TURCHIA ORIENTALE 2001
di
Sylvie Surmely
DIARIO
DI VIAGGIO - SECONDA PARTE
Sabato
11 agosto
6h30 e 8h, Polizia di Muradiye - Dogubayazit, 113 km.
La valle di Bendimahi Çayi è molto verde,
solcata dal fiume che forma ogni tanto piccole cascate e
molteplici ruscelli, una vera cartolina con i suoi prati,
le greggi di capre e pecore, i rari villaggi curdi di terra,
i mucchi di fieno e le cataste di sterco seccato per riscaldarsi
durante i lunghi mesi invernali quando la temperatura scende
a -35 e anche -40 gradi. Bello da vedere con gli occhi del
turista, meno bello per le popolazioni autoctone che vivono
di non si sa cosa.
Salendo verso il Passo di Gönderme (1900m) i controlli
riprendono con maggior zelo.
Il villaggio di Soguksu è bellissimo, piazzato davanti
a delle strane rocce che si riveleranno essere delle colate
di lava che ci seguiranno per più di 30 km., il Tendürek
Dagi (3.660m) deve essere stato l'antica causa di questo
paesaggio sorprendente, enigmatico e lunare.
"Pasaport, Pasaport...", essi non abbandonano
più il cruscotto, tanto sono richiesti dalla Jandarma.
Sosta foto e video per immortalare il passaggio del nostro
passo più alto: 2.644m del Tendürek Geçidi,
con un'aria più vivibile.
Improvviso, al di sopra delle montagne, un picco innevato
e contornato da nuvole ci appare come fluttuante al di sopra
del nulla.... il Monte Ararat o Agri Dagi, ci saluta dall'alto
dei suoi 5.137 metri sempre incappucciato con il suo bel
mantello bianco.
Ri-pasaport... e all'improvviso il piantone ci chiede da
quale paese veniamo: "Francia" e ne chiama allora
un altro che arriva tutto sorridente dicendo: "54,
ma è la Meurthe-et-Moselle, non sarete mica di...?"
Sorridiamo, è un giovane che sta facendo il servizio
di leva ed è nato a... Epinal! Eh sì, questo
è il bello del viaggiare, ci racconta che suo papà
ha lavorato a Golbey, alla Michelin, chiacchieriamo un po',
ma ciò non piace troppo al capo, che ha l'aria cupa
e alla fine con dispiacere ci saluta dicendo: "Salutatemi
Epinal".
Si cambia, questa volta è la Polis che ci ferma,
ri-pasaport ed eccoci a Dogubayazit e al suo piccolo gioiello,
il palazzo delle Mille e una notte.
La periferia della città, distante solo 35 km dall'Iran,
è un vasto mercato di motori (diesel), officine,
enormi cisterne che offrono carburante iraniano a buon mercato
(il prezzo dai vicini è circa 5 centesimi di euro,
e qui l'offrono a 77 centesimi, il prezzo più basso
della Turchia, ma sempre con tanta differenza dai vicini!)
Dei grossi bidoni sono piazzati ai bordi della strada, in
modo ben visibile per mostrare la mercanzia... Non toccheremo
niente, non sapendo in che modo è stato stoccato
quel gasolio, né cosa ci sia veramente all'interno
dei bidoni.
Direzione Sehir Merkezi (centro città) per spese
diverse: un'ascia che Philou ha dimenticato al campeggio
di Akdamar, una specie di brocca di metallo che gli abitanti
usano per andare a prendere l'acqua e alcuni cuscini per
sedersi al suolo. Troveremo la seconda e i terzi da Ahmet
che è un venditutto. Ogni cuscino costa la modica
somma di 4,5€, ne prendiamo quattro e la brocca costa
meno di 2€. La contrattazione è difficile, non
otteniamo che un piccolo sconto, un bel cucchiaio in legno
a mò di mestolo ed una fotografia.
L'ascia, in queste contrade dove gli alberi sono rari, è
più difficile da scovare nonostante l'aiuto del figlio
di Ahmet. Alla fine Philou s'accontenta di una specie di
incrocio tra una zappa e un martello.
Troviamo con difficoltà anche la Tad Lokantasi, la
mappa della Lonely è sbagliata (una volta tanto!),
una persona ci aiuta accompagnandoci.
Il ristorante sembra il ritrovo dei soldati e della polizia,
non si svuota, dobbiamo attendere finché alla fine
ci danno dei döner e degli iskender kebab con coca
cola e ayran per 3€.
Facciamo un salto ad una macchinetta di prelievo automatico:
9 anni fa questi giocattoli erano rari, adesso sono migliaia.
Un bigliettino sul parabrezza di Bouli ci segnala che il
Laika parcheggiato poco lontano è del nostro stesso
dipartimento! Da una settimana non vediamo nemmeno un camperista,
ed ecco che andiamo ad incrociare proprio dei concittadini!
Sul loro camper non c'è nessuno, sicuramente sono
andati a pranzo e ricambiamo il biglietto con le coordinate
dei nostri cellulari prima di ripartire per fare ulteriori
acquisti.
Direzione Ishak Pasa Sarayi, 5 km e 50 camions circa più
in là, il palazzo domina tutta la pianura: la salita
ci ricorda un po' quella al Nemrut, il palazzo è
in pieno restauro e rifacimento, vi si aggiungono muri,
blocchi interi e tetti: STOP, che scempio, che massacro
architettonico!
Ancora una piccola salita e arriviamo ad un parcheggio all'ombra
proprio di fianco ad una moschea dove chiediamo per passare
la notte: la polis si accorda con il guardiano per la sorveglianza
di Bouli e dei suoi occupanti durante il riposo notturno.
Tesekkür ederim (Grazie tante!)
Un giovane arrogante e fastidioso arriva sul suo motorino
nuovo fiammante per dirci che dobbiamo andare al Camping
Murat, che si trova proprio sotto il palazzo, a 1 o 2 km
da lì. Philou sentendo puzza di imbroglio va a cercare
il guardiano del parcheggio che ci assicura che ci farà
da guardiano durante la notte: basta, la questione è
chiusa.
Stemperato un po' il caldo, ci infiliamo le nostre scarpe
da trekking e siamo pronti a scalare lo sperone roccioso
che domina Ishak Pasa Sarayi: un'ora nella polvere per cominciare,
attraversamento di una gola che una persona "robusta"
non potrebbe superare, scalata, passaggi stretti su dei
costoni: Sylvie non ne può più, imbocchiamo
la strada del ritorno fatta di numerose discese. Siamo di
ritorno alla base e ci riposiamo.
Ma dopo alcune ore Sylvie non si sente più al sicuro,
questione di feeling!
E poi, aveva lasciato scritto nel biglietto per i francesi
che saremmo stati al campeggio, e allora via, direzione
Camping Murat per essere di parola.
E difatti eccoli là, in compagnia di altri 9 camper
italiani. Sembriamo dei coloni alla conquista del Far West,
ma in questo caso sarebbe meglio dire del Far East. Una
bionda simpatica ci viene incontro, dicendoci che ci aveva
tenuto un posto vicino a loro.
Fin dalle prime frasi capiamo che siamo sulla stessa lunghezza
d'onda, come raramente succede. Sono i primi camperisti
francesi con i quali scambiano parola, e sono della nostra
stessa città! Francine ed André, freschi pensionati,
si stanno recando in Iran per 6 settimane e al ritorno sosteranno
di nuovo in Turchia per 3 settimane.
Per l'inverno andranno al sole del Marocco: ci raccontiamo
le nostre esperienze, parliamo e più parliamo più
ci rendiamo conto di essere molto simili, e spesso scoppiamo
a ridere avendo l'impressione di vedere noi stessi riflessi
in uno specchio.
