si affrettano a farci parcheggiare
a fianco dell'edificio di una eleganza irreprensibile per
il paese e raramente incontrata: bisogna riconoscere però
che preferiamo frequentare i locali tipici piuttosto di
quelli per i turisti tutto-compreso.
Dopo esserci cambiati e aver lasciato le nostre vesti di
girovaghi veniamo accolti come dei nababbi, tutto il personale
ci saluta ed un cameriere molto gentile e chic ci conduce
al primo piano da dove si ha la vista sul viale.
La carta con foto a colori è molto fornita, noi siamo
venuti qui per le "mezzes" (antipasti) e ordiniamo
la "totale", poi scendiamo in cucina, o meglio
al grill, per scegliere il piatto forte. Sylvie vuole assaggiare
sis köfte, adana köfte, sis kebab, pilis kebak
e chiede un assortimento di carni diverse; OK, non c'è
problema, prepareranno delle mezze porzioni.
Il cameriere, con classe ci chiede cosa vogliamo bere. Philou
vorrebbe una birra (Efes Pilsen) ma il ristorante non serve
né birra né vino (sarap), prendiamo quindi
della coca per Philou e un ayran (yoghurt liquido servito
molto fresco, che sta molto bene con i kebab) per Sylvie.
Comincia l'altalena dei piatti, arrivano le mezzes: köfte
fredde leggermente speziate, crema di yoghurt, insalata
di pomodori con cipolla, prezzemolo e melanzane, carne cruda
tritata, speziata all'aglio, il tutto servito con crêpes
finissime e del pane piatto caldo, una vera delizia!
Il nostro cameriere è sempre all'erta, pronto ad
eventuali ordini. Ha spedito un giovanetto a trovare una
birra e la serve a Philou di nascosto dicendo: business...
Ha nascosto la bottiglia in un tovagliolo di carta e la
mette a terra vicino al lungo vestito di Sylvie mentre fa
troneggiare sul tavolo una lattina. E continuerà
a servirci con discrezione le nostre bevande.
Le mezzes non sono ancora finite che arriva la nostra carne,
una vera delizia! E poi? No, non è ancora finito,
un giovane porta una specie di pallone, un pane caldo gonfio,
il massimo!
Il dolce e la frutta (uva) ci vengono offerti dalla casa.
Çay o caffé? Optiamo per la bevanda nazionale,
il the. Ma ci verrà portato anche il caffé.
Anche questo con i complimenti della casa.
Siamo pieni come uova e chiediamo il conto (hesap), calcolando
che considerato il menù, il servizio e l'eleganza
sarà almeno 20 milioni di lire turche. Sorpresa!
È soltanto 9,5 milioni, nemmeno 9€. Una vera
sciocchezza considerato tutto.
Avevamo già deciso di lasciare una buona mancia e
mettiamo in mano al cameriere 3 milioni (3€). Questi
non se l'aspettava e corre a chiamare il patron che esce
per salutarci e scattare una foto di rito con la promessa
di inviargliela in seguito.
A nanna, per digerire il tutto!
Venerdì
10 agosto
8h, Van - Polizia di Muradiye, 108 km
Spese al Migros dove facciamo il pieno di bevande. Questa
mattina andiamo alla scoperta di Van Kalesi (rocca di Van)
che è in realtà una cittadella del 700-800
avanti Cristo. Lasciamo Bouli parcheggiato vicino ad una
sorgente nascosta in mezzo ad un piccolo bosco di betulle.
I muri della cittadella sono simili alle fortificazioni
dei villaggi del Mali, un misto di terra, ciottoli e pezzi
di legno. Dall'alto la vista abbraccia il lago, l'imbarcadero
dei traghetti, la città nuova, i pochi resti della
città antica rasata al suolo dai Russi durante la
Prima Guerra Mondiale.