André sembra Sylvie: meticoloso nella preparazione
dell'itinerario, alla ricerca di ogni informazione possibile,
in particolare per il passaggio delle dogane, i cambi, i
posti dove sostare, i prezzo del gasolio, i posti giusti
dove mangiare.... Gli faccio leggere la mia "guida
pratica" della Siria-Giordania e lo sento esclamare:
"Ecco cosa cerco e cosa vorrei trovare nei resoconti
di viaggio degli altri viaggiatori, ma che non sono mai
così dettagliati!"
Passiamo una serata piacevolissima, e siamo contenti della
decisione presa di scendere al campeggio, decisione che
ci ha permesso di fare un incontro così ricco e piacevole
con queste persone con le quali ci troviamo così
bene.
Ma dobbiamo lasciarli andare a dormire perché domani
vanno verso la frontiera: quattro ore d'attesa, di controlli,
di timbri... e André dovrà fare tutto da solo
perché le pratiche sono proibite alle donne. La sola
cosa che Francine dovrà fare è presentarsi
con il suo travestimento per vedere se esso è conforme
alla legge islamica.
Francine, lungimirante, si è organizzata: stamattina
ha acquistato un maaaaaaagnifico impermeabile nero, e un
foulard nero leggero, con un bel bordo di passamaneria colorata:
va bene che si va a casa degli integralisti, ma siamo sempre
donne e un po' di civetteria non guasta!
Domenica
12 agosto
8h Dogubayazit-Kars, 285 km
Diciamo addio, o meglio arrivederci, ai nostri amici "iraniani"
di Nancy. Dopo un'ora siamo pronti anche noi e partiamo.
Il campeggio in realtà non era altro che un vasto
parcheggio senza ombra dove il proprietario di un negozio
di tappeti fa sostare I camper con l'intenzione di vendergli
poi la sua mercanzia!
Ishak Pasa Sarayi è già invaso dai turisti
arrivati in pullman. Ma il luogo, che è stato un
po' snaturato dai lavori di ristrutturazione e posa dei
tetti si rivela essere una meraviglia, un gioiellino, un
miscuglio di arte selgiuchida, ottomana, georgiana, iraniana
e armena che, dobbiamo ammetterlo, non è altro che
un vero trionfo di equilibrio, bellezza, grazia, finezza
ed eleganza.
Mentre Luigi XIV costruiva Versailles, Ishak Pasa Sarayi,
follia di un capo curdo, nasceva verso il 1685 per essere
terminato 99 anni dopo.
Fin dall'entrata siamo soggiocati da questo immenso palazzo
che contava, sembra, 365 vani; dopo aver superato il portale
in stile selgiuchide, si giunge ad un vasto cortile dove
si affacciano sale, vani comuni, dependances, scuderie..
e dove si aprono due porte, una per le guardie, un'altra
per i civili. Dal secondo cortile si irradiano gli accessi
alle diverse abitazioni del Pasciá.
Il Pasciá, senza dubbio uomo colto, aveva previsto
una biblioteca, una bella moschea che ha conservato all'interno
delle pitture, e delle sale di ricevimento nella parte pubblica.
Attraverso la grandiosa porta scolpita in mille arabeschi
si penetra nella parte privata che si componeva di parecchi
vani.
La cucina dall'alto soffitto possedeva un sistema di riscaldamento
centrale (erano state previste l'acqua corrente e lo smaltimento
delle acque scure).
La sala da pranzo era stata curata in maniera particolare,
i muri con le pietre a righe bianche e nere sostengono delle
belle volte finemente lavorate.
L'harem doveva ospitare parecchie mogli, considerato il
numero delle stanze fornite di caminetto, come quasi in
tutte le stanze del palazzo, due piccole vasche abbellivano
la vita reclusa di queste donne.
Un piccolo hammam (bagno turco) di cui ancora si vede il
sistema d'alimentazione dell'acqua, completano il tutto.
E' veramente bello bighellonare per questo piccolo scrigno
di estrema raffinatezza e alla fine lasciamo il luogo con
dispiacere.
Scendendo abbiamo una sorpresa, un dono raro, l'Ararat è
libero delle nuvole che lo avvolgono sempre e si mostra
maestoso ai nostri sguardi e alle nostre foto-ricordo. Ne
approfittiamo per immortalare l'evento.
Direzione
Iran, o meglio la frontiera, dove un cratere gigante si
è creato nel 1920 in seguito alla caduta di un meteorite
che ha lasciato una voragine di diverse decine di metri
di diametro e profondità.
Ancora un controllo, ormai i passaporti sono sempre sul
cruscotto, e ritroviamo i nostri concittadini "iraniani"
e decidiamo di andare insieme a vedere il cratere.
Dopo 3 km di pista ci troviamo davanti ad un buco che si
rivela essere IL cratere: e allora? dove sono i 60 e 35
metri di cui parla la guida???
Ormai siamo là, è mezzogiorno e abbiamo ancora
in frigo una mezza-bottiglia di Col de Vilours. Brindiamo
ai piedi dei due Ararat al viaggio iraniano e ai nostri
nuovi amici, visto che per 6 settimane non potranno toccare
alcool!
Un ultimo arrivederci e la promessa di vederci a casa a
metà ottobre: per noi le vacanze saranno già
un ricordo lontano, e lasciamo Francine ed André
alle loro vestizioni preparatorie.
Per una quarantina di chilometri costeggiamo il Grande Ararat
che mostra la sua faccia innevata e i suoi ghiacciai, poi
gli voltiamo le spalle e 20 km prima di Kars lo perdiamo
di vista, ormai sono 200 km che ci fa compagnia e lo abbandoniamo
con dispiacere. Philou, ammaliato dal suo charme, ad ogni
curva continua a gettargli sguardi dal retrovisore.
Attraversiamo
paesaggi grandiosi, all'apparenza disabitati, irreali e
quasi lunari. Dopo Tuzluca la terra si riempe di colori,
e ci offre delle colline ocra, beige, rosse, ruggine, marroni,
brune... uno spettacolo in technicolor difficile da immortalare
su pellicola.
Siamo all'incrocio di quattro paesi: l'Iran a sud, l'Armenia,
di cui si scorge una centrale nucleare, Erevan e le montagne,
ad Est, la Georgia a Nord e l'ospitale Turchia. Gli occhi
sono sollecitati da tutte le parti, e all'improvviso ad
una curva appare il piccolo villaggio di Digor e là,
il verde riempe le montagne, il villaggio è circondato
da verdi praterie dove pascolano mucche, montoni, pecore
e asini che spesso costituiscono l'unico reddito dei contadini
di questi luoghi dimenticati.
Ed
infine Kars ci fa tirare un sospiro di sollievo perché
siamo stanchi dei 280 km percorsi oggi, accumulo di queste
due settimane di folle corsa per le steppe e montagne curde.
Parcheggiamo presso il giardino alla periferia della città
ma veloce arriva un'auto R12 e l'autista in inglese ci dice
che dobbiamo andare a parcheggiare a fianco dell'albergo.
Ce ne andiamo, in considerazione anche dei ragazzini insolenti
che girano intorno a Bouli. Arrivati all'hotel siamo accolti
dal comitato d'accoglienza che ci chiede subito 10 milioni
di lire turche per pernottare. Non se ne parla nemmeno,
e ripartiamo alla ricerca di un posto dove far riposare
le nostre povere membra stanche. Come al solito, una stazione
di servizio Ofisi farà al caso nostro.
Sembra che l'autista della R12 altri non era che un inserviente
dell'albergo incaricato di trovare clientela.
Lunedì
13 agosto
8h30, Kars-Kars, 47 km
Verso le 8 siamo svegliati da un ragazzino che vuole lavare
Bouli, Philou s'innervosisce e ce ne andiamo a cercare del
pane e a fare colazione all'ombra di questa città
particolare, appartenuta fino al 1920 all'impero russo.
Le strade hanno dei bei marciapiedi anche se non sempre
tenuti come si dovrebbe, ed edifici tipici d'inizio secolo,
con le facciate a colonne, mura sagomate, scale monumentali
negli edifici amministrativi... anche al panificio le sagome
ai muri coesistono ricoperte dalla fuliggine e abbellite
da disegni naïf di paesaggi turchi dove spesso sono
presenti moschee, cicogne, una casa, un lago e le montagne
verdeggianti.
L'ufficio del turismo che rilascia i moduli per la visita
alla città morta di Ani si trova in uno di questi
edifici che serve anche da dispensario, viste le targhe
appese al muro.
Riempiti i moduli, bisogna andare alla polizia per farli
vistare.
Ottenuti i visti dobbiamo trovare un'officina per far cambiare
i freni, che cominciano a farsi sentire. Ci dirigiamo quindi
al quartiere dei meccanici, che si trovano a 8km dalla città
in direzione di Erzurum: quale scegliere? Non c'è
un concessionario Peugeot, men che meno Citroën, le
sole vetture numerose sono le Renault, le Fiat-Tofas e le
Toyota che stanno invadendo la Turchia.
Di passaggio in passaggio finiamo dal rappresentante Isuzu.
Il capofficina si chiama Mustafa, lui e i suoi inservienti
non capiscono bene, ma mostrato il difetto tutto gli è
chiaro.
Naturalmente non possiedono quel modello e in questa città
di 80.000 anime non c'è un magazzino per i ricambi:
pensano allora ad una soluzione tecnica: lamatura dei dischi,
posa dei ferodi sulle ganasce esistenti e rimontaggio del
tutto.
Cominciamo ad avere l'abitudine ai meccanici turchi: Bouli
entra nel locale, due giovani cominciano lo smontaggio agli
ordini del boss, i dischi sono spediti da un fabbro, le
ganasce da un altro... e noi aspettiamo con l'eterno rituale
del the.
Mustafa è molto cordiale, è un curdo come
ci fa capire subito, e comprendiamo che questa identità
è forte, ancor più forte essendo essi sottomessi
a soprusi e controlli di tutti i generi.
Sylvie batte sulla tastiera del portatile quando dalla finestra
vede arrivare una teiera colma di the caldo, tre piccoli
bicchieri e lo zucchero... non ci abitueremo mai a questa
ospitalità, ogni volta è la stessa sorpresa,
lo stesso imbarazzo, ma bisogna arrendersi e riconoscere
che è così.
Sylvie e Philou sono invitati nell'ufficio che sovrasta
l'officina per un bicchiere di the e quando Sylvie viene
attirata da un piccolo oggetto su tavolo, Mustafa lo prende
e glielo regala. Lei cerca sul dizionario la parola giusta
per far capire che la sua era soltanto una curiosità,
ma non cambia niente, lui glielo vuole offrire lo stesso.
Dobbiamo fotografare il piccolo cane che Mustafa ha nel
suo ufficio e che salta di gioia tra Sylvie e Philou.
Arriva mezzogiorno, Mustafa ci chiede che vogliamo mangiare,
e 30 minuti più tardi uno dei suoi ragazzi torna
con il pranzo. Sylvie prepara la tavola per tre e avvisa
che è pronto, ma il capo vuole prima controllare
il montaggio del primo disco, mentre ha rispedito il secondo
al mittente non essendo contento del lavoro.
Con Philippo, è cosí che chiama Philou, non
riesce a dire Philippe, supervisiona I lavori, ma gli proibisce
di mettere mano nelle riparazioni
Ed eccoci qui, possiamo mangiare, Mustafa non disdegna un
bicchierino di vino bianco turco, né poi una birra
Efes Pilsen: aiutati dal dizionarietto e dalla misteriosa
capacità di comprensione della lingua turca da parte
di Sylvie, tiriamo avanti una conversazione col nostro ospite
meccanico.
Philou ne approfitta anche per far rimettere una lucetta
perduta ad Urfa durante un passaggio troppo vicino ad un
albero: il modello è quello di un camion ma l'effetto
è molto bello.
Alle 15h le riparazioni sono terminate, il patron arriva
con la sua calcolatrice, Sylvie chiede l'hesap (il conto),
lui prende tempo, fa e rifa il conto dieci volte:
- 15 milioni (14€) per il rifacimento dei dischi pagati
con Philou al fabbro, di solito sono 15 per il fabbro e
5 per Mustafa, ma in questo caso niente ricarico
- 15 milioni (14€) per i ferodi, stesso discorso come
sopra
- 2,5 milioni (3,20€) per la luce
- arriva la voce più difficile da determinare, la
mano d'opera di Mustafa... ciò prende molto tempo...
pazientiamo, bisogna imparare ad avere pazienza in questo
paese, ... lui conteggia, riconteggia... alla fine lancia
un prezzo: 10 milioni (9,3€).
Totale: 42,5 milioni (38€), una sciocchezza, ci chiediamo
dove è il suo guadagno, come fa a pagare i suoi dipendenti...?
Gli diamo 50 milioni, considerato anche che abbiamo mangiato
a sue spese oggi!
Mustafa è il felice proprietario di una stazione
di servizio "Petrol Ofisi" sulla strada per Digor,
dove ci conduce per indicarci dove passare la notte, spiegandoci
che ceneremo insieme, poi andremo a prendere il the e il
caffé da lui. Ci accompagna poi al museo a prendere
i biglietti per la visita di Ani e ci dà appuntamento
a questa sera per la cena.
Il pomeriggio lo dedichiamo ad un giro per la città.
Riposo, doccia ed ecco Mustafa che arriva con la sua R12
carica di pacchetti: tutto è pronto, tavola apparecchiata
e sedie preparate.
30 costolette d'agnello, 20 ali di pollo, un'enorme insalata
di pomodori e un grosso piatto di meloni saranno il nostro
pasto: sono invitati anche i suoi due dipendenti e dal frigo
esce una bottiglia di Col de Vilours e anche il raki (liquore)
fa parte della festa. Tutto il costo della manodopera è
sicuramente là, sulla tavola, ma questo non importa,
l'importante è ricevere bene questi ospiti che ci
hanno fatto l'onore di sedere a tavola con noi.
Terminato il pasto ci rechiamo a casa di Mustafa, accompagnati
da musica curda che apprezziamo in modo particolare, e allora
Mustafa ci dice che farà una copia della cassetta
affinché la possiamo portare via con noi... non osiamo
più profferire parola, tanto abbiamo paura di tramutare
in ulteriori doni ogni nostro cenno di apprezzamento per
qualcosa.
Nermin, sua moglie, Özlem, la sua bellissima figlia
di 18 anni, Özgür, il suo figlio ventenne, ci
accolgono con calore, e passiamo il resto della serata a
bere the e caffé: arrivano il fratello e la cognata
di Nermin, lei indossa delle belle scarpe multicolori e
Sylvie ha la cattiva idea di chiedere se sono curde e di
dire che sono molto belle. Subito Mustafa le chiede di togliersele
e di regalargliele: Ah Sylvie! Sylvie! devi imparare a stare
zitta....! Alla fine si unisce a noi anche il nipotino,
Ezel, fino a quando arriva l'ora di andare a nanna.