Il ragazzino di soli 6 anni al quale Philou aveva regalato
una penna prima di andar via è ancora là,
seduto davanti alla porta di Bouli e ci guarda. E' molto
bello ma il suo viso è melanconico, perduto nei suoi
pensieri è di una estrema tristezza. Philou gli dà
una macchinetta e subito il suo viso s'illumina, ringraziandoci
per il nostro piccolo gesto; Philou gli spiega come farla
funzionare e lui la carica, e la ricarica e la ricarica
ancora per farla camminare. Se ne va nascondendola bene
in tasca come gli ha consigliato Philou. Ritorna mentre
stiamo pranzando, e Sylvie gli offre una pera che lui accetta.
Della città antica di Van dell'inizio del XXmo secolo,
le uniche cose che si sono salvate dai bombardamenti russi
sono due piccole moschee di pietra nera e bianca. Due piccoli
mausolei completano l'insieme che si eleva in questa terra
di nessuno dove centinaia di buchi di granate e l'erba invadono
le fondamenta della città vecchia di più di
3.000 anni: un luogo carico di storia e che trasmette una
sensazione strana.
Una delle due moschee è ancora luogo di culto ed
è quindi chiusa. La seconda è in fase di restauro
ma un giovane ci invita ad entrare. Essa ha perso
le piccole cupole del suo "portico" ma possiede
ancora delle belle pitture floreali al suo interno. All'esterno,
la fontana per le abluzioni è stata rifatta come
anche il canale per lo scolo delle acque. Alcuni pezzi che
sembrano dei bulini sono stati portati alla luce e scoperte
alcune ceramiche: ci mostrano alcune brocche e i coperchi
in terracotta.
Solito rituale della foto e indirizzo per gli operai che
stanno riportando alla luce queste meraviglie dimenticate.
Mentre attraversiamo il bosco una famiglia curda che abita
in Francia, ad Evreux, e che sta facendo pic-nic ci invita
a prendere il the con loro e a sgranocchiare qualche frutta
secca. Sono originari di Erzurum e sono venuti a vedere
la sorella (e le nipotine che sono ormai delle signorine)
che lui non vedeva dal tempo della sua partenza per la Francia:
17 anni!
Il nostro ragazzino si ripresenta al nostro ritorno: Sylvie
gli domanda in turco come si chiama: Amra. Philou prima
della partenza aveva fatto pulizia con Joann e quest'ultimo
aveva ceduto diversi giochi che sono ora in una scatola.
Philou tira fuori questa scatola delle meraviglie: ne esce
un dinosauro e lo dona a Amra. Quando ci prepariamo a partire
egli crede che ce lo deve restituire ma Philou gli fa capire
che lo può tenere e il suo visetto si rischiara in
un sorriso.
Arrivederci Van col tuo lago che ci ha tanto incantato!
A Muradiye il fiume forma delle belle cascate ed un piccolo
bosco lì a fianco sarà la nostra sosta per
la notte. Riposo, barbecue e serata al lume della lampada
comprata al bazar di Urfa.
Quattro camper dei sette incontrati a Van arrivano per la
notte.
Verso le 20 un giovane arriva e ci parla in turco nominando
spesso la parola "Polis". Non riusciamo a capire
e pensiamo che la polizia arriverà per farci andar
via di lì. Non riuscendo a farsi capire, il giovane
se ne va. Verso le 22 ce ne andiamo a letto e dopo esserci
infilati sotto le coperte (siamo a 1.800 metri di altitudine
e le notti sono fresche) con un buon libro sentiamo arrivare
la polis con un gran turbinio di fari: rosso, blu, rosso,
blu... Ci spiegano che per la nostra sicurezza dobbiamo
seguirli fino in paese, a circa 9km da lì. Un poliziotto,
vedendo che siamo francesi, sfodera le tre frasi imparate
a memoria: "Bonjour Madame", "Comment allez-vous?"
e "Bienvenue". Viene formato un convoglio, prima
la vettura della polizia, poi due camper italiani, poi noi
e poi altri due camper italiani...e partiamo nella notte
buia rischiarata soltanto da una via lattea brillante di
miliardi di stelle. Arriviamo in paese e ci fanno cenno
di parcheggiare allineati in una vasta piazza centrale.
Notte tranquilla e risveglio in pieno sole senza ombra e
frescura, tanti apprezzati in questo caldo paese.(segue...2
parte)