Martedi
14 agosto
9h Kars-Yusufeli, 325 km
Verso le 10 partiamo per Ani e le sue chiese armene. Strano
spettacolo lungo la strada: dieci o dodici montoni giacciono
per terra sgozzati. Mistero, sarà un atto dei turchi
o del PKK? Non lo sapremo mai.
Ancora un posto di blocco dove il piantone ci chiede una
bottiglia di acqua fresca: bisogna riconoscere che la minuscola
garritta è piazzata in pieno deserto ed in pieno
sole.
Arriviamo in vista di Ani: mura di cinta, chiese... due
camper italiani sono gli unici turisti al momento. Entriamo
e ci chiedono di lasciare la cinepresa. La cosa non ci piace
ma pazienza, faremo sempre delle fotografie... ma quando
vedono la macchina fotografica ci ordinano di lasciare anche
quella: Eh no!,se noi siamo venuti fin qui per non fare
nemmeno una foto non ci stiamo!
Siamo furenti: Cinepresa no, fotografie no, le guide specificavano
che non bisogna puntare gli obiettivi verso l'Armenia, ma
evidentemente è entrata in vigore una nuova normativa.
Facciamo dietrofront e ritorniamo a Kars a chiedere il rimborso
dei biglietti di ingresso ad Ani: sappiamo che siamo passati
a fianco di qualcosa di meraviglioso ma pazienza!
Mustafa condivide con noi di nuovo il pranzo, ma questa
volta siamo noi ad invitarlo. E per sdebitarsi poco dopo
ritorna con diverse bottiglie di birra, acqua, raki... non
sappiamo come rifiutare tutti questi doni, anche perché
se con tutti i clienti fa così..... dove sta il suo
guadagno??
E parlando di ceramiche conosciute, Mustafa parte a cercare
una magnifico recipiente in terracotta per farcene dono:
lo metteremo a fianco di quello comprato nel 1998 a Avanos
da Mehmet.
Alla fine lasciamo il nostro caro amico, che ci accompagna
per un pezzo per mostrarci la strada finché non viene
"intercettato" dalla Polis, con la quale intrattiene
rapporti "cordiali", ma sebbene sua moglie sia
turca, ci fa capire che non sempre è facile...
Francine ed André ci avevano detto che a Yusufeli
il Campeggio Greenpeace si trova in un'oasi di verde
sulla riva del fiume e allora cambiamo il nostro itinerario
e partiamo alla scoperta di steppe sconfinate dove galoppano
bei cavalli montati a pelle da giovani dai tratti mongoli:
qua e là, si scorgono villaggi circondati da oasi
di verde.
Di nuovo un passo a 2.400 metri, poi ridiscendiamo lungo
una vallata, appaiono i pini che danno un aspetto alpino
al paesaggio, alcune donne fanno raccolta lungo la strada:
ci fermiamo, si tratta di fragole.
Incontro anacronistico tra un camper e diversi gioghi di
buoi, i villaggi prendono un aspetto alpino, le case in
legno prendono il posto di quelle in pietra: veri e propri
chalet come dalle nostre parti.
Passiamo per le gole di Çoruh Nehri, arriviamo a
Yusufeli, cerchiamo il campeggio, imbocchiamo una strada
stretta che alla fine diventa un sentiero, incerti torniamo
indietro ma eravamo sulla strada giusta, rifacciamo di nuovo
il percorso e alla fine ecco IL campeggio...
Due aree di parcheggio sulla ghiaia, sei tavoli sul greto
del torrente: ecco il nostro campeggio. Bene, ci piazziamo,
siamo proprio stanchi, ma la musica dell'autoradio di un
vicino ha la meglio sui nostri nervi e ce ne andiamo via,
fino ad una stazione di servizio come è d'abitudine
in questi luoghi dove le soste devono essere necessariamente
in luoghi "controllati": la nostra tappa notturna
sarà a fianco di gomme da autocarri e bidoni di olio,
con a fianco un bel posto di blocco dove si devono fermano
tutti i camion che passano. Cari amici, le vacanze sono
anche questo!
Mercoledì
15 agosto
9h Yusufeli-Rize, 268 km
Questa mattina partiamo alla scoperta di una delle magnifiche
chiese romaniche georgiane della regione di Yusufeli, la
Chiesa di Ishan: il villaggio si compone di due parti: la
prima a fianco della strada e disseminata di bei ponti,
l'altra a 6 km da là arroccata su un crinale. Ma
per raggiungere questo edificio costruito dai monaci circa
1.000 anni fa bisogna imboccare una piccola strada stretta
e ripida per arrivare al piccolo gruppo di case.
Sul cammino, incrociamo uno spettacolo commovente, una mamma
pernice con i figlioletti, otto piccoli di pernice che la
seguono in fila, lungo la scalata alla montagna.
Per fortuna non incrociamo alcun veicolo lungo il percorso
e arriviamo al villaggio dopo 20 minuti. Un campo di grano
tagliato di recente sarà il nostro parcheggio con
una splendida vista sulle montagne che ci circondano e la
vallata sotto di noi.
Incrociamo una famiglia turca che abita nel Jura, i bambini
sono contenti di incrociare dei francesi e si aggregano
a noi nella visita di questo gioiellino nascosto tra queste
montagne.
Il luogo meriterebbe di figurare nella lista del Patrimonio
Mondiale e di essere salvato dall'abbandono nel quale si
trova. La cupola ormai si tiene soltanto grazie a quattro
sottili arcate e fa passare di tutto: intemperie, pioggia,
vento, sole, neve...che si accumulano sui muri ricoperti
di magnifici affreschi che scompaiono ogni giorno un poco.
I ragazzini del villaggio giocano a pallone su questo campo
improvvisato, tirandolo sempre più in alto addosso
alle pitture multicolori. Un vero disastro per questa opera
d'arte moribonda.
Questa visita è uno dei momenti più belli
e commoventi del nostro viaggio, sappiamo bene quale sarà
la triste sorte di questo gioiello dell'arte cristiana se
nessuno interverrà. Cerchiamo quindi di approfittare
al massimo del momento e di imprimere nella nostra memoria
l'opera meravigliosa dei monaci che hanno abitato questo
luogo per secoli.
Per ridiscendere ci vorrà lo stesso tempo che per
salire, con in più un magnifico panorama.
Invece di fare un grande giro per Artvin e la costa del
Mar Nero per raggiungere Rize, optiamo per una strada secondaria
che passa per Ispir: non l'avessimo mai fatto!
Questa strada secondaria si rivela un sentiero in terra
battuta con buche, rocce, case, campi coltivati e ruscelli
tortuosi. Philou fa gran uso del clacson per evitare un
eventuale incontro con un altro veicolo (ne incroceremo
soltanto due nei 60 interminabili chilometri di questo percorso).
L'attenzione deve essere al massimo e la velocità
di crociera va dai 5 ai 10km/orari ed esclusivamente in
prima e seconda...ma i paesaggi sono eccezionali, e ciò
ci consola mentre percorriamo questo inferno di strada che
unisce alcuni villaggi dall'aria alpina.
Philou è sempre all'erta, scrutando ogni metro della
strada, o piuttosto di questo sentiero carrozzabile, cercando
di anticipare l'eventuale incrocio con un'altra vettura
o peggio un camion, che con la sua mole non riuscirebbe
a farsi da parte in questo nastro stretto e pieno di curve:
forse siamo l'unico camper che abbiano mai visto gli abitanti
della zona.
Attraversiamo dei guadi seccati dal sole estivo e Philou
deve raddoppiare la prudenza e l'attenzione, che sono già
al massimo.
Le rare località attraversate sono la nostra fissazione,
perché la strada all'improvviso è incanalata
tra le siepi dei piccoli giardini e Bouli infila la sua
mole nella strettoia per passare. Sylvie crede che ad ogni
passo la strada finirà, o che un albero sarà
caduto in mezzo di essa e ci sbarrerà la strada,
ma si può parlare di strada?
E così, all'improvviso la strada si ferma... nel
letto ghiaioso di un fiume a secco: di fronte una magnifica
e alta siepe di betulle, a destra e a sinistra niente che
assomigli ad una strada. Bouli, sai fare il 4x4? No?, bene
lo imparerai presto! Philou scende nel corso d'acqua mentre
Sylvie va in avanscoperta ad assicurarsi che sia la direzione
giusta, perché Bouli non saprà fare marcia
indietro in queste condizioni. OK, la via è libera,
Sylvie fa un cenno e Philou avanza con esssssstrema prudenza,
e poco dopo ritroviamo la strada e tiriamo un sospiro di
sollievo.
Avanziamo piano senza sapere se siamo sulla direzione giusta,
i piccoli villaggi non sono segnati nella nostra mappa IGN.
Passiamo davanti ad una minuscola scuola che deve accogliere
i bambini dei dintorni che fanno chilometri per venire ad
istruirsi, partendo dai loro villaggi arroccati sulle montagne
per lasciar posto libero alle terre coltivabili e all'agricoltura.
Abbiamo l'impressione di essere fuori dal mondo.
Improvvisamente
cambiamo di "il" (provincia) e anche di strada,
e per miracolo essa si allarga, si ricopre di un bel manto
d'asfalto e filiamo a ben 60km/orari. Finalmente, cominciavamo
ad essere stanchi di questa gimkana!
Arriviamo a Ispir e ai suoi contrafforti ocra, gialli e
rossi che controllano le vallate di accesso alla città.
Per superare la catena imbocchiamo una bella strada di montagna
fiancheggiata da un bel fiume dove si divertono diversi
adolescenti (tutti maschi, nessuna femmina): la tentazione
è grande e anche noi ci fermiamo per un bagno ristoratore.
I campi arsi dal sole lasciano il posto a pascoli verdeggianti
dove pascolano delle magre mucche e dove svolazzano senza
dubbio milioni di api, considerate le migliaia di arnie
sparse dappertutto negli alpeggi: le nebbie d'altura sostituiscono
i raggi di sole, la temperatura scende a 13,2 gradi: delle
cabine rettangolari in legno e in pietra servono da rifugio
e forse da abitazione alle famiglie dei pastori e degli
apicultori: alle finestre ci sono persino le persiane.
Tra le nebbie e le brume arriviamo al passo di Ovit, a 2.640
metri, che segna il passaggio dalla catena Pontica al Mar
Nero e al suo clima umido.
Non sappiamo se la miseria è maggiore nell'Est della
Turchia, ma ne abbiamo spesso degli esempi: nell'aria ovattata
e umida delle nebbie, una donna senza età con una
gerla sulle spalle raccoglie le lattine vuote della coca,
aranciata, birra, lasciate dagli automobilisti, sicuramente
per rivenderle al riciclaggio.
Arriviamo ad un paesaggio verde saturo d'acqua con le colline
ricoperte completamente da coltivazioni di the: entriamo
nella regione di Rize, bagnata dal Mar Nero, il Pont-Euxin
dei Romani. Siamo molto delusi dalla costa, la strada costeggia
il mare con pochi punti di accesso al litorale e ovunque
alte costruzioni che accolgono i contadini fuggiti dalle
campagne. Piove e troviamo un punto sosta per la notte dietro
ad una stazione di servizio.
Giovedì
16 agosto
8h30, Rize-Sumela (dopo Trabzon), 141 km
La giornata inizia male, è piovuto tutta la notte
ma l'aria non si è rinfrescata.
Qualche acquisto al supermercato, e la cassiera non capisce
che vogliamo dieci stecche di sigarette. Alla fine una cliente
glielo spiega, ma non può accontentarci perché
la sua riserva non ne ha che quattro.
Rize è la capitale del the, da Of fino alla frontiera
Georgiana di Hopa le colline sono coperte da coltivazioni
e disseminate da hangar areati per lo stoccaggio delle foglie
che vengono seccate, affumicate e poi impacchettate e spedite
ai quattro angoli della Turchia e anche all'estero perché
Sylvie compra lo stesso the a Nancy in un piccolo negozio
di una gentile signora curda che ogni volta non perde l'occasione
di scambiare qualche parola in turco.
L'Istituto di Ricerca del the si trova alla fine di una
salita con una pendenza del 25% che fa urlare Philou quando
si trova davanti chi lo fa rallentare...urla, però
sale...!
Il luogo è pulitissimo, fiorito e vi si degusta the
gratuitamente, ma francamente non vale il giro.
Sylvie ha scovato una magazzino di tessuti e ci fermiamo
al ritorno per acquistare due tagli rossi e neri molto belli
e che diventeranno delle tovaglie, ma che si riveleranno
essere dei foulard o stole con le quali le donne si coprono
i capelli e le spalle.
I
raccoglitori di the sono scomparsi, e sono stati rimpiazzati
dai raccoglitori di nocciole: è l'epoca della raccolta
e i bordi della strada sono coperti di rami che le donne,
uomini, bambini stanno sfogliando per estrarre le nocciole.
Ne compreremo un sacchetto.
Trabzon, l'antica Trebisonda bizantina si rivela essere
una città moderna e brulicante di gente, lontana
dalle grosse borgate contadine che abbiamo lasciato nell'Est
della Turchia. Il contrasto è forte e un po' fastidioso,
troveremo la calma che cerchiamo al Cardak, che oltre ad
un cortile ombreggiato da un pergolato, ha anche l'aria
condizionata. Inoltre, le pide (specie di pizze, ndt) sono
buonissime, gustiamo Kiymali Yagli (una specie di calzone
piatto ripieno di carne trita e rosolata) e beviamo coca,
ayran e acqua, il tutto per 3€.
Ma siamo venuti in questo porto importante per i suoi gioielli
d'arte bizantina: la Chiesa di Santa Sofia è una
meraviglia nascosta in un'oasi di verde e racchiude degli
affreschi bizantini che evocano diversi passi del Vangelo:
si può ammirare l'Ultima Cena, la moltiplicazione
dei pani, Gesù che cammina sulle acque... una meraviglia
rara nei nostri paesi occidentali.
Sulla strada che conduce ad un'altra meraviglia acquistiamo
un grosso pane rotondo, una sorta di michetta, dalla forma
sconosciuta in altre regioni.
15 km di strada in pendenza in una gola per raggiungere
il monastero di Sumela, o meglio, il parcheggio, perché
il luogo si trova arroccato sul fianco della montagna che
bisogna scalare per 1.200 metri. Un tempo abitato da monaci
ortodossi greci fin dal IV secolo, il monastero ha dovuto
essere abbandonato dai suoi occupanti dopo la guerra greco-turca
nel 1923, dopo quindici secoli di esistenza anche sotto
l'impero ottomano che lo pose sotto la protezione del sultano.
In 50 anni d'abbandono il luogo è diventato praticamente
una rovina: ma data l'ora lo ammiriamo dal parcheggio. Domani
scaleremo la montagna, e Philou accende il barbecue per
far cuocere la carne mentre altri 4 camper italiani arrivano.
Venerdì
17 agosto,
8h30, Sumela-Zara (prima di Sivas), 407 km
Sono le 8.30 quando, scarpe da ginnastica ai piedi, iniziamo
la scalata dei 1.200 metri di sentiero che porta al monastero.
Il luogo ci ricorda i Vosgi, e procediamo nell'umido del
bosco raccogliendo more.
30 minuti dopo scorgiamo il monastero che non è visibile
che all'ultimo: siamo i primi visitatori della giornata,
saliamo i 50 gradini che ci separano dalla porta di ingresso
ancora chiusa e che si apre su un cantiere in pieni lavori
di restauro.
Il posto ha sofferto molto per gli atti vandalici dei locali
che hanno mutilato praticamente tuti i visi o gli occhi
dei santi, e dei visitatori che hanno lasciato le loro scritte-ricordo
come in tutti gli altri luoghi visitati.
I lavori consistono nel rifare i muri delle celle e delle
sale comuni perché non resta che la facciata, la
chiesa, una cappella e qualche altro locale.
La chiesa ci sorprende perché è ricoperta
di affreschi sia all'interno che all'esterno.
Sui muri esterni affreschi su fondo nero rappresentano scene
della vita di Cristo e fanno impressione perché sono
al di fuori, alla mercé di tutte le intemperie.
Una gran parte dei muri della chiesa sono scolpiti nella
roccia e ricoperti di affreschi su fondo ocra, rosso, e
sono dei veri "ritratti" di santi, di Gesù
e Maria: diverse pose di affreschi sono strati posti uno
sull'altro per far posto al nuovo strato.
L'insieme emana molta forza, calma, pace e serenità;
ma il tutto viene interrotto dall'arrivo di un gruppo di
turisti riconoscibili dal badge che ognuno ha al collo...
manca soltanto il campanaccio al capo comitiva...
Riprendiamo la strada che all'improvviso si trasforma in
un mare di catrame, la strada verso il passo e al di là
è in ristrutturazione e Bouli si trova all'improvviso
completamente incatramato. Ma le strade in Turchia sono
così, in eterni lavori, passando da piccole strade
che sono in realtà sentieri a tre corsie nuove fiammanti.
Per 20 km procediamo sulla pista a bassa andatura: ciò
ci rovinerà la media, perché vogliamo arrivare
in fretta in Cappadocia.
Prima di Erzincan ritroviamo con piacere l'altipiano anatolico
a 1.200 metri di altitudine, interrotto dalle belle colline
ondulate con i campi di grano dorato e punteggiate da sprazzi
di verde.
Ritroviamo la "civilizzazione" e con lei, la Polis
Traffik che ci ferma e ci fa capire che non portiamo le
cinture di sicurezza: sorpresa! Ci chiedono se in Francia
noi mettiamo le cinture, se lì non fanno le multe,
e noi facciamo gli asini per non farci multare. Funziana,
e ci lasciano andare con la raccomandazione di mettere le
cinture, in questo paese dove nessun turco le usa!
Superiamo i passi, 1.950 metri, 2.190 metri... le greggi
spariscono e le immense steppe di grano invadono l'orizzonte,
siamo in Anatolia e ci sentiamo rilassati, perché
una certa tensione s'era installata in noi dopo Sivas. Tensione
dovuta alla presenza continua della polizia, dei controlli,
dell'impossibilità di sostare ovunque, di poter approfittare
dei bei posti sulle rive dei fiumi, dell'assillo dei ragazzini
che comparivano appena ci fermavamo, chi elemosinando, chi
chiedendo sigarette, "money", "hello lira"...
che si attaccavano a volte al portabici, alle portiere..
Ultima sosta "forzata" su una stazione di servizio
a Zara.
Sabato
18 agosto
8h, Zara-Göreme, 356 km
Notte fresca e riposante, come tutte le notti anatoliche:
le cicogne sono di nuovo sul nostro cammino: nei villaggi
le battitrici arcaiche separano il grano dal fieno; i rimorchi,
in fila indiana (o turca??) aspettano davanti ai mulini
affinché il loro raccolto sia trasformato in farina
per la preparazione del ekmek (pane).
Dopo Sivas, ritroviamo la Uzun Yol (la lunga strada) che
unisce la capitale roume di Konya a Sivas, Erzurum e la
Persia, dove le lunghe carovane procedevano in tappe di
30 o 40 km trovando sosta e sicurezza nei caravanserragli
che punteggiavano la loro lenta avanzata.
Lasciando la Lunga Strada, superando un ponte dalle molte
arcate, marciamo, o meglio, corriamo, sulle tracce dei carovanieri,
non siamo in fondo dei carovanieri dei tempi moderni?
Le nostre due carte indicano un "han", ma per
40 km di strada meravigliosa (nel senso di paesaggio, perché
lo stato della strada non lo è) nessun edificio in
vista. Solo magnifici uccelli verdi, specie di colibrí
giganti che accompagnano la nostra salita verso l'ennesimo
colle, effettuando delle magnifiche virate davanti a noi.
Un'altra specie beige, nera e bianca prende il volo.
Sulla strada, nessun segno di altri due "han"
indicati nella mappa, solo la visione di una mandria di
mucche con le zampe in una pozza, occupate ad abbeverarsi:
da lontano assomigliano a quelle immagini televisive dei
safari in Kenya, emozione forte e semplice.
Siamo alla ricerca visiva del han di Sultanhani, eccolo
a 200 metri dalla strada, maestoso, disertato dalle orde
dei turisti che si recano in Cappadocia, e con lui il nostro
incontro con i primi francesi dopo una settimana, una coppia
di insegnanti di Rennes con due bambini in partenza per
un tour del Mediterraneo della durata di un anno. Piacevole
scambio di opinioni che si vorrebbe far durare più
a lungo, ma sia noi che loro dobbiamo continuare la nostra
strada.
Kayseri appare alla fine, grossa città di 500.000
anime che si sviluppa su 15 km di casermoni popolari: attraversando
le città turche abbiamo l'impressione che tutta la
Turchia abiti in questi palazzoni.
Quartieri interi di immense torri dove troneggia sempre
una moschea nuova, pagata spesso dai fratelli sauditi...
sembra Cergy-Pontoise, la Defense e Mureaux messi insieme:
che saranno questi quartieri senza anima fra qualche anno?,
ci chiediamo noi che sappiamo già cosa essi siano
a casa nostra.
Incesu, villaggio sconosciuto dai turisti, è la porta
di ingresso alla Cappadocia, Ürgüp e poi Göreme.
E' al Camping Dilek che ci fermiamo, preferendolo al Kaya,
bello e posto in un paesaggio grandioso, ma lontano dal
paese.
Un bus di polacchi che fanno campeggio, 4 camper italiani,
e altre 3 coppie di tendisti sono tutta la clientela del
campeggio. Troviamo un bel posticino all'ombra e ci piazziamo.
Due adorabili gattoni, uno bianco striato di rosso di circa
2-3 mesi e uno tigrato di 2 mesi più vecchio si avvicinano
e come al solito Sylvie cerca nel frigo qualcosa da dargli:
un avanzo di rillettes d'anatra, formaggio alle erbe, formaggio
turco, il tutto innaffiato da latte medaglia d'oro al concorso
di Ankara...
Domenica
19 agosto
8h30, Göreme- Göreme, 0km
Giornata
di riposo totale passata tra la piscina e le sdraie, a leggere,
mangiare e fare bello Bouli che è tutto polveroso.
Stessa cerimonia con i nostri due gattoni: grande ricevimento
all'interno di Bouli, siesta sui cuscini e giochi, e, sacrilegio
per dei gatti musulmani, pranzo con salsicce e prosciutto:
l'islam proibisce la consumazione del maiale!
Giretto per Göreme dove ogni casa s'è riconvertita
in negozio di tappeti, agenzia di turismo o supermercato:
un disastro per la bellezza del villaggio e le sue antiche
case greche.
Stasera i gatti fanno festa: gli lasciamo le nostre cotolette,
troppo dure per i nostri gusti, e le apprezzano enormemente.
Lunedì
20 agosto
7h e 9h Göreme-Göreme, 0 km
Stesso scenario di ieri con in più, un giro pomeridiano
attraverso i camini di fata: grandi nubi hanno invaso il
cielo ed è sotto grossi goccioloni di pioggia che
dopo una corsa sfrenata tra i vigneti alla fine troviamo
rifugio nelle antiche case greche intagliate nel tufo e
abbandonate da circa 80 anni.
Tavole e panche scolpite nella roccia, nicchie che hanno
perso le loro porte di legno, acquai, letti di pietra, ecco
cosa hanno lasciato gli abitanti costretti all'esodo forzato.
Il gruppo di case nasconde una piccola chiesa senza affreschi
ma decorata da forme geometriche rosse, e sopra di essa,
un'altra chiesa divenuta inaccessibile a causa dell'erosione
e dell'abbassamento di una parte del pinnacolo di roccia
tenera.
Giochiamo agli avventurieri, sicuri di scoprire questi luoghi
per primi, assaporando emozioni forti, sicuramente più
che in un luogo a pagamento e segnalato.
Finito di piovere rientriamo tra le vigne di uva bianca
e nera, le piante di pomodori e gli eterni campi di cocomeri
che deve essere il frutto nazionale, tanto sono numerosi
i venditori ai bordi delle strade dove formano piramidi
di frutti grondanti zucchero e acqua.
Chiamano Marina e Renato: sono a Sivas e stanno per raggiungerci:
sarà un incontro reale dopo i tanti incontri virtuali:
come la tecnica crea le amicizie!
Chiama anche Yoann che evidentemente comincia ad annoiarsi
e forse a rimpiangere di non esser venuto con noi.
Martedì
21 agosto
8h, Göreme-Zelve, 8km (e 30km in scooter)
Questo pomeriggio, Philou parte verso Göreme in bici
e ritorna con un vecchio scooter, per un giro di due ore.
Splendida idea per ammirare a 40 km/orari i camini di fata,
le chiese e i pinnacoli rocciosi della regione.
Meta: il villaggio di Ortahisar, da noi non ancora visitato.
Il luogo è ancora preservato dalle orde dei pullman
che ormai piovono sulla Cappadocia: pochi negozi, stradine
tipiche, un piccolo pinnacolo roccioso su una vallata piena
di colombaie e abitanti intenti alle loro occupazioni senza
preoccuparsi dei vacanzieri in giro. Saranno sicuramente
contenti che la stagione è quasi finita e ritroveranno
la loro calma e le loro abitudini.
Evitiamo Ürgüp e fendendo l'aria a 60km/orari,
ci dirigiamo nella vallata di Devrent, esente da costruzioni
e negozietti, verso Avanos.
Ritorno al campeggio dopo un giro di 30km per fare conoscenza
con i nostri amici italiani arrivati nel frattempo.
Splendido, Marina e Renato e i loro due magnifici figli
sono simpaticissimi, parlano ottimamente francese e così
eccoci a chiacchierare fitto fitto dei nostri programmi.
Partenza dal campeggio per il circo di Zelve, con cena nel
piccolo ristorante del posto: condividiamo lo stesso spirito
d'indipendenza e di scoperta, le stesse passioni ed interessi,
parliamo dei nostri viaggi... la serata è troppo
corta per dirci tutto e verso mezzanotte ce ne andiamo a
letto con dispiacere.
Mercoledì
22 agosto
8h, Zelve-Ankara, 320 km
Mattinata dedicata, per le due famiglie, quella francese
e quella italiana, agli acquisti nella capitale turca della
ceramica: Avanos.
I ragazzi vanno da Rambo, ad eseguire una ceramica che poi
torneranno a prendere in seguito, quando sarà asciutta.
Gli adulti vanno alla ricerca di meraviglie in quello che
è divenuto un odioso mercato di paccottiglia di cattivo
gusto: i negozi non hanno più i pezzi di produzione
tipica e autentica, ma soltanto degli orrori che, pensiamo,
sono destinati ai turisti turchi che cominciano ad essere
numerosi.
Dove sono finite le belle ceramiche in argilla rossa di
Kizilirmak?
Dopo i saluti le due strade che si erano congiunte si dividono
di nuovo: per noi le vacanze sono alla fine e dobbiamo pensare
alla strada del ritorno. Un'ultima sosta per un pranzo tipico
al Sofra Salonu come lo scorso anno e via, per la Uzun Yol
(lunga strada) verso Aksaray e Ankara.
Aih, aih, Bouli è ancora malato, "tira"
verso destra. Sosta in una "lastik" (piccola officina
che cambia i pneumatici dei trattori, rimorchi e camion)
e per la modica somma di 2€ viene sistemata la ruota
sinistra. Ma dopo poco il difetto si ripresenta.
Seconda sosta in un'altra "lastik" dove cambiano
l'altra ruota e scopriamo che la ruota destra aveva una
protuberanza. Ma c'è un altro problema. Le ganasce
montate a Kars sono arrivate, non possono fare gli altri
3.000 chilometri che mancano fino a casa.
Il garagista ci propone di chiamare il garage "Peco"
(leggi: Peugeot), domani mattina, perché ormai sono
le 21 ed è tutto chiuso.
Mentre un operaio piazza il suo tappeto da preghiera in
un piccolo locale a fianco e si piega al rito che ogni buon
musulmano deve onorare cinque volte al giorno, gli altri
due operai che lavorano la notte ci preparano il the e chiacchieriamo
in turco, grazie al nostro dizionarietto, accompagnando
il the a dei dolci bretoni.
A letto, è mezzanotte e domani mattina alle 7 arriva
il capo che telefonerà al garage "Peco".
Giovedì
23 agosto
7h, Ankara-Ipsala-Komotini, 864 km
Alle 7 scopriamo che il "Peco" apre soltanto alle
8h30. Che fare?
Philou decide di chiamare l'ambasciata, ma sono ancora a
letto. Ultima soluzione, seguire un "taksi" che
ci condurrà al garage Peugeot che sembra trovarsi
a 15km da qui, per una strada facile da raggiungere. Ma
in questa grande città dal traffico infernale preferiamo
essere accompagnati. Dopo l'ultimo the, accompagnato da
pomodoro, formaggio e ekmek (pane) seguiamo il tassista.
Effettivamente era facile arrivarci, è nel quartiere
dei grandi concessionari internazionali. Il tassista fa
la cresta sulla corsa, e ci chiede 9,5€, ma paghiamo
e siamo contenti di essere arrivati dal concessionario.
Attesa, spiegazioni smontaggio e.... sembra che il modello
che serve a noi non ci sia. La cosa sarà più
lunga del previsto e noi abbiamo il traghetto domani alle
18 a Patrasso, e dobbiamo percorrere ancora 1.500 km...
E' sempre un problema con i traghetti, era molto meglio
quando si attraversava la Yugoslavia, non eri legato agli
orari, costava di meno e per noi che abitiamo in Francia
dell'Est era anche più rapido con l'autostrada fino
in Bulgaria.
Aspettiamo, aspettiamo mentre gli operai riparano le altre
vetture: ma quando arrivano questi diabolici pezzi?
Eccoli finalmente alle 11.30, sono delle magnifiche ganasce
Citroën che un fabbro ha sistemato: si fa così
qui in Turchia.
Mentre aspettavamo Bouli era stato messo a nudo e in 30
minuti le ganasce sono montate, il conto è di 86
milioni (74€), paghiamo e di corsa sull'autostrada
che è poco frequentata tranne che per i camion e
gli emigranti turchi che rientrano a grande velocità
nei loro paesi di adozione: Germania, Francia, Svizzera,
Belgio e Olanda.
E vedremo, sia in Turchia che in Grecia, diversi
incidenti, sopratutto grandiose uscite di strada, dovute
alla stanchezza degli autisti che fanno più di 3.000
chilometri senza riposarsi a sufficienza.
Non abbiamo nemmeno il tempo di preparare il pranzo e ci
fermiamo in un ristorantino sull'autostrada e per un'ultima
volta mangiamo kebabs.
Dopo Bolu siamo colpiti da alcune mucche che pascolano tra
l'erba verde, scene sicuramente normali, ma strane per noi
dopo i brulli paesaggi dell'Anatolia.
Un ultimo passaggio sul ponte che scavalca il Bosforo e
filiamo sulla strada costiera in mezzo ad una circolazione
notturna infernale. Cena veloce su una stazione di servizio
e via di nuovo.
La strada è strana, ovunque le stazioni di servizio
hanno decorazioni luminose multicolori, sembra di essere
a Natale.
Verso mezzanotte siamo vicino alla frontiera, ma siamo fermati
da una fila di veicoli di 4 o 5 chilometri... facendo i
conti non saremo alla barriera prima di domani mattina.
Bisogna prendere una decisione: Philou, essendo l'autista
principale, ha diritto di andare a dormire mentre Sylvie
prenderà il volante e avanzerà secondo il
ritmo dei doganieri... Pronto il letto, Philou si corica
e Sylvie assume il controllo della guida.
Poco prima delle 5 si scorge la dogana, Philou si risveglia
e prende il volante mentre Sylvie parte per andare a comprare
le sigarette che qui hanno un prezzo imbattibile. Le formalità
sono veloci e dopo veniamo a sapere che l'intoppo era dovuto
alla scoperta di clandestini che cercavano di attraversare
la frontiera...
Alle 5h15 usciamo dalla Turchia, è spiacevole andarsene
in queste condizioni di interminabile attesa, ma ciò
non cambia il nostro amore incondizionato per questo magnifico
paese.
Ci si mettono anche i doganieri greci... ma per fortuna
dopo 25 minuti eccoci di nuovo sulla strada.
Philou se ne torna a letto, Sylvie procede per avanzare
il più possibile per non perdere il traghetto, ma
alla fine ci fermiamo per una sosta poco prima di Komotini.
Sono le 7 del mattino.
Venerdì
24 agosto
9h30, Komotini-Igoumenitsa, 744 km
Risveglio tardivo ma comunque mattiniero per Sylvie che
ha dormito soltanto due ore e per Philou che con tutto il
trambusto non ha dormito gran ché.
Colazione frugale e via di nuovo.
Apprezziamo gli anelli intorno alle città e i nuovi
tratti autostradali e come d'abitudine verzo mezzogiorno
facciamo sosta vicino ad Asprovalta, per gustare l'ultimo
bagno e osserviamo una famiglia di gitani che pranza all'ombra
dei pini: la signora si riposa all'ombra mentre il piccolo
fa il bagno in slip e il marito traffica col camion: che
vita, la vita dei gitani...
Mentre cerchiamo una pompa vicino Salonicco Philou avverte
un rumore strano: mentre il benzinaio fa il pieno apre il
cofano e scopre che stava per staccarsi la cinghia. A Sylvie
gli prende quasi un colpo, forse anche a Philou, che però
lo nasconde cercando dentro la sua borsa degli attrezzi
dalla quale estrae degli oggetti miracolosi e chiede l'aiuto
del benzinaio. Riposizionamento della cinghia, tensione,
prova... tutto ok e via di nuovo. Che dose di ottimismo
bisogna avere per sopportare tutti questi piccoli e grandi
inconvenienti di un viaggio, quando c'è un traghetto
da prendere!
Dopo aver guidato per due ore per dare il cambio a Philou,
Sylvie dorme un'oretta (fatto eccezionale, ma che si ripete
per due giorni) per svegliarsi verso le 18 all'arrivo alle
Meteore che ormai ci sono familiari: facciamo i conti, è
la settima volta che passiamo per di qua, quasi un'abitudine
ormai.
Su questa strada, che attraversa la Grecia e porta in Turchia,
abbiamo i nostri "rituali" ai quali rinunciamo
a fatica: sosta al supermercato di Larissa, sosta sulla
spiaggia e alla cappella di Koroni, bagno dopo Asprovalta,
bagno a Kavala, ed infine sosta al Passo di Katara a 1.690m
di altezza per il pranzo, ma questa volta non ci sarà
che una breve sosta al fresco alle 19.30 e una discesa sfrenata
di 200 km verso Ioannina e Igoumenitsa dove arriviamo verso
le 22.40.
Sospiro di sollievo: ci siamo. Sylvie prepara una veloce
cena, considerata l'ora. L'agenzia del traghetto è
proprio di fronte, cosa che facilita le operazioni di consegna
dei biglietti e registrazione.
La partenza è prevista alle 2.30, ma saranno in realtà
le 3.30, abbiamo ormai l'abitudine ai ritardi greci.
Sabato
25 agosto
3h30 e 10h40. Igoumenitsa-Bologna, 788 km
Sono le 10.30 passate quando sbarchiamo e dopo alcune settimane
verremo a sapere che la famiglia Bile, incontrata l'anno
scorso in Cappadocia, ci ha aspettato fino alle 9.30 sul
porto. Oggi sarà una giornata "mangiachilometri"
e i nomi delle città li vedremo sgranare lungo l'autostrada:
Bari, Foggia, Ancona, San Marino, Bologna...
Domenica
26 agosto
6h40, Bologna-Nancy, 825 km
Alle 6.30 Sylvie riprende il volante per continuare il viaggio,
fa dei calculi e prevede che saremo a Nancy verso le 16,
cosa che ci lascerà almeno il tempo di sistemare
un po' e rimetterci dal viaggio. Dopo tre ore di guida e
quasi 300 km, verso le 9.30 ci fermiamo per la colazione.
Il tempo è molto bello, la strada scorre bene, senza
rallentamenti in Italia, ma 500 metri prima dell'imbocco
del Tunnel del San Gottardo siamo fermati da un semaforo:
c'è stato un incidente all'interno del tunnel.
Decidiamo di prendere l'uscita seguente e fare il passo,
ma ci vorranno 30 minuti per fare 300 metri. Sembra che
un gran numero di veicoli in entrambi i sensi abbia avuto
la stessa nostra idea e una lunga fila di veicoli si snoda
per la strada che serpeggia lungo la montagna. Al Passo,
una folla enorme ed inattesa fa la gioia dei venditori di
wurstel e souvenirs, mentre il sole brilla sui minuscoli
ghiacciai che scintillano. Ognuno è in giro a prendere
una boccata d'aria.
Noi ne approfittiamo per pranzare al sole e riprendere velocemente
la strada avendo perso due ore a causa dell'incidente.
Per una volta tanto, in Francia splende il sole, soprattutto
nell'Est, per festeggiare il nostro rientro.
Alle 18.30 poniamo fine al nostro lungo tour facendo i calcoli
col contachilometri e scoprendo che quest'anno abbiamo percorso
10.855km.
Ancora
una volta ci è stato dato di vivere giornalmente
l'ospitalità e la gentilezza di questo popolo senza
distinzione tra turchi o curdi, che noi abbiamo incrociato
nell'Est. Mai siamo stati delusi dalla generosità
di cuore di tutte le persone incontrate durante il nostro
tragitto.
Turchia, noi t'amiamo